Il topolino, mica si diverte
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Anteprima del libro
Il topolino, mica si diverte - Marzia Lanzoni
parlando.
Capitolo 1°
Ed eccolo lì, Matteo. Spiaggiato sul divano a domandarsi come sia potuto accadere. Qualche mese fa aveva tutto: un lavoro interessante, gratificante e ben retribuito, che gli aveva permesso di uscire finalmente dalla casa dei genitori. Si era trovato questo bilocale semiarredato a un affitto ragionevole, pian piano ci aveva portato le sue cose, se l’era sistemato alla sua maniera e ci stava proprio bene. E aveva anche una fidanzata, qualche mese fa. Silvia, si chiamava. Laureata in economia, stava facendo la classica gavetta nello studio di un noto commercialista. Era contenta, non se la passava male. Era molto bella Silvia, così snella, con quei lunghi capelli neri, lisci, quel bel culetto piccolo e sodo e quegli occhi profondi, che quando si fondevano coi suoi, in certi momenti … meglio non pensarci. Gli faceva male al cuore.
Sì, qualche mese fa l’ing. Matteo Gigli aveva tutto sotto controllo. Poi le cose avevano iniziato a prendere una piega strana e prima che potesse rendersene conto, tutto era precipitato, senza che lui avesse il tempo di fare niente. D’altr’onde, anche a ripensarci adesso, anche sapendo, cosa avrebbe mai potuto fare?
Si era laureato a pieni voti, Matteo e subito dopo aveva fatto qualche lavoretto come assistente presso qualche studio. Poi aveva saputo che una nota impresa, la Lombardi Costruzioni Generali SpA, stava cercando giovani ingegneri con la voglia di imparare a stare sui cantieri, si era presentato ed era stato assunto. Cioè, assunto, si fa per dire. Lui aveva la sua partita IVA ed era stato inquadrato come collaboratore libero professionista, ma avrebbe lavorato comunque per loro a tempo pieno, con un compenso mensile stabilito, che gli avrebbero versato regolarmente. Solo, avrebbe dovuto emettere fattura. Insomma, quello che si fa normalmente in Italia in tutte le imprese e in tutti gli studi professionali. Il compenso, comunque, era ragionevole.
La Lombardi Costruzioni Generali SpA era un’impresa di medie dimensioni: una sessantina di addetti, di cui una dozzina di dirigenti (l’amministratore delegato, il direttore amministrativo, il direttore tecnico, e una serie di ingegneri e architetti col ruolo di project manager), una quindicina fra assistenti tecnici e personale amministrativo e poi, il resto, erano capi cantiere; i soli, questi, insieme al personale amministrativo, ad essere assunti a tempo indeterminato. I lavori venivano svolti prevalentemente da artigiani e subappaltatori. Una struttura collaudata, che aveva funzionato bene fino al 2008 e che aveva retto anche al successivo decennio di crisi, sia pure con una riduzione del personale. Ora, con la timida ripresa, stavano entrando nuovi lavori e per questo cercavano personale nuovo. Cercavano giovani in gamba, dinamici, con buone capacità organizzative, che avessero interesse ad imparare come si gestisca un cantiere. Matteo era fra questi. Avrebbe iniziato con un periodo di sei mesi di prova e poi, se tutto andava bene, sarebbe entrato a pieno titolo nella segreteria tecnica, come assistente di commessa e, col tempo, avrebbe potuto aspirare a diventare project manager.
Il colloquio di ingresso lo aveva sostenuto con il direttore tecnico, ing. Passalacqua, un cinquantenne in forma, con un bel sorriso aperto, che incuteva rispetto, ma non soggezione e che gli aveva parlato in tono serio, ma gentile. Con i colleghi si era trovato a suo agio e il mestiere gli piaceva. Tutto il lavoro complesso che sta dietro alla realizzazione di un’opera – pianificare, programmare e controllare le lavorazioni, gli approvvigionamenti dei materiali, il budget e i costi, coordinare le squadre, rapportarsi coi fornitori, risolvere i problemi che quotidianamente si presentano, sporcarsi le mani – lo affascinava e lo incuriosiva. Così, i sei mesi di prova erano passati in un soffio.
Durante quel primo periodo non aveva mai avuto contatti con l’amministratore delegato, se non di sfuggita, tranne quando gli era stato presentato, ma sapeva di essere sotto osservazione. Come è normale che sia.
L’amministratore delegato della Lombardi Costruzioni Generali SpA era l’ing. Lombardi. Giulia Lombardi. Una donna. La Lombardi Costruzioni Generali SpA era una delle poche, o forse, più probabilmente, la sola impresa di costruzioni italiana di un certo rilievo, gestita da una donna. Era stato suo padre a fondarla, il geom. Giuseppe Lombardi, che era partito dal nulla, nel dopoguerra, con pochi operai e che poi, facendosi il mazzo, lavorando giorno e notte e godendo del boom degli anni ’60 e ’70, era riuscito a farla crescere, fino alla relativamente recente trasformazione in SpA. La sua impresa era la sua creatura, ne andava orgoglioso e il suo più grande desiderio sarebbe stato lasciarla al figlio maschio, che era anche il primogenito. Ma il destino beffardo gli aveva dato un figlio maschio con vocazione umanistica e zero ambizioni, così che si era laureato in lettere e poi si era guadagnato da vivere come insegnante di liceo. Giulia, invece, aveva sia la testa che le palle
, si era laureata in ingegneria, era entrata subito nell’impresa, si era fatta tutta la gavetta, fra i calcinacci, al freddo, al caldo, sopportando le battute idiote dei maschi e lo scetticismo del padre e non si era fatta scoraggiare mai da niente e da nessuno. Finché anche il geom. Giuseppe era stato costretto a ricredersi. Negli ultimi anni della sua vita, parlava con orgoglio di sua figlia e di come fosse fiero di averle ceduto la direzione della sua creatura.
Ora Giulia Lombardi era sulla sessantina. Dato il suo curriculum, la si potrebbe immaginare come una lady di ferro, una sorta di schiacciasassi asessuato, senza trucco, con le calze spesse sotto il rigoroso tailleur, ma non era così. Da giovane era stata piuttosto carina e aveva ancora un bel viso. Era un po’ sovrappeso, ma era