Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Una manciata di luce
Una manciata di luce
Una manciata di luce
E-book185 pagine2 ore

Una manciata di luce

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Rudy è un ladro che viene arrestato e portato in carcere dove incontra altri prigionieri, con le loro storie, e dove viene a conoscere la fonte dell'energia utilizzata dalla città
LinguaItaliano
EditoreGuy 7051
Data di uscita18 apr 2015
ISBN9786050373257
Una manciata di luce

Correlato a Una manciata di luce

Ebook correlati

Narrativa di azione e avventura per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Una manciata di luce

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Una manciata di luce - Guy 7051

    Capitolo

    Antefatto - 12/dicembre/2015

    La stanza era quasi buia, attraverso le tende della finestra filtrava, un po’ di luce, quella dei lampioni nella strada e dell’enorme insegna COGEL, con quello scarso chiarore il tecnico, vicino al computer spento, trafficava a un’apparecchiatura che sembrava una grossa radiosveglia. Il direttore, seduto alla sua scrivania, si rivolse all’impiegata appena entrata.

    « Si segga al computer e faccia quello che le dice il signore »

    La donna sedette davanti al monitor spento.

    L’uomo, che continuava a manovrare il congegno, le disse.

    « Guardi lo schermo e si concentri su quel puntino che si vede »

    Sì, effettivamente si poteva vedere un puntino verdognolo, la donna cercò di capire cosa fosse fissandolo. In quel momento la stanza fu avvolta dalla luce, si era acceso l’enorme lampadario dell’ufficio, anche la lampada sulla scrivania si era illuminata, e il computer aveva iniziato a funzionare.

    Il tecnico disse al direttore

    «Provi a farle scrivere una lettera».

    Il direttore iniziò a dettare una richiesta di sollecito per del materiale non ancora consegnato. Un testo che occupò l’impiegata per qualche minuto, poi il capo le disse che poteva andare, la segretaria si alzò, ebbe un leggero giramento, abbassò lo sguardo, a terra vide la spina del computer staccata, si riprese e si diresse verso la porta, i due uomini si guardarono, poi, mentre lei usciva dalla stanza luminosa, sentì qualcuno dire.

    «Vede funziona ancora».

    Capitolo I - 05/ottobre/2065

    Se potessi aprire le serrature del tuo cuore, qualora riuscissi percorrere i corridoi bui del tuo cervello, ruberei uno sguardo dai tuoi occhi, allora, solo allora capirò che non siamo molto diversi, e non avrò più paura del tuo aspetto.

    La stanza era quasi buia, ma mi era bastato qualche raggio della torcia elettrica gettato intorno per farmi capire che questa volta il colpo sarebbe stato quello buono; quadri, soprammobili, argenteria gioielli. In quella casa io avevo a disposizioni pezzi che da soli mi avrebbero fruttato come i lavoretti, messi a segno in dieci anni.

    Il mio nome è Lomes Rudy, ho poco più di trent’anni ma sono già un po’ stempiato, mi ritengo abbastanza simpatico, sorridente con tutti, ho modi gentili ed educati e, non so il perché, ispiro fiducia alla gente che si mette a parlare volentieri con me.

    In questa città, Ammax, così moderna, così organizzata, così perfetta e così impersonale, ciò che le persone cercano, con maggior desiderio, è qualcuno con cui parlare. Non per avere un parere o un consiglio, al contrario, loro hanno già in mente le risposte, vogliono qualcuno che senta i loro pensieri, che dica solo ogni tanto sì o no, sappia sorridere o mostrarsi preoccupato in sintonia con loro, che non li interrompa; insomma che sia un buon ascoltatore. E io sono un ottimo ascoltatore.

    Questo mi aiuta molto nel mio lavoro, faccio il ladro, lo scassinatore e sono uno dei migliori in attività.

    La maggior parte dei miei colleghi usa informatori che si devono pagare, e bene, per mantenerli fedeli, ma a volte non basta. Un informatore fa presto a diventare spia e può comunicare indicazioni anche a chi può farti finire la carriera spedendoti al serpentone , le prigioni di Ammax.

    Io, invece, sono informatore di me stesso e non corro alcun rischio, giro nei bar, negli uffici pubblici, nelle sale d’attesa, vedo un tipo interessante, gli butto un paio delle solite frasi fatali: fa caldo chissà se pioverà, se i prezzi salgono ancora, chissà dove andremo a finire, le strade sono sempre più intasate non si riesce a circolare e così via, una di quelle stupide frasi inutili, che significano solo che vuoi chiacchierare, ma poi divento il miglior ascoltatore che possano sognarsi. Spesse volte perdo solo del tempo ma in altre occasioni mi raccontano; della figlia, che ha sposato un imbecille, ma ricco, che tiene i quadri di valore sotto il divano, oppure, che loro non si fidano delle banche e nascondono i loro soldi in un doppio fondo del tavolo, o anche, che hanno ritirato dalle cassette di sicurezza dei preziosi per indossarli fra un mesetto per far morire d’invidia la cognata. Io ascolto, annuisco, sorrido o, se il caso, m’incupisco e… posso imparare molte cose. Se dopo qualche giorno a quelle persone sparisce qualche cosa non si ricordano mai della simpatica persona con cui, qualche giorno prima, hanno parlato per una mezz’oretta.

    Così una sera, mi trovavo dalle parti della zona industriale di Ammax, entrai in un bar, gli avventori si erano divisi nelle varie salette in base ai programmi trasmessi dalle televisioni, la più affollata trasmetteva una partita di calcio, in un’altra in pochi guardavano un vecchio film, in una saletta si trovava una persona sola, (bene) guardava un programma d’economia, (buono), stava bevendo del vino rosso dealcolizzato, (ottimo). Era la persona ideale per me.

    Un tizio così è uno, senza amici che va al bar nell’illusione di trovare qualcuno con cui parlare, però non è in grado di iniziare lui il discorso, incapace di mettersi in gioco al livello degli altri. Non ha neppure il coraggio di bere qualcosa che gli dia l’energia per uscire dalla sua maschera di rispettabilità. Si mette, lui stesso, da parte e continua a essere infelice nella sua inettitudine ad aprirsi con gli altri e aspetta solo che qualcuno gliene dia la possibilità.

    Questa volta quell’uomo era fortunato avrebbe trovato in me l’amico con cui confidarsi.

    L’aspetto mi faceva pensare a un tecnico: muratore, idraulico o elettricista, con qualche problema con la moglie troppo spendacciona e col fisco troppo esigente.

    Presi una birra light ed entrai anch’io nella saletta. Alla televisione stavano illustrando la manovra fiscale, non so se il mio amico capisse qualcosa, io no.

    ­­­­ «Chissà che altra tassa riusciranno a inventarsi?» Buttai li.

    Si volse sorridendomi

    ­ «E sì, i politici sanno solo inventare nuove tasse.».

    Ok l’aggancio era fatto.

    «Io faccio l’elettricista, lavoro in proprio ma à sempre più dura ­- proseguì - e lei?».

    «Faccio il meccanico- e ciò era quasi vero – anch’io sono autonomo e so che quando i politici hanno un problema, la soluzione è aumentare le tasse e colpiscono sempre noi».

    «Proprio così, - prese la parola, l’artigiano – non ho dipendenti, mia moglie non lavora e mi fa un po’ da segretaria, ci arrangiamo, per così dire, ma continuano a sostenere che non posso guadagnare così poco. Lo sa, che passo più tempo a fare le pratiche per il fisco che a lavorare? No non si può andare avanti così. I loro stipendi,però, non li toccano, anzi continuano aumentarli.»

    «Eh sì. Invece dovrebbero aiutarci in questo periodo di crisi.»

    «Ma che crisi e crisi.- sbottò - I soldi ci sono, io, che ho qualche anno in più di lei so benissimo che ogni tanto tirano fuori la crisi così possono inventare una nuova tassa. E mai che, nei pochi periodi buoni, le tolgano. Eppure di ricchi ce ne sono, ma quelli sono protetti e guai a toccarli. Guardi proprio la settimana scorsa, sono andato a fare dei lavori in Via Palet, è una zona di case abbastanza popolari. La conosce? - risposi di sì - Ebbene c’è una casa di due piani. Vista da fuori è piccolina, scrostata, piena di crepe, le persiane avrebbero bisogno almeno di una mano di vernice. Diresti che ci abita un poveretto; ma dentro è uno spettacolo. Prima di tutto è enorme, con un salone con mobili, che non vi dico, soprammobili d’argento e d’oro e quadri; io non me ne intendo, ma, se erano veri, valevano un patrimonio. Cosa vuole che sia? Sicuramente è un pied a terre, dove qualche industrialotto si porta la segretaria di turno e ... ci siamo capiti. Se gli portassero via metà di quello che era lì dentro, ripianerebbero il deficit del comune e lui con la sua segretaria potrebbe continuare a fare lo stesso di quello che sta facendo. – proseguì senza interrompersi - Ed io ho visto una solo una parte della casa ma sono convinto che anche le altre stanze siano così, se non meglio. Dovevo solo cambiare un interruttore di vecchio tipo che stava andando in corto, ho detto al tizio che mi aveva accompagnato che sarebbe servito rifare l’impianto,  vecchio di vent’anni su non di più, con i nuovi impianti wireless, magari mettendo anche uno d’allarme, che sono convinto non ci sia, ma lui lo segnalerò ai proprietari, io non posso decidere capito? Doveva essere solo un cameriere ma sembrava un magnate d’industria. Mi sa che il suo stipendio è il doppio di quello che ricavo dal mio lavoro, visto gli abiti che si permette, ma a lui non aumentano le tasse perché alla fine dovrebbero pagarle i suoi padroni.»

    Lo lasciai dopo un’oretta, entrambi eravamo soddisfatti, lui si era sfogato, io avevo una buona informazione

    Via Palet è la strada principale che attraversa il quartiere residenziale che è abitato principalmente da lavoratori o pensionati. Nonostante sia particolarmente lunga, non feci fatica a capire quale fosse la casa cui faceva riferimento; un edificio di due piani, si nota facilmente in mezzo a tanti condomini.

    Controllai per due settimane, non vidi mai qualcuno uscire o entrare, nemmeno una luce che potesse indicare la presenza di qualcuno, si vede che le segretarie stavano trascorrendo un periodo particolare di moralità. Meglio così, si sarebbero accorti più tardi della mia visita.

    Era sera, lungo la via incontrai solo un paio di persone frettolose, qualche auto passava veloce senza badare a me, la serratura non diede problemi, era di un vecchio modello tipo egizio, non era neppure collegata a sensori elettronici, cedette dopo pochi tentativi. Entrai e richiusi la porta, da fuori nessuno si sarebbe accorto di qualcosa.

    Soltanto allora mi accorsi che, purtroppo, non avevo organizzato come piazzare gli oggetti, ma non mi sarei mai aspettato di avere una così ampia scelta. Non mi trovavo in una delle solite case di benestanti, dove potevo recuperare tre o quattro cose di valore, facili da smerciare, in quanto simili a migliaia di altre. Questa casa conteneva oggetti il cui valore li rendeva non commerciabili, sembrava quasi un museo, anzi il magazzino di un museo, in quanto tutto era disposto a casaccio. Centinaia di quadri erano appesi alle pareti altri erano appoggiati per terra, sembrava che l’unica regola fosse di riempire più spazi possibili con oggetti di valore. Sebbene per la maggior parte non conoscessi gli autori, la qualità traspariva dai colori e dalle immagini anche per un profano come me, comunque vidi un Picasso accanto a un Rembrandt, un Warhol copriva in parte un arazzo. Inoltre c’erano anche orologi da muro da collezione, tappeti spessi e soffici, ceramiche finissime, un vaso etrusco era appoggiato su una sedia Luigi XVI e ancora, mobili intarsiati da antiquariato o freddi ed essenziali di designer, ogni stanza in cui transitavo era una nuova meraviglia che mi lasciava nell’imbarazzo di scegliere cosa prendere.

    Mi sentivo come un gastronomo che, messo di fronte a un ricco buffet, pieno di prelibatezze, non riesce a decidersi cosa assaggiare, vorrebbe provare di tutto ma il piatto, che ha a disposizione, è troppo piccolo. Teme, però, che quello che non assaggerà sia la parte migliore del pranzo, e allora gira, fra i tavoli, impacciato e indeciso per poi accontentarsi di una banale insalata russa e un’anonima tartina.

    Così, dopo aver visto l’atrio, il corridoio, un salotto, un tinello, una sala grande non avevo ancora preso nulla, ero quasi deciso ad accontentarmi, per ora, di qualche oggettino d’oro che avevo visto in un cassetto, anelli braccialetti monete, che, nel caso non fossi riuscito piazzarli, potevo sempre fondere.

    Provai l’ultima porta, entrai in uno studio, vidi una bellissima cassaforte Fiamca a combinazione vecchia di oltre cent’anni, non molto grande, dagli spigoli arrotondati, un acciaio quasi morbido al tatto, non resistetti, mi sfidava e accettai la sfida, mi ci vollero quaranta minuti prima che trovassi la combinazione e il maniglione, dalla vernice consumata, cedesse docilmente. Fui deluso non conteneva il pezzo più prezioso della casa, come avevo creduto, neanche denaro, solo documenti: disegni tecnici e progetti di elettronica. 

    Decisi di andarmene con l’oro, tornai nelle stanze già visitate, stavo per aprire il cassetto che m’interessava e fui accecato da luci puntate negli occhi e assordato dagli urli.

    «Fermo Polizia», «Non ti muovere», «Chi sei», «Cosa fai». Non potevo rispondere, neppure reagire, l’agitazione mi aveva bloccato non mi accorgevo neppure degli spintoni, degli strattoni, dei colpi ricevuti mentre mi ammanettavano e trascinavano fuori dalla casa. Solo in strada mi accorsi che, tra i poliziotti che mi avevano catturato, alcuni avevano la divisa dello SSP, le squadre speciali politiche ed era proprio uno di loro, quello con la divisa più ricca di fregi, che dirigeva l’operazione impartendo gli ordini accompagnandoli con gesti decisi.

    Era mattina avanzata quando il cellulare oltrepassò il cancello della Casa di miglioramento sociale, il modo elegante con cui erano indicate le nuove carceri. Era mattina ma non si vedeva il sole, il cielo era una un soffitto di cemento con varie tonalità di grigio. Le guardie ci scaricarono, io e altri due sfortunati, nel centro del cortile di accesso, e ripartirono lasciandoci soli sotto una pioggerella fredda e fastidiosa; eppure non provammo cercare riparo accanto ai muri, restammo lì, vicini fermi e spaesati. All’improvviso furono accese, puntate su di noi, delle luci fotoelettriche, ci abbagliarono.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1