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Il dovere e il piacere (eLit): eLit
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E-book231 pagine3 ore

Il dovere e il piacere (eLit): eLit

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Info su questo ebook

La saga dei Worth 3
Arizona, 1884.Che cos'è il tradimento? Chance Worth ora lo sa: toccare Lizzie Mitchell, la figlia dell'uomo che un tempo gli ha salvato la vita, e desiderarla come nessun'altra prima, o sognarla mentre la possiede corpo e anima. Lui, però, è tornato a Red Ridge per aiutare Edward, il padre di Lizzie, a mantenere intatta la proprietà, e a trovare un buon marito per lei. Ingenua ma determinata a farsi strada da sola nella vita, Lizzie merita un compagno degno della sua bellezza e della sua forza. Chance si domanda se non potrebbe essere lui quell'uomo, e se sia così sbagliato mettere da parte l'onore e arrendersi al piacere.
LinguaItaliano
Data di uscita1 mar 2021
ISBN9788830525795
Il dovere e il piacere (eLit): eLit
Autore

Charlene Sands

Risiede nel sud della California con il marito e i loro due figli. Scrittrice dotata di grande romanticismo, è affascinata dalle storie d'amore a lieto fine ambientate nel Far West.

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    Anteprima del libro

    Il dovere e il piacere (eLit) - Charlene Sands

    Copertina. «Il dovere e il piacere» di Sands Charlene

    Immagine di copertina:

    subinpumsom / iStock / Getty Images Plus

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    A Cowboy Worth Claiming

    Harlequin Historical

    © 2012 Charlene Swink

    Traduzione di Roberta Canovi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-579-5

    Frontespizio. «Il dovere e il piacere» di Sands Charlene

    1

    Red Ridge, Arizona.

    1884

    Chance Worth si inginocchiò sulla riva del lago e raccolse l’acqua nelle mani per gettarsela in faccia. Una pioggia di goccioline gli rinfrescò le spalle e il petto nudo, trascinando via con sé la polvere vecchia di due giorni e procurandogli un gran sollievo.

    Aveva attraversato le colline ai piedi delle Red Ridge Mountains dopo aver lasciato Channing, Arizona, in tutta fretta, assicurandosi di non essere seguito. Gli unici che fossero in grado di rintracciarlo erano i guai e quelli sembravano pedinarlo ovunque andasse.

    Stringendo gli occhi, scrutò il perimetro del lago, assorbendo ogni dettaglio, ogni cespuglio, arbusto e albero che si scorgeva in lontananza; non c’era niente che si muovesse, fatta eccezione per Joyful, la sua cavalla, che stava brucando l’erba vicino a un boschetto.

    Lo specchio d’acqua scintillante lo tentava quanto il sorriso seducente di una donnina da saloon. «Che diavolo!» Sciolse il cinturone e lo avvolse nella camicia; seguirono gli stivali; quindi infilò il tutto in una buca nascosta sotto un macigno. Senza pensarci troppo, si tuffò nel lago e un puro paradiso, fresco e invitante, gli esplose sulla pelle, abbeverandola fin nel profondo e lavando via ciò che restava della sporcizia. Trattenendo il fiato, nuotò sott’acqua finché non sentì bruciare i polmoni.

    Riemerse di slancio per respirare a fondo, sghignazzando come un ragazzino che aveva trovato una moneta d’oro. Ricordò le corse al fiume con gli amici dell’orfanotrofio, quando facevano a gara a gettarsi dai rami degli alberi nella corrente e a sopravvivere per raccontarlo.

    Sollevato il viso verso il sole, scosse la testa per districare i capelli, gettando una scia d’acqua tutto intorno a sé. Il calore gli scaldò la pelle e per un momento si godette il tepore, in piedi nel lago.

    Ma la pace fu interrotta da un rumore improvviso e Chance reagì d’istinto, portandosi la mano alla cintura. Grugnì: una rapida occhiata gli confermò che la pistola era a dieci metri da lui, comodamente avvolta nella camicia. Soffocando un’imprecazione, si immerse nell’acqua fino al collo, e tese l’orecchio.

    Quando un urlo di donna gli perforò i timpani, rivolse lo sguardo nella direzione del suono, ma la visuale era impedita da un’ansa. Si tuffò e nuotò fino alla fonte del rumore.

    Riemerso a pelo d’acqua, individuò una ragazza che agitava le braccia da una barca a remi che stava affondando. Il cappello di paglia che usava per buttare fuori l’acqua non era nemmeno lontanamente sufficiente a impedire il lento ma inesorabile sprofondamento; tuttavia, la ragazza continuava a urlare e svuotare, urlare e svuotare, finché il bordo superiore del fasciame non incontrò la superficie del lago. «Perché non ti butti e la fai finita?» borbottò tra sé.

    La ragazza affondò con la barca. Chance attese di vedere la testa che tornava a galla, ma non accadde. Strizzò gli occhi e imprecò: aveva un pessimo presentimento al riguardo. Quando riaprì gli occhi, non trovò neanche un’increspatura: il lago sembrava averla inghiottita.

    Maledizione. Non era certo un eroe, ma affogare non è un bel modo di morire.

    Si tuffò di nuovo e nuotò con bracciate decise fino al punto in cui la barca era sparita. Trovò la ragazza che affondava velocemente, le gambe e le braccia impacciate dal vestito voluminoso. Doveva essere sott’acqua da meno di un minuto, tuttavia era un tempo più che sufficiente per spaventare a morte chiunque non sapesse nuotare.

    La afferrò e la attirò a sé, cingendole un braccio intorno alla vita e tirandola verso la superficie del lago. In un disperato tentativo di sopravvivenza, gli stivali della sconosciuta gli colpirono gli stinchi. «Ohi, dannazione!» Mantenne la presa e cominciò a nuotare all’indietro. La ragazza continuava a sbracciarsi e divincolarsi come una forsennata. «Stia ferma» le ordinò. «Non tenti di liberarsi.»

    «Mi lasci andare!» gridò allora lei nel panico.

    Chance non ci pensò nemmeno. «Si calmi e respiri lentamente.»

    «No, mi lasci andare! Mi lasci!»

    Non aveva mai conosciuto nessuno tanto desideroso di affogare. «La smetta di urlare» le intimò a denti stretti.

    I muscoli che bruciavano, continuò a nuotare. Era poco più di uno scricciolo, ma gli abiti inzuppati raddoppiavano il suo peso.

    Una volta in salvo, Chance strisciò via da sotto il suo corpo. Aveva il fiato corto e gli ci volle qualche istante per riportarlo alla normalità, prima di andarsi a inginocchiare accanto alla sconosciuta.

    Lei aveva gli occhi chiusi e si era zittita e immobilizzata. «Signorina, sta bene?»

    Fu inquietante il modo in cui i suoi occhi si aprirono di scatto. Erano dello stesso azzurro del cielo, un po’ offuscati, in quel momento, ma non gli ci volle molto per capire che erano il suo tratto più attraente.

    «Le mie... bambole.» Un lamento che le graffiò la gola.

    «Ha detto bambole? Signorina, se erano in quella barca, sono perdute. Probabilmente sul fondo del lago, ormai.»

    Lei si voltò dall’altra parte, l’espressione addolorata. Lottava per trattenere le lacrime, e Chance la ritenne la cosa più stupida che potesse fare, dato che aveva appena rischiato la propria vita. Sembrava che non le importasse d’altro che di quelle bambole.

    «Andrà tutto bene» cercò di rassicurarla.

    Lei scosse il capo, le labbra che tremavano.

    «Come si chiama?»

    Non rispose.

    Chance insistette. «Come si chiama?»

    «Elizabeth.»

    «D’accordo, Elizabeth. Ora stia calma e mi aspetti qui. Torno subito.»

    La ragazza non reagì.

    Correndo lungo la riva, imprecò ogni volta che i piedi nudi colpivano una pietra o una radice spinosa.

    Non sono l’eroe di nessuno, continuava a ripetere tra sé. Non servì a un granché. Pensare non è fare, figliolo, avrebbe detto suo padre. Era uno dei pochi ricordi che aveva di lui.

    Trovò il fagotto con gli abiti e si rivestì in fretta, quindi montò in sella e spronò Joyful al galoppo. Con suo grande sollievo, trovò la ragazza dove l’aveva lasciata; si era messa seduta, anche se appariva bianca come un lenzuolo. Si accucciò accanto a lei e le appoggiò la coperta sulle spalle. La ragazza non alzò lo sguardo: gli occhi, puntati sul lago, erano pieni di rimpianto.

    «Questo dovrebbe scaldarla un po’.»

    Lei lasciò che la coperta le scivolasse addosso.

    «Sta tremando, si prenderà un malanno. L’acqua del lago è piuttosto fredda.»

    Finalmente, lei lo guardò, la voce bassa e tremula. «Ora sono rovinate. Tutte. Non doveva fermarmi.»

    Chance aggrottò la fronte. «Ha per caso degli istinti suicidi?» le domandò mentre si sedeva accanto a lei, appoggiando un braccio sul ginocchio piegato, concedendole un momento di tregua mentre lui stesso assorbiva la pace del lago, il calore del sole.

    «Non sono un esperto» riprese dopo qualche minuto, voltandosi verso di lei, «ma quella barca non mi è sembrata molto solida. È andata giù piuttosto in fretta. E chiaramente, lei non sa nuotare.»

    Un paio di occhi azzurri scattarono su di lui. «Io so nuotare... è solo che sono rimasta invischiata nella gonna.»

    «Ah sì? Non è quello che ho visto.» Strappò un filo d’erba da un cespuglio lì accanto. Quella ragazza si comportava come se le avesse fatto un dispetto, a salvarla.

    «Vorrei tanto che lei non fosse comparso dal nulla. Avevo bisogno di quelle bambole. Le avrei trovate.»

    Ma che accidenti...? Che razza di ingrata: aveva interrotto il suo momento di riposo nel lago con le proprie urla e non si era neanche degnata di ringraziarlo per averla salvata.

    «Sarebbe affogata mentre le cercava, con le capacità natatorie che si ritrova.»

    Lei indirizzò verso l’acqua uno sguardo pieno di rammarico. Poi si voltò di scatto verso di lui, gli occhi fiammeggianti. «Stavo tornando in superficie per respirare, e poi sarei tornata sotto. Non avevo bisogno del suo aiuto. E ora le mie bambole non ci sono più! E perderemo il ranch...» La voce di Elizabeth si spense nella disperazione.

    Le cose dovevano andarle proprio male, rifletté Chance. Aveva rischiato la vita per quelle dannate bambole – come poi queste avrebbero potuto salvare un ranch, andava al di fuori della sua comprensione. Poi ebbe una folgorazione: Elizabeth... che fosse Lizzie? La stessa Lizzie di cui Edward Mitchell gli aveva parlato nelle sue lettere?

    Infilò la mano in tasca per recuperare il messaggio che gli aveva inviato il vecchio amico.

    Ti chiedo un favore, ragazzo. Non lo farei, se avessi un’altra scelta. Ho bisogno di una mano, piuttosto in fretta. Non è per me, ma per mia nipote, Lizzie. Vieni a Red Ridge, se puoi, e ti spiegherò.

    Edward Mitchell

    La fissò con un nuovo riguardo. «Sei Lizzie Mitchell?»

    Lei fece scattare di nuovo la testa verso di lui. «Come lo sa?»

    Storse le labbra, divertito dal caso. «Sono Chance Worth. Tuo nonno mi ha chiesto di raggiungerlo.»

    Lizzie saltò in piedi con più energia di quanto lui avrebbe immaginato possibile, considerato che aveva appena rischiato di annegare – per quanto si ostinasse a sostenere il contrario. Aveva i lunghi capelli neri spalmati in testa, il viso smorto come la sua vecchia coperta, il corpo ricoperto dalla gola alle caviglie da vestiti zuppi appiccicati. L’unica cosa che brillava, scintillante come il lago che le aveva quasi portato via la vita, erano gli occhi azzurri, sbarrati. «Chance Worth?»

    «Sì, Lizzie. Hai sentito bene.»

    Lei incrociò le braccia sul petto, buttò fuori il mento e mise in posa la testa come la regina d’Inghilterra. «Be’, non lo farò. Il nonno non aveva alcun diritto di mandarti a chiamare! Mi rifiuto di sposarti, e questa è la mia ultima parola!»

    «Ti ho detto che posso tornare a casa a piedi.» Lizzie teneva il mento alto e il corpo rigido, a cavallo di quel sauro chiamato Joyful, condividendo la sella con un estraneo. Lui le aveva cinto la vita con un braccio e lei stava cercando di non pensare che, se si fosse appena rilassata all’indietro, sarebbe finita completamente contro il suo corpo muscoloso.

    «Dovrei davvero farti camminare» replicò lui. «Così impari a prendere quel catorcio di barca per attraversare il lago.»

    Nonostante l’ostentata spavalderia, probabilmente Lizzie sarebbe piombata a terra esausta se il cowboy l’avesse fatta scendere da cavallo. La brutta avventura nel lago aveva prosciugato le sue energie e la perdita delle bambole le aveva abbattuto lo spirito. Era esausta, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di ammetterlo. «Puoi anche lasciarmi qui e tornare indietro. Occuparti dei tuoi affari.»

    «È quello che sto facendo. Te l’ho già detto, Lizzie.»

    «Mi chiamo Elizabeth.» Si irrigidì ancora di più al sentire il soprannome da bambina che tutti, compreso il nonno, si ostinavano a usare; Edward di recente aveva spesso dei vuoti di memoria, per cui non poteva biasimarlo, ma ciò non spiegava perché tutti quanti, a Red Ridge, si sentissero autorizzati a chiamarla così.

    Chance Worth poteva anche averla trascinata fuori dall’acqua, quel giorno, però questo non gli dava il diritto di insultarla. Quando lei era saltata in piedi, per dichiarare che non l’avrebbe sposato, lui l’aveva adocchiata con gli occhi stretti prima di scoppiare in una sonora risata, che aveva frantumato la quiete del lago.

    Eppure quello era il motivo per cui il nonno gli aveva spedito quella lettera. Doveva esserlo. Le aveva raccontato dell’orfano che aveva salvato; il ragazzo aveva rischiato la sua stessa vita pur di conservare l’unica cosa di valore che gli fosse rimasta. I ladri lo avrebbero massacrato di botte se il nonno non avesse captato la zuffa in una delle stradine secondarie di Channing, traendolo in salvo. Chance Worth gli doveva la vita.

    Santo cielo!, pensò, stringendo gli occhi. Erano quelli, i suoi affari? Avrebbe ripagato il debito sposandola?

    Durante l’ultimo anno, il nonno aveva fatto di tutto per trovarle marito, invitando al ranch ogni giovanotto del circondario in età da matrimonio. Non che nessuno si fosse dimostrato veramente interessato. Tanto meglio, in effetti. Tuttavia, il palese divertimento di quell’estraneo davanti al suo rifiuto categorico di sposarlo bruciava non poco.

    Tuo nonno non è così sciocco. La dichiarazione che aveva concluso la sua risata le aveva stretto un nodo allo stomaco.

    Lizzie non era una bellezza. Non aveva la grazia e il portamento delle altre signorine di città. Non era procace né formosa, e dimostrava meno dei suoi diciotto anni. Sapeva che probabilmente sarebbe morta zitella, ma questo non dava diritto a un estraneo di rigirare il coltello nella piaga. Di imbarazzarla e di offenderla.

    Di ferirla.

    La replica tagliente che le si era formata sulla punta della lingua si era persa nei meandri della sua mente non appena aveva visto il cowboy, nudo dalla cintola in su, quando l’aveva trascinata fuori dall’acqua. Non poteva dire che la mascella fosse scolpita troppo a fondo, né che le spalle fossero troppo ampie. O i muscoli che gli gonfiavano le braccia troppo grandi: se c’era una qualità che Lizzie possedeva, era l’onestà; e il suo salvatore, con quei profondi occhi castani e la pelle dorata, era praticamente perfetto più di quanto chiunque avesse ragione di essere.

    E ritenerlo perfetto dopo come l’aveva insultata non faceva che farla infuriare.

    «Come sta Edward?» le domandò lui, la sua voce morbida contro l’orecchio.

    Sentì un brivido. Si impose di arrestare subito la corsa del suo cuore e si concentrò per rispondere alla domanda. Il modo in cui il suo corpo rispondeva al cowboy era decisamente fastidioso. «Non sono tutte rose e fiori, ma ce la caveremo. Come sempre.»

    «Siete in difficoltà?» indagò Chance.

    «Qualcuna.»

    «Ti dispiace elaborare?»

    «Non sono affari tuoi, signor Worth. O sbaglio?»

    «Se dovessi indovinare, direi che avere una nipote testarda e impertinente metterebbe in difficoltà qualunque uomo.»

    Lizzie si voltò talmente in fretta che i capelli bagnati le frustarono le guance. «Questo non è leale! Non sai cos’abbiamo passato. I ladri di bestiame, la siccità che ha assetato le nostre mandrie due anni fa, le malattie che sono venute dopo... Abbiamo lavorato sodo per tenere il ranch a galla, portare del cibo in tavola e avere dei vestiti da indossare. Mio nonno ti caccerebbe dalla proprietà, se ti sentisse rivolgerti a me in questo modo.»

    A Chance fremettero le labbra. «Ah sì?»

    Fulminò coi propri quegli occhi castani accesi di divertimento. In fondo, non era poi così perfetto.

    «Girati, prima di cadere.» Con voce ferma, la riprese come una bambina. Eppure non era molto più grande di lei, non poteva avere più di una decina d’anni in più.

    «Non cado. Ho imparato a cavalcare prima che a camminare. Potrei battere qualsiasi ragazzo del posto. E...»

    Chance fece schioccare la lingua, e il sauro accelerò il passo, principiando un trotto veloce. Lizzie rimbalzò verso l’alto e il suo mondo virò pericolosamente a sinistra, facendola scivolare in rotta di collisione con un cactus spinoso prima che una grossa mano la riportasse al sicuro. Lui le posò entrambe le mani sulle spalle e la fece voltare sulla sella, perché guardasse avanti.

    «L’hai fatto apposta» lo accusò lei inacidita.

    Chance rallentò Joyful al passo. «Hai una vivida immaginazione, Lizzie.»

    «Elizabeth.»

    «Mi sa che mi piacevi di più nel lago.»

    «Quando stavo affogando?»

    «Quando stavi zitta.»

    «Sei tu quello che fa domande.»

    «E tu rispondi da vera signora.»

    Si girò verso di lui per l’ennesima volta, mostrandogli la punta del mento.

    «Per l’amor del cielo, voltati e sta’ buona.» La sua voce aveva raggiunto il limite della pazienza. «Stai esaurendo tutte le energie.»

    Lizzie si prese tutto il tempo per rimettersi composta, facendo scricchiolare il cuoio della sella.

    E come se niente fosse, lui la attirò a sé, aprendole la mano sullo stomaco, le dita che le sfioravano la parte inferiore dei seni. Nessun uomo l’aveva mai tenuta così stretta, in quel modo. Trattenne il fiato, un brivido caldo che le scivolava oltre la cintola. I seni, per quanto minuti, fremettero. «Che... che cosa stai facendo?»

    Chance non rispose: la sua stretta parlava da sola.

    Lizzie sospirò. Di sicuro aveva combinato un bel pasticcio. Era stata una sciocca, anche se non l’avrebbe mai ammesso; era stata così ansiosa di consegnare le bambole, e di riscuotere il pagamento, che aveva deciso di prendere la scorciatoia attraverso il lago, piuttosto che percorrere le ulteriori due miglia di sentiero fino alla città. Avrebbe dovuto essere più attenta, con quelle bambole, più cauta con quella vecchia barca. Ora, aveva buttato via un mese intero di lavoro. Erano rimasti loro ben pochi soldi e si trovavano in ritardo nei pagamenti del credito al magazzino di generi alimentari. Il nonno non l’aveva detto, da uomo orgoglioso qual era, ma aveva contato su quel denaro per fare provviste in città.

    A causa della propria stupidità, Elizabeth l’aveva deluso.

    Le lacrime che aveva trattenuto le salirono di nuovo agli occhi, ma non voleva che un estraneo la vedesse piangere. Raddrizzò le spalle e

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