Terra cruda
Di Rudi Vasco
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Info su questo ebook
Ma è un sacrificio volontario che fa alla sua Musa, per non offenderla, per parlare con Lei, per ottenere il suo aiuto.
Scrivere è molto meno rispettoso.
E’ vero. Siamo consumatori, siamo cibernauti, navigatori della rete, siamo lavoratori, siamo studenti, siamo pubblico televisivo, siamo genitori, siamo figli, ma siamo anche noi stessi, e vicino al “noi stessi” è la scrittura.
Sotto questi scritti si muove un mondo che parla della fragilità dell’individuo, della sua identità, e della sua bellezza in quanto mortale.
Una vita di confine, il bisogno del padre, il senso del successo, l’accettazione della fine, il fluire della storia lungo i bordi di un antico fiume.
I disegni non sono illustrazioni, ma sospensioni e passaggi introspettivi.
Scrivere e disegnare sono la stessa cosa che usare la terra cruda per esprimersi.
Ma dopo che si è completata la scrittura o il disegno, non bisogna dimenticare che tutte le cose più importanti sono state trasmesse a voce.
Questa consapevolezza e l’umiltà che ne discende, è il vero e unico sacrificio che possiamo fare alle Muse.
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Anteprima del libro
Terra cruda - Rudi Vasco
RUDI VASCO
TERRA CRUDA
UUID: 38427d72-81f1-11e9-b0de-bb9721ed696d
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Indice dei contenuti
SINOSSI
NOTA BIOGRAFICA DELL’AUTORE
L’identità
Lettera agli adolescenti
Ridulija
Jama na sredi
La vuelta
Blanca
L'invasione
La partenza
L’Italia
Nell’isola
Il ritorno
La patria
Manuale del pensionato felice nei dintorni di Venezia
Entomologia
La casa delle farfalle
Il romanico
I paleo veneti
Gli habitat della laguna
Un sentiero della cultura europea
Le palafitte
Dolo
Psicanalisi
Il mito del labirinto
Biocenosi
Galileo
Classicismo
Romanticismo
Gli dei falsi e bugiardi
Risorgimento
L’unione europea
La Dea della fonte
Note
Ringraziamenti
SINOSSI
A volte lo scultore non cucina l’argilla che ha modellato, consegnando la sua opera ad un destino fragile ed incerto.
Ma è un sacrificio volontario che fa alla sua Musa, per non offenderla, per parlare con Lei, per ottenere il suo aiuto.
Scrivere è molto meno rispettoso.
E’ vero. Siamo consumatori, siamo cibernauti, navigatori della rete, siamo lavoratori, siamo studenti, siamo pubblico televisivo, siamo genitori, siamo figli, ma siamo anche noi stessi, e vicino al noi stessi
è la scrittura.
Sotto questi scritti si muove un mondo che parla della fragilità dell’individuo, della sua identità, e della sua bellezza in quanto mortale.
Una vita di confine, il bisogno del padre, il senso del successo, l’accettazione della fine, il fluire della storia lungo i bordi di un antico fiume.
I disegni non sono illustrazioni, ma sospensioni e passaggi introspettivi.
Scrivere e disegnare sono la stessa cosa che usare la terra cruda per esprimersi.
Ma dopo che si è completata la scrittura o il disegno, non bisogna dimenticare che tutte le cose più importanti sono state già trasmesse a voce.
Questa consapevolezza e l’umiltà che ne discende, è il vero e unico sacrificio che possiamo fare alla nostra Musa.
NOTA BIOGRAFICA DELL’AUTORE
Al CERN vengono fatte scontrare particelle elementari di energia e successivamente vengono analizzati i tracciati dei materiali che si formano da tale scontro.
Nel nostro caso lo scontro tra il desiderio di assoluto di un introverso adolescente degli anni ’60, premiato oltre misura nell’ambiente scolastico, con la banalità, il disordine e le avversità dell’ambiente, ha prodotto numerosi tracciati.
Uno di questi è il narcisismo e l’autocommiserazione. Un secondo è il desiderio di morte. Un terzo tracciato è il bisogno di espressione e di comunicazione.
L’analisi di questi e altri tracciati costituisce la vita adulta, che si svolge tra Padova e Venezia. L’espressione avviene secondo l’educazione ricevuta: disegno e testi.
L’identità
Oltre la finestra il mare. Non c’era la bruma di scirocco. L’arcipelago scivolava lentamente oltre la linea d’orizzonte .
Quel movimento faceva male, profondamente. C’era da chiedersi perché.
Giovanni sapeva perché. Non era l’azzurro, che desideri, vuoi prendere e non puoi avere, se non attraverso lo sguardo, che feriva. Non era il sublime che faceva male. Quel mare, quell’orizzonte disteso fino all’impossibile lontananza era la memoria.
Giovanni aveva ben chiaro che da quelle parti, da quel fondale arrivavano tutte le sciroccate della sua lunga vita. Non si può tenere quel mare in tempesta, puoi solo cercare di fuggire. O non uscire mai di casa.
Ed era esattamente quello che faceva da molto tempo, ma non serviva a niente.
Il pianeta azzurro entrava lentamente attraverso la finestra, attraversava la grata di ferro, i larghi muri di sasso e si fermava nello sguardo, nelle lenti spesse e sudicie del vecchio.
Quel luogo gli aveva dato una condizione speciale, una vita unica, ma lui naturalmente ne avrebbe fatto volentieri a meno.
-‐ Rudi , mi chi son? – (Rudi, io chi sono?)
-‐ Come chi son ? -‐ (Come io chi sono?)
-‐ Mi son italian o son croato? – (Io sono italiano o sono croato?)
-‐ Ma ti ga ottant’anni e no ti sa se ti xe italian o croato? -‐
(Hai ottant’anni e non sai se sei italiano o croato?)
La realtà era che sette secoli di dominazione veneziana, tre secoli sotto la Casa d’Asburgo, trent’anni di Italia, cinquant’anni di comunismo balcanico e 10 anni di nazionalismo croato, non potevano chiarire immediatamente le idee.
Ma occorreva per forza essere di una qualche nazionalità?
-‐ Ti xe de Lussin, ecco cossa ti xe -‐
(Sei lussiniano, ecco cosa sei)
Ripeto: occorreva per forza essere di una qualche nazionalità? Perché venivano simili domande?
Per lui erano fondamentali, perché quello almeno sarebbe stato chiaro nella sua testa.
Qualcosa si era mosso dentro di lui, e di volta in volta erano affiorate diverse parti, tra queste anche quella che gli aveva detto ad un certo punto di abbandonare la nave e di cercare salvezza in un’altra vita, in un’altra storia... il piccolo cimitero era lì vicino, sospeso sul mare, quasi sul punto di scivolarvi dentro, ma finora non l’aveva accolto.
Sono domande che non si era mai posto prima; non certo da piccolo, quando raccoglieva olive insieme alla mamma al di là del monte, dove non arrivava la bora. Il babbo era da solo, in miniera, in America. Essi portavano le olive a casa attraverso il sentiero assolato; facevano l’olio, le mangiavano scottate al forno. La mamma sapeva fare tutto, curare la casa, gli orti…
Gli parlava in italiano, o meglio con un idioma antico, con parole che come i fiori un botanico chiamerebbe endemismi. Era una specie di dialetto italiano, che un veneziano o un triestino capirebbe perfettamente, ma che si lascerebbe incantare per la dolcezza e la sensazione del mare.
Non aveva bisogno allora di fare domande sulla propria identità nazionale, la mamma era tutta la nazione e bastava.
Non ora però. Adesso sentiva tante cose che lo pungevano,