Racconti greci
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Tra flashback e piccole avventure, questi cinque piccoli “blues” raccontano uno scorcio di vita di chi decide di rialzarsi e rimettersi in cammino.
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Anteprima del libro
Racconti greci - Alessandro Amadesi
persone
KALIMERA
Un carico pesante
I
Nelle luci del primo pomeriggio, ancora addormentato, pensò che in fondo fosse ancora presto. Presto, sì. Presto per cosa?
Era in vacanza e non riusciva ancora ad arrendersi all’idea. Un’idea molto semplice e niente affatto impegnativa, ma forse proprio per questo più difficile da concepire. Almeno i primi giorni. Ale era abbastanza basso, molto magro, con i capelli ribelli. Aveva l’aspetto del rockettaro invecchiato ma non troppo. In fondo un po’ invecchiato lo era e non importava che chi lo conosceva gli dicesse che dimostrava meno anni, in fondo gli anni erano passati, ma quello che era peggio è che a volte si sentiva veramente vecchio. Soprattutto se hai passato i quaranta e a volte pensi di non aver combinato un bel niente, nella vita; ma tant’è. In realtà Ale aveva una casa, un lavoro, una faccia passabile, aveva studiato ed era riuscito a imparare anche cose solo per il gusto di farlo. Per conoscere. Per la curiosità di sapere cosa c’è nella vita oltre a mangiare, bere, andare al cesso, dormire e scopare; quando si può, ovviamente. Forse in fondo non aveva cose particolari da rimproverarsi, almeno in quel momento, quelle che riguardavano il passato erano giustamente già passate. Eppure, in certi giorni, in certi momenti, la sua figura magra e da folletto si piegava leggermente, come oppressa da un peso.
Si portava dietro un carico pesante.
Ecco, sì, un carico pesante.
Aveva scelto l’isola perché lo incuriosiva, ma soprattutto perché un giorno si era precipitato al bar del cinese a prendere le sigarette e sul pacchetto aveva trovato un disegno in blu con la scritta: Santorini
.
Pensò che in fondo a lei non gliene importasse di dove lui stesse andando, l’isola rappresentava la fine di Atlantide, il crollo dell’antico vulcano, la fine di una civiltà bellissima e l’inizio, forse di una nuova vita, il disastro e la rinascita. Ciò che i fenici guardarono, anche dopo lo sprofondo e chiamarono la bellissima
.
Si disse: «Fanculo, andiamo sul vecchio vulcano, che tanto se si rimette a eruttare è una fine gloriosa, no?».
Allarmata, lei gli chiese: «Vai via… da solo?».
«Vado via con me, sì», rispose lui di getto.
«Ma…da solo?».
In quel momento capì che il disinteresse di lei era apparente, che la sua antica gelosia stava tornando e che in fondo aveva agito un po’ di fretta, forse. Se è vero, comunque, che per tanti motivi lei non avrebbe mai potuto andare via con lui, andare via da solo, alimentare la sua gelosia non era forse la cosa migliore da fare. Per un tacito accordo, decisero di non riprendere più l’argomento. In fondo si sapevano ancora capire bene, loro due, anche senza parlare.
Lui era finito sull’isola, sulla parte esterna, quella dove il vecchio vulcano digradava lentamente nel mare. Il tramonto era dolce, il sole si perdeva dietro la vetta e la costa entrava in ombra e si perdeva nella notte. La spiaggia era famosa con il nome di spiaggia nera
, anche se su un’isola di origine vulcanica tutto lo era, non solo la spiaggia. Era arrivato alla casetta, aveva dato un’occhiata dal terrazzo al mare quasi del tutto notturno e l’euforia aveva lasciato il posto alla stanchezza.
Si fece una doccia, si vestì leggero ed elegante e uscì dalla casetta nella sera, andando a caso verso una meta inesistente. Quella che in fondo lo portava a mangiare e a bighellonare. Nonostante nei primi messaggi inviati agli amici e parenti l’avesse evitata di proposito, lei era ancora nella sua mente.
II
«Sai, amore, di solito quando devo pensare mi accendo una sigaretta, vado in giro per l’officina e spesso mi trovo dietro i torni. I miei colleghi sanno che sto pensando, e spesso mi lasciano stare. Oggi mi sono acceso una sigaretta, sono andato dietro un tornio e avevo in mente te, di continuo. Sai, a pensarti, poi, ho avuto un momento in cui non sapevo come fare a tornare in officina, perché si vedeva chiaramente che ti stavo pensando…».
All’altro capo della linea, la voce di lei proruppe in una grande risata.
«Ho capito adesso a cosa stavi pensando…ma mi piacerebbe sentirtelo dire, sai. Per bene. Racconta».
«Pensavo, sai, a una serie di bacini…».
«Solo bacini? Vai avanti».
«A prenderti il viso tra le mani e stamparti un bacio sulla bocca, anzi, un bacio serio…sai, il bacio serio…».
A sottolineare l’idea gli venne un po’ da ridere.
«No, chiamiamo le cose con il loro nome» aveva risposto lei «Voglio un vero bacio, con la lingua, voglio le nostre lingue che si cercano, voglio che tu mi prenda con forza».
«Oddio, questo mi piace da pazzi…Voglio baciarti e leccarti dappertutto, amore».
«Voglio che tu me lo metta dentro e oddio, amore, sono già bagnata».
«Sì…».
«Ti tira? Dimmi che ti tira».
«Sì, mi sta diventando un palo. Ho voglia e…».
«Scopami. Ti prego, adesso».
«Sì, continua ti prego…»
«Voglio che tu…».
La conversazione si chiuse, com’era prevedibile, ma lui rimase sorpreso e inquieto. Evidentemente lui
era uscito dalla doccia e il rischio di essere beccati era alto.
Poco dopo arrivò il messaggio:
Stava uscendo. Non potevo più.