Isole di ordinaria follia
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Info su questo ebook
Ho scritto queste parole tanto tempo fa, in questo libro non ci sono le mie fotografie, ci sono i miei contatti con le mie note, i tagli, gli appunti. Disposti così in sequenza sembrano muoversi, sembrano le sequenze di un film che non posso dimenticare.
Leggendo questo libro oggi mi rendo conto che il classificatore che ho consegnato nelle mani di Marco D’Anna e Marco Steiner è nato a nuova vita, ha prodotto qualcosa di diverso da un libro di fotografia, è un libro di storie e c’è anche la mia qui dentro, una storia di indignazione per quello che di inumano ho visto.
C’è ribellione e ruvida poesia, documentata dalle mie immagini e sensazioni, esaltata dalle visioni di Marco D’Anna, arricchita con i germogli di speranza seminati nei racconti di Marco Steiner.
Gianni Berengo Gardin
Testi di Marco Steiner; foto di Gianni Berengo Gardin e Marco D'Anna; postfazione di Antonio Dragonetto.
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Anteprima del libro
Isole di ordinaria follia - Marco Steiner
Marco Steiner
Isole di ordinaria follia
ISBN: 9788865126646
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
L’IDEA
NIOBE, la Madre
FIGLIO N° 1
FIGLIA N° 1
FIGLIO N° 2
FIGLIA N° 2
FIGLIO N° 3
FIGLIA N° 3
FIGLIO N° 4
FIGLIA N° 4
FIGLIO N° 5
FIGLIA N° 5
FIGLIO N° 6
FIGLIA N° 6
FIGLIO N° 7
FIGLIA N° 7
UN ALTRO PUNTO DI VISTA
ISOLE DI ORDINARIA FOLLIA. Una postfazione
I MIEI CONTATTI
RINGRAZIAMENTI
Marco Steiner
ISOLE DI ORDINARIA FOLLIA
FOTOGRAFIE
Gianni Berengo Gardin
Marco D’Anna
postfazione Antonio Dragonetto
MARCIANUM PRESS
© 2019, Marcianum Press, Venezia
Marcianum Press
Edizioni Studium S.r.l.
Dorsoduro, 1 – 30123 Venezia
tel. 041 27.43.914 – fax 041 27.43.971
marcianumpress@edizionistudium.it
www.marcianumpress.it
© per tutte le fotografie
Gianni Berengo Gardin
e Marco D’Anna
Coordinamento editoriale
Giuseppe Antonio Valletta
e Antonio Dragonetto
Progetto grafico
Tomomot, Venezia
ISBN: 9788865126646
Marco Steiner
ISOLE DI ORDINARIA FOLLIA
L’IDEA
L’idea iniziale di questo lavoro è nata da un libro, " Il gioco delle perle di Venezia" omaggio a due grandi Maestri che nella loro vita hanno prodotto immagini e visioni: Hugo Pratt e Gianni Berengo Gardin.
Veneziani e giramondo entrambi, immensi artisti nei loro rispettivi campi: fumetto e fotografia, due perle di questa città fatta di bellezza, sogni, magie, illusioni.
Insieme a Berengo e a Marco D’Anna volevo continuare a raccontare una storia che andasse oltre Venezia con lo sguardo rivolto alle isole. La prima che abbiamo incontrato è stata San Servolo, quella del manicomio, quella dove Gianni Berengo Gardin era entrato a documentare il mondo che esisteva prima della legge Basaglia, vale a dire prima del 1978, l’anno in cui venne decisa la chiusura dei manicomi.
Prima di salire sul vaporetto che ci avrebbe portati a San Servolo, l’acqua che avevo davanti ha iniziato a raccontarmi storie unendo inconsapevolmente sguardi e visioni che hanno innescato la struttura di questo libro.
Perché si vede sorgere d’un tratto la sagoma della nave dei folli, e il suo equipaggio insensato che invade i paesaggi più familiari? Perché, dalla vecchia alleanza dell’acqua con la follia, è nata un giorno, e proprio quel giorno, questa barca?
Questo è un brano di Sebastian Brant tratto da La nave dei folli
un’opera satirica in versi scritta nel 1494 e illustrata dalle visionarie incisioni di Dürer, una storia che raccontava come in quei tempi i pazzi venissero spesso relegati su una nave senza albero e vele come una semplice chiatta oppure una barca sfasciata e affidati al mare per essere allontanati dalla società civile
.
La maggior parte di quelle navi finivano immerse nei flutti insieme al loro carico di disperati, altre volte, questi personaggi seminudi e urlanti, raggiungevano una costa lontana e iniziavano a vagare per le strade di paesi dove nessuno li capiva e dove a nessuno interessava da dove venissero o che fine avrebbero fatto e il loro perdersi continuava all’infinito.
In pratica lo spazio di mare che mi separava dall’isola iniziava a popolarsi di un insieme d’immagini che scaturivano dall’acqua, dalla fantasia, dal ricordo di libri, volti, musica, cinema e storie che avevo visto, ascoltato o soltanto immaginato.
Per questo motivo volevo evitare di scrivere un libro in cui le parole e le fotografie di Berengo e di Marco D’Anna sarebbero rimaste distanti, cercavo unione. Questo libro doveva essere un intreccio di frasi e immagini liquide capaci di interagire e liberarsi proprio come quella laguna anelava al mare aperto.
In seguito, parlando con Antonio Dragonetto, psicoterapeuta amico che ci ha aiutati a entrare nel profondo degli Archivi di San Servolo, ho capito l’enorme percorso compiuto dalla psichiatria non solo nel corso del tempo, ma in particolare in questo luogo specifico visto che nell’ospedale psichiatrico di San Servolo il primo malato mentale entrò nel 1725.
La base fondamentale del cambiamento è il diverso approccio: secondo l’antica concezione la follia era dentro al soggetto e per questo bisognava cercare nel cervello qualcosa di rotto. Il cervello era un mondo chiuso, difficile, quasi impossibile da indagare. Uno dei più celebri direttori di San Servolo per oltre trent’anni fu un anatomopatologo e in quell’epoca, l’autopsia e la sezione del cervello, rappresentavano il vero atto di studio scientifico. Oggi invece, grazie alle neuroscienze, ci si è resi conto di un elemento fondamentale, la plasticità e la modificabilità delle connessioni cerebrali. Il cervello evolve, involve e si modifica, non solo per motivi biologici, ma anche in seguito alle esperienze, a causa dell’ambiente e delle relazioni che nel corso della vita intratteniamo con gli altri.
Le connessioni sono la chiave fondamentale.
E allora ho provato a immaginare questa storia come una serie di viaggi connessi fra loro, cominciando dal primo, il nostro fino a San Servolo, per poi lasciare il posto a quelli dei malati di mente.
Il percorso della malattia mentale non è altro che un viaggio attraverso il dolore e l’incomunicabilità, ma non tutti i marinai costretti sulla nave dei folli
affondarono in mare, alcuni si sono salvati per caso oppure sono approdati nelle immagini di pittori e poeti in mondi nuovi dove la loro diversità non era più considerata follia.
Ma la fantasia può andare oltre l’immaginabile e allora si può raccontare anche un altro tipo viaggio, quello dei malati che riescono a fuggire dall’isola, non fisicamente, ma grazie al potere della loro mente.
Quest’idea viene da lontano, da un altro libro, uno dei miei preferiti, " Il vagabondo delle stelle di Jack London. Non serve raccontare tutta la storia, basta ricordare il momento in cui il protagonista, Darrell Standing, un professore universitario rinchiuso nel carcere di San Quentin, viene accusato ingiustamente di aver nascosto all’interno dell’edificio dosi massicce d’esplosivo e da quel momento viene sottoposto a lunghissimi periodi di privazioni e isolamento, torture e contenzione tramite l’uso della camicia di forza. Darrell, completamente immobilizzato e prossimo alla disperazione, attraverso un codice segreto riesce a comunicare con un altro detenuto, Ed Morrell, e impara una tecnica molto particolare, fra loro la chiamano la
piccola morte". In pratica attraverso una profonda concentrazione mentale si può liberare la coscienza mentre il corpo giace immobile nella camicia di forza.
… Cominciai ad immergermi in uno stato di sogno, come quando si è in quella terra di confine fra il sonno e la veglia… Di tanto in tanto scorgevo bagliori di luce, ora deboli ora intensi come se io stesso, il padrone di tutto, avessi per un attimo cessato di esistere e l’attimo dopo fossi ritornato ad essere il proprietario di quell’edificio di carne che stavo facendo morire… le pareti della mia minuscola cella erano indietreggiate… e lo stesso accadeva alle mura esterne di San Quentin, che da un lato avevano raggiunto l’Oceano Pacifico e dall’altro dovevano aver invaso il deserto del Nevada…Altrettanto