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Fratelli d'Italia - La Saga -: Parte prima
Fratelli d'Italia - La Saga -: Parte prima
Fratelli d'Italia - La Saga -: Parte prima
E-book437 pagine6 ore

Fratelli d'Italia - La Saga -: Parte prima

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Info su questo ebook

Italia, Maggio 1860. Tre giovani amici pieni di entusiasmo e di voglia d'avventura, ma anche di ingenuità, si imbarcano a Quarto insieme ai "Mille", il corpo di spedizione del Generale Giuseppe Garibaldi. Incominciano così un'avventura forse più grande di loro, che li porterà molto al di là dei loro limiti. Scopriranno presto a loro spese che la realtà è molto meno romantica e terribilmente più cinica di quanto avrebbero mai immaginato.

Nelle ombre di un mondo dove la lealtà è tutto e il tradimento si paga a caro prezzo, si snoda una storia di vendetta, amore e riscatto. Ognuno di loro, partito per "fare l'Italia", sarà costretto a confrontarsi con la dura realtà di un mondo dove ogni scelta ha il suo prezzo.
LinguaItaliano
Data di uscita5 feb 2024
ISBN9791222721934
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    Anteprima del libro

    Fratelli d'Italia - La Saga - - Dylan F. Valentine

    Index

    COMINCIA L’AVVENTURA

    DANIEL WEST

    L’AGGUATO

    LA SICILIA

    PALERMO

    LE NOZZE

    BRONTE

    BIXIO E LA DUCHESSA

    CLARA

    BANDITI

    LA FUGA

    IL CERCHIO SI STRINGE

    UN GIOCO PERICOLOSO

    LA RESA DEI CONTI

    UNA NUOVA VITA

    Dylan F. Valentine

    FRATELLI D’ITALIA

    – LA SAGA –

    PARTE PRIMA

    Copyright © 2023 Fausto Maria Sforza

    Tutti i diritti riservati

    ISBN 9791222721934

    "Ho la coscienza di non aver fatto male;

    nonostante, non rifarei oggi la via dell'Italia Meridionale,

    temendo di esservi preso a sassate da popoli

    che mi tengono complice della spregevole genia

    che disgraziatamente regge l'Italia

    e che seminò l'odio e lo squallore

    là dove noi avevamo gettato le fondamenta

    di un avvenire italiano,

    sognato dai buoni di tutte le generazioni e miracolosamente iniziato."

    (Giuseppe Garibaldi a Adelaide Cairoli, 1868.[184])

    COMINCIA L’AVVENTURA

    In qualche punto del mar Tirreno, vicino alla costa toscana

    Non si vede niente… è tutto buio…

    Ma cosa vai dicendo? C’è un cielo fantastico, non ho mai visto niente di simile in vita mia…è, non so, emozionante… mi fa sentire una cosa sola con l’universo… non so spiegarlo bene. E’ come se fossi uscito da me stesso, dai miei limiti.. disse Cesare ancora in piena fibrillazione per l’avventura nonostante quasi una notte in mare.

    Ah si? E allora prova a fare due metri in là e a scavalcare il parapetto della barca, e quando sarai finito in mare vediamo se li ritrovi i tuoi limiti ribattè Ermenegildo, piu’ pragmatico e meno incline alla poesia.

    Se non te ne sei accorto ti ricordo che siamo su un battello in mezzo al mare, e pieno di gente ammassata gli uni agli altri, per giunta. E come stavo dicendo prima, non si vede la costa, è tutto buio…sono preoccupato…"

    Il vapore filava leggero nella notte senza luna. Un mare piatto e tranquillo sembrava accompagnare benevolo la spedizione. Lo sciabordio dell’acqua e le tele strapazzate rudemente dalla brezza marina facevano da cornice a un quadro formato da svariate centinaia di uomini sdraiati sulle tavole in legno del ponte, all’addiaccio.

    Avvolti nelle coperte per cercare di difendersi dalla brezza pungente e dall’umidità, con gli zaini usati come cuscini, i più dormivano, o almeno cercavano di riposare, cosa affatto semplice, più facile a dirsi che a farsi.

    Improvvisi ed intensi focolai di sonore russate si scatenavano in continuazione in vari punti della nave, ai quali rispondevano prontamente altre persone, quasi per una forma di solidarietà e condivisione. Seppur sedati dai più vicini con generose quantità di calci, gomitate e imprecazioni, non smettevano mai del tutto.

    Un vero concerto di grugniti di ogni tonalità ai quali si aggiungevano i lamenti di quelli che soffrivano il mal di mare. Qualche lanterna appesa qua e là agli alberi e al sartiame, oltre ai fanali di via, illuminava fiocamente la scena, dando però sufficienti punti di riferimento per muoversi in mezzo a quel tappeto umano agli uomini dell’equipaggio addetti al governo del piroscafo.

    Gli ufficiali e i comandanti sia della spedizione che del vapore naturalmente non condividevano il privilegio di godersi una notte stellata carezzati dal vento, stavano tutti nelle cabine, al coperto, sui letti.

    Erano partiti da Quarto circa cinque ore prima, in piena notte. L’imbarco non era stato facile, nel buio. Frettoloso, caotico.  Tutto doveva essere fatto nel segreto, velocemente, Nella concitazione qualcuno aveva dimenticato lo zaino, qualcuno aveva perso i viveri personali, qualcun altro la pazienza.

    Ora però l’atmosfera si era tranquillizzata, in generale, e la stanchezza aveva prevalso.

    Appoggiati e protetti dal parapetto della nave, tre giovani amici (o almeno due di loro) nelle loro camicie rosse da volontari del corpo di spedizione del generale Giuseppe Garibaldi non erano ancora stati domati dalla stanchezza: troppo forte in loro l’eccitazione per l’avventura in cui si erano imbarcati, l’adrenalina non aveva ancora segnato il passo.

    Sei il solito guastafeste Ermenegildo. Cerca di goderti un po’ la novità…è la prima volta che andiamo per mare, c’è un’atmosfera fantastica…

    E tu Cesare sei il solito irresponsabile!!!  Anzi il solito coglione, dovrei dire!!! Sei contento e spensierato come se stessimo andando in passeggiata! Dovremo combattere… o pensi che i Borboni quando sapranno che stiamo arrivando ci spareranno dei mazzi di fiori con i cannoni? Dopodichè una bella festa d’accoglienza con danze e libagioni? E magari, perché no, i siciliani, commossi dalla nostra bellezza e nobiltà, ci presenteranno le loro ragazze più belle …

    Ma qui stiamo facendo l’Italia, Gildo, stiamo facendo la storia!!! Non vale la pena combattere per un ideale? Preferivi morire di noia al paese? Allora perché sei venuto? E poi la Sicilia è in rivolta, hai sentito cosa dicevano gli altri ieri. Quando arriveremo insorgeranno in massa

    Bè questo è da vedersi. Comunque certo, voglio combattere, lo sai che non ho paura. Tu comunque mi dai sui nervi, sei sempre così, sembra che vivi volando a mezzo metro da terra. E il bello è che con il culo che ti ritrovi ti va sempre tutto bene.

    Oh, speriamo che qualche bella ragazza ce la presentino davvero i Siciliani… Comunque qui sembra che si conoscano tutti ... mi sento un po’ a disagio disse Bertuccio con un filo di voce.

    Sdraiato ai piedi dei due amici sembrava più un sacco di patate preso a calci che un essere umano. Era pallido come un cencio per il mal di mare. Sensibile, intelligente, garbato nei modi e nei pensieri, era il più delicato dei tre amici. Forse troppo delicato, per un’avventura del genere.

    Lui non era un’esuberante entusiasta a caccia di avventure, come Cesare, e nemmeno un’idealista di nobili sentimenti tutto d’un pezzo come Ermenegildo. Semplicemente era loro amico, un grande amico.

    Forse mancava un pizzico in personalità, ma non certo in cuore. Brillava di luce propria, il suo cuore. Per questo motivo in lui il raziocinio soccombeva quasi sempre al sentimento. Un sentimento forte però, vero, straordinariamente maturo, certamente non bizzoso né tantomeno superficiale ma stabile, profondo.

    Sapeva di essersi fatto trascinare dai due amici in un’avventura più grande di lui, avventura che di sua spontanea iniziativa non avrebbe mai preso. Ma era fatto così, li avrebbe seguiti anche all’inferno, non erano suoi amici, erano I suoi amici…

    Inoltre fungeva da mediatore e da collante tra gli altri due. Senza di lui si sarebbero presi a sberle un giorno si e l’altro anche, nonostante il profondo e sincero rapporto che li legava.

    Infine, ma sì ammettiamolo, sperava di incontrare l’Amore con la A maiuscola. Si sentiva attratto dal fascino di un’Italia lontana, sconosciuta, per lui esotica, per così dire. Biondino con gli occhi azzurri, settentrionale tutto d’un pezzo voleva conoscere una bellezza meridionale, una donna capace di amare con grande intensità e trasporto, come tante volte aveva sentito raccontare al riguardo. Spesso gli opposti si attraggono.

    La immaginava di carnagione e capelli scuri, focosa, appassionata. Voleva un amore travolgente. Aveva un cuore così grande che sarebbe bastato comunque per tutti e due.

    Toh, ma allora sei ancora vivo… disse Cesare. O piuttosto resuscitato, visto che sei così religioso… come stai adesso?

    Bè, se rimango in questa posizione e non mi muovo va un po’ meglio… me la sono vista brutta però… non pensavo proprio che il mare facesse questo effetto tremendo…ho la bocca secca, ho sete…

    Logico che hai sete disse Gildo, hai rimesso talmente tanto, sarai disidratato… .

    Altrocchè, riprese Cesare allungandogli una pacca d’amicizia sulla spalla, hai vomitato in mare anche lo stomaco e forse anche la milza…ma non ti preoccupare, al ritorno ce la facciamo a piedi o magari in carrozza!". Era il suo modo di incoraggiarlo. Scherzava sempre, un po’ guascone un po’ spavaldo, ma in fondo non era un superficiale. Prendeva la vita di petto, con entusiasmo, tutto qui.

    Non gli piaceva soffermarsi sulle difficoltà, non cedeva mai il passo alla tristezza o alla malinconia. Per lui la vita era un’avventura da godere fino in fondo. La sua gioia di vivere contagiava tutti. Con Lui non rimanevi neutrale, o lo amavi o lo odiavi. Era un gran bel ragazzo, e da tempo aveva capito di poter avere quante donne voleva, gli ronzavano sempre intorno alle feste di paese. Anche Bertuccio era un bel ragazzo, ma lui era più selvaggio e menefreghista, e questo attirava le donne come la luce attira le falene. L’avventura per il momento lo stimolava di più, con le ragazze era troppo facile.

    Ovviamente dei tre amici era lui che aveva spinto di più per quell’avventura in cui si erano imbarcati. Appena saputo della spedizione si era acceso di fervore come un fiammifero, era l’occasione che aspettava da tempo. Il suo paese, una piccola cittadina rurale della provincia di Varese, lo aveva già rivoltato da cima a fondo, e la sua esuberanza cercava nuovi e più ampi orizzonti.

    Coinvolgere Ermenegildo e Bertuccio era stato semplice e naturale, erano sempre insieme e condividevano tutto. Erano molto diversi di carattere, ma si compensavano e completavano molto bene.

    Era veramente una bella amicizia la loro, cose d’altri tempi.

    Bertuccio ha ragione comunque intervenne Gildo, sempre riflessivo e profondo, a volte al limite del palloso. Ho notato anche io che molti dei nostri compagni si conoscono, e sicuramente hanno già combattuto con il generale. Pensavo che fossimo tutti ragazzi, invece molti sono uomini fatti. Ci sono tanti bergamaschi… 

    Era alto quasi un metro e novanta, due spalle ampie e solide, mento marcato, folti capelli castani che rendevano i sui lineamenti ancora più decisi, ma aveva anche un nonsochè di dolce che a tratti traspariva, illuminandogli il viso. Infondeva al primo sguardo un’immediata impressione di una forza serena ed equilibrata, il classico tipo al fianco del quale ti senti protetto. Aveva perso la mamma a undici anni ed era dovuto crescere in fretta, era il maggiore di sette tra fratelli e sorelle. Gli aveva fatto da padre, visto che il suo papà lavorava dodici ore al giorno per poterli mantenere e non c’era mai in casa. Per di più quando lui aveva tredici anni avevano dovuto trasferirsi da Bergamo, dove erano cresciuti, a Samarate, il paese di Cesare e Bertuccio, dove avevano dei lontani parenti. Non era stato facile. Lo avevano accolto bene, anche se per tutti era rimasto Il bergamasco. E tale si considerava.

    Aveva velocemente maturato le sue doti innate di riflessività e pragmatismo, era forte di carattere oltre che di fisico, se l’era cavata bene. Si sentiva a suo agio nel ruolo di fratello maggiore, non gli pesava. E con Bertuccio e Cesare il ruolo di fratello maggiore saggio veniva esaltato, oh quanto veniva esaltato, specialmente con Cesare!

    La morte della mamma non lo aveva incattivito. Pensava a Lei ogni giorno, ricordava i suoi consigli in ogni occasione. Anche Lei era una donna forte e serena, gli aveva trasmesso tanto sano amore e Lui ne aveva fatto tesoro. Certo, gli mancava tanto e gli sarebbe sempre mancata, ma la sentiva vicina.

    Ora i fratelli erano già abbastanza grandi e in grado di tirare avanti da soli, era giunto il momento per lui di dedicarsi un po’ anche a sè stesso, vivere un po’ la vita, non era un tipo scontato e noioso. E poi era un uomo di ideali, all’unità d’Italia e degli Italiani ci credeva per davvero Lui.

    Bè a me di dove vengono gli altri importa poco, riprese Cesare.

    Già, a te interessa solo menare le mani e far casino, lo sappiamo bene puntualizzò Gildo. E se non sbaglio hai già trovato soddisfazione. Ho visto che ti sei preso sotto con un tipo bello grosso, con i baffi e il pizzetto alla Vittorio Emanuele…

    Ti riferisci a quel sergente maggiore? E’ in cerca di guai quello. Mi ha preso subito di petto appena mi ha visto, mi ha provocato un paio di volte e alla fine mi ha preso a calci lo zaino proprio mentre ci stavamo radunando per l’imbarco. Ha fatto finta di aver inciampato ma l’ha fatto apposta, ci ho messo un po’ a recuperare le mie cose al buio e in mezzo alla confusione che c’era… comunque con me ha trovato pane raffermo da masticare, quel somaro

    Ecco bravo, vedi di farti subito notare, come al solito, così ci metti tutti nei casini.

    E poi se ti ha preso di punta un motivo ce l’avrà avuto, oh no? Magari l’hai fissato con quel tuo sorrisino strafottente da superiore, e si sarà sentito in dovere di metterti in riga.

    Secondo me è invidioso perché sono bello e Lui sembra una capra investita da un carretto. Non è il primo che mi capita. E comunque adesso stai esagerando Gildo, continui a rimbeccarmi e a incolparmi, cominci a darmi un po’ sui nervi. Se non fossi mio amico ti avrei già messo un dito in un occhio

    Bè se la metti su questo piano allora Gildo fece un movimento improvviso alzandosi e assumendo una postura più aggressiva. Bertuccio intervenne:

    Oh ragazzi calma, dobbiamo fare la guerra al Tiranno Borbone, non fra di noi… e poi cerchiamo di riposare almeno un paio d’ore, fra non molto albeggerà…

    Tanto non abbiamo niente da fare, fino a che non arriviamo in Sicilia... gli rispose Cesare, ma si era subito calmato, così come Ermenegildo. Bertuccio faceva quell’effetto, a tutti e due. Si scambiarono ancora qualche borbottio e qualche sguardo tra il bellicoso e lo spavaldo, dopodiché, calato il silenzio, cominciarono a scivolare in un sonno inquieto e scomodo.

    TALAMONE

    Piegato sotto una cassetta da almeno cinquanta libbre, Cesare arrancava sulla passerella di carico che una ventina di volontari percorrevano avanti e indietro caricando il piroscafo con viveri e munizioni.

    La partenza notturna e frettolosa su due navi sequestrate senza il permesso del legittimo proprietario, non aveva permesso un adeguato approvvigionamento per una spedizione tanto ambiziosa quanto bellicosa. Ora si stava provvedendo a Talamone, dopo quasi due giorni di mare.

    La giornata era calda, erano i primi di maggio, sotto il sole si cominciava a sudare. Quasi tutto il corpo di spedizione del generale Garibaldi era sparso in paese o nelle vicinanze. Qualcuno, dopo essere stato tormentato dal mal di mare per buona parte del viaggio, cercava di riposare all’ombra per recuperare un po' di vigore, felice di sentire la stabilità e il conforto di avere i piedi a terra.

    Qualcun’ altro andava in curiosa esplorazione dei dintorni, molti oziavano in riva al mare tra un bagno e l’altro.

    Qualche gruppetto dei più giovani e baldanzosi, in attesa della conquista della Sicilia, erano andati nel frattempo alla conquista delle bellezze locali, ansiosi di incantare le ragazze con i racconti delle loro eroiche gesta future.

    Gesta alle quali le ragazze si mostravano discretamente interessate, i loro padri e i loro fratelli, nonché i giovanotti del posto, lo erano un po' meno.

    Tutto ciò provocò qualche garbata rimostranza, qualche malcelato risentimento, qualche cazzottone assestato a mò di benvenuto, ma questa è un’altra storia.

    Tutti quindi stavano approfittando della sosta per ritemprarsi tranne appunto una ventina di volontari per ciascuna nave, tra i quali il nostro Cesare.

    Era stato persuaso a tale generoso atto dal famoso Sergente Maggiore Ravasi. Costui era nato per diventare un Sergente Maggiore.

    Aveva all’incirca quarant’anni, onestamente portati male. Fisicamente sano e robusto, ma piuttosto anonimo nei lineamenti, se non bruttino, non brillava certo per simpatia. Dell’Unita’ d’Italia a lui fregava poco o nulla. Era un militare per vocazione.

    Si trovava perfettamente a suo agio in quel mondo, specialmente in qualità di sottufficiale, perchè gli permetteva di sfogare le sue intime frustrazioni e le sue invidie nei confronti dei suoi sottoposti. Debole e remissivo con i potenti, prepotente e violento con i deboli.

    Fin da piccolo passava sempre inosservato, gli amici non lo cercavano, le ragazze non lo guardavano, perfino i suoi genitori gli avevano dato poco amore e poca attenzione. O almeno questo era quello che percepiva Lui. E non riusciva a farsene una ragione, a trovare una via d’uscita, insomma non riusciva a mandarla giù.

    A poco a poco, con il passare del tempo, il fastidio e il disappunto erano diventati tristezza, dubbio, malinconia, e poi rancore. Non lo dava a vedere, questo intimo tormento, e riusciva anche a dominarlo, ma quando gli capitava tra le mani il soggetto giusto allora si sfogava a dovere ed era difficile da eludere, perchè non era uno sciocco ottuso. E Cesare, bello, vincente, positivo allegro e dinamico era proprio il soggetto giusto.

    Lo aveva subito notato a Quarto, alla partenza. Certi tipi li riconosceva a cento metri di distanza, ne poteva quasi sentire l’odore, annusare la presenza in una notte senza luna. Sapeva che avrebbero fatto scalo a Talamone e così aveva deciso che lì avrebbe aperto le danze con lui, cominciando una serie di punizioni/provocazioni che avrebbero dato sollievo alla rabbia che lo rodeva dentro.

    Un sollievo momentaneo ed ingannevole, che lo lasciava più vuoto di prima, ma questo lui non arrivava a capirlo.

    Era già da circa un’oretta che stava martoriando Cesare, scegliendo personalmente per lui i pacchi più pesanti e spigolosi.

    Ermenegildo e Bertuccio, da buoni amici quali erano, avevano resistito alle lusinghe che Il mare e le ragazze del paese offrivano, ed erano rimasti a fianco di Cesare per dargli una mano, tanto più che si erano resi conto che il sergente Maggiore Ravasi stava incominciando ad esagerare.

    Dev’essere pesantina quella cassa, vedo che sbuffi e sei tutto sudato, caro Cesare, lo motteggiava Gildo seduto comodamente su una grande bitta a cui il piroscafo era ormeggiato.

    Sei un grande esempio. Fa piacere vedere che di tua iniziativa hai deciso di sacrificarti per permettere agli altri di rilassarsi un po'..

    Io e Bertuccio si aveva l’intenzione di fare un giretto in paese, però se tu preferisci rimanere qui…

    Cesare non rispose, era troppo occupato a mantenere l’equilibrio sulla passerella della nave, e gli mancava il fiato. Cominciava ad averne abbastanza.

    Magari andiamo a fare un bagnetto al mare, con questo caldo ... infierì Gildo, non pago di stuzzicare l’amico.

    Dai Gildo, adesso basta!!! Non vedi come si sta accanendo quel sergente? Intervenne Bertuccio. Lo ha preso di mira, tra poco Cesare reagisce, e sono dolori...dobbiamo fare qualcosa...portiamolo via prima che scoppi un pasticcio…

    Ok hai ragione, quel sergente sta facendo sul serio...ma come facciamo a levarglielo da sotto i denti? Non lo perde di vista un secondo

    Spremiamoci il cervello Gildo, lo conosci Cesare, se lo prendono di mira non si tira indietro ... ribadì Bertuccio preoccupato. Ma a quel punto l’amico stava già vagliando varie ipotesi che gli balenavano alla mente.

    La situazione si faceva ingarbugliata...non ci voleva questo sergente psicopatico...Gildo aveva capito che non sarebbe stato facile scrollarselo di dosso.

    Alzando lo sguardo notò un gruppo di ragazzotti dall’aria spavalda e con del tempo da perdere che facevano crocchio poco distante da loro. Stavano facendo commenti sprezzanti sulla spedizione e i loro membri.

    Probabilmente infastiditi dall’arrivo e dal trambusto provocato dalla flottiglia del Generale, erano soprattutto piccati per le avances che alcuni garibaldini avevano fatto alle ragazze del paese.

    Avances che tra l’altro le ragazze sembravano gradire e ricambiare volentieri, cosa che più d’ogni altra aveva innervosito i nostri baldi giovanotti.

    Tenuto consiglio, erano quindi partiti risoluti per cercare soddisfazione ed ora, in vista del nemico, non sapendo bene cosa fare, avevano cominciato con un’azione verbale di disturbo, cioè, in sostanza, motteggi ed insulti, però a distanza di sicurezza.

    Gildo mangiò la foglia al volo. Aveva un fratello di quella età, anche lui con gli ormoni in fermento; colse al volo la situazione.

    Partì deciso nella loro direzione: Seguimi Bertuccio, e reggimi il sacco. Bertuccio era obbediente e puro di cuore, ma non per questo era un tonto. E poi erano affiatati. Lo seguì senza esitare, pronto e all’erta.

    Ragazzi vi conviene alzare i tacchi e battere in ritirata, disse Gildo prendendo di petto il gruppetto senza tanti convenevoli. Il fisico imponente glielo permetteva.

    La reazione, dopo un primo istante di sorpresa, non si fece attendere. Il capo branco si fece avanti a dieci centimetri dalla faccia di Gildo, o piuttosto dal suo mento, visto che era decisamente più basso. Perchè sennò che cosa fai? esclamò spavaldo, suscitando l’approvazione degli amici, che si fecero sotto. Erano cinque o sei, qualcuno anche robusto.

    Gildo non perse la calma Io proprio niente, ma vi devo avvisare. Lo vedete quel sergente laggiù sul molo che sta guardando da questa parte? Quello coi baffoni che sta parlando insieme ad altri due e stanno fissando voi. Bè poco fa stava dicendo che se non ve la filate viene a darvi una lezione, dopo quella che ieri sera ha dato a un paio delle vostre ragazze...io lo prenderei sul serio, è un tipo tosto. Anzi è un cagnaccio. Dico bene Bertuccio?

    E Bertuccio prontamente: Certamente è un tipo che non scherza, quando dice una cosa la fa, se fossi in voi starei molto attento… disse con aria seria e preoccupata.

    Era troppo. Non aveva ancora finito di parlare che il capo branco era partito come una saetta in direzione del sergente, seguito dagli altri. Non era una cima di intelligenza, ma compensava con la decisione.

    In men che non si dica scoppiò un parapiglia notevole, dagli spintoni si passò velocemente  agli schiaffi e quindi ai cazzotti. Qualcuno dei giovani locali picchiava anche duro, ma alla fine i garibaldini, in numero almeno doppio, ebbero la meglio.

    Quelli di Talamone paghi di avere difeso gagliardamente il loro onore, e ancor più convinti dalle busse incassate che si stavano facendo pesanti e numerose, se la diedero a gambe in ordine sparso, inseguiti da alcune delle camicie rosse.

    Favoriti dalla conoscenza dei luoghi riuscirono ad eludere gli inseguitori, e fortunatamente per loro la cosa finì lì. Il generale e il suo comando avevano ben altro a cui pensare, e inoltre non volevano inimicarsi la gente del posto, nè far caciara intorno alla spedizione, che, ricordiamocelo, avrebbe dovuto essere portata avanti con molta discrezione, per cogliere di sorpresa i borbonici.

    Per cui placarono la sete di vendetta dei loro sottoposti lodandoli per la loro valentia e prontezza di fronte all’attacco vile e proditorio del nemico e spedendoli al mare a godersi il sole. Un altro gruppo avrebbe portato avanti le operazioni di carico.

    Il Sergente Maggiore Ravasio se la cavò tutto sommato a buon mercato, ferito più nell’orgoglio che non nel fisico. Ricevette da uno dei ragazzotti il ceffone inaugurale all’inizio della zuffa, ma si difese poi attivamente con un paio di cazzotti ben assestati. Per il resto si ritrovò con la blusa rossa un pò strapazzata e nient’altro.

    Il fatto però gli fece dimenticare completamente che stava prendendo di mira Cesare, che nel frattempo si era involato insieme a Gildo e Bertuccio.

    Hanno abboccato all’amo alla grande, disse Gildo tentando di arginare le risate che gli salivano dal petto quasi irrefrenabili.

    Oltre all’amo hanno mandato giù anche la lenza e la canna, hai visto come è partito come una schioppettata quel frescone, quando gli hai detto che Ravasi gli voleva dare una lezione? rincarò la dose Bertuccio, anche lui con le lacrime agli occhi dalle risate.

    Io ho sentito del trambusto, intervenne Cesare piegato in due dal ridere, e quando mi sono girato ho visto Ravasi proprio mentre pigliava lo schiaffone e gli volava via il cappello... e giù una risata accompagnata da gran pacche che i tre si distribuivano generosamente a vicenda.

    Pian piano le risate e i commenti andavano affievolendosi e, ripreso un pò di controllo Cesare osservò: Bè Gildo, devo dire che stavolta l’hai architettata proprio bene…

    Stavolta? Ma se ti tiro fuori dai guai un giorno si e l’altro anche… Comunque ho riconosciuto subito che tipo era, il capo dei ragazzotti: sembra mio fratello tutto ormoni e ciuffo al vento, convinto di sapere tutto...basta toccare i tasti giusti e gli fai fare quello che vuoi…

    Allora che facciamo adesso? Si va in esplorazione di questo borgo? propose Bertuccio.

    Altro che esplorare il borgo, a te interessano le ragazze, vero Bertuccio? ti conosco bene amico mio... disse Cesare. Ma anche a lui brillavano gli occhi…

    Perchè c’è qualcosa di male? Queste ragazze saranno abituate a rozzi marinai oltre che ai ragazzi del posto. Chissà come si annoiano. Portiamogli un pò di novità… ribattè Bertuccio passandosi una mano tra i capelli. Quando c’erano di mezzo le ragazze si trasformava. Sempre mite, sempre dolce, sempre assennato, ma diventava frizzante, brioso. Non malizioso, però, non ne aveva bisogno.

    Le ragazze le capiva profondamente, nei loro sentimenti e nelle loro emozioni. Ci sapeva fare.

    Allora, si va? la proposta fu accettata all’umanità, e i tre partirono baldanzosi verso il centro del villaggio.

    Non si erano però accorti che dietro una siepe accanto a loro stava un ragazzino di Talamone di forse dodici o tredici anni, molto giovane ma anche molto sveglio, che aveva sentito tutti i loro commenti e, per un certo naturale intuito, aveva già immaginato chi potevano essere i ragazzi del paese che i nostri avevano raggirato, e quindi anche il loro capo.

    Una volta allontanatisi i nostri amici, partì senza indugio alla ricerca della combriccola, con già un certo progetto in testa che gli allargò un sorriso sul viso e gli rese la ricerca più soave …

    Erano tre ragazze normali, non particolarmente carine ma nemmeno brutte, però avevano personalità, erano spigliate e simpatiche. I nostri non erano abituati, le ragazze lombarde erano più restie a dare confidenza, ce ne voleva per attaccare bottone…

    Si erano fatte notare dai nostri come sanno fare le donne quando vogliono che un uomo si faccia avanti, come se gli fossero passate davanti per caso. Un sorriso, uno sguardo timido ma allo stesso tempo ben assestato, un indugiare speranzoso, tanto era bastato.

    Con Bertuccio in testa, seguito da Cesare più per curiosità che per convinzione, e da Gildo, che avrebbe preferito una partita a carte e un bicchiere di vino, i ragazzi partirono all’attacco.

    Bertuccio, come detto, ci sapeva fare, e le prime fasi d’approccio scorsero senza intoppi, almeno per lui. Cesare, tra un sorriso e l’altro si rivolse a Gildo e con la bocca socchiusa, sempre sorridendo, bofonchiò: Ma come parlano queste?  Mi viene da ridere Anche a me, rispose Gildo complice, ma non voleva offenderle. Ad un certo punto la conversazione cominciò a ristagnare, e le ragazze si offrirono di mostrar loro un posto veramente incantevole lì vicino, con uno splendido ruscello dalle fresche acque e degli splendidi cavalli bianchi al pascolo, i giovani sembrarono accogliere favorevolmente la proposta.

    Tutti tranne Gildo, che già non era entusiasta prima, e ora che le aveva conosciute, ancora meno. Nessuna delle tre gli interessava minimamente, e si stava scocciando delle sciocchezze che ragazzi e ragazze si scambiano in quelle circostanze. Si annoiava insomma. Inoltre qualcosa nelle tre damigelle non lo convinceva, ma non avrebbe saputo dire che cosa.

    Si sta facendo tardi, e noi dobbiamo essere al molo prima del tramonto, le sapete le consegne disse.

    Oh dai, Gildo disse la brunetta, la più intraprendente delle tre, come se lo conoscesse da sempre è proprio qui vicino, saranno dieci minuti di cammino…

    Quel tono di confidenza, anzichè ammansirlo, lo aveva infastidito, stava per replicare quando intervenne Bertuccio: Gildo, andiamo a vedere, ci rinfreschiamo un pò dal caldo e vediamo i cavalli, non ci fermiamo tanto a lui la brunetta non dispiaceva. E poi amava la compagnia dei suoi simili in generale, delle ragazze in particolare. Non era come gli altri, che miravano al sodo soltanto per sollazzo, e poi non vedevano l’ora di correre dagli amici a far cagnara.

    Cercò l’aiuto di Cesare, dal momento che aveva notato che anche lui, dopo un primo momento di curiosità, stava perdendo interesse nel parlare con le ragazze: Tu che ne dici? Ma si Gildo, facciamo in fretta, vediamo questi cavalli e poi torniamo. E poi diamo una soddisfazione a Bertuccio, una volta tanto vabbè allora andiamo, ma facciamo in fretta.

    La possibilità di dividersi non la contemplavano neanche, erano giovani, erano amici. Si incamminarono insieme alle donzelle.

    Sbucarono all’improvviso. Si erano nascosti tra gli alberi della pineta che i nostri amici stavano attraversando. Li colsero completamente di sorpresa e li circondarono.

    Non c’era via di fuga, questo apparve subito chiaro. Erano i ragazzotti della zuffa al molo, e questa volta avevano dei coltelli...la situazione era seria.

    Per di più appena apparsi, le tre giovani del villaggio erano prontamente passate dalla loro parte...era una trappola, i nostri tre amici stavolta erano le vittime del raggiro.

    Ma guarda un pò chi si rivede, disse beffardo e compiaciuto il capo branco. Aveva un labbro spaccato e un grosso ematoma sullo zigomo destro, nonchè un bell’occhio nero e la camicia strappata, souvenir gentilmente concessogli quel mattino dagli uomini del corpo di spedizione del Generale Garibaldi.

    Sarebbe stato buffo, se non per lo sguardo cattivo che aveva. Oltre che le ferite gli bruciava l’orgoglio. La sua autorità sugli altri, mai messa in discussione nella sua giovane vita, era stata non dico cancellata ma messa a dura prova. lo sentiva, lo percepiva, anche se i compagni non glielo avevano detto glielo leggeva negli occhi.

    Non solo voleva vendetta, ma aveva bisogno di recuperare la posizione che per lui era tutto nel suo piccolo mondo di paese.

    Quando il ragazzetto era venuto a raccontare loro i discorsi e le risate tra Gildo, Bertuccio e Cesare, era avvampato di rancore: oltre alle botte lo avevano passato per fesso.

    La brunetta era la sua ragazza, era fiera di esserlo, la cosa le dava prestigio. Anche lei aveva interesse che il suo fidanzato recuperasse il terreno perso. Era stata lei a proporre il piano diabolico per attirarli nell’imboscata, e aveva funzionato.

    I coltelli non li aveva messi in conto però, pensava che i suoi si sarebbero accontentati di rifilare ai tre amici un pò di legnate. E poi comunque erano carini tutti e tre…

    E adesso che cosa mi racconti, eh? disse il bulletto rivolto a Gildo sei ancora in vena di menarmi per i fondelli?. Ora ti faccio un ricamino in faccia, così saranno gli altri a ridere di te quando ti vedranno Stava giocando al gatto col topo, voleva godersela un po'. Mostrava agli altri chi era a comandare.

    I nostri serrarono i ranghi d’istinto, si strinsero immediatamente l’uno all’altro facendo un fronte compatto. Cesare teneva d’occhio quelli a sinistra, Bertuccio quelli a destra, Gildo torreggiava in mezzo. Fece l’unica cosa che andava fatta.

    Piantò gli occhi dritto in quelli del Talamonese ed esclamò: Sei bravo a fare il gradasso spalleggiato da tutti i tuoi. Siete il doppio di noi… hai paura di combattere contro di me da solo?

    La proposta spiazzò il bulletto. Perse in un istante la metà della sua baldanza. Gildo era alto, deciso, gli metteva un pò di timore. Però non aveva alternative, doveva dimostrare chi era agli altri. E poi aveva il coltello, e lo sapeva usare, soprattutto con il pesce, ma faceva lo stesso.

    Fatti sotto, dunque, oggi risparmi i soldi del barbiere esclamò spavaldo. Adesso ti spengo anche l’altro occhio, lo provocò Gildo per innervosirlo e fargli perdere concentrazione, nel frattempo, mentre parlava, si era agilmente sfilato la camicia rossa, e se l’era avvolta lesto sull’avambraccio sinistro. Così si proteggeva, e non dava appigli all’avversario.

    Il Talamonese gli si avventò contro con un affondo alla figura, ma Gildo lo schivò e gli assestò un cazzottone sulla schiena. Quello rovinò a terra con la faccia nella polvere.

    Ehi non sei troppo cresciuto per giocare con la sabbia? punzecchiò Cesare. Il bulletto adesso era fuori controllo dalla rabbia. Avanzò verso Gildo mulinando velocissimo il coltello in tutte le direzioni, voleva togliere al nostro amico ogni punto di riferimento. Nella mano sinistra aveva della terra, raccolta mentre si rialzava. La buttò in viso a Gildo, nel più classico dei trucchi. Costui alzò il braccio a protezione degli occhi, un gesto istintivo e incontrollabile, e scoprì il fianco.

    Il bulletto affondò il colpo. Per fortuna del Lombardo, era più avvezzo a sfilettare pesce che non a infilzare cristiani. Invece di mirare al ventre si tenne alto verso il torace, ma non mantenne il polso ben rigido nell’affondo e colpi di striscio Gildo ad una costola.

    Era soltanto un colpo di striscio fortunatamente. Ma sanguinava parecchio. E bruciava. Alla vista del suo sangue il nostro buon Gildo si alterò. L’adrenalina che gli era schizzata in circolo fece il resto.

    Avanzò deciso verso il talamonese che tentò un’altro affondo. Gildo lo schivò e gli mollò un possente diritto d’incontro con il destro, sfruttando la sua inerzia. Lo schianto fu tremendo. Il bulletto finì a terra col naso fracassato, privo di sensi.

    Per un istante scese un silenzio attonito tra i ragazzotti, paralizzati dall’esito repentino dello scontro. E’ morto, lo ha ammazzato! gridò la brunetta istericamente. Effettivamente sembrava morto Diamogli addosso. Il gruppo non era così convinto di buttarsi all’attacco, dopo aver visto che fine aveva fatto il loro capetto. Esitarono. Qualcuno stava pensando che forse si poteva anche finirla lì.

    Ma la brunetta continuava a gridare Avete paura? sono solo in tre, e disarmati. Racconterò a tutti in paese che siete dei vigliacchi. L’arringa funzionò, e ancora una volta l’orgoglio prevalse sul senno.

    Si guardarono l’un l’altro per farsi forza a vicenda, ognuno aspettando che qualcun altro si lanciasse alla carica per primo, mossero i primi passi tutti insieme verso i nostri e alla fine, incalzati dalla brunetta, gridando all’unisono per farsi coraggio si lanciarono all’attacco.

    Bang un colpo di carabina risuonò nell’aria nitido, e rallentò la carica. Bang il secondo colpo la bloccò. Tutti si guardarono intorno per capire da dove veniva lo sparo.

    Un uomo a cavallo uscì dal boschetto che la stradina attraversava e si parò di fronte a loro, voltando le spalle ai nostri tre amici. Era dalla loro parte, quindi.

    Era imponente su quel cavallo, e aveva fatto un’entrata in scena tempestiva e spettacolare. Aveva lunghi capelli castano chiari e vistosi baffi con pizzo stile Vittorio Emanuele, meno lunghi ma evidentemente molto ben curati. Portava uno strano cappello a larghe falde.

    Indossava una camicia colorata con ricami e frange sulle maniche e sul davanti, pantaloni blu con un bel cinturone di cuoio, e un paio di lucidissimi stivali di cuoio alti fino al ginocchio. Aveva certamente un aspetto originale e ben curato.

    Cavalcava a pelo, con grande

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