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A Volto Scoperto: La Vita Di Huda Shaarawi, Prima Femminista D'Egitto
A Volto Scoperto: La Vita Di Huda Shaarawi, Prima Femminista D'Egitto
A Volto Scoperto: La Vita Di Huda Shaarawi, Prima Femminista D'Egitto
E-book501 pagine16 ore

A Volto Scoperto: La Vita Di Huda Shaarawi, Prima Femminista D'Egitto

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Info su questo ebook

Da "Genesi del femminismo arabo", articolo di Farian Sabahi comparso nell'Inserto Domenicale del Sole 24 Ore dell'8 aprile 2012:

"Huda è un'icona del suo tempo e le sue vicende sono state raccontate in numerosi volumi sul femminismo islamico…Ora, a gettare nuova luce sulla sua vita è la nipote Sania Sharawi Lanfranchi, che ha attinto a fonti inedite e pubblicato l'interessante biografia Casting Off The Veil (A Volto Scoperto…Nel caso di Huda Shaarawi a essere decisivo fu un viaggio in Italia…dove nei giorni successivi aveva luogo il congresso dell'Alleanza Internazionale per il suffragio femminile" e dove, a contatto con le altre delegate, "Huda e le colleghe egiziane non indossavano il velo. Un po' perché rappresentava un ostacolo nel comunicare con le altre partecipanti, e un po' perché avevano l'impressione che diminuisse l'efficacia del loro operato…La questione del velo si propose con urgenza nel momento in cui fecero i bagagli per fare ritorno in patria: poiché al congresso di Roma si erano sempre mostrate a viso scoperto, che senso aveva tornare a coprirsi?...L'incontro con le delegate di tanti altri paesi al congresso dell'Alleanza Internazionale per il suffragio femminile – di cui Huda Shaarawi fu vicepresidente dal 1935 fino alla morte nel 1947 – fu un momento fondamentale. Non meno importante fu, per altre femministe egiziane, la possibilità di recarsi in India per conoscere Gandhi, Nehru e sua figlia Indira. E altrettanto rilevante fu l'incontro con l'emiro Abd al-Krim, l'eroe della resistenza marocchina che prese posizione contro la Francia e la Spagna". Nella prima metà del Novecento la lotta contro i colonialismi rappresenta infatti per le femministe un preteso e uno spunto per lottare."
LinguaItaliano
EditoreBookBaby
Data di uscita2 ott 2018
ISBN9780993163456
A Volto Scoperto: La Vita Di Huda Shaarawi, Prima Femminista D'Egitto

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    Anteprima del libro

    A Volto Scoperto - Sania Sharawi Lanfranchi

    SANIA SHARAWI LANFRANCHI è una interprete freelance ed ha lavorato per organizzazioni internazionali, regionali e nazionali, incluso il ministero degli affari esteri egiziano, l’UNESCO e l’OMS. Possiede due titoli di studio post-lauream, rispettivamente in letteratura inglese ed in letteratura araba, entrambi conseguiti presso l’ Università americana del Cairo (AUC).

    Mariangela soraya Lanfranchi è una traduttrice/mediatrice culturale. Parla e scrive perfettamente l’italiano, il francese, l’inglese e l’arabo. Laureatasi in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Milano nel 1989, si è poi specializzata in studi amministrativi europei al College of Europe di Bruges. Ha lavorato come traduttrice all’Eni Corporate University e come mediatrice culturale alla Croce Rossa Italiana - Comitato di Milano. Ha inoltre tradotto un libro della poetessa francofona Leila El Hakim, «L’illusion de la mer» («Atyaf al muhit»), dal francese all’arabo, pubblicato dalla casa editrice Al Kotob Khan al Cairo.

    A mia sorella Malak

    A VOLTO SCOPERTO

    La vita di Huda Shaarawi

    prima femminista d’Egitto

    Sania Sharawi Lanfranchi

    Tradotto da: Mariangela Soraya Lanfranchi

    Published in 2018 by Rowayat Ltd

    96 Kensington High Street, London, W8 4SG,

    www.rowayat.com

    info@rowayat.com

    ISBN: 978-0-9931634-4-9

    Epub Edition ISBN 978-0-9931634-5-6

    Copyright © 2012, 2015, 2018 Sania Sharawi Lanfranchi

    Published by arrangement with I.B. Tauris & Co Ltd, London. The original English edition of this book is entitled "Casting off the Veil: The Life of Huda Sharawi, Egypt’s First Feminist and published by I.B. Tauris & Co Ltd.

    Copyright © 2018 Rowayat Limited. First Edition. All rights reserved.

    Copyright Textes © Sania Sharawi Lanfranchi, 2018

    Copyright Photos © Sania Sharawi Lanfranchi, 2018

    The right of Sania Sharawi Lanfranchi to be identified as the author of this work has been asserted by her in accordance with the Copyright, Designs, and Patents Act, 1988.

    All rights reserved. Unless otherwise noted, the contents of this publication are the copyrighted property of Rowayat Limited. Use may be made of these pages for non-commercial purposes without permission from the copyright holder. All commercial use permission requests be made in writing to Selachii LLP, 96 Kensington High Street, London, W8 4SG, UK

    Rowayat is registered in Great Britain as a trademark and the Rowayat logo is a trademark.

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted by any means without the written permission of the publisher.

    All copyrights and trademarks are recognized.

    Indice

    Elenco delle illustrazioni

    Ringraziamenti

    Nota sulla traslitterazione

    I. L’infanzia in una famiglia tradizionale

    II. I primi passi nel lavoro sociale

    III. Il femminismo internazionale e l’UFE

    IV. Contro l’occupazione

    V. Un ministero wafdista

    VI. Una lezione di diplomazia

    VII. Il gioco della politica

    VIII. La questione della Grande Siria

    IX. Il naturale nemico della guerra

    X. Le svolte decisive

    XI. Pace e giustizia

    XII. La Seconda Guerra Mondiale

    XIII. L’Assemblea generale dell’ONU divide la Palestina

    Note

    Bibliografia

    Appendice

    Indice analitico

    Elenco delle illustrazioni

    Prima parte

    Huda in costume ottomano intorno al 1899

    Huda indossa un velo nero

    Umar Sultan e Mustapha Kamil 1907

    Ali Shaarawi

    L’Égypte francophone, pasticceria, 1919

    Prima marcia delle donne (velate) 1919

    Comitato fondatore dell’UFE 1924

    Assemblea per il boicottaggio delle merci britanniche nel 1924

    Huda e Céza con alcune signore indiane a Roma nel 1923

    Hawa e Kamaladevi Chattopadyay

    Mayy Ziadé

    Malak Hifni Nasif

    Huda e Céza nel Salone europeo

    Huda seduta alla sua scrivania intorno al 1924

    Hawa e Huria nella parte dei paggi, impersonati per il tableau vivant di Shajarit al-Durr

    Huria prende in prestito il costume di Shajarit al-Durr

    Munira

    Muhammad

    Bassna

    Huda sulla cinquantina

    Le nozze di Muhammad e Munira con Qadria Rifaat e Huda Asim nel 1932

    La Casa dell’egiziana

    Il Salone orientale

    Seconda Parte

    Margery Corbett-Ashby pronuncia il suo discorso inaugurale alla Conferenza di Istanbul 1935

    Huda pronuncia il suo discorso alla Conferenza di Istanbul 1935

    Céza pronuncia il suo discorso alla Conferenza di Istanbul 1935.

    Con Rosa Manus et Margery Corbett-Ashby

    A bordo della nave durante il viaggio di ritorno al Cairo 1935

    Hasan Shafik, Huria e Hawa a bordo della nave l’Izmir 1935

    Juliette Adam

    Jeanne Marquès

    Marcelle Capy

    Huda e Eugénie

    A Interlaken, Huda, Céza e Ismat Asim nel 1946

    I funerali di Huda: gli uomini, con Muhammad Umar Sultan in testa

    I funerali di Huda: gli uomini, Ali Mahir

    I funerali di Huda: le studentesse

    I funerali di Huda: le infermiere, con Hawa in prima fila

    Huda, sulla soglia di casa, indossa la decorazione conferitale dal re nel 1942

    Ringraziamenti

    Il grande scrittore dell’Africa Occidentale, Hampâté- Bâ, ha affermato che la morte di un anziano è come l’incendio di una biblioteca. Ed è vero che la storia orale arricchisce l’esperienza umana quanto quella scritta. Desidero quindi rivolgere i miei ringraziamenti postumi ed esprimere la mia gratitudine a Céza Nabarawi, Hawa Idris, Huria Idris-Shafik e suo marito Hasan Shafik, Sherifa Lutfi Mehrez, Eva Habib al-Masri, Duria Shafiq, Suza Khulusi, Jazbia Saad al-Din, Fathia Abd al-Raziq ed a mia madre Munira Asim per la loro disponibilità a parlare apertamente con me, sin dalla mia prima adolescenza, delle loro vite ed esperienze. I loro ricordi si sono sommati ad altre scoperte, fatte nella dimora di mia nonna. Desidero inoltre rivolgere, per tutte le storie che mi hanno tramandato, i miei ringraziamenti postumi a Gabrielle Rousseau-Fahmi, Jeanne Marquès e Mary Kahil. Voglio inoltre ringraziare, insieme a loro, tutte le donne che ci visitavano, intrattenendosi con la famiglia, anche molto tempo dopo la scomparsa di Huda Shaarawi. La mia memoria mi riporta ai momenti trascorsi con dame Margery Corbett-Ashby e con Charlotte, la sua meravigliosamente spontanea nipotina, con le quali ho trascorso qualche tempo, in occasione del loro passaggio al Cairo. Dame Margery mi ricevette, inoltre, molti anni dopo a Horsted Keynes, dove parlammo a lungo di mia nonna e dove mi fece l’onore di definirsi la mia nonna inglese. Desidero ugualmente ringraziare il professor John Von B. Rodenbeck e la professoressa Afaf Lutfi al-Sayid per i preziosi consigli riguardo al manoscritto, nonché la dottoressa Malak Badrawi per aver attratto la mia attenzione su alcune fonti di inestimabile valore e la dottoressa Aida Graf, per un’aggiunta provvidenziale alle mie fonti. Desidero ringraziare la dottoressa Margot Badran per la sua ottima traduzione delle memorie di Huda Shaarawi, che mia nonna aveva chiesto a Abd al-Hamid Fahmi Mursi, il suo fedele segretario, di mettere in forma scritta. Margot Badran ha inoltre mostrato un appassionato interesse per la storia delle femministe egiziane ed arabe e va ringraziata per aver assolto il difficile compito di scrivere approfonditamente sulla materia. Non ultimi, desidero ringraziare tutti i miei fratelli e sorelle per aver condiviso con me i loro ricordi ed i miei figli, per il loro immancabile appoggio e interesse entusiastico per la storia della mia famiglia. In particolare, per la versione italiana, voglio ringraziare la traduttrice, mia figlia Mariangela Soraya Lanfranchi, per aver seguito dall’inizio e lungo gli anni la travagliata ricerca da me svolta per poter raccontare questa storia. Voglio inoltre ringraziare la cara amica Valeria Cirrincione, per i suoi eccellenti consigli di attenta lettrice, e la professoressa Ludovica Cirrincione, per il suo inestimabile contributo alla revisione del testo e la sua grande competenza.

    Nota sulla traslitterazione

    Le parole arabe vengono solitamente traslitterate o, piuttosto, trascritte in caratteri latini, a seconda della lingua occidentale in cui l’opera è scritta. La pronuncia e la sillabazione in lingua francese sono diverse dalle stesse in lingua inglese.

    Ho adottato un metodo di traslitterazione principalmente basato sull’uso delle tre vocali arabe - la lettera alef e la fatha sono state traslitterate usando la a; la lettera yaa e la kasra con la i e la lettera waw e la dammacon la u. Inoltre, la q sostituisce la k, per trasmettere il suono gutturale della qaf in lingua araba. Ciò significa quindi che la lettera y non è affatto usata nel testo.

    In tempi meno recenti, sia nell’uso quotidiano che sulla rivista L’Égyptienne, così come in altre pubblicazioni, si adottava l’ortografia francese dei nomi, cosicché il nome per esteso di Huda Shaarawi era Hoda Charaoui e il nome Asim, fino ad oggi, si scrive abitualmente Assem. In questa opera è stato inoltre seguito lo stesso sistema per i nomi di personaggi, luoghi o istituzioni arabi. La ‘ayn araba e la hamza, rispettivamente trascritte con i caratteri ‘e’ , sono state, laddove possibile, cancellate (ad esempio, nel trascrivere Ali e Umar). Tutte le vocali lunghe sono state omesse. Non è stata fatta alcuna distinzione fra le consonanti arabe zein e za, entrambe traslitterate usando la z, o fra la sad e la sin, entrambe trascritte con la s. Il mio obiettivo è di semplificare in tutto il testo l’ortografia delle parole arabe ed eliminare i segni diacritici, per evitare di confondere il lettore poco pratico della lingua araba. I nomi di luogo conosciuti (come Il Cairo) e le parole trascritte usando una forma di traslitterazione famigliare ai più (come Pascià), sono state mantenute, tuttavia altri nomi di luogo e altre parole, meno conosciute, sono state traslitterate conformemente alle regole da me adottate. In casi più specifici, dove per una citazione da un determinato testo è stata usata una certa forma per un nome proprio, ad esempio, oppure laddove conosco la trascrizione del proprio nome preferita da un certo personaggio, ho mantenuto la traslitterazione prescelta. La ‘ayn e la hamza sono state incluse nei titoli delle opere e nelle citazioni, altrimenti tutti gli altri segni diacritici sono stati omessi. Per la ta’ marbuta, nei costrutti che servono ad esprimere la specificazione e l’appartenenza, è stata usata la t al termine della parola specificata.

    I

    L’infanzia in una famiglia tradizionale

    Huda Shaarawi nacque il 23 giugno 1879. Il suo nome era Nur al-Huda Sultan. Suo padre, Muhammad Sultan Pascià, era nel suo cinquantacinquesimo anno di età quando la figlia venne al mondo ed era una figura influente nella società e sulla scena politica egiziana. Muhammad Sultan era originario della città di Minya nel Saïd, l’Alto Egitto, dove possedeva estese proprietà fondiarie. Era un uomo estremamente ricco, abituato alla deferenza. Secondo l’uso egiziano di dare un soprannome alle personalità importanti, Sultan Pascià era comunemente chiamato il re dell’Alto Egitto. Wilfrid Blunt, poeta irlandese di cittadinanza inglese e residente in Egitto, conosceva bene il paese e sosteneva la lotta nazionalista egiziana. Blunt osserva nel suo diario che Sultan Pascià era un uomo fiero, di eccezionale ricchezza e grande influenza, abituato ad essere il primo in tutti gli ambiti.¹ Iqbal, la madre di Huda, era invece circassa e discendeva da una famiglia della tribù dei Shapsigh del Daghestan. Le sue origini erano misteriose e romantiche al contempo e, quando nacque Huda, aveva appena compiuto vent’anni. Suo figlio minore, Umar, venne al mondo due anni più tardi, nel 1881.

    La storia di Iqbal è avvolta nella leggenda. Donna orgogliosa e di modi riservati, era arrivata in Egitto ancora bambina, per sfuggire all’invasione russa del Caucaso. Huda sarebbe stata in grado di mettere insieme i pezzi della sua vicenda più tardi, giungendo a saperne di più con l’aiuto dei suoi zii. Il padre di Iqbal, capo di una tribù circassa, era stato ucciso dai russi durante l’invasione russa del Caucaso e la sua vedova, Aziza, era fuggita con tutta la famiglia a Istanbul. Rifugiatisi in Turchia, Aziza ed i suoi figli patirono duramente le conseguenze dell’allontanamento dalla madrepatria. Un figlio era deceduto e la sorellina di Iqbal, ancora in fasce, era stata rapita dalla sua balia. A soli nove anni, Iqbal era stata allora inviata da Aziza in Egitto, un paese a lei sconosciuto, dove la bambina avrebbe potuto godere di maggiore sicurezza. Era stata affidata ad un amico di famiglia, che si stava recando in Egitto, e questa cieca fiducia in un uomo estraneo dimostra a che punto Aziza avesse temuto per il benessere di sua figlia. Secondo il racconto dei fratelli di Iqbal l’intenzione era di affidare la bambina a uno zio materno di Aziza, Yusuf Sabri Pascià, un ufficiale dell’esercito egiziano. Membro dell’élite turco-circassa, Yusuf Sabri Pascià si trovava in trasferta in Sudan. Sua moglie, una schiava affrancata dalla famiglia reale anch’essa d’origini circasse, reagì con violenza all’arrivo della graziosa piccola Iqbal, dichiarando che suo marito non aveva familiari in Caucaso e rifiutandosi di accoglierla. Iqbal venne allora condotta dal suo accompagnatore a casa di un amico fidato di Yusuf Sabri Pascià, Ali Bey Raghib, che la prese sotto la sua protezione e la affidò alle cure amorevoli di sua moglie. Era così cresciuta con la figlia della coppia e aveva come lei appreso a parlare e scrivere l’arabo e il turco. Di ritorno in Egitto, al termine della campagna in Sudan,Yusuf Sabri Pascià rimase comunque in contatto con la ragazza, che si abituò così a considerarlo un parente stretto. Iqbal sviluppò un rapporto affettuoso soprattutto con sua cugina, la figlia di Yusuf Pascià, Munira Sabri. Quando fu in età da marito, i Raghib si misero alla ricerca di un buon partito per la giovane circassa che avevano accolto a casa loro con affetto. Iqbal era diventata una giovane donna di grande bellezza e il destino volle che Sultan Pascià avesse appunto deciso di prendere una seconda moglie². La sua prima moglie, Hasiba, era sprofondata nella disperazione per la perdita del figlio Ismail e non era più riuscita ad abbandonare il suo letto.

    Poiché la giovane e graziosa moglie era spesso assorta e malinconica al ricordo della famiglia lontana, Sultan Pascià si mise alla ricerca dei fratelli di Iqbal e li rintracciò finalmente in Turchia. Ahmad e Yusuf Idris vivevano con la madre nel piccolo porto di Bandirma, sulla riva meridionale del Mare di Marmara: Sultan Pascià li invitò al Cairo. Ahmad e Yusuf parlavano il turco scambiando i loro ricordi e Huda si mise ad interrogare avidamente suo zio Yusuf, il maggiore, a proposito della famiglia circassa. Era incantata dai loro racconti e la sua immaginazione era stimolata dal fatto che si trattasse dei suoi avi. Yusuf le raccontò la storia di suo padre, Sharaluqa Gwattish, il capo della tribù dei Shapsigh, che aveva fissato da secoli la propria dimora sulle rive del Mar Caspio. Come Hadji Murad, l’eroe del Caucaso immortalato da Leone Tolstoj, Gwattish si era battuto contro l’invasore russo ed aveva perso la vita nel corso di una feroce battaglia. La fuga in Turchia della famiglia si inseriva nel contesto caotico dell’esodo scatenato dalla conquista russa del Caucaso.³

    Poco dopo il suo matrimonio, frequentando i salotti delle signore dell’alta società egiziana, Iqbal incontrò Jazb Ashiq, una giovane circassa dalla storia molto simile a quella della sorellina rapita da bambina. Una strana attrazione le spinse immediatamente a diventare amiche. Le due donne si avvicinarono in maniera istintiva e piuttosto inattesa per Iqbal, che era di natura riservata. Scambiando i ricordi le due giovani arrivarono alla conclusione che Jazb Ashiq non era altri che la neonata rapita in Turchia, la sorellina scomparsa di Iqbal. Sin dalla tenera infanzia, Huda si abituò così a chiamare Jazb Ashiq zia e Iqbal accolse la sorella minore, invitandola spontaneamente a unirsi al resto della famiglia.

    Sultan Pascià era stato un alto funzionario dell’amministrazione comunale della città di Minya. Grazie alla sua abilità e alle sue capacità personali aveva raggiunto la posizione di ispettore generale dell’Alto Egitto, accumulando un’immensa fortuna e acquistando peso sulla scena politica nazionale. Quando divenne presidente del Consiglio consultivo dei deputati (Majlis Shura al-Nuwwab), Sultan Pascià si rese conto della necessità di formare un governo costituzionale in Egitto e fece piani per mettere in opera una riforma ad ampio raggio con i suoi collaboratori.⁴ Oltre alle sue amicizie politiche, era in termini eccellenti sia con Jamal al-Din al-Afghani che con il suo discepolo Muhammad Abduh, divenuto gran muftì d’Egitto sotto il kedivè Tawfiq. Sultan Pascià condivideva le idee e il credo illuminato di Muhammad Abduh: nell’ambito bancario e assicurativo, ad esempio, di concerto con Umar Lutfi Pascià, un altro funzionario del governo del kedivè Tawfiq, Sultan Pascià ideò un progetto volto a creare una banca nazionale egiziana. La banca doveva essere dotata di un capitale totalmente autoctono. Il progetto, concepito nell’anno di nascita di Huda, avrebbe spianato la via, più tardi, ad altri simili sforzi.⁵

    Nulla lasciava presagire un destino tragico nella vita di Muhammad Sultan Pascià. Insieme al kedivè ed ai ricchi proprietari terrieri che governavano il paese, era costretto ad accettare il controllo politico e finanziario delle nazioni occidentali e, in particolare, della Gran Bretagna. L’ingerenza era giustificata in nome della pretesa esigenza di seguire i rimborsi del debito, accumulato dal predecessore di Tawfiq, il kedivè Ismail. Per la gestione del debito, contratto in occasione della costruzione del canale di Suez, fu creata dai governi britannico e francese la Caisse de la Dette. La Gran Bretagna e la Francia avevano rispettivamente imposto all’Egitto la presenza di un loro concittadino in veste di controllore: il compito dei due revisori era di esaminare in dettaglio gli affari finanziari egiziani. L’occupazione economica del paese divenne un fatto compiuto. La maggior parte delle decisioni relative alle questioni finanziarie furono sottoposte all’attenzione dei due controllori, che avevano, in buona sostanza, l’ultima voce in capitolo. L’economia egiziana era stata presa in ostaggio dal servizio del debito ed i governi successivi si trovarono invischiati in una realtà di fatto distorta, che non avrebbe più consentito di governare efficacemente. Questo stato di cose provocò il malcontento nel paese e in seno all’esercito, paralizzando l’autocrazia kediviale, a sua volta fortemente criticata dalla popolazione. Nel febbraio del 1881 alcuni ufficiali egiziani, agli ordini del colonnello Ahmad Urabi, pretesero a gran voce un governo costituzionale. Urabi ed i suoi reclamavano maggiori opportunità di avanzamento per i cittadini autoctoni, i cui diritti erano più legittimi delle prerogative dell’élite turco-circassa. Sultan Pascià aveva, di primo acchito, offerto spontaneamente il proprio appoggio ad Urabi: da egiziano, Sultan era anche lui convinto che il paese fosse maturo per un sistema costituzionale e parlamentare.

    Il racconto di quanto capitò fu riferito a Huda da Qallini Fahmi Pascià, il segretario di suo padre.⁶ Qallini era un amico di famiglia e raccontò a Huda come Sultan Pascià ed altre figure politiche egiziane di rilievo avessero inizialmente dato il loro appoggio ad Urabi ed ai suoi ufficiali. Tuttavia, l’allora console britannico sir Edward Malet e il consigliere finanziario del kedivè, sir Auckland Colvin, li avvertirono ripetutamente che una rivoluzione avrebbe provocato l’ira britannica, insinuando che l’unico modo di salvare il paese era di favorire la sconfitta di Urabi. La Gran Bretagna inviò una flotta ad Alessandria e minacciò il caos, se Urabi e gli altri ufficiali egiziani avessero persistito nella decisione di forzare il kedivè ad abdicare. A questo punto Sultan Pascià mutò schieramento, riallineandosi sulle posizioni del kedivè, per il timore che si consumasse un massacro, con le navi da guerra britanniche schierate al largo di Alessandria.⁷ Si rese conto che un intervento militare dell’invincibile esercito britannico avrebbe potuto sfociare nell’occupazione del paese, determinando il passaggio dall’egemonia ottomana a quella inglese. Sultan Pascià pensava, tuttavia, di dover la sua fedeltà al kedivè, in quanto vicerè del sultano ottomano. L’istinto e il credo politico lo spinsero perciò ad appoggiare il kedivè e a seguire il consiglio impartitogli dai britannici, volgendosi contro Urabi e gli ufficiali che aveva in precedenza sostenuto. Nel mese di maggio del 1882 Sultan Pascià si schierò con il kedivè. Nelle parole di Wilfrid Blunt, che simpatizzava con la causa di Urabi, Sultan Pascià fu in parte lusingato, in parte spaventato da Malet, fino a dichiararsi favorevole alle richieste dei britannici e condividere la sorte del partito vicino alla Corte, schierandosi contro i suoi precedenti alleati.⁸ La decisione gli scatenò contro l’ira popolare. Mentre Sultan Pascià si trovava ad Alessandria, una folla favorevole ad Urabi attaccò le sue proprietà al Cairo. Blunt annotò nel suo diario un’affermazione dell’ Observer, secondo cui Sultan Pascià si recò … dal kedivè per farlo venire a patti con Urabi…. Il commento di Blunt era il seguente:

    Egli avrebbe, secondo tutti i quotidiani, formato con gli altri deputati un fronte contrario ad Urabi e favorevole al kedivè, ma ci crederò solo quando avrò maggiori informazioni a mia disposizione. E’ probabile che Sultan Pascià sia rimasto deluso dal fatto che la Camera venisse convocata ufficiosamente e a una data sconveniente dell’anno. L’influenza dell’esercito sul ministero era troppo grande per non crearsi dei nemici. C’è probabilmente stata, a mio avviso, qualche gelosia e nient’altro. La cosa è stata probabilmente favorita da Colvin e Malet e i circassi si sono sentiti incoraggiati dal probabile intervento della Turchia. Hanno inviato navi da guerra ad Alessandria, un gesto che, se non mi inganno, provocherà una levata di scudi generale contro gli europei.

    Nel frattempo, sir Edward Malet rassicurò Sultan Pascià. La Gran Bretagna, pur non consentendo in nessun caso a Urabi e ai suoi amici di tenere le redini del paese, aveva l’intenzione di ritirare le proprie forze immediatamente dopo la crisi. Tuttavia, malgrado questa promessa, Malet non consegnò mai il memorandum richiesto da Sultan Pascià, che avrebbe dovuto definire per iscritto la posizione del governo britannico. La mentalità tipicamente orientale di Sultan Pascià lo induceva a fidarsi della probità del console di Gran Bretagna e a contare sulla sua parola d’onore, senza minimamente sospettare di essere stato manipolato. Sultan Pascià era sinceramente convinto che le forze britanniche non sarebbero rimaste nel paese, dopo la battaglia. La sua delusione, di conseguenza, fu grande. Sultan Pascià non fu più lo stesso uomo. A conti fatti, malgrado i britannici continuassero a sostenere di essere intervenuti con il solo obiettivo di salvaguardare il potere del kedivè, Sultan Pascià si rimproverò amaramente il fatto che avessero deciso in seguito di mantenere indefinitamente l’occupazione del paese. Questa idea peraltro si sarebbe ancorata profondamente nella mente di tutti i membri della famiglia e si sarebbe imposta, inoltre, anche in altre cerchie.

    Wilfrid Blunt cita il grande amico di Sultan Pascià, Abd al-Salam al-Muilhi. Membro nel 1882 del Parlamento egiziano, Muilhi riferisce in un articolo il parere dei partigiani di Ahmad Urabi, dicendo di sé stesso che era stato un amico intimo di Sultan Pascià e che gli era stato vicino nella disputa con Ahmad Urabi, ma che si erano dispiaciuti tutti di non essere rimasti uniti e che, personalmente, non aveva approvato la condotta di Sultan durante la guerra. Sultan era stato ingannato da Malet, che l’aveva indotto ad agire dandogli la sua parola d’onore, a garanzia del fatto che le leggi del Parlamento egiziano sarebbero state rigorosamente rispettate. Malet aveva fatto una promessa solo verbale, mentre Sultan Pascià esigeva che gli fosse consegnata per iscritto. Sultan fu tuttavia dissuaso dal proposito di insistere dallo stesso kedivè, che gli assicurò che si fidava delle parole del funzionario del governo britannico come fossero le proprie. Quando il vecchio Sultan capì, dopo la guerra, a che punto era stato ingannato, gli si spezzò il cuore e morì esprimendo la speranza che Urabi potesse un giorno perdonarlo e che il suo nome non passasse alla storia come quello di un traditore della patria.¹⁰

    Sultan Pascià manifestò i sintomi di una malattia incurabile, poco dopo questi fatti. Due anni più tardi, nel 1884, morì non ancora sessantenne a Graz. Si era recato nella cittadina austriaca, nella speranza di trovarvi un rimedio ai suoi mali. Si dice che dimostrasse ormai novant’anni e la famiglia è convinta che morì di crepacuore, a causa della delusione subita. Grazie alla vittoria contro gli Urabisti, il governo britannico era riuscito a mantenere la presa sul canale di Suez, la sua principale via d’accesso all’Asia. Un’accordo franco-britannico, che sanciva la spartizione degli stati vassalli dell’impero ottomano fra le rispettive sfere d’influenza, era già stato firmato.

    Prima della sua morte, Sultan Pascià aveva preso la precauzione di nominare il tutore di Huda, Umar e delle due sorelle maggiori, Luza e Nissim, e lo aveva incaricato inoltre dell’amministrazione delle proprietà di famiglia. Ali Shaarawi era il figlio di sua sorella ed era un ricco proprietario terriero della regione di Minya. La fortuna dei Shaarawi si basava sull’acquisto di terreni avviato dal padre di Ali, Hasan Shaarawi, che era stato sindaco (umda) di un villaggio vicino a Minya. Ali si occupava della gestione delle sue terre ed era in politica già da qualche tempo. Inoltre, dopo la morte di Sultan Pascià, si era anche ritagliato spazi per assolvere alla sua funzione di tutore, visitando regolarmente la famiglia dello zio defunto. Le due vedove di Sultan Pascià continuarono a curare gli affari domestici, avvalendosi dell’aiuto del personale di sempre. A capo dei servitori era Said Agha, un eunuco che tutti in famiglia chiamavano Lala Said. Il suo dovere era di vegliare sulla sicurezza e la buona condotta delle donne. A venticinque anni appena, Iqbal si ritrovò così a capo del nucleo familiare e della bella dimora che Sultan Pascià aveva fatto costruire in Via Jami Sharkas.¹¹ Avendo perduto il padre e il marito, era ossessionata dal pensiero della morte. Si sentiva vulnerabile e spaventata, pur sforzandosi di non farlo trasparire. Aveva avuto un destino avventuroso sin dalla più tenera infanzia ed aveva adottato un atteggiamento quasi filosofico nei confronti della vita. A poco più di vent’anni era una donna bellissima, alta e slanciata, dalla pelle di porcellana, gli occhi color nocciola e i lineamenti incantevoli. Il busto eretto e il portamento fiero di Iqbal tradivano il suo lignaggio e le sue origini circasse. Grazie all’unione con Sultan Pascià, frequentava l’alta società e Huda serbò il ricordo di una visita con la madre alla consorte del kedivè Tawfiq, a Palazzo Reale.

    Huda crebbe in una casa devastata dal lutto e sconvolta dagli echi dei conflitti internazionali. A soli cinque anni, viveva in una dimora parata a lutto, dove i mobili, gli specchi e persino i candelabri erano ricoperti con un drappo nero. Le donne di casa vestivano di nero e Iqbal, ancora sconvolta dalla perdita del marito, doveva stare a riposo, per ordine del medico. Hasiba, la prima moglie di Sultan Pascià, stava ancora peggio. Otto anni prima, quando ancora non era stato celebrato il matrimonio fra Sultan Pascià ed Iqbal, la morte del figlio Ismail l’aveva gettata nella disperazione, rendendola invalida. Nonostante la presenza di due figlie grandi, Luza e Nissim, non riusciva a consolarsi della perdita precoce di Ismail. La morte del marito aveva sancito la perdita dell’ultimo legame con il figlio defunto. Quanto a Huda, da bambina non si rendeva conto del senso politico della morte di Sultan Pascià e del vuoto che aveva creato nella vita pubblica egiziana. Aveva perso un padre e le mancava la sua presenza a casa, il suo profumo familiare, il suo contatto quotidiano. In così giovane età, dovette constatare che l’amato padre era partito per sempre. In vita Sultan Pascià non aveva mai cessato di rassicurarla, abbracciarla e coccolarla e Huda sentiva prepotentemente la sua mancanza. Serbava il ricordo struggente di quando, ogni mattina, andava a trovarlo nella sua stanza con il fragile fratellino, di due anni più giovane. Le mancavano le braccia forti del padre, la sua voce calda, il suo carattere tranquillo e la marea incessante di visitatori. Senza di lui la casa era ormai troppo grande e vuota.

    Huda fu costretta in giovanissima età ad accettare il fatto che la morte sottrae le persone per sempre. Pur non avendo conosciuto il fratellastro, amava la matrigna Hasiba, che considerava la sua migliore amica. Era consapevole di quanto Hasiba sentisse la mancanza di Ismail e si accoccolava per ore vicino alla donna invalida a letto. La chiamava Ummi al-Kabira, cioè la mia grande mamma. Era ancora troppo giovane per capire di trovarsi nella posizione eccezionale di chi può godere dell’amore e delle cure di due madri al contempo. O per apprezzare il miracolo che aveva fatto sì che queste due donne, che erano state insieme spose dello stesso uomo, erano amiche. Hasiba aveva perso il figlio, la salute e il marito ed aveva quindi riversato il suo affetto su Iqbal e i suoi due figli, oltre che su Luza e Nissim. La rabbia provata alla morte del proprio bambino sembrava essersi spenta e attendeva ormai, in seno alla famiglia allargata, il momento in cui la morte sarebbe venuta a cercarla. Huda chiedeva spesso alla madre il permesso di trascorrere la notte insieme a Hasiba. Amava quest’abitudine più di ogni altra. Hasiba le infondeva un senso di pace ed entrambe amavano respirare l’aria fresca, lasciando le finestre aperte tutta la notte, soprattutto in estate. Naturalmente ciò sarebbe stato impossibile nella stanza che Huda condivideva con il fratellino, di salute più cagionevole. Hasiba le aveva inoltre insegnato a bere il latte bollito freddo e ricoperto di crema. Bevevano il loro latte inzuppandovi il pane e lasciavano arrostire le castagne sul fuoco. In estate, si svegliavano al canto degli uccelli che cinguettavano sugli alberi, davanti alla loro finestra, e Huda si sentiva felice e appagata.

    Iqbal era allora tormentata dal pensiero della salute fragile del suo maschietto ed era felice di lasciare Huda in compagnia di Hasiba.¹² Quando Huda si lamentava della predilezione della madre per Umar, Hasiba le spiegava che era dovuta al solo fatto che, essendo maschio, era destinato a salvaguardare il nome della famiglia. Era un bambino fragile e bisognava prodigargli particolari attenzioni.¹³ Malgrado la gelosia nei confronti del fratellino, Huda amava immensamente Umar.

    Mentre il periodo di lutto volgeva al termine, Huda assaporava la sua vita nella grande dimora. Innalzata in una nuova zona della città, era immersa in un quartiere attraversato da numerosi viali e giardini, che si estendeva dal cuore del vecchio Cairo fino al Nilo. La casa era simile ad un alveare, per la presenza di un battaglione di domestiche, servitori e schiavi che badavano a mantenerla in ordine. Gli amici vi si recavano spesso in visita e non mancavano i venditori ambulanti e i mendicanti, sempre sulla soglia di casa. Le tradizioni vi erano scrupolosamente osservate. Le feste religiose e di altro tipo vi si celebravano sempre con entusiasmo. La famiglia, come tutte le famiglie egiziane dell’alta società, aveva una sua cerchia costante di amici e di conoscenti. Numerosi vecchi amici del Pascià non avevano mai cessato di andarli a trovare o di invitarli a loro volta. I bambini andavano spesso a giocare nel giardino di Qattawi Pascià, fra la Via Suliman Pascià e la Via Sharifain. La vita sociale offriva a Huda l’occasione di stringere amicizia con diverse coetanee. Qattawi era un aristocratico ebreo di Minya, che possedeva una dimora nelle vicinanze. Un altro assiduo habitué era lo sceicco Ali al-Laithi. Famoso per il suo senso dell’umorismo e il talento poetico, era il poeta di Corte e viveva a Palazzo Reale. L’unico visitatore che a volte metteva Huda profondamente a disagio, malgrado l’erudizione e la considerevole cultura, era Zubair Pascià, un sudanese ricchissimo che aveva fatto fortuna grazie alla tratta degli schiavi. La sua condotta era spesso brutale e arrogante.

    Quando era ancora in vita Sultan Pascià aveva ospitato in casa un salotto letterario, frequentato settimanalmente da questi ed altri uomini. Grazie all’amore del padre per la letteratura e la poesia, Huda e Umar avevano trascorso l’infanzia in un ambiente dove la cultura era tenuta, come la politica, in massimo conto. Le due spose di Sultan Pascià mantennero questa tradizione dopo la sua morte. Erano ambedue di ampia apertura mentale. Si interessavano alla cultura, malgrado i limiti normalmente imposti alle donne avessero inevitabilmente un impatto sul loro approccio alle questioni e alle differenze di genere. Inoltre, la ricchezza della famiglia era tale che i due bambini crebbero nell’ignoranza totale della miseria e dei suoi contraccolpi. Le loro difficoltà erano di ordine più emotivo che altro, come è spesso il caso di chi non si deve preoccupare di come guadagnarsi il pane.

    I due bambini erano tuttora addolorati dalla scomparsa del padre e Huda, nonostante le molte parole di conforto dispensatele da Hasiba, continuò a soffrire a causa della premurosa sollecitudine di sua madre verso il figlio minore. Percepiva l’apprensione di Iqbal per Umar come una grande ingiustizia, aggravata oltretutto dalle sue esperienze di vita all’interno dell’harem. I suoi familiari, gli amici, gli istitutori, i domestici, persino gli schiavi tendevano a fare distinzioni fra maschi e femmine. La giovane mente di Huda si era abituata a trarre conclusioni dalle azioni e dagli atteggiamenti personali di ognuno. Era una bambina perspicace ed evitava d’istinto chi mostrava di non aver rispetto per la sua persona o per la sua intelligenza.

    Huda iniziò presto a porre l’educazione e la propria realizzazione intellettuale al di sopra di tutto. Il mondo della mente la affascinava e sentiva che la vita sarebbe stata insopportabile, se la sua sete di sapere fosse rimasta frustrata. Detestava il fatto di essere donna, perché il suo sesso la privava della conoscenza che tanto desiderava, nonché della possibilità di svolgere attività sportive. Ma ebbe modo di rifarsi. Huda era una bambina robusta, che univa l’amore per la letteratura e la compagnia dei libri alla passione per i giochi all’aperto in giardino, dove amava arrampicarsi sugli alberi e sui muretti, o piantare alberi con l’aiuto del giardiniere di casa. Si scatenava all’aria aperta nelle ore pomeridiane, mentre il povero Umar era costretto a fare la siesta. Apprese a leggere e scrivere il turco ottomano e lo sceicco Ibrahim, l’insegnante di arabo di Umar, acconsentì ad aiutarla nella memorizzazione del Corano.¹⁴ Proprio come il fratello, leggeva il Corano e lo conosceva a memoria già all’età di nove anni. Come ebbe occasione di precisare più tardi, le lezioni di grammatica non erano previste. Huda ne aveva, tuttavia, fortemente bisogno. Di fatto, le vocali nelle copie stampate del Corano sono sempre messe in evidenza. Di conseguenza, il Libro sacro era l’unico che Huda potesse leggere in arabo correttamente, senza con ciò aver acquisito una conoscenza grammaticalmente adeguata della lingua. La lingua classica scritta differisce infatti dalla lingua egiziana

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