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Globalettica: Teoria e politica della conoscenza
Globalettica: Teoria e politica della conoscenza
Globalettica: Teoria e politica della conoscenza
E-book171 pagine2 ore

Globalettica: Teoria e politica della conoscenza

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Info su questo ebook

Il concetto di globalettica è ricavato dalla forma del globo. Sulla sua superficie non esiste un centro: ogni punto è ugualmente centrale. Per quanto concerne il centro interno del globo, tutti i punti della superficie sono equidistanti da esso – come i raggi della ruota di una bicicletta che si congiungono nel mozzo. La globalettica coniuga globalità e dialettica per descrivere un dialogo che influisce su tutti gli interlocutori – o multilogo – nel contesto dei fenomeni della natura e della cultura, in uno spazio globale che sta rapidamente trascendendo gli spazi delimitati in modo artificiale, come la nazione e la regione. Il globale è ciò che vedono gli esseri umani a bordo di un’astronave o di una stazione spaziale internazionale; il dialettico è la dinamica interna che essi non vedono. La globalettica abbraccia l’interezza, l’interconnessione, l’eguaglianza di potenzialità delle parti, la tensione e il movimento. È un modo di pensare e di porsi in relazione con il mondo, in particolare nell’era della globalità e della globalizzazione.
LinguaItaliano
EditoreJaca Book
Data di uscita2 gen 2022
ISBN9788816803213
Globalettica: Teoria e politica della conoscenza
Autore

Ngugi wa Thiong'o

Più volte candidato al premio Nobel, è uno dei massimi esponenti della letteratura africana. Dopo aver studiato a Kampala, in Uganda, e a Leeds, in Inghilterra, pubblica il suo primo romanzo Wheep Not, Child (1964; Se ne andranno le nuvole devastatrici, Jaca Book, 1975, 19762 ), ma è con A Grain of Wheat (1967, Un chicco di grano, Jaca Book, 1978, 2017) che guadagna fama internazionale. Nel 1977 pubblica Petals of Blood (Petali di sangue, Jaca Book, 1979), in cui condensa una dura critica alla società keniota postcoloniale. Incarcerato e poi costretto all’esilio, da tempo vive e insegna negli Stati Uniti. Nel 2015 Jaca Book ha pubblicato il saggio Decolonizzare la mente (ult. ed. 2021), seguito nel 2019 dal memoir Nella casa dell'interprete.

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    Anteprima del libro

    Globalettica - Ngugi wa Thiong'o

    POLITICA

    Dello stesso Autore

    Nella casa dell’interprete, 2019

    Decolonizzare la mente. La politica della lingua nella letteratura africana, 2015, ult. ed. 2018

    Sogni in tempo di guerra, 2012

    Petali di sangue, 1979

    Un chicco di grano, 1978, ult. ed. 2017

    Se ne andranno le nuvole devastatrici, 1975, ult. ed. 1976

    Titolo originale

    Globalectics

    Theory and the politics of knowing

    © 2012

    Ngũgĩwa Thiong’o

    © 2019

    Editoriale Jaca Book Srl, Milano

    tutti i diritti riservati

    Prima edizione italiana

    settembre 2019

    Le Wellek Library Lectures in Critical Theory si tengono annualmente presso la University of California, Irvine sotto l’egida del Critical Theory Institute.

    Le conferenze che seguono sono state tenute nel maggio 2010.

    Copertina e impaginazione

    Break Point / Jaca Book

    Stampa e confezione

    Rotolito SpA, Pioltello, Milano

    settembre 2019

    ISBN 978-88-16-80321-3

    Editoriale Jaca Book

    via Frua 11, 20146 Milano, tel. 02/48561520

    libreria@jacabook.it; www.jacabook.it

    Seguici su

    In memoria del compianto Henry Owuor Anyumba e per Taban lo Liyong, co-autori della dichiarazione del 1969;

    per tutti i membri del Dipartimento di Letteratura di Nairobi che hanno partecipato al dibattito con energia e suggerimenti creativi;

    e per tutti coloro che in seguito hanno esteso il dibattito allargandolo alla riorganizzazione della letteratura nella scuola

    INDICE

    Ringraziamenti

    INTRODUZIONE: LE RICCHEZZE DELLA TEORIA POVERA

    1 – IL SIGNORE BRITANNICO E IL SERVO COLONIALE

    2 – L’EDUCAZIONE DEL SERVO COLONIALE

    3 – IMMAGINAZIONE GLOBALETTICA: IL MONDO NEL CONTESTO POSTCOLONIALE

    4 – IL NATIVO ORALE E IL SIGNORE SCRIVENTE: ORATURA, ORALITÀ E CIBORALITÀ

    Indice analitico

    RINGRAZIAMENTI

    Un paio d’anni fa ho festeggiato il mio settantesimo compleanno a Irvine con una festa organizzata da Gabriele Schwab, David Goldberg e Ackbar Abbas. L’occasione ha attirato un gran numero di colleghi e studenti di Irvine, suscitando commenti positivi da parte – tra gli altri – di Angela Davis, del rettore Michael Drake e di Zachary Muburi-Muita, ambasciatore del Kenya presso le Nazioni Unite. Il clou è stato costituito da un’indimenticabile esibizione di Liu Sola, compositrice e narratrice cinese, e Koffi Koko, danzatore ghanese, che ci ha permesso di osservare due civiltà intrattenere un dialogo tra loro e con il presente attraverso una combinazione di suoni, silenzi, movimenti, musica per flauto e percussioni. Questa festa mi ha rammentato che ni mebwaga chumvi nyingi («ho mangiato molto sale»), come diciamo noi in kiswahili – in altre parole, che mi sono guadagnato il diritto di guardarmi indietro e di raccontare storie del passato. Non è stato un caso se poco dopo ho pubblicato il primo dei miei volumi di memorie, Sogni in tempo di guerra. Ed eccomi ora all’edizione 2010 delle Wallek Library Lectures in Critical Theory.

    Desidero ringraziare la direttrice del Critical Theory Institute, professoressa Kavita Philip, per l’invito a tenere queste conferenze, che mi ha offerto un’occasione per ripensare al mio impegno nel campo della letteratura in veste di romanziere, teorico e intellettuale pubblico nel corso degli ultimi quarantotto anni. Questo percorso comprende ovviamente gli ultimi otto anni trascorsi presso la UCI, dove ho potuto beneficiare degli scambi creativi con i miei colleghi dei dipartimenti di Letteratura Comparata, Inglese e Arti Drammatiche, del Program of African American Studies e della School of Humanities. Il tema e il percorso delle conferenze sono scaturiti da dialoghi esplorativi con la professoressa Gaby Schwab, che mi ha incoraggiato a riesaminare il tema del ritorno che attraversa la mia esistenza e il mio lavoro. Perfino quando non era presente nel campus, impegnata come visiting professor in Arizona e a Rutgers, ha trovato il tempo per discutere con me e suggerirmi riferimenti utili. Devo molto allo studio di Hegel condotto per tutta la vita dal professor John H. Smith. Abbiamo avuto numerose conversazioni, sia programmate sia estemporanee, e il professor Smith ha anche esaminato alcune delle mie bozze offrendomi utili commenti e suggerimenti. La professoressa Jane Newman, che ha dimostrato grande interesse per la gestazione di queste conferenze, mi ha fornito tonnellate di materiale sulla letteratura di tutto il mondo. Anche lei mi ha offerto utili commenti riguardo ad alcune bozze. Barbara Caldwell, la mia infaticabile assistente e ricercatrice, ha fatto fronte con tranquilla efficienza alle mie quotidiane richieste di libri e riferimenti. Mukoma wa Ngugi mi ha incessantemente fornito utili suggerimenti su letture e modalità per affrontare il mio tema. I saggi hanno raggiunto la loro forma finale dopo un intensissimo dibattito con Mukoma e sua moglie Maureen. Il professor Chris Wanjala è stato provvidenziale nello scovare materiali relativi al dibattito sulla letteratura e agli studi che hanno fatto seguito a tale dibattito. Inoltre, Wanjala e Henry Chakava mi hanno fornito alcune informazioni utili su Henry Owuor Anyumba. Sono riconoscente per l’aiuto prestatomi in termini di materiale e di informazioni da Lisa Ness Clark, responsabile amministrativa del Critical Theory Institute.

    Vorrei ringraziare molti amici, tra cui Peter Nazareth, Susie Tharu, Bahadur Tejani, Timothy J. Reiss, Patricia Penn Hilden e Meena Alexander, che arricchiscono costantemente il mio pensiero globale. La professoressa Jennifer Wicke è stata la prima a indirizzarmi lungo il percorso del pensiero consapevole e specifico sulla globalizzazione e sulla letteratura, proponendo a me e a Christopher Miller di tenere un seminario sul tema a Yale a metà degli anni Novanta. Parte delle mie riflessioni sulla globalità del postcoloniale illustrate nel capitolo 3 traggono origine da quel seminario e dai quattro anni da me trascorsi a Yale come visiting professor di Inglese e Letteratura Comparata tra il 1989 e il 1992. La professoressa Gayatri Spivak, che conobbi a casa del compianto Paul Engels nell’Iowa nel 1966, continua a ispirarmi con la sua profonda conoscenza delle lingue – europee, africane, asiatiche, grandi e piccole – e con il suo impegno a favore della visibilità delle lingue «subalterne» nel mondo accademico occidentale.

    A chi ha seguito il mio lavoro dal mio arrivo a Irvine nel 2002 apparirà evidente che le attività dell’International Center for Writing and Translation sui dialoghi globali tra lingue e culture abbiano influenzato il mio pensiero sulle opportunità offerte da un contatto a livello globale tra lingue e culture basato sullo scambio reciproco. Desidero ringraziare i membri del comitato esecutivo; lo scomparso Jacques Derrida; Karen Lawrence; Wole Soyinka; Manthia Diawara; Dilek Dizdar; Bei Ling Huang; Tove Skutnabb-Kangas; Gayatri Spivak; Lawrence Venuti; Michael Wood; l’ex-vicedirettore Dragan Kujundzic; l’attuale direttrice Colette Labouff Atkinson; i responsabili Chris Aschan e Lynh Tran; e tutti i componenti dei comitati consultivi, nonché il benefattore del centro, Glenn Schaffer.

    Vorrei inoltre ringraziare la professoressa Micere Mugu per avermi inviato il suo libro sull’oratura e i diritti umani e per i numerosi anni di collaborazione letteraria.

    Da ultimo – ma non in ordine di importanza – desidero ringraziare i miei famigliari che vivono con me a Irvine! Ho valutato ogni sorta di titoli ed esordi insieme a mia moglie Nijeri, che ha sopportato tutte le mie lamentele ribattendo «Fallo e basta!». Con ogni probabilità, mio figlio Thiong’o e mia figlia Mumbi erano arcistufi di sentirmi parlare dei Wellek perfino mentre li accompagnavo a scuola in auto, ma non lo hanno dato a vedere – e anzi continuavano a chiedermi, con spirito di solidarietà, se avevo finito con il signor Wellek.

    Be’, è impossibile «finire» con René Wellek – quando guardo a tutte le menti luminose che mi hanno preceduto e a quelle che seguiranno, René Wellek continua a ispirarmi nuovi modi di leggere la letteratura e la teoria.

    INTRODUZIONE

    Le ricchezze della teoria povera

    Benché altri pensatori letterari possano aver avuto un impatto maggiore su coloro che raggiunsero la maturità intellettuale nei primi anni Sessanta – come me, studente universitario a Makerere nel 1959-60 e dottorando a Leeds tra il 1965 e il 1967 – nessuno di noi sarebbe potuto sfuggire del tutto all’influenza, diretta o indiretta, di René Wellek. Nel mio caso posso trovare qualche analogia in più. Wellek approdò all’inglese dal ceco e dal tedesco, come ho fatto io dal gĩkũyũ e dal kiswahili. Insegnò alla School of Slavonic and East European Languages, oggi parte dell’Università di Londra. La mia alma mater, Makerere, faceva anch’essa parte dell’Università di Londra, e benché il mio campus si trovasse a Kampala in Uganda, la mia è propriamente una laurea dell’Università di Londra. Wellek insegnò nello Iowa e quindi a Yale, dove fu tra i fondatori del Dipartimento di Letteratura Comparata. Lo Iowa fu il secondo campus che visitai, dopo quello della New York University, quando misi piede per la prima volta negli Stati Uniti nel 1966 in occasione dell’International PEN Congress ospitato dal PEN American Center, all’epoca in cui Arthur Miller presiedeva l’International PEN. Anni dopo, da esule, mi ritrovai nelle vesti di visiting professor di Inglese e Letteratura Comparata a Yale per un periodo di quattro anni (1989-92), per poi trasferirmi alla New York University come docente di Inglese e Letteratura Comparata e titolare della Erich Maria Remarque Professorship of Languages. Nel 2002 mi trasferii presso la University of California, Irvine, come docente emerito di Inglese e Letteratura Comparata e fondatore-direttore dell’International Center for Writing and Translation (ICWT), nel cui ambito ci dedicavamo ai problemi della traduzione – a quello che preferivamo definire il dialogo tra lingue e culture. In un certo senso, questo dialogo tra culture, e tra letterature in particolare, costituisce anche il tema del volume Theory of Literature di Wellek e Warren in cui gli autori, fautori dell’approccio comparativistico, denunciano la scarsità di contatti tra gli studenti di lingue diverse, sottolineando le «conseguenze grottesche che si creano quando i problemi letterari vengono discussi soltanto in relazione a opinioni espresse nella lingua in questione».¹ Si riferivano alle lingue europee – soprattutto l’inglese, il francese, il tedesco e il russo – ma il concetto si può applicare anche ad altre lingue. Il motto da noi scelto per l’International Center for Writing and Translation, «culture contact as oxygen», è tratto dal Discorso sul colonialismo di Aimé Césaire, in cui egli scrive «che qualunque sia il suo genio specifico, una civiltà che si rinchiude in se stessa si atrofizza; che per le civiltà, lo scambio è ossigeno».² Il tema del contatto tra culture mediante le lingue attraversa tutte queste conferenze.

    Come membro del Critical Theory Institute (CTI), nello scegliere e affrontare il mio tema ho subito l’influenza dell’attuale interesse del centro per la «teoria povera», e della critica in essa implicita nei riguardi della teoria appesantita da elementi esornativi. La teoria povera contiene echi di The Poverty of Theory, il titolo della polemica pubblicata nel 1978 da E. P. Thompson contro Louis Althusser, filosofo marxista francese del Novecento – che a sua volta si ricollegava alla Miseria della filosofia, la critica indirizzata da Marx nell’Ottocento a un altro pensatore francese dell’epoca, Pierre-Joseph Proudhon. Nel progetto del CTI, il termine «povero» non viene utilizzato nel senso di «relativo alla povertà» – giacché anche nell’elaborare una teoria critica nessuno vorrebbe riconoscere dignità alla povertà riconoscendole una forma teorica – ma piuttosto con la finalità di riconoscere dignità ai poveri che combattono la povertà – ivi compresa, oserei dire, la povertà della teoria. Il termine «povero», a prescindere dal contesto in cui viene utilizzato, implica il minimo assoluto. Nulla potrebbe essere più minimo di un granello di sabbia – eppure William Blake poté affermare di vedere il mondo in un granello di sabbia, l’eternità in un’ora. Non potendosi concedere il lusso dell’eccesso, i poveri traggono il massimo dal minimo. La teoria povera e la sua prassi implicano la massimizzazione delle possibilità implicite nel minimo.

    La teoria povera potrebbe inoltre fornire un antidoto alla tendenza della teoria a divenire come l’aquilone che, perduto il suo ormeggio, rimane sospeso nell’aria senza alcuna possibilità di ritornare sulla terra; o anche un’ancor più necessaria critica della tendenza degli scritti teorici a sostituire la densità del pensiero con la densità verbale, in una sorta di moderno scolasticismo. Invece di interrogarci su quanti angeli possano trovare posto sulla punta di uno spillo, ci interroghiamo su quante parole possano trovare posto in una linea di pensiero. I termini in cui E. P. Thompson rigettava l'althusserismo – o se non altro l’interpretazione che egli ne dava

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