Animali domestici e selvatici in una città medievale: La Rimini malatestiana
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Anteprima del libro
Animali domestici e selvatici in una città medievale - Oreste Delucca
Conclusioni
Premessa
Quali e quanti animali popolano le città del tardo Medioevo? Può sembrare un interrogativo di scarso significato, di mera curiosità; ma non è così. Gli animali interagiscono con l'uomo, condividendone i luoghi e le presenze, contribuendo in misura significativa a determinare le forme e la qualità della vita cittadina. Per altro verso, si può osservare come l'intervento degli animali sia funzionale alle esigenze di quella società, rivelandone perciò in modo tangibile i caratteri e la natura. In sostanza, una analisi non superficiale riferita alla presenza qualitativa e quantitativa degli animali che in vario modo vi insistono, costituisce un elemento tutt'altro che marginale per comprendere i tratti più genuini di quelle città.
Basterà offrire alcuni sintetici spunti anticipatori per darne ragione. La mobilità delle persone, il trasporto delle merci, il lavoro degli opifici, si avvalgono in misura massiccia e in taluni casi addirittura esclusiva dell'apporto animale. Le esigenze alimentari dei cittadini vengono soddisfatte in misura nientaffatto secondaria grazie ai diversi tipi di bestiame che sono allevati entro le stesse mura urbane. Anche la caccia, lo svago e il divertimento, nel concreto, si realizzano molto spesso tramite la presenza e l'utilizzo di particolari specie animali. Orbene, tutto questo determina la necessità di spazi e strutture edilizie specifiche; comporta un rapporto uomo-animale, una correlazione, una promiscuità non priva di conseguenze: si pensi solo agli aspetti igienici che ne derivano, tali da aggravare ulteriormente la nota insalubrità dell'habitat urbano di allora. Persino gli animali presenti in effigie, così numerosi e colorati in quel tempo, concorrono ad influenzare l'immaginario collettivo. Rendere esplicita e palese questa componente non trascurabile della vita e delle strutture urbane tardomedievali: ecco dunque lo scopo della presente ricerca.
L'indagine assume come specifico termine di riferimento una città di media grandezza dell'Italia centro-settentrionale: la Rimini del Tre-Quattrocento[1].
Tuttavia i numerosi rimandi ad attestazioni similari, ricavati da molteplici fonti, contribuiscono a delineare un quadro che può ritenersi sufficientemente rappresentativo della condizione di molte altre realtà urbane coeve.
Siamo dunque nella Rimini malatestiana, rinserrata entro le sue mura, divisa nelle 22 contrade e nei suoi borghi, attorniata da una cerniera di orti e colture intensive che lasciano gradatamente spazio ai campi aperti e ai poderi. Una città che conta all'incirca 2.500 case e 10.000 abitanti (ma sono cifre da assumere con prudenza)[2]. Ancor più approssimativa è la nostra conoscenza circa il numero e la specie degli animali presenti. Si può solo dire che sono numerosi, certamente assai più numerosi di oggi, specie se rapportati all'entità delle persone. Volendo passarli in rassegna, è bene distinguerli in quattro nuclei principali:
- animali destinati all'alimentazione cittadina;
- animali da lavoro e da trasporto;
- animali da compagnia o svago o ricreazione o divertimento;
- animali che potremmo chiamare virtuali
, presenti solo in effigie.
[1] Una sintesi del presente saggio è stata presentata al LVII Convegno annuale della Società di Studi Romagnoli
tenutosi a Rimini nell'ottobre 2007. L'intervento era rimasto a tutt'oggi inedito.
[2] Per tutto questo, cfr. O. Delucca, L'abitazione riminese nel Quattrocento. Parte seconda: la casa cittadina, Rimini 2006, passim.
Animali destinati all'alimentazione
Gli animali da cortile
In assoluto, la presenza più diffusa nella città è data dagli animali da cortile, polli soprattutto, seguiti dai colombi di cui parlerò fra poco (quelli privati, naturalmente, non quelli pubblici che conosciamo oggi). Sono molte le case dove si rinviene una stanza da polli
(allora il termine pollaio
non era in uso), o di un cortiletto da polli
; e se l'abitazione non è dotata di uno spazio apposito, si utilizzano le stanze da legna, le cantine o altri disimpegni, dove tenere una stia da polli
, che compare abbastanza spesso. E questo avviene in tutte le contrade, anche quelle centrali, non solo nelle zone periferiche o nei borghi. La produzione domestica di uova e carne per l'uso della famiglia – attuata allevando gli animali da cortile – può sembrare una cosa di portata modesta (e presa isolatamente forse lo è); ma, collegata ad altre risorse dello stesso segno, diventa importante e aiuta a cogliere uno degli aspetti chiave che caratterizzano la struttura e la vita della città medievale: la ricerca costante della sicurezza per quanto riguarda la provvista alimentare, perseguita quanto più è possibile attraverso l'autosufficienza.
Nel Medioevo la popolazione urbana (a Rimini come altrove) ha seri problemi di rifornimento: per le difficoltà di trasporto e conservazione dei prodotti; per le frequenti situazioni di precarietà e pericolo dovute a guerre, assedi, occupazioni, saccheggi; per l'aleatorietà dei raccolti e l'eccessiva dipendenza dal grano (qui occorrerebbe aprire un discorso sull'agricoltura e sulle abitudini alimentari del tempo)[1]. Talora è difficile approvvigionarsi anche avendo i mezzi economici. Sicché il cittadino, da un lato cerca di acquisire le scorte nel periodo dei raccolti, per poter superare indenne la stagione invernale; ma al tempo stesso si preoccupa di ricavare in proprio, direttamente, tutto quanto gli è consentito. Ecco spiegata, allora, (accanto all'allevamento del pollame e dei colombi) anche la frequenza degli orti urbani che corredano molte abitazioni, anche nelle aree centralissime, dove oggi non immagineremmo nemmeno lontanamente la presenza di aree coltivate[2].
In aggiunta agli spazi inseriti fra le case, esistono alcuni settori della città di Rimini completamente sgombri da edifici, dove gli orti assumono dimensioni ragguardevoli, dove compaiono veri e propri poderi con vigneti e colture arative[3]. Oltre a ciò, si registra frequentemente la consuetudine di curare un campicello o una vigna, appena fuori porta; sicché parecchi cittadini, alla professione principale, abbinano spesso il lavoro della propria terra. Senza contare l'aspirazione di molti alla proprietà di un podere (magari piccolo) nel contado, visto come garanzia di provvista alimentare diretta, ancor prima che come fonte di rendita monetaria o come elemento di prestigio.
Tutto quanto detto finora, assume un forte rilievo nella vita della gente: è un legame con la terra, anche se si sviluppa in ambiente cittadino; è un legame che la città mantiene con l'agricoltura (e non dimentichiamo che l'agricoltura è la principale attività del Medioevo); è un cordone ombelicale che i cittadini, quasi tutti di recente inurbamento, mantengono con la loro origine; è un cuneo attraverso il quale l'agricoltura (con i suoi meccanismi materiali e mentali) penetra profondamente nella città e la permea tutta. Se entriamo nelle case della Rimini quattrocentesca, troviamo i medesimi attrezzi agricoli che compaiono nelle case di campagna[4]; e d'altronde, la stessa abitudine del tenere i polli è un portato della mentalità e delle abitudini contadine. Non si riesce a capire la città medievale se non si riflette su queste cose. E ancora – sotto il profilo urbanistico – le presenze degli orti, delle colombaie, dei pollai e dei relativi cortiletti che si insinuano fra le case, sono tutti elementi che ci aiutano anche a capire l'edilizia del tempo, molto più articolata di oggi, molto meno compatta, caratterizzata da una infinità di interstizi, spesso angusti e bui, quasi sempre maleodoranti e malsani. è un argomento che andrebbe sviluppato, abbinandolo all'analisi delle condizioni igieniche, per affrontare nel loro complesso le problematiche della salute e della malattia nella città medievale (qualche breve considerazione emergerà più avanti). Così come la citata preoccupazione di accumulare le provviste alimentari fra un raccolto e l'altro andrebbe vista anche per le sue influenze sulla struttura della casa: si pensi alla frequenza della cantina e del granaio[5], nonché delle fosse da grano
che, oltre alle singole abitazioni, interessano alcuni settori della città con forti concentrazioni[6].
Questa digressione spero sia stata utile per far comprendere come la presenza degli animali da cortile, al pari di altre presenze, non vada considerata una semplice nota di colore, ma un elemento significativo, costitutivo della città medievale. Le fonti d'archivio riminesi offrono numerose testimonianze, soprattutto grazie agli inventari domestici, che si sono conservati in gran numero, specie per il XV secolo[7]. Le descrizioni citano di frequente casupole, stanze e stanziole, cortili e cortiletti dove si tiene pollame (ad retinendum pullos), talora con destinazione promiscua; eccone alcuni sintetici riferimenti:
- cortili ad pullos tenendos, in contrada S. Bartolo[8];
- stantia pullorum et furni, in contrada S. Bartolo[9];
- cortile di pulli, in contrada S. Bartolo[10];
- stantia da i pulli, in contrada S. Agnese[11];
- domo a pullis, in contrada S. Andrea[12];
- mansione ad retinendum pullos, in contrada S. Andrea[13];
- stantia da pulli, in contrada S. Andrea[14];
- cortiletto a pullis, in contrada S. Silvestro[15];
- stantia pedoplana ubi stant pulli,