Baldovino IV di Gerusalemme: Il re lebbroso
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La storia di Baldovino VI fu invece sorprendente: un giovane cavaliere crociato che vide la sua giovinezza e la sua forza divorate dalla lebbra e che tuttavia mai si arrese al male, che prese su di sé come una croce da portare in battaglia. Invece di chiudersi nella difesa di Gerusalemme, Baldovino decise di attaccare, invece di essere docile strumento nelle mani di duchi e conti, tenne loro testa; malato e ormai in punto di morte si pose alla testa del suo esercito nella battaglia di Montgisard. Vinse issando la reliquia della Vera Croce. Il re lebbroso si spense il 16 maggio 1185 a soli 24 anni e riposa nel Santo Sepolcro di Gerusalemme.
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Anteprima del libro
Baldovino IV di Gerusalemme - Ilaria Pagani
ILARIA PAGANI
Baldovino IV
di Gerusalemme
Il re lebbroso
I edizione, aprile 2019
©Graphe.it Edizioni di Roberto Russo , 2018
tel +39.075.37.50.334 – fax +39.075.90.01.407
www.graphe.it • graphe@graphe.it
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Baldovino IV di Gerusalemme
Il re lebbroso
Testa di cavaliere.
courtesy: The Israel Museum Jerusalem
INDICE
Introduzione
IDal pellegrinaggio al pellegrinaggio armato
II Il Regno di Gerusalemme e la società crociata
III Baldovino IV. Un bambino malato
IV Incoronazione e inizio del regno di Baldovino IV
VBaldovino prende la sua Croce
VI La morte del re e la fine del Regno di Gerusalemme
VII Conclusioni
Note
Appendice
La Città di Gerusalemme e la Vera Croce
Tavole cronologiche
Bibliografia
INTRODUZIONE
BALDOVINO IV
Il volto di un giovane guerriero crociato scolpito nella pietra incorniciato dalla cinghia di un elmo, il naso dritto, le labbra carnose che ne denunciano la giovane età e gli occhi che guardano oltre il nostro tempo, forse fissati dello scultore nella contemplazione del Sepolcro o della reliquia della Vera Croce…¹. Non conosciamo l’identità di questo giovane, né tantomeno ci resta alcuna rappresentazione dell’aspetto di Baldovino IV di Gerusalemme, ma ci piace immaginarlo così, prima che il suo viso venisse deturpato dalla lebbra. Tutte le raffigurazioni che troveremo non saranno quindi che puro frutto di immaginazione, fino alla misteriosa maschera che copre il volto del re nel film di Ridley Scott².
La vita di Baldovino IV re di Gerusalemme continua ad affascinare l’uomo moderno, ci porta indietro nel Medioevo, al tempo mitico dei cavalieri, delle dame, delle crociate per liberare e difendere il Santo Sepolcro, all’età dell’amor cortese e al contempo ad un mondo in cui malattie come la lebbra erano incurabili ed erano considerate conseguenza di un male spirituale. Bene o male tutti conserviamo il senso del fantastico e dell’avventura che ci è stato trasmesso da tanti racconti ascoltati nell’infanzia, le vicissitudini dei paladini di Carlo re di Francia sconfitti a Roncisvalle, e ancor più le storie di Artù, dei suoi Cavalieri alla ricerca del Graal, di Lancillotto e Percival:
Viveva con sua madre in Cornovaglia:
un dì trasecolò nella boscaglia.
Nella boscaglia un dì, tra cerro e cerro
vide passare un uomo tutto ferro.
Morvàn pensò che fosse San Michele:
s’inginocchiò: «Signore San Michele,
non mi far male, per l’amor di Dio!».
«Né mal fo io, né San Michel son io.
No: San Michele non poss’io chiamarmi:
cavalier, sì: son cavaliere d’armi»³.
Queste storie sono come mattoni che hanno costruito il nostro immaginario medievale, ovviamente deformando, abbellendo, rendendo romantica una realtà che era ben più complessa e dura. Con la storia del re lebbroso di Gerusalemme tocchiamo uno dei punti più discussi e anche più affascinanti dell’epopea medievale, quello delle crociate, delle loro motivazioni, ideali per alcuni, ben più concrete per altri, epopea religiosa oppure grande campagna di conquista, probabilmente entrambe le cose, senza che i due aspetti possano veramente e definitivamente considerarsi distinti.
La materia per noi ora è questa: un re franco ereditò il Regno di Gerusalemme e la custodia della più sacra delle reliquie, prese su di sé la difesa della cristianità contro il suo fiero e feroce
rivale Saladino, il suo alter ego, anche lui entrato nel mito. Ma nella storia che vogliamo raccontare c’è di più, il nostro giovane re è malato, molto malato e di un male incurabile e maledetto
, la lebbra, un male anch’esso leggendario. C’è dunque materia per i trovatori, per i cineasti, ma anche per i biografi che cercano di ricondurci alla realtà dei fatti.
Inizieremo quindi rivolgendo lo sguardo al tempo e al mondo in cui il nostro re visse, l’epoca delle crociate, quando i cavalieri dell’Occidente medievale si riversarono in Terrasanta per liberare e proteggere i luoghi in cui era nato il Cristianesimo. Il giovane re eletto a Gerusalemme nel 1174 era infatti uno di loro, un membro della società guerriera e feudale europea che si era trapiantata in oriente. Per comprendere il carattere straordinario di questo principe guerriero, cercheremo di entrare nello spirito dell’età crociata, di avvicinarci agli uomini e ai loro valori, alle caratteristiche della società in cui viveva, di conoscere i santuari cristiani che furono la ragion d’essere del suo mondo e di ricordare le guerre combattute dai suoi avi prima di lui. Alla fine vedremo emergere la sua personalità forte, nonostante l’età e la malattia, con quella forza d’animo che fece di lui un grande cavaliere, secondo i criteri dei suoi pari, ma che al tempo stesso lo elevò al di sopra di essi.
Baldovino IV di Gerusalemme è infatti un personaggio entrato ormai nel mito, di cui gli storici però si sono di rado occupati in maniera diretta. Nel racconto della sua vita terremo sempre presente la testimonianza di Guglielmo di Tiro nella sua Historia rerum in partibus transmarinis gestarum, nonché la continuazione di questo testo che fu redatta da Ernoul, La Cronique d’Ernoul et de Bernard le Trèsorier, per gli anni successivi alla morte del primo autore⁴.
Gli stati crociati.
da: G. LIGATO, Sibilla regina crociata, Milano 2005
CAPITOLO I
DAL PELLEGRINAGGIO AL PELLEGRINAGGIO ARMATO
Spinti dal desiderio sincero di liberare il Sepolcro di Cristo, ma non meno dallo spirito di avventura e conquista, molti di questi guerrieri erano partiti alla volta dell’oriente per assolvere un giuramento e un voto cui erano stati chiamati dal Concilio di Clermont. Dopo la conquista del Santo Sepolcro alcuni di loro decisero di non fare ritorno a casa, ma di rimanere in oriente: forse coloro che decisero di restare furono poco più di un 15% sul totale, ma furono questi cavalieri a dare vita ai nuovi regni della Terrasanta diventando potenti signori di domini locali, a dispetto delle primitive e più sincere intenzioni religiose della crociata.
Nel 1095 a Clermont papa Urbano II aveva solennemente chiamato la Cristianità al pellegrinaggio armato e la risposta era stata entusiastica; contadini, nullatenenti, cavalieri, figli cadetti di stirpi reali, tutti si erano detti disposti a lasciare le loro terre per raggiungere la Terrasanta e liberare il Santo Sepolcro.
Intorno all’anno mille il pellegrinaggio in se stesso non era certamente pratica nuova, poiché sin dall’epoca di Costantino il Grande si era dato grande rilievo alla centralità di Gerusalemme, al suo ruolo come luogo della vita terrena, della morte e resurrezione di Cristo. L’imperatrice madre Elena era stata colei che aveva aperto la strada all’idea stessa di pellegrinaggio, inteso come contatto mistico con i luoghi di Cristo, come ricerca della sacra reliquia che realizza pienamente l’idea dell’incontro fisico con la Passione di Cristo. La scoperta della reliquia della Vera Croce da parte di Elena ebbe però anche, da subito, un valore che andava ben oltre quello religioso, in quanto la veridicità dei luoghi santi divenne uno dei sostegni appunto fisici
, alla politica imperiale. Per servire all’unità dell’Impero, il nuovo credo aveva bisogno infatti non solo di sogni e visioni, ma di un oggetto concreto che desse testimonianza storica del Dio cristiano. Il Cristianesimo divenne per l’Impero un nuovo collante, la Croce stessa si mutò da strumento di tortura e morte in un simbolo di vittoria da apporre sulle insegne militari, da rappresentare nei luoghi di culto di tutto l’orbe romano. La Vera Croce si manifestava dunque agli occhi dei cittadini quale oggetto concreto, tangibile, riflettendo in questo la mentalità pragmatica della costruzione statale romana. Costantino stesso fece monumentalizzare il sito della Natività a Betlemme e soprattutto fece erigere la chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme: questi due santuari rimarranno nel corso dei secoli i punti di riferimento del pellegrinaggio in Palestina, i pellegrini continuarono ad affluirvi, seguendo le orme di Elena, Eteria e Gerolamo nel IV secolo, mentre nel V secolo un’altra imperatrice, Eudossia, si dedicò alla ricerca di altre reliquie, stabilendosi addirittura a Gerusalemme da dove inviava questi tesori a Costantinopoli.
Le reliquie di Cristo, della Vergine e dei martiri, viaggiavano dunque sin da allora attraverso l’impero per mare o per via di terra, sfruttando la rete di vie commerciali e militari che ancora collegavano le diverse province: da Gerusalemme a Costantinopoli, a Roma, e dalle grandi capitali del mondo antico a tutti i paesi cristiani; in senso inverso, dall’occidente verso l’oriente, viaggiavano i pellegrini.
Questa circolazione dall’epoca costantiniana si protrasse fino alla conquista araba di Siria, Palestina ed Egitto tra VII e VIII secolo; l’irrompere dell’Islam nel bacino del Mediterraneo comportò senza dubbio una cesura storica, tuttavia va rilevato che nonostante ciò i pellegrinaggi dei cristiani d’Occidente non si interruppero mai del tutto. Questi viaggi della fede continuarono, seppure in misura molto ridotta, durante l’età carolingia, e di nuovo ripresero vigore a partire dal X-XI secolo, seguendo però itinerari in parte diversi da quelli antichi, meno diretti, che attraversavano ora i Balcani, oppure l’Italia fino a Bari per poi proseguire dall’altra parte del mare lungo la via Egnatia, per arrivare a Costantinopoli; dalla capitale bizantina si poteva poi viaggiare fino ad Antiochia da cui si entrava nei domini musulmani; oppure si poteva tentare la traversata via mare sulle navi mercantili che avevano ripreso a navigare il Mediterraneo. In ogni caso i pellegrinaggi medievali tendevano a fare tappa sul Bosforo per ammirare quella che era la più grande città del mondo conosciuto, ricca di palazzi, chiese e più importante ancora, ricchissima di reliquie⁵. Anche Antiochia rappresentava una tappa importante in quanto luogo della prima predicazione dell’Apostolo Pietro, ma certo la meta era Gerusalemme, luogo fisico e insieme mistico e, oltre alla Città Santa, vi erano altri siti importanti per il pellegrino come Betlemme, Nazareth, Tiberiade, il fiume Giordano, tutti i luoghi che insomma parlavano dell’esistenza terrena di Cristo.
Chi partiva per un simile lungo viaggio sapeva che molto probabilmente non sarebbe più tornato a casa: si moriva lungo il cammino, per stenti, malattia, a causa dei pirati nel Mediterraneo, oppure si moriva, ed era questo un privilegio, a Gerusalemme.
La Città Santa era stata strappata ai bizantini dagli arabi già nel 637 e quindi era passata ai fatimidi che dominavano l’Egitto nel 972. Va ricordato però che tradizionalmente i luoghi santi di tutto l’oriente cristiano, ricadevano sotto la sfera di influenza religiosa e culturale dell’Impero Bizantino, anche ove esso non esercitava più il controllo diretto, militare e politico. È questo appunto il caso dei santuari cristiani di Gerusalemme, già caduti in mani islamiche; a Costantinopoli veniva riconosciuta una sorta di autorità morale ed era quindi l’Imperatore di Bisanzio che doveva garantire la sicurezza dei pellegrini che si recavano in oriente, quasi si trattasse di un defensor fidei. L’uso che alla corte costantinopolitana si faceva della diplomazia forniva spesso tutte le garanzie indispensabili a chi intraprendeva lunghi viaggi nelle terre degli infedeli.
Questa situazione di relativa tregua per i pellegrini resse appunto fino all’epoca delle Prima Crociata quando tutto cambiò. In Europa giunsero notizie di quanto avveniva in terra d’oltremare: i racconti dei pellegrini che riuscivano a tornare certamente riferirono delle difficoltà incontrate, della distruzione del Sepolcro a Gerusalemme da parte del califfo fatimide al-Hakim bi-Amr Allah (1009); pochi anni prima della chiamata di Clermont, nel 1071, a Gerusalemme arrivò il turcomanno Atsiz che fece strage della popolazione locale ribelle, senza fare alcuna distinzione tra cristiani, ebrei e musulmani; l’avanzata dell’Islam sembrava inarrestabile, soprattutto dopo la vittoria di Manzikert contro Bisanzio nel 1071⁶. Infine nel 1076 arrivarono i turchi selgiuchidi, sunniti, che presero la Città Santa, e restarono sempre in conflitto con gli sciti che dominavano l’Egitto; questi ultimi poi riconquistarono la città nel 1098, appena prima dell’arrivo dei crociati⁷.
L’atmosfera in Occidente alla fine del secolo XI era completamente cambiata; Guglielmo arcivescovo di Tiro nella sua trattazione sostiene che il compito di proteggere la fede cristiana in Oriente era passato dai bizantini ai crociati proprio dopo la sconfitta dell’Imperatore Romano da parte dei turchi del sultano Arp Arslan nel 1071; i selgiuchidi si erano spinti fino in Asia Minore, dove controllavano ormai molte terre che erano state di Costantinopoli e allo stesso tempo contendevano agli arabi la Palestina che questi ultimi avevano occupato fino ad Ascalona⁸.
Un equilibrio si era quindi ormai spezzato e in una tale situazione l’uso della guerra per proteggere il pellegrinaggio verso la Terrasanta diventava indispensabile. Gregorio VII (1073-1085) aveva compreso la necessità di un intervento armato in oriente, ma nulla di concreto era stato fatto per i contrasti tra la Sede Romana e l’imperatore del Sacro Romano Impero, Enrico IV. In ogni caso guerra e fede trovarono proprio allora una saldatura giustificabile agli occhi degli occidentali. Il pellegrinaggio si stava trasformando in pellegrinaggio armato. Una sorta di passaggio di consegne che faceva degli europei i nuovi garanti della fede cristiana e di quanti volessero recarsi in Terrasanta.