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Riverton
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E-book451 pagine6 ore

Riverton

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Info su questo ebook

Nella cornice di Riverton, la splendida dimora di famiglia in riva al mare, in una Long Island degli anni 50, la famiglia Spencer vive un’estate densa di cambiamenti. I tre figli del ricco Kenneth Spencer sono chiamati a diventare adulti, quando la vita li pone dinnanzi a delle scelte. Nathaniel, l’erede designato, dovrà decidere se soff ocare la propria felicità, pur di essere all’altezza delle aspettative di suo padre, la fredda e bellissima Nicole si scontrerà con una realtà che, una volta tanto, non riuscirà a piegare alla sua volontà, mentre lo scapestrato Lawrence travolgerà la famiglia con la sua imprevedibilità.
LinguaItaliano
Data di uscita9 lug 2019
ISBN9788831629409
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    Anteprima del libro

    Riverton - Barbara Battistelli

    luce.

    DORY

    Dory finì di trascinare l’ingombrante recipiente fino alla porta di servizio che dava sul cortile. Anche vuoto, quel coso pesava un accidente.

    L’accordo stretto con Whig prevedeva che, ogni volta che consumavano fino all’ultima patata, Dory portasse fuori la cassetta e gliela lasciasse sulla panca, sotto la tettoia. Il compito del tuttofare era riempirla di nuovo fino all’orlo e risistemarla al suo posto, in dispensa.

    Il sistema all’inizio le era parso comodo, perché le risparmiava ogni interazione con l’odioso ometto, ma in realtà, quando le toccava il compito di trascinare il recipiente dalla dispensa attraverso la cucina e infine al cortile, finiva col mal di schiena per un giorno intero, nonostante fosse un lavoretto di pochi minuti.

    Sperava che quel genere di incombenze da ora in avanti sarebbe toccato alla nuova sguattera, attesa quel giorno, alleviando in parte le sue fatiche, ma non era tanto sicura che il suo arrivo le sarebbe stato di grande aiuto.

    In realtà Anna, così le avevano detto che si chiamava, non era mai stata a servizio. Era la figlia della signora Hastings, segretaria del signor Spencer. Nonostante avesse già 16 anni, studiava ancora, e la madre le aveva trovato un impiego per l’estate per portare a casa qualche spicciolo. Aveva ambizioni per lei, nonostante la signora Brenton, la cuoca, le avesse detto che non erano ricchi. Ma erano americani, e come tali convinti che le persone nascessero tutte uguali, aveva aggiunto, col tono di chi si limitava a ripetere la più stupida assurdità mai sentita. Per questa ragione la ragazzina era ancora appresso ai libri.

    Il signor Spencer aveva permesso che venisse in casa a dare una mano visto che la signora Mawd, la governante, si lagnava spesso che era un vero miracolo riuscire a mandare avanti la casa con così poco personale. Anna era stata il contentino che il signor Spencer le aveva accordato. Se non altro per i mesi estivi.

    Dory si chiese che tipo si sarebbe trovata di fronte: lei sapeva leggere a malapena e, nonostante avesse appena 17 anni, non ricordava quando aveva preso in mano l’ultimo libro.

    Quindi, se da un lato aveva maggior esperienza, e un anno in più, era consapevole che sarebbe stata la più ignorante delle due, e non sapeva bene in che status la situazione la ponesse. Sospirò. Nella sua cara, vecchia Inghilterra le cose sarebbero state di sicuro più chiare. Lì, la figlia di una donna costretta a lavorare per vivere sarebbe stata di sicuro mandata a servizio, e l’anzianità e le competenze le avrebbero riservato un posto chiaro nella scala gerarchica della servitù di una famiglia alto borghese.

    In realtà, Dory aveva emesso il suo primo vagito su suolo americano, dell’Inghilterra sapeva pochissimo e dubitava che nel corso della sua vita sarebbe riuscita mai a vederla, ma aveva assimilato dalla signora Brenton il concetto che nella madrepatria ogni cosa era migliore, quindi nel suo immaginario la terra d’oltreoceano aveva assunto contorni onirici. Pascoli verdi e graziosi villaggi, dove si mangiava meglio, la vita era più tranquilla e soprattutto un ordine certo e immutabile, consolidato nei secoli, sosteneva le fondamenta della società.

    La situazione quindi la intimidiva.

    Coltivava in segreto la speranza che questa Anna potesse rivelarsi una simpatica compagnia. Certo, lei non era pagata per chiacchierare, come la signora Brenton le ripeteva spesso. Ma avere qualcuno con cui scambiare due parole di tanto in tanto avrebbe potuto rivelarsi un diversivo piacevole, considerando come trascorreva le sue giornate. Non dubitava dell’affetto della sua mentore, ma la cuoca aveva la tendenza a venire presa dal panico quando in casa venivano date cene di un certo livello. Spesso, nei momenti di tensione, tendeva ad abbaiare i propri ordini con modi abbastanza bruschi. Per non parlare dei bronci del terribile Whig (nella sua testa, quando parlava tra sé e sé, si prendeva la piccola rivincita di definirlo semplicemente Whig, mai signor Whig… un vero signore non l’avrebbe mai trattata in quel modo).

    In realtà, la casa abbondava di servitù, e ancora non aveva ben chiaro quale sarebbe stato il ruolo della nuova ragazza. Oltre a loro, che servivano in cucina, la signora Mawd dirigeva due cameriere, che si occupavano della signora Spencer e di sua figlia, e due camerieri, che servivano il signor Spencer e i figli.

    Whig veniva utilizzato più o meno come tuttofare, ma per le faccende di un certo rilievo e come autista c’era Patterson, l’uomo di fiducia del signor Spencer; in caso di ulteriore necessità veniva chiamato in supporto il nipote della signora Mawd, Richie, un ragazzo brufoloso ma simpatico che, di tanto in tanto, le strizzava l’occhio con fare malizioso.

    Confinata in cucina, Dory interagiva pochissimo con i proprietari di Riverton e i loro numerosi ospiti. Spesso, quando riusciva a sottrarsi al controllo della signora Brenton, le toccava infilarsi nell’angolo più buio e polveroso del seminterrato per sbirciarli attraverso un lucernario, con le loro auto eleganti e gli abiti mozzafiato. Nonostante servisse in quella casa da più di tre anni, non era nemmeno mai entrata in tutte le stanze.

    La signora Brenton le aveva confidato che avevano ben quindici camere da letto, per non parlare dei bagni, dei gabinetti e degli spogliatoi dei piani di sopra. La servitù era confinata nelle stanze sul retro, e solo le cameriere e i camerieri si avventuravano ai piani superiori. Cosicché Dory, nonostante la curiosità, ancora non aveva avuto il piacere di esplorare gli angoli più reconditi di Riverton.

    Depositato il recipiente delle patate nel punto consueto, Dory tornò in dispensa per prendere le spezie essiccate di cui la signora Brenton aveva bisogno per l’arrosto, che di lì a poco avrebbe iniziato a farcire.

    A lei sarebbe toccata la preparazione delle due salse di accompagnamento, mentre la torta al limone, le due torte salate e la zuppa erano già in cottura.

    Quella sera Lawrence e Nathaniel, i figli di primo letto del signor Spencer, sarebbero tornati a casa dopo la chiusura del semestre al college, e la cena doveva essere all’altezza. Per dar loro il benvenuto, era stata invitata anche la signora Helene Purdit, sorella del signor Spencer e zia dei ragazzi, con sua figlia Susan, e la signora Towerton, un’amica di famiglia che frequentava la casa da sempre.

    Dory ovviamente non era riuscita a sbirciare la tavola da pranzo, che era già stata apparecchiata, ma Lucille, la più giovane delle cameriere, le aveva confidato che per l’occasione era stato utilizzato il miglior servizio di porcellane di Meissen, le posate d’argento erano state lucidate con minuziosa cura, e otto varietà di vino sarebbero state servite nei calici di cristallo di Boemia, dono delle prime nozze della nonna del signor Spencer, ad accompagnamento delle diverse portate.

    Al pensiero del ritorno a casa di Nathaniel, represse un brivido di eccitazione. Il piccolo lord, come lo chiamavano lei e Lucille quando erano lontane da orecchie indiscrete, sembrava l’incarnazione stessa del concetto di nobiltà: un sorriso franco e galante si apriva su una bocca ben disegnata, dal labbro inferiore pieno, mentre il superiore era leggermente più sottile. Occhi scuri dallo sguardo profondo, distanziati, un naso aquilino, ben proporzionato, davano carattere a un viso morbido e dai tratti delicati. I capelli, scurissimi, erano pettinati sempre all’indietro con gran cura. Il fisico era longilineo e asciutto. Il signorino Nate vestiva con la massima eleganza, e il suo ingresso in una stanza era sempre anticipato dall’aroma di un costoso profumo che si faceva recapitare direttamente dalla Francia e di cui non poteva mai rimanere sprovvisto. Mostrava sempre il massimo rispetto anche verso la servitù, e i sorrisi che non tralasciava mai di elargire a lei e a Lucille, se avevano la fortuna di incrociarlo nel corso delle loro attività domestiche, riuscivano a illuminare anche le giornate più grigie.

    Tutte le ragazze in età da marito che mettevano piede a Riverton rimanevano affascinate dalle perfette buone maniere di Nathaniel Spencer, dalla sua vasta cultura, dal racconto delle sue prodezze sportive e dei suoi viaggi. Dory le guardava tutte con un misto di pietà e condiscendenza. In veste di domestica, sapeva bene che il signorino Nate rimaneva per lei irraggiungibile quanto il principe azzurro delle favole, e non aveva mai pensato che potesse guardarla sul serio, ma dalla prima volta in cui l’aveva visto, aveva popolato i suoi sogni romantici.

    Traeva però la sua piccola soddisfazione dal sapere che anche le altre fanciulle che gli svolazzavano attorno, cercando di conquistarlo con grande sfoggio di abiti e conversazione brillante, erano destinate a tornarsene a casa sconfitte, perché la priorità del signorino era portare a termine gli studi a Princeton con il massimo dei voti ed entrare nell’azienda di famiglia.

    Lawrence, il fratello minore, era tutt’altro paio di maniche. Quando era in casa, una lieve ma inespressa tensione aleggiava costantemente nell’aria. La sua presenza sembrava scontentare tutti, a partire da lui stesso.

    Il signor Spencer era più scontroso del solito quando aveva suo figlio minore tra i piedi, la signora Spencer, seconda moglie e quindi matrigna di Lawrence, sembrava sempre disgustata dai modi grezzi del figlioccio.

    Nicole, sua figlia, non faceva mistero di non riuscire a tollerare l’insolente fratellastro.

    Come Nathaniel aveva ereditato i suoi tratti dal padre, Lawrence era la fotografia della madre, morta dandolo alla luce. Aveva un viso quasi femminile, con occhi trasparenti e capelli biondissimi, sempre spettinati. Labbra carnose, naso sottile e una carnagione dal pallore accentuato dai bagordi a cui era dedito, fisico magro e spigoloso.

    Dory aveva sentito la governante raccontare alla signora Brenton che oramai era stato espulso da tutti i college che godessero di qualche prestigio nel paese, ma che il padre era riuscito a costringerlo a terminare gli studi in una scuola privata a Philadelphia, talmente costosa da tollerare qualsiasi comportamento pur di continuare a incamerare la retta che genitori disperati come il signor Spencer erano disposti a corrispondere, pur di trovare una qualche sistemazione a figli disgraziati.

    Lawrence non faceva mistero di bere come un marinaio, amava intrattenersi con ogni genere di compagnia, meglio se di pochissima o nessuna rispettabilità, passava le giornate a letto fino a tardi e spariva per notti intere.

    Dory ricordava bene il giorno che aveva aperto la porta di servizio per ritirare il latte, e per poco non era morta di spavento trovandolo svenuto sulla panca del cortile, mentre russava pesantemente, senza soprabito e decisamente maleodorante. Non sapendo che fare, aveva immediatamente avvisato la signora Brenton, che a sua volta si era consultata con la governante e di comune accordo il signor Lawrence era stato spostato di peso, con l’aiuto del signor Whig, e portato a letto, senza che ciò riuscisse minimamente a turbare il suo sonno alcolico. A Dory era sembrata una delle scene più ripugnanti che le fosse mai capitato di vedere. Pensava che fosse una fortuna che Lawrence tornasse così di rado a casa, e tiravano tutti un sospiro di sollievo quando se ne andava.

    Stranamente, l’unica persona che sembrasse tollerarlo di buon grado e trarre piacere dalla sua compagnia era il signorino Nathaniel. Dory era convinta che fosse segno del suo grande cuore e della sua magnanimità. Del resto, rifletté, se il prezzo da pagare per godere della compagnia del signorino Nathaniel in casa fosse stato tollerare anche il fratello… beh, la famiglia lo avrebbe pagato.

    Che eccitante giornata le si prospettava, una volta tanto. Tutta allegra, si affacciò in sala domestici per l’ennesima volta per vedere se la nuova aiutante di casa era già arrivata.

    NICOLE

    Nicole gettò con stizza l’ennesimo abito sul letto.

    Quella sera voleva apparire particolarmente carina, ma non cercava il tipo di bellezza che l’avrebbe messa in risalto di fronte a dei giovanotti. A cena voleva interpretare il ruolo di figlia devota, la progenie di cui essere fieri, studiosa talentuosa e debuttante di successo.

    Una volta tanto, aveva bisogno di vestirsi per suo padre: allo specchio aveva tentato di giudicarsi attraverso i suoi occhi.

    Tutto quello che aveva provato fino a quel momento le era parso poco adatto. Di solito, quando acquistava o decideva di farsi confezionare un vestito nuovo, teneva presente l’effetto che avrebbe avuto davanti a un possibile pretendente. Possedeva completini maliziosi, che solitamente puntavano su un unico dettaglio conturbante: un centimetro di scollatura di troppo, qualche trasparenza ben calibrata, in grado di far decollare la fantasia del genere maschile. Gradiva e teneva in gran conto i suggerimenti di sua madre, la migliore tra le amiche.

    Ma in quel caso, sapeva che su quel determinato argomento non la pensavano alla stessa maniera, e che avrebbe avuto bisogno dell’appoggio del padre.

    Non gliene avrebbe parlato a cena.

    Non era nemmeno certa che avrebbe potuto aprir bocca quella sera.

    Dipendeva tutto dalla disposizione di spirito in cui si sarebbe trovato suo padre dopo aver rivisto i suoi fratelli. La presenza di Nathaniel di solito lo metteva di ottimo umore. Lo voleva sempre seduto accanto a sé a tavola e gli faceva assaggiare per primo i vini migliori. Si raccontavano aneddoti scherzosi, si sperticavano in complimenti, elargendosi a vicenda pacche sulla spalla. Abitualmente Nicole ne era piuttosto seccata, non avvezza a vedersi rubata la scena, ma stasera aveva bisogno che suo padre fosse del miglior umore, quindi anche il ritorno di Nathaniel andava bene.

    Come sempre, la grande incognita era Lawrence.

    Ebbe un moto di fastidio quando il pensiero del fratello le attraversò la mente. I suoi capelli sempre sporchi e spettinati, i vestiti sgualciti, lo sguardo sarcastico sul volto dal pallore spettrale, evidente eredità della madre di origini olandesi.

    La soluzione migliore era che sedesse il più lontano possibile dai suoi, e che arrivasse a tavola moderatamente sbronzo, non tanto da uscirsene con qualche battuta sconveniente, ma sufficiente per renderlo più malleabile.

    Lo avrebbe piazzato tra Susan e zia Helene, pensò. La cugina, con i suoi brufoli, i suoi chili di troppo e l’alito pesante lo avrebbe annientato. Forse Lawrence avrebbe trovato una scusa per alzarsi da tavola prima degli altri e li avrebbe liberati dalla sua presenza.

    Poteva avvicinare suo padre prima che si portasse Nathaniel nello studio per il consueto sigaro. Lì avrebbe fatto la sua mossa, se le condizioni le fossero apparse propizie. E se trovava un caspita di vestito adatto al suo scopo.

    Fissò con rabbia la pila gettata sul letto e i tre superstiti ancora appesi sulle grucce dell’armadio. Non li aveva voluti provare perché erano quelli che le piacevano meno, nonché i più vecchi.

    Li studiò per un lungo momento.

    Uno, verde scuro, molto accollato, lo aveva acquistato un paio di anni prima per il matrimonio di una lontana cugina. All’epoca la pudicizia le era sembrata molto attraente, ora trovava che il colletto che si abbottonava fino al mento la facesse sembrare un’educanda.

    Il secondo era rosso, e con gli anni aveva imparato che il rosso su di lei accentuava in maniera quasi volgare la linea morbida della bocca e la sfumatura bruna dei suoi capelli, facendola apparire l’esatto opposto di un’educanda.

    Il terzo era giallo, e temeva che le spegnesse l’incarnato. Avrebbe potuto regalarli a qualcuno, ma aveva una vita molto stretta, che teneva sotto rigoroso controllo con un regime alimentare disciplinato, e aveva ben poche amiche che avrebbero potuto indossare la sua taglia. Di certo non la cugina Susan, pensò.

    Forse il verde, pensò. Se ci abbino qualche gioiello sgargiante, potrei resuscitarlo.

    Lo sganciò dalla gruccia e se lo infilò. Sapeva già che non le sarebbe piaciuto quello che vedeva, ma si impose di rimirarsi per bene. Le segnava il corpo nei punti giusti, sottolineando la sua figura snella. Forse, con un po’ più di tempo, avrebbe potuto pensare a qualche modifica a quel colletto orribile.

    Magari per quella sera sarebbe potuto andare bene così.

    Decise di lasciarlo fuori a prendere un po’ d’aria, e riservarsi ancora qualche ora per decidere. Per il momento, avrebbe chiesto a Lucille di sistemare il caos di abiti che aveva gettato sul letto e si sarebbe dedicata ad altre faccende. Verso sera lo avrebbe indossato di nuovo, per vedere a mente serena che effetto faceva.

    Aveva già provato diverse volte davanti allo specchio il discorso che avrebbe fatto a suo padre. Non ne aveva ancora parlato alla madre perché sapeva benissimo che lei ci avrebbe visto lungo, e le avrebbe negato subito il permesso. E se mamma diceva no, suo padre non avrebbe avuto voce in capitolo.

    La sua tattica quindi consisteva nel prospettare direttamente al padre la possibilità di quell’invito negli Hamptons da parte della sua amica Clarisse. Una prospettiva piuttosto remota, a cui avrebbe accennato come a un suo grandissimo desiderio, anche se improbabile. Non si trattava solo di divertimento, era ovvio. Ciò che avrebbe reso l’invito tanto desiderabile era la presenza del padre di Clarisse, il giudice Watkins, da cui sperava di venir scelta per un tirocinio estivo. In realtà, il weekend era già stato pianificato e, ovviamente, lei rientrava nella cerchia dei selezionatissimi invitati.

    Ma era Michael, fratello di Clarisse e figlio del giudice, a costituire la vera attrattiva della situazione, e al tempo stesso un problema per sua madre.

    Nicole desiderava sul serio essere selezionata per il tirocinio, ma sapeva che sarebbe bastata una buona parola di Clarisse, quindi in pratica il posto era già suo. Senza averne accennato ai suoi, aveva incrociato un paio di volte il giudice quando era stata in visita dall’amica nella loro casa di città, e sapeva di avergli fatto un’ottima impressione. Perciò, nella sua testa lo riteneva una cosa già fatta. Ma Michael, lui sarebbe stato una conquista molto più ardua, e quindi appagante.

    Non appena aveva posato gli occhi su di lui, aveva capito che lo voleva. Non lo aveva confidato a Clarisse, per timore che alla sua amica scappasse una parola di troppo che potesse metterla in imbarazzo con il fratello. E lei non voleva soltanto piacere a Michael. Non voleva una storia romantica con lui. Aveva deciso che lo avrebbe sposato. E mai nella vita Nicole aveva mancato un bersaglio, una volta che se lo era messo in testa.

    Michael era tutto quello che una ragazza di buona famiglia potesse desiderare: aveva terminato due anni prima gli studi presso la scuola di legge di Boston, e il giudice suo padre gli aveva procurato un posto accanto uno degli avvocati più prestigiosi di Manhattan. Clarisse gli aveva confidato che erano alla ricerca di un appartamento in cui suo fratello si sarebbe trasferito in autunno, per iniziare a lavorare nel nuovo ufficio.

    Era il momento perfetto per prenderlo all’amo, pensò.

    SUSAN

    La serata si prospettava come un vero incubo.

    Si chiese per l’ennesima volta perché dovesse essere costretta ad andarci. L’idea di rimanersene al sicuro a casa propria era di gran lunga più allettante.

    Prima della notizia dell’invito a cena di zio Kenneth, il suo programma era stato di passare la serata a esercitarsi su una partitura nuova, degustando cioccolato. Era riuscita infatti a nascondere nella sua camera una scatola di praline che arrivavano direttamente da Parigi, scovata in una pasticceria del centro.

    La prospettiva di rivedere sua cugina Nicole le dava il voltastomaco. Nel confronto usciva sconfitta in ogni campo.

    Nicole era longilinea, alta per essere una ragazza, ma non troppo per essere considerata poco femminile. Aveva una pelle d’avorio, che chissà come era riuscita ad evitare tutti i guai tipici dell’adolescenza. Non le aveva mai visto un brufolo né un accenno di unto in faccia. L’elegante pallore era contrastato da capelli scurissimi, quasi neri, ereditati da suo padre, e da occhi grandi e profondi. Aveva una bocca carnosa e ben disegnata, che di solito truccava con un velo di rossetto rosso.

    Riusciva ad assumere con grande naturalezza un’espressione indifesa e civettuola. Susan era certa che quella spontaneità derivasse da molte ore di prove di fronte allo specchio.

    Qualsiasi cosa decidesse di indossare, il suo fisico esile aveva il dono di renderlo etereo e leggiadro.

    Susan non riusciva mai a ricordare una sola parola che uscisse dalla bocca di sua cugina, eppure quando erano in mezzo ad altre persone, Nicole era sempre circondata da ragazzi che pendevano dalle sue labbra, e sembrava non smettere mai di parlare, anche se apparentemente del nulla, mentre Susan ammutoliva, incerta su cosa fosse conveniente dire e su cosa potesse venir giudicato noioso o stupido, così finendo col tacere ed apparire noiosa e stupida lei stessa.

    Inoltre, il padre di Nicole, lo zio Kenneth, era il ricco signor Spencer: la sua casa di Long Island non era nemmeno paragonabile a quella dove lei viveva con sua madre e, occasionalmente, in una pausa tra un viaggio di lavoro e l’altro, suo padre.

    Nicole e i suoi fratelli sin da bambini avevano potuto frequentare le migliori scuole della East Coast, cavalcavano purosangue di proprietà, durante le vacanze viaggiavano per l’Europa in un apparente susseguirsi di feste e piaceri, e presto i fratelli sarebbero entrati in società con il padre, mentre Nicole era sicuramente destinata ad un matrimonio da prima pagina.

    Susan non la invidiava, se per invidia si intendeva rimuginare su quanto la cugina possedeva in confronto a lei. Ciononostante, era in grande difficoltà quando se la trovava davanti. Sapeva di apparire goffa e insignificante e di avere qualche chiletto di troppo.

    In generale, l’adolescenza non era stata particolarmente generosa con lei, attribuendole tutti i problemi tipici dell’età, a partire dai brufoli. Non se ne curava molto. Evitava di soffermarsi sul suo aspetto, sceglieva gli abiti in base alla loro praticità e la sua unica preoccupazione era di apparire in ordine e pulita, come si conveniva a una concertista di livello.

    C’era una sola cosa nella vita di cui le importasse veramente, ed era il pianoforte.

    Quando sedeva di fronte ad una tastiera, respirava a fondo per liberare la tensione, scioglieva le mani e si concentrava sullo spartito. In quel momento, che fosse in una sala prove da sola o in un teatro gremito di persone, una sola cosa contava: la melodia che era capace di liberare. La tecnica doveva essere padroneggiata al punto tale che le mani iniziavano a muoversi per conto proprio, e il suo corpo diventava solo la cassa di risonanza attraverso cui la musica arrivava al pubblico.

    Al pianoforte, Susan diventava viva. Ma senza di lui, era indifesa.

    Di solito, riusciva a gestire la propria inadeguatezza andandosene per la propria strada senza badare molto al fatto che gli altri la considerassero o no. Semplicemente, non era stata destinata alla bellezza, e non intendeva farsene un cruccio. Amava il suo pianoforte e da esso era ricambiata, e c’era un solo giudizio al mondo di cui le importasse, quello del maestro During.

    Ma Nicole, con la sua gelida cortesia, il suo sguardo sprezzante e il modo di fare apparentemente dolce e mellifluo, ma di fatto tagliente quanto un vetro rotto, riusciva a farle pesare il proprio disprezzo, finendo per farla sentire inferiore.

    Aveva cercato in tutti i modi di superare il disagio che la coglieva quando le toccava andare in visita dallo zio Kenneth.

    Aveva provato a razionalizzare la situazione con lunghi monologhi mentali, dicendosi che in fondo non avrebbe scambiato la sua passione per la musica nonché il talento che, nutrito con anni di duro impegno, la stava trasformando in concertista di buon livello, per diventare l’ennesima anonima ochetta, che avrebbe finito per invecchiare perdendo la propria unica qualità, la bellezza.

    Ma non riusciva a vincere il malessere con cui usciva ogni volta da quella casa. Perché in fondo, lo sapeva, Nicole ci godeva nel tormentarla.

    Le sue non erano uscite poco felici o battute un po’ superficiali, come sosteneva sua madre. Sua cugina la disprezzava e ad ogni occasione riusciva ad alludere deliberatamente alle sue debolezze, con uscite studiatamente casuali.

    Una volta tanto, le sarebbe piaciuto vincere quella competizione. Sognava di uscirsene con la frase brillante al momento giusto. Un gesto che suscitasse l’ammirazione delle greggi di giovanotti che circondavano Nicole. Non tanto per la cosa in sé, ma per prendersi una piccolissima rivincita. Per il momento, tuttavia, il suo piccolo innocente (meschino?) sogno non si era ancora realizzato.

    Sospirò. Tanto valeva assaggiare uno dei cioccolatini che aveva conservato per la serata di pace e solitudine che, purtroppo, era appena andata in fumo.

    L’unica nota positiva in tutta quella faccenda era che, con il ritorno a casa dei suoi cugini, ci sarebbe stato da ridere. A zio Kenneth brillavano gli occhi quando parlava con Nathaniel. Ma era Lawrence il vero spasso. Quel ragazzo era una peste. E sebbene suo zio non meritasse tutto quello che aveva dovuto subire dal figlio minore, quando si imbarcavano in uno dei loro battibecchi lei spesso doveva trattenere a fatica le risate.

    Credeva tuttavia che a volte lo zio fosse veramente troppo duro con lui; Lawrence era una brava persona. Non agiva con cattiveria. Agiva e basta, senza riflessione, infilandosi in tutte le situazioni che trovava divertenti o interessanti. Di fatto, non ne faceva una dritta. Nato gaudente, viveva spensierato.

    Ma nascondeva una profondità di pensiero, uno spessore, che secondo Susan raccontavano una storia diversa. Con Nathaniel la stessa complicità era impossibile.

    Lawrence aveva una comprensione delle debolezze umane che la diceva lunga su tutto quello che teneva nascosto dentro. Suo fratello viveva in superficie: era gentile e buono, ma non avrebbe mai capito fino in fondo certi risvolti, perché la sua vita, nonostante la morte della madre, aveva sempre percorso binari lineari, alla luce del sole.

    L’estrema sensibilità di Lawrence, che spesso emergeva nella delicatezza con cui comprendeva alcune sue angosce, svelava una motivazione diversa alla sua irrequietezza.

    Per questo non riusciva ad amare Nathaniel allo stesso modo in cui era affezionata a Lawrence.

    La scuola per lui (e per i suoi insegnanti) era sempre stata una tragedia. In collegio, era riuscito a dare fuoco alla propria stanza. Aveva rubato e demolito in un incidente la macchina di un professore. Aveva accidentalmente avvelenato alcuni compagni di studi, costringendoli ad una lavanda gastrica, con la scusa di stare portando a termine un esperimento di chimica. Era stato espulso da diversi istituti, fino a finire in uno dei college più costosi del paese, dove in pratica zio Kenneth gli stava acquistando il titolo di studio.

    Spesso, durante le cene di famiglia, arrivava a tavola pesantemente ubriaco.

    Il Natale scorso, si era presentato al pranzo con una ragazza che aveva descritto come amica, palesemente una prostituta. Susan se l’era quasi fatta addosso per le risate. La faccia sbigottita con cui Nicole aveva guardato la ragazza infilzare il budino con il dito per poi assaggiarlo era stata uno dei momenti di maggior soddisfazione della sua vita.

    La servitù di casa camminava in punta di piedi quando Lawrence era nei paraggi, chiaramente in stato di massimo allarme, pronta a reagire al primo probabile incidente.

    Ammetteva con se stessa che il fatto che suo cugino riuscisse a sconvolgere così tanto quella famiglia apparentemente perfetta era un motivo in più per volergli bene.

    Quando lui era in casa, lei stessa suo malgrado era sempre sul chi va là, in attesa della prossima crisi, ma non poteva non apprezzare il fatto che lui non guardasse nessuno dall’alto in basso, mentre gli Spencer da fuori le erano sempre sembrati una famiglia fin troppo patinata: sembravano sagome di cartone in posa sulla copertina di Harper’s Bazaar.

    Lawrence era tridimensionale e terreno. Era la debolezza degli Spencer. Il grosso foruncolo sul bel naso di zio Kenneth. Rise tra sé e sé a questa immagine. Pescò il secondo cioccolatino dalla scatola, riflettendo che tanto valeva indossare il vestito rosso scuro, il suo ultimo acquisto e ormai l’unico che non le stringesse sulla vita, così almeno avrebbe potuto godersi la serata (per quanto possibile) senza doversi privare del piacere del cibo.

    Si leccò i residui di cioccolato dalle dita e si concesse un’oretta di esercizi al piano, prima di iniziare a prepararsi per la cena.

    ISABELLE

    Ci aveva messo tutta la buona volontà. Questo poteva dirlo per certo.

    Quando aveva sposato Kenneth, era consapevole del fatto che era padre di due figli. Aveva subito messo in conto che sarebbero stati presenti nella sua vita e che l’unica maniera per far funzionare le cose sarebbe stata di accettare, anzi, abbracciare completamente la situazione e trattarli esattamente come fossero suoi. All’epoca, Nathaniel aveva soltanto tre anni e Lawrence era un frugoletto che non era mai riuscito a vedere sua madre, nemmeno per un secondo. Quindi, se ne era presa carico con l’entusiasmo di una giovane sposa piena di belle speranze.

    All’inizio era stato un bel gioco. Nate era identico a suo padre. Una piccola copia carbone. Tanto pacioccone e ridanciano, quanto Lawrence sembrava portarsi sulle spalle il peso della morte di sua madre.

    Era cresciuto bastian contrario e combinaguai.

    Non credeva fosse cattivo, quello no. Quando si imbarcava in una delle sue imprese, di solito era lui a rimetterci.

    Più tardi, negli anni, il sorriso era spuntato. Ma era il sorriso birichino di chi ha appena portato a termine una marachella.

    Lo faceva per curiosità, per noia, e un po’per provocazione.

    Gestire due bimbi piccoli era divertente, stancante a volte ma tutto sommato un passatempo gradevole.

    Le cose però erano cambiate non appena era nata Nicole, il suo angelo, arrivata dopo quattro anni di tentativi, quando ormai Isabelle aveva quasi perso le speranze di avere dei figli propri.

    Ma poi aveva scoperto di essere incinta. Ed era stato il momento più bello di tutta la sua vita. Che era durato circa 5 minuti. Poi erano incominciate le nausee. E il mal di schiena. E l’insonnia. E l’acidità di stomaco.

    Aveva creduto che la gravidanza l’avrebbe resa più bella, le avrebbe donato la pienezza di una donna che racchiude in sé la vita. Invece, aveva passato nove mesi di inferno, a dare di stomaco e costretta a letto, un malessere dopo l’altro, perennemente verde in faccia, il corpo gonfio e trasformato. Aveva capito che la gravidanza non si addiceva a tutte.

    Dopo aver partorito, la bimba l’aveva assorbita completamente.

    Era bellissima, dolce e simpatica, ma molto esigente. Contrariamente alle abitudini in uso tra le sue amiche, se ne era presa cura personalmente, e aveva relegato la tata in una posizione di pseudo cameriera. La lavava, la vestiva, la addormentava, abbandonandola solo quando Kenneth esigeva la presenza di sua moglie in qualche evento mondano. Aveva ripreso velocemente la sua figura snella, e la felicità di occuparsi della sua bimba l’aveva resa più graziosa, concedendole la rivincita su una gravidanza pesante.

    Ma, semplicemente, le era mancato il tempo di occuparsi dei due ragazzi, che all’epoca avevano raggiunto l’età di 7 e 5 anni.

    Nicole la impegnava troppo, e mentre Nathaniel era un piacevole diversivo, con la sua intelligenza, le sue osservazioni acute e il suo sorriso perenne, Lawrence era diventato invece un peso. Rompeva di tutto, si inzaccherava i vestiti, si infilava ovunque, con una particolare predilezione per i buchi più pericolosi, spariva per ore facendo ammattire tutta la casa, costringendo ciascuno a piantare le proprie faccende per mettersi a cercarlo.

    Esausta, aveva timidamente suggerito a Kenneth un collegio. Per equità, avrebbero dovuto andarci entrambi i fratelli. Lui dapprima non ne volle sapere.

    Cambiò idea il giorno in cui Lawrence rischiò di morire.

    Accadde in una giornata d’inverno, in cui il gelo si era abbattuto crudamente su tutta la costa est del paese. Ai ragazzi, reduci entrambi da una tosse ostinata, finalmente in via di guarigione, era stato espressamente vietato di uscire. Nathaniel si era accoccolato davanti al fuoco con un giochino di pazienza. Lawrence era sgattaiolato fuori in un momento di distrazione della tata, era corso fino alla fontana davanti all’ingresso di casa ed era salito sulla lastra di ghiaccio per capire se lo avrebbe sorretto.

    Ovviamente, dopo pochi secondi il ghiaccio aveva ceduto di schianto e lui era precipitato in acqua. Nonostante si trattasse solo di una pozza profonda, il bimbo scivolò sul fondo e rimase incastrato sotto la crosta.

    Si salvò solo perché

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