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Reggae Jamaicano ovvero come nacque la musica reggae in Jamaica
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Reggae Jamaicano ovvero come nacque la musica reggae in Jamaica
E-book60 pagine49 minuti

Reggae Jamaicano ovvero come nacque la musica reggae in Jamaica

Di Jody

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Info su questo ebook

Dalla premessa:

...Prima di scrivere questa storia ho chiesto a Markus se potevo rivelare ciò che si celava dietro le varie leggende jamaicane sul potere della musica reggae. Non solo mi ha detto di scrivere, ma mi ha anche spronato a raccontare nel dettaglio tutto quello che allora accadde, nomi, luoghi e persone incluse. Se sembra un’opera di fantasia è perché quella terra è pura fantasia creativa.

Grazie a tutti i Rasta!

Jody
LinguaItaliano
Data di uscita9 lug 2019
ISBN9788831629461
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    Anteprima del libro

    Reggae Jamaicano ovvero come nacque la musica reggae in Jamaica - Jody

    Jody

    1) Jody camminava per le vie di Kingston senza curarsi dei consigli che le avevano dato all’Hotel a proposito di certe strade poco raccomandabili. La musica reggae usciva dalle porte dei locali, inevitabilmente accompagnata dall’acre odore dell’erba. Jody si chiedeva cosi ci trovassero i jamaicani in quella roba puzzolente, che dicevano addirittura citata nella Bibbia. Blasfeme affermazioni pensava Jody tra sé e sé. Maledetta puzza!!, si ripeteva.

    Bionda, labbra ben disegnate, attraente fisicamente, jeans, maglietta bianca, capelli raccolti a coda, Jody si chiedeva perché mai era finita in quell’isola. Nessuna ragione apparente. Probabilmente nella sua collezione di viaggi mancava una permanenza nelle isole caraibiche. L’agenzia aveva consigliato Cuba, Haiti, Santo Domingo. Jamaica non era stata nemmeno nominata. Lei aveva buttato un occhio su un dépliant semi nascosto e il nome Jamaica l’aveva catturata. Certo che il nome aveva una forte musicalità. Il solo pronunciarlo le riempiva la bocca: Jamaica! Nonostante nulla parlasse a favore dell’isola (l’agente turistico gliela aveva addirittura sconsigliata), Jody decise di andarvi proprio per il gusto della sfida.

    Il pomeriggio non prometteva nulla di buono. L’unica certezza che aveva avuto in quei pochi giorni di permanenza sull’isola era quel bastardo e maleodorante odore di erba. Per l’ennesima volta dovette attraversare una cortina di fumo densa come nebbia. Era certa che i neri c’andassero a letto con la loro fottutissima erba per amarla così. Attraversò la nuvola di fumo, trattenendo il respiro e poi si fermò. Quella strana sensazione che l’aveva pervasa quando era scesa dall’aereo e aveva toccato il suolo dell’isola era ritornata, leggermente più forte. Non riusciva a decifrarla, era una paura che veniva dal profondo e stranamente si identificava con quella sua avversione alla ganja, al reggae, ai neri. Strano, lei che di solito era così aperta verso le culture e le popolazioni dei luoghi che visitava, questa volta si era accanita contro di loro. La invase il terrore e corse immediatamente in hotel, salì in camera, chiamò l’aeroporto decisa a cambiare programma. Voli per l’Europa non ve ne erano più per alcuni giorni. L’unica opzione era ritornare a Los Angeles la sera stessa con partenza alle 22. Cinque ore per prepararsi e fuggire da quelle sgradevoli sensazioni e dalla possibilità che potesse accaderle qualcosa di spiacevole. Avvisò la direzione dell’Hotel che sarebbe partita e già si immaginava il cameriere sballato che diceva: Ma come Mrs. Jody, ci lascia così presto. Non le piace Jamaica? Preparò le valigie e si concesse l’ultimo bagno cercando di rilassarsi senza pensare a quelle spiacevoli percezioni. I pensieri vagavano, mentre quasi assopita si rinfrescava nell’acqua. Era come vedere, in una sorta di trance, attraverso dei fori in una parete di legno. Le scene erano poco chiare, sfumate: corpi che si contorcevano in plurimi amplessi, neri e bianchi che fumavano seduti a terra e ridevano, altri che danzavano, pugnali che fendevano l’aria. Il toc toc della porta la ributtò nella realtà. Il cameriere in un gergo isolano, tra l’inglese e l’africano chiese di poter entrare.  Le valigie sono pronte urlò Jody dal bagno. Le porti giù nella Hall, grazie.

    Sentì la porta richiudersi e il silenzio piombare nella camera. Ehi! Sta eseguendo quello che le ho chiesto? Cosa sta facendo? Non sento più nulla!

    Mrs. Jody! Non sono dell’Hotel gridò. Mi chiamo Peter e ho bisogno di parlarle!

    Lei, lei, lei come sa il mio nome se non è del personale dell’Hotel?

    Jody iniziò ad avere paura, ma guardando Peter negli occhi per un attimo vide qualcosa che la tranquillizzò. Gli occhi erano infocati dalla ganja, ma oltre c’era un che di rassicurante, quasi di buono o addirittura di mistico.

    Come le ho detto prima, mi chiamo Peter e sono un Rasta della bidonville di Kingston e appartengo alla corrente religiosa che fa capo a Markus. Dovrei convincerla a seguirmi. Le parrà strano, ma abbiamo bisogno del suo aiuto.

    Jody era sempre più incredula. Non solo quel tizio conosceva il suo nome, ma le aveva chiesto il suo aiuto. Io non sono mai stata qui, pensò Jody. Che razza di aiuto può volere? E poi ha parlato al plurale: Abbiamo bisogno del suo aiuto. Bisogno

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