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La Bestia dagli Occhi di Ghiaccio
La Bestia dagli Occhi di Ghiaccio
La Bestia dagli Occhi di Ghiaccio
E-book237 pagine3 ore

La Bestia dagli Occhi di Ghiaccio

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Info su questo ebook

1995, Col di Favilla. Santo è alla ricerca di un tesoro, un tesoro che i suoi avi hanno nascosto per paura che qualche sciacallo potesse sottrarlo agli abitanti di Col di Favilla. Un'oscura presenza insegue la sua ombra. Santo sospetta che quel qualcuno abbia uno scopo e che sia risoluto nel portarlo a termine. Tanto risoluto da poter commettere uno dei più atroci massacri ricordati nella storia delle montagne.

Oggi, Monte Corchia. Ottavio e Linda sono due semplici amici, diffidenti nella vita sentimentale. Una gita, una vacanza, qualcosa che capiscono essere soltanto un'illusione quando si ritrovano risucchiati dentro una spirale di morte. Un incubo che prende forma da un ricordo lontano, ciò che è accaduto tanti anni prima. E che adesso è tornato, pronto a riportare il tormento sulle montagne.

Qualcosa ha minato la quiete della foresta. Quel qualcosa ha provocato una reazione a catena temuta perfino dagli abitanti della montagna. La cosa si è risvegliata, decisa a vendicare le offese del passato, determinata a ristabilire un equilibrio ormai perduto. Niente può sbarrargli la strada, nessuno può scampare al destino scritto nel momento stesso in cui gli ingranaggi della vendetta hanno iniziato a girare di nuovo. Dopo anni di letargo, ora la pace sta per finire. Perché dopo anni di riposo, la bestia ha riaperto gli occhi.

LinguaItaliano
Data di uscita21 mar 2022
ISBN9781005311278
La Bestia dagli Occhi di Ghiaccio
Autore

Davide Simoncini

Nato a Pietrasanta, vivo a Marina di Massa. Amante della bici.Per il resto, work In progress.

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    Anteprima del libro

    La Bestia dagli Occhi di Ghiaccio - Davide Simoncini

    Davide Simoncini

    LA BESTIA DAGLI OCCHI

    DI GHIACCIO

    Romanzo

    Copyright © 2013 Davide Simoncini

    All Rights Reserved. | Tutti i Diritti Riservati

    Proprietà letteraria riservata.

    È vietata la modifica, l'utilizzo e la riproduzione,

    in qualsiasi formato, su qualsivoglia mezzo digitale, cartaceo o di qualunque altra natura,

    senza il permesso esplicito dell'autore,

    ad eccezione della personale consultazione.

    Titolo | La Bestia dagli Occhi di Ghiaccio

    Autore | Davide Simoncini

    © Copyright 2013 Davide Simoncini

    Edizione Modificata e

    pubblicata nuovamente nel mese di Maggio 2023

    Questo romanzo è un'opera di finzione.

    Il contenuto di questo romanzo è quasi interamente fittizio. Ogni riferimento (persone, luoghi, oggetti, avvenimenti, usanze, ecc) è fittizio o casuale. Per ulteriori informazioni, consultare la nota d'autore.

    PROLOGO

    Giugno 1995,

    Col di Favilla, Alta Versilia, Italia

    Avanzò nello stretto cunicolo, lasciando dietro di sé il ricordo della luna. Le tenebre avvolsero il suo corpo, scorrendo sulla pelle come un fiume in piena. Sentiva qualcosa avvampare dentro di lui: il fuoco che per tanto tempo lo aveva tormentato. Sapeva che nelle tenebre era celato qualcosa, un sogno rincorso troppo a lungo da troppi stolti creduloni.

    Santo, uno dei tanti.

    Anni di gioventù sprecati in una caccia al tesoro senza termine. Aveva cominciato da ragazzo: a dodici anni appena, suo nonno lo aveva iniziato, mettendolo a parte di ogni particolare di quelle affascinanti leggende che Santo non aveva mai abbandonato. Suo padre le aveva giudicate fantasie di un uomo che non voleva vivere da persona comune. Forse a ragione, perché le ricerche non avevano dato frutti nemmeno dopo così tanti, troppi anni.

    Poteva essere che il tesoro di suo nonno non esistesse, che non fosse mai stato nascosto? E se lui fosse stato davvero un povero sognatore? Non era del tutto falso: Santo odiava il solo pensiero di vedersi costretto a vita tra un capanno degli attrezzi e un tavolino ricolmo di buchi.

    Dubbi. Tante domande.

    L'ultimo era stato un anno zeppo di insicurezze. Ragazzi giovani come lo era stato lui un tempo, loro sì avrebbero trovato il modo e la forza per riuscire. Del passato rammentava bene il sapore del sudore, le giornate trascorse come animali per arrivare a niente, a una vita di stenti. Si era chiesto se fosse il momento di lasciarsi tutto alle spalle, di abbandonarsi a un destino che gli stava stretto.

    Fino a quel momento. Fino alla svolta.

    Un appiglio, una traccia. Trovata per caso, un giorno come tanti, senza cercarla. Si era domandato se fosse saggio provare a seguirla; se potesse condurlo verso un diverso destino o verso una nuova delusione.

    La risposta era sbocciata come un fiore a primavera.

    Andare avanti. Lo attendeva l'ignoto, certo. Le obiezioni che si rincorrevano dentro di lui non erano sbagliate, ma lui sapeva che proprio lì era nascosto il tesoro; nell'ignoto, nell'angolo più remoto in cui nessuno lo aveva ancora cercato. Che lo trovasse o meno, era un problema che adesso non doveva porsi.

    Accantonò i pensieri, spostando un frascone di fronte a lui. Una pioggia di foglie secche lo costrinse a sbracciarsi quel poco che poteva. Lo spazio che quel pertugio gli offriva era limitato come il ripieno di un tortello da brodo. La natura sapeva creare delle trappole degne della miglior tecnologia, e lo faceva affidandosi al caso, all'imprevedibile coscienza di un essere che sembrava pervadere ogni cosa. Il sacerdote del villaggio lo ripeteva di continuo.

    Portò la fiamma della torcia dinanzi al viso. Il fuocherello si stava indebolendo. Doveva cercare di finire al più presto. Fece un lungo respiro, sbuffando aria calda. Sotto il peso del futuro, il suo cuore accelerò. Quel futuro che i suoi figli avrebbero potuto vedere, che sua moglie avrebbe potuto avere; il futuro che tanto suo nonno aveva sognato, senza possibilità di lasciarglielo in regalo.

    Con un balzo, oltrepassò una piccola fessura nel terreno. Mise la mano sulla roccia fredda e vide un'apertura sulla destra che sembrava terminare un paio di metri più in là. Voltò la testa: dalla parte opposta, un'apertura ben più grande lo attendeva.

    L'ultima camera prima dell'oblio, recitava lo scritto che aveva ritrovato tempo prima.

    Santo non aveva più dubbi.

    Vide il condotto allargarsi in uno spazio grande quanto la sua camera da letto. Ristretta, con arbusti che crescevano lungo le pareti. Gocce d'acqua più dense del sudore cadevano dal soffitto. In basso, un'entrata simile a quella di un pozzo. Si sporse ma non riuscì a intravederne la fine neanche sforzandosi.

    L'oblio era quello. Doveva esserlo.

    «L'ultima camera prima dell'oblio», sussurrò trionfale.

    Cominciò a passare le dita sulla pietra, alla ricerca di qualcosa. Un disegno, uno spigolo, una fessura. La sua delusione cresceva di pari passo con i centimetri che i suoi polpastrelli percorrevano. Quando le sue dita toccarono il punto da cui era partito, l'ansia gridò con ferocia dentro di lui. In un moto di stizza, lanciò a terra la torcia infuocata. La fiamma sembrò voler mollare, poi tornò a danzare, ma sempre con meno entusiasmo.

    In quel nuovo baluginio, ultimo baluardo prima dell'estinzione, la fiamma illuminò qualcosa. Un'angusta infossatura, un'apertura grande come una delle balle di fieno che lui confezionava.

    Si chinò incuriosito, premendo l'orecchio sul terriccio che ricopriva la roccia. Vide l'apertura che continuava in un condotto irregolare, interrato, terminando a tre piedi da lui.

    Il cuore gli scattò nel petto.

    Nello spazio riposava un baule di legno logoro, consumato dall'età. Era simile a uno di quelli in cui suo nonno teneva le fiaschette di vino che tanto amava. Sulla sua superficie era cresciuto un involucro di muschio vecchio e scuro. Le assi sotto di esso apparivano nere come il carbone.

    Santo protese la mano all'interno e lo afferrò, tirando con forza. Il bauletto scricchiolò, mostrando tutta la fragilità di cui il tempo gli aveva fatto dono. Lo ribaltò, passando una mano velocemente per liberarlo dalla coltre di polvere che lo aveva sommerso.

    E lo vide.

    Agli ultimi bagliori della fiamma, la serratura luccicò di un lampo riflesso.

    Santo sorrise.

    Per la prima volta in vita sua, la fortuna gli aveva ammiccato.

    * * *

    Santo raggiunse la piccola catapecchia. Suo nonno aveva scelto egregiamente. Era stato lui, il suo mentore, a lasciargli quell'edificio. Molti anni addietro aveva iniziato a usarlo come centro di riferimento per le proprie ricerche. Teneva lì tutto l'occorrente, con vecchi calamai che aspettavano di essere riempiti d'inchiostro, scansati a lato, all'ombra da sguardi indiscreti. Non era molto grande, e certamente non accogliente, ma svolgeva bene il suo dovere di magazzino.

    Coprì la distanza che lo separava dalla porta, lasciando scivolare la borsa di cuoio giù dalla spalla. La aprì e afferrò con sicurezza un mazzo di chiavi, infilandone una nel lucchetto mentre il tintinnio rompeva il silenzio della notte. Sentì uno scatto e rimosse l'oggetto, aprendo la porta con una spinta.

    Mentre faceva il primo passo per entrare nella penombra, qualcosa catturò la sua attenzione.

    A memoria, gli sembrava di essere tornato lì appena due giorni prima. Era rimasto quasi mezza giornata a cercare di rimuovere la polvere da sopra gli scaffali intrisi di ragnatele.

    Con sua grande sorpresa, l'ordine che aveva ricreato non era che un ricordo lontano.

    Gli appunti di suo nonno erano sparsi sul pavimento. I calamai in parte a terra, alcuni solo in frammenti; altri sdraiati sul tavolo di legno, rovesciati come bottiglie vuote.

    Si avvicinò al registro.

    Santo scriveva per filo e per segno tutto ciò che faceva. Era importante catturare ogni dettaglio, renderlo indelebile nel tempo. Glielo aveva insegnato suo nonno e da allora lui era stato così diligente da non scordarselo mai, neppure una volta.

    Fino a due giorni prima.

    Per la fretta, non aveva avuto il tempo di trascrivere ciò che aveva scoperto. Aveva rimandato, consapevole di avere tutto il tempo una volta toltosi quel sassolino dalla scarpa.

    Scelta immacolata.

    Alcune pagine del registro erano state strappate. Nessuna traccia né sul tavolo né sul pavimento.

    Qualcuno è stato qui.

    Cercò di mantenere la calma, la prima cosa importante da fare in quelle situazioni. Il cuore palpitava, contraddicendo la sua volontà. Lasciò che la sua mente vagasse, alla ricerca di un'idea.

    Chi poteva essere stato? Nessuno sapeva di quel luogo, o almeno lui non era a conoscenza di nessuno che lo fosse. Aveva evitato di raccontarlo persino a sua moglie e ai suoi figli.

    E allora chi?

    Non poteva e non avrebbe potuto saperlo. Pensava di essere l'unico a conoscenza della leggenda del tesoro. Pensava che mai nessuno sarebbe stato così fuori dai gangheri da seguire vecchie dicerie montanare.

    Ciò che lo circondava era la dimostrazione che si sbagliava.

    Se qualcuno si trovava sulle tracce del tesoro ed era arrivato fino a quella catapecchia, non avrebbe tardato ad arrivare fino a lui. Doveva fare qualcosa prima che fosse troppo tardi.

    Sua moglie e i suoi figli non erano più al sicuro. Non adesso, non lì. Dovevano lasciare le montagne per stabilirsi altrove, il più lontano possibile da quel minuscolo villaggio, la loro casa da tanti anni. Sarebbe stato un trauma, ma Santo non poteva fare altrimenti. Per quanto dolorosa, era l'unica scelta possibile.

    Abbracciando quella nuova prospettiva, afferrò un foglio bianco e un contenitore di inchiostro. Lo versò nel calamaio e vi intinse una penna. Poi lasciò che le lettere sgorgassero dal profondo della sua mente, spontanee, ripiene di tutta l'amarezza per quel momento così buio e senza certezze. Non era mai stato abituato a sopportare una pressione simile.

    Terminato di scrivere, ripose la penna sul tavolo, prendendo un altro foglio più grande e improvvisandovi una busta. Poi incise un nome con la sua rozza calligrafia, frutto di una quinta elementare superata a suon di stenti. Quindi se la infilò in tasca, pronta per essere consegnata.

    Il suo obbiettivo non era quello.

    Quella lettera non sarebbe mai stata consegnata. Quella lettera avrebbe atteso, nascosta tra le vecchie macerie che tanto gli avevano tenuto compagnia nei suoi bellissimi anni di vita. Mura tra le quali aveva consumato il giorno più bello della sua vita, quando gli occhi di sua moglie si erano congiunti ai suoi per sempre.

    La seconda, invece no.

    Intinse di nuovo la penna nel calamaio e incise nuove lettere su di un foglio vuoto. Poi lo piegò a metà e lo ripose nella seconda tasca. Avrebbe dovuto consegnarlo all'amico di cui si fidava di più, l'unica persona che sicuramente non aveva fatto visita alla sua catapecchia. Soltanto lui avrebbe potuto aiutarlo.

    Rimise la borsa sulle spalle e uscì nella notte. Si guardò attorno, sospettoso. Sembrava che non ci fosse nessuno.

    Se ne andò senza richiudere il lucchetto. Farlo non avrebbe avuto senso.

    Santo non sarebbe tornato in quel luogo, né ora né mai.

    * * *

    Sotto il chiarore della luna, il volto emerse dalla catapecchia. Gli occhi, i lineamenti, il naso aquilino. Ogni tratto era facilmente distinguibile, illuminato distintamente in quella notte di plenilunio.

    Sarebbe stato facile riconoscere quell'uomo.

    Così fu.

    Le iridi cristalline inquadrarono il loro obbiettivo: Santo Benei.

    Tra le fronde degli alberi e i versi della foresta, un paio di occhi scrutavano attentamente la scena. Memorizzandola, imprimendola come un marchio a fuoco nei recessi indissolubili della propria memoria.

    Mentre Santo se ne andava, quegli occhi rimasero immobili. Non avevano ragione di correre nella sua direzione.

    Perché quegli occhi, adesso, conoscevano il loro scopo.

    E, soprattutto, sapevano dove trovarlo.

    1

    Oggi,

    Monte Corchia, Alta Versilia, Italia

    «Prendi quella piccozza e andiamocene», gridò a Linda.

    Lui la guardò, lei rispose con uno sguardo ammiccante. «Piccozza», ripeté con aria sarcastica. «Sei sempre il solito esagerato.»

    Appoggiato sul muro di roccia, si diede una spinta con le gambe, saltando sulla strada sterrata. Erano più di tre ore che le sue dita grattavano via calcare. Il suo tonico contro l'invecchiamento era fatto di sudore e adrenalina. Non riusciva a capire come certe persone non potessero provare altrettanto. Ovvio, il suo non era un amore comune. Aveva dovuto faticare oltremodo prima di trovare qualcuno con una passione simile. Linda era l'unica che riuscisse a comprendere quelle sensazioni bene tanto quanto lui. Una ragazza particolare, piena di vitalità. Aveva voglia di conoscere il mondo, vergine nel giudicare. Anche se stentava a credere alle sue stesse parole, ci si poteva facilmente innamorare di una ragazza così.

    Si avvicinò alla Panda di seconda mano che lo attendeva a bordo strada.

    Ottavio aveva sempre nascosto i suoi pensieri a Linda, o almeno poteva vantarsi di aver tentato: le donne capiscono certe cose in un secondo, una magia che da una parte possedeva il suo perché, dall'altra lo turbava. Per lui era importante che rimanessero distanti. Si divertivano stando assieme ma non insieme. Forse aveva un blocco mentale, forse no: gli piaceva non pensarci.

    Mentre lei si chinava, lanciò un'occhiata al suo fondoschiena, tanto per ribadire lo stereotipo di uomo vecchio stampo. Ebbè, pensò inarcando le sopracciglia. Fece scattare la serratura e aprì l'ammaccato portello del bagagliaio. Non aveva ancora trovato il tempo di riparare le gomitate prese da una jeep. Estrasse due grossi zaini e li posò a terra. Uno spesso strato di ciottoli levigati dall'acqua piovana faceva da vaso a spelacchiate mazzette d'erba cresciute tra gli anfratti della roccia. Vide una nube di polvere avvicinarsi a lui, avvolgendo come un mantello la sua compagna di viaggio.

    «Pensavo che mi avessi abbandonato.»

    «Sai che non oserei. Non dopo un'avventura come questa.»

    Lui rispose con un sorriso.

    Uno dei suoi compagni di lavoro sfruttava ogni occasione per prenderlo a metaforiche sberle, tanto da affibbiargli il nomignolo di scimmia delle montagne. Non lo considerava né malvagio, né fuori luogo: lui e Linda amavano arrampicarsi, proprio come scimmie. L'unica differenza era che mentre i primati lo facevano su alberi alti sei, sette metri al massimo, loro lo facevano su pareti rocciose di montagne che toccavano i millecinquecento.

    «Dai qua», disse Linda porgendogli la mano.

    «Sembri un cammello», rispose passandole la bottiglia d'acqua appena presa.

    «Un cammello senza gobbe.»

    «Arriveranno.»

    «Stronzo», bofonchiò prima di attaccare le labbra alla bottiglia. «Parla quello che si chiama Ottavio», aggiunse poco dopo.

    «Ottavio è un bel nome.»

    «Certo, stile anni '30 del secolo passato.»

    «Io sarò stronzo, ma tu non sei da meno.»

    La ragazza sorrise. «Te lo concedo. Ma una volta non ero così.»

    «E che cosa è successo nel frattempo?»

    «Ho imparato da un buon maestro», ironizzò.

    Ottavio scrollò il capo. Anche se detestava dare ragione agli altri, su quello scambio di battute doveva cedere la mano. Aveva ereditato un'antica tradizione, quella di dare al figlio un nome che sembrava un numero di serie. Lui era stato l'ottavo dei nove marmocchi sfornati da sua madre e per questo l'avevano chiamato Ottavio. A parer suo era andata molto peggio a suo fratello Secondo. Viva la fantasia, ripeteva scherzosamente da una vita.

    Chiuse il portello dell'auto, issandosi lo zaino in spalla. Linda lo fissò per un istante, mentre lui ricambiava lo sguardo con indifferenza.

    «Su, perché rimani lì? Questa è la fetta che ti spetta.»

    La sua amica passò rapidamente a uno sguardo famelico. Guardò lo zaino a terra, poi lui. Gli piacevano quegli occhi castano chiari, specie quando fiammeggiavano. «Non ti hanno mai insegnato le buone maniere?»

    «In realtà l'hanno fatto molto bene», rispose. «Mi hanno

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