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Il libro dei misteri
Il libro dei misteri
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E-book516 pagine6 ore

Il libro dei misteri

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Info su questo ebook

Mathan, Hyana, Kilian e poi una dea-gatta e un corvo misterioso e una girandola di personaggi in viaggio, scaraventati in una missione che avrebbero volentieri evitato. Ma il loro universo è minacciato da forze oscure che vanno riconosciute e combattute. Solo un gruppo di prescelti può portare a compimento una missione così delicata: da secoli il Libro dei Misteri è perduto, e ritrovarlo diventa fondamentale per non soccombere alle forze maligne che avanzano in un mondo di pace.
LinguaItaliano
Data di uscita4 dic 2016
ISBN9788867825790
Il libro dei misteri

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    Anteprima del libro

    Il libro dei misteri - Roberto Re

    Roberto Re

    Il Libro dei Misteri

    Il libro dei misteri

    Roberto Re

    Editrice GDS

    Via Pozzo 34

    20069 Vaprio D'adda-MI

    www.gdsedizioni.it

    Ogni riferimento descritto in questo romanzo a luoghi, persone e cose sono da ritenersi del tutto casuali.

    PARTE PRIMA

    1

    Il rumore degli stivali che sbattevano contro le fredde pietre del pavimento echeggiava nel lungo corridoio, ma l’uomo che lo percorreva non sembrava esserne disturbato. Alto più di due metri, fisico asciutto e muscoloso, i lunghi capelli biondi ricadevano sulla schiena legati in una coda. Aveva occhi di un azzurro molto intenso e profondo. Prendendo per vero il detto secondo il quale uno sguardo poteva dire più delle parole, allora era chiaro che in quel momento avrebbe preferito essere da tutt’altra parte.

    Il corridoio svoltava a destra e, alcune decine di metri più avanti, l’uomo vide l’arco che divideva gli appartamenti riservati alla famiglia reale dalla parte del palazzo accessibile a tutti, controllato da due guardie.

    Appena lo videro avvicinarsi scattarono nella posizione d’attenti e gli rivolsero il saluto militare, battendosi il pugno destro all’altezza del cuore. L’uomo ripeté il gesto senza nemmeno fermarsi.

    Ricopriva un’importante carica, quello di Comandante dell’Esercito di Atalea, e per questo aveva libero accesso a ogni parte del palazzo. Ma il motivo per il quale era appena uscito dagli appartamenti reali non aveva nulla a che vedere con il suo lavoro.

    Giunse finalmente in vista del luogo in cui era stato mandato, la biblioteca. Bussò vigorosamente due volte.

    «La porta è aperta» rispose una voce dall’interno.

    L’uomo aprì la porta, entrò e se la richiuse alle spalle. La stanza era immersa nel buio, con ombre più scure al posto delle enormi librerie colme di scaffali e scaffali di libri. La debole luce della candela posata su un tavolo era appena sufficiente a scorgere chi vi era seduto.

    Era meno imponente del biondo Comandante, i capelli neri e lisci erano lunghi fino alle spalle e gli occhi, grigi a causa dell’oscurità, alla luce del sole avrebbero assunto una tonalità azzurra. Aveva circa trent’anni, anche se effettivamente ne dimostrava qualcuno, ma non troppi, in più.

    «Kilian... Hai bisogno di qualcosa?».

    «Tua moglie mi ha mandato a cercarti, Mathan» rispose l’uomo rivolgendosi al suo sovrano. Kilian era abituato a parlargli senza usare titoli, cosa che faceva praticamente con tutti senza preferenze, ma Mathan gliene era grato: anche se era un sovrano, si sentiva una persona come tutti gli altri. Si ricordava ancora gli sforzi dei suoi defunti genitori di inculcargli il tipico comportamento che ogni reale dovrebbe tenere, altezzoso, superbo e sicuro di sé.

    «E perché ha mandato proprio te?» gli domandò con aria divertita, chiudendo il libro che teneva in mano.

    Kilian sbuffò. «Ho fatto l’errore di passare davanti alla vostra camera da letto proprio nel momento in cui lei usciva per cercarti».

    «E così ha cercato di sfruttare la situazione».

    «Conoscendo il suo carattere ho preferito evitare discussioni».

    «Scelta saggia. Mia moglie ti ha detto perché mi vuole?».

    «No, ma penso di saperlo».

    «Dici?».

    «Ormai è quasi notte, e notte è collegato a letto, il quale si collega a voi due. Mi sembra tutto piuttosto chiaro». Riuscì a dire tutto senza la minima avvisaglia di doppi sensi.

    Mathan soffiò sulla candela spegnendo la fiamma. «Andiamo a vedere se hai ragione».

    Effettivamente, Kilian aveva ragione.

    Quando Mathan aprì i due battenti della camera da letto per poi richiuderli dietro di sé, vide sua moglie seducentemente distesa sul grande letto.

    Era davvero molto attraente, pensò mentre la guardava. I lunghi capelli di un biondo brillante erano bloccati con un fermaglio e formavano una coda fino a metà schiena. Gli occhi castani erano socchiusi in un’espressione meditativa, le lunghe gambe affusolate scoperte in una posa provocante.

    La mente di Mathan non poté fare a meno di tornare a una sera di cinque anni prima, durante una di quelle tante feste sfarzose che i suoi genitori organizzavano a palazzo con la partecipazione delle famiglie nobili del regno. Fu proprio durante uno di quei ricevimenti che i due si conobbero. Quando la banda attaccò una lenta melodia Mathan, con la tipica sfrontatezza della maggior parte dei giovani, si avvicinò alla giovane Hyana chiedendole di ballare. Mai una danza fu tanto galeotta e il giovane principe, quella sera, si accorse che il miracolo chiamato colpo di fulmine sembrava esistere davvero. Da quella sera, ogni occasione divenne valida per incontrarsi, prima di nascosto e poi, via via che il tempo passava e il loro legame si rafforzava, in apparizioni pubbliche. Fino a quando, tre anni fa, venne dato l’annuncio del fidanzamento ufficiale. Ma l’anno dopo, l’Atalea fu vittima di un’immane disgrazia: i genitori di Mathan morirono nell’affondamento della nave che li stava trasportando nell’Itakan. E così Mathan si ritrovò, da un giorno all’altro, sovrano. Dopo il comprensibile abbattimento iniziale, il giovane si dedicò anima e corpo alla conduzione politica del regno, cercando di mantenere quel benessere che i suoi predecessori avevano tanto faticosamente costruito. E poi venne il secondo passo, quello più impegnativo come uomo: chiese a Hyana se voleva diventare sua moglie e regina del suo popolo. Naturalmente lei accettò, non perché ambisse a quella posizione privilegiata, ma per amore verso Mathan. E si dimostrò un’ottima moglie e un’altrettanto ottima regina.

    «Pensi di passare tutta la notte a guardarmi con quell’aria da ebete?». La calda voce di sua moglie lo riscosse dai pensieri.

    «Mi stavo godendo la scena» cercò di trovare una scusa, avvicinandosi.

    Hyana gli rivolse un sorriso splendente. «Adulatore» lo accusò. «Perché non vieni a goderti la scena più da vicino?». Si distese languidamente con la schiena sulle lenzuola.

    Mathan la raggiunse e la baciò, e per un po’ di tempo rimasero impegnati in quella occupazione.

    «Che cosa stavi facendo nella biblioteca?».

    «Leggevo un vecchio volume che parlava dei miei antenati» rispose, cercando di non lasciar trapelare dalla voce quel senso di nostalgia che lo aveva assalito nella biblioteca.

    Hyana gli si strinse contro in un abbraccio più saldo. «E così preferisci il tocco dei libri al mio» lo accusò.

    Aveva un buonissimo profumo, e la sua pelle era calda e morbida. Le accarezzò i capelli. «Perché non ci sistemiamo più comodamente sotto le coperte?» propose.

    Hyana rispose con un sorriso che valeva più di una risposta.

    2

    Quando si svegliò il mattino seguente, i raggi del sole illuminavano già abbondantemente la camera. Si voltò verso sua moglie e vide che dormiva ancora. Facendo piano per non svegliarla scostò le coperte e, dopo essersi infilato le pantofole, le rimise delicatamente a posto.

    Sul tavolo vide il vassoio della colazione che un servitore doveva aver portato da poco tempo: le pagnotte erano ancora calde, sfornate da poco, e la loro fragranza invadeva la stanza.

    «Mathan?». Era la voce di sua moglie, non ancora completamente sveglia.

    «Sì, cara?».

    «Hanno già portato la colazione?». Era più un’affermazione che una domanda.

    «Certo. Pane caldo, latte e frutta».

    «Fantastico. Ma credo che prima di mangiare dormirò ancora un po’».

    Mathan si sedette al tavolo e si versò una tazza di latte.

    «Prima di uscire tira le tende del letto, per favore».

    Suo marito sorrise, mangiò la sua parte e, tirate le tende, uscì.

    Si diresse verso il suo studio, dove lo attendeva il solito lavoro di revisione di trattati, in gran parte commerciali, che gli erano stati inviati da sovrani dei regni confinanti. Si concentrò talmente sul lavoro da non accorgersi della gatta bianca che, approfittando della sottile fessura tra la porta e il muro, era entrata nella stanza. Quando l’animaletto vide Mathan seduto alla scrivania che le voltava le spalle, si appiattì il più possibile e prese a strisciare senza fare rumore. Appena fu sufficientemente vicina caricò sulle zampine posteriori e, con un agile balzo, saltò sulla scrivania.

    «E tu cosa ci fai qui!». L’accarezzò e lei, riconoscente, prese a fare le fusa e si strisciò contro il suo braccio. «Sei di nuovo riuscita a scappare a Hedar, vero?».

    Uscì dallo studio e chiamò uno dei soldati di guardia all’arco.

    «Cerca Hedar e chiedigli di raggiungermi» gli disse.

    Ancora una volta, come la sera precedente, la sua mente fece un viaggio indietro nel tempo, a un pomeriggio di due anni fa.

    Quel giorno, decidendo di evadere dalla noia del castello, lui e sua moglie sellarono due cavalli e uscirono per una passeggiata. Raggiunto il fiume Amira, che scorre a una trentina di chilometri a ovest di Arendal, capitale d’Atalea e dimora dei sovrani, scorsero in lontananza un fagotto vicino alla riva del fiume. Con loro grande stupore, quando furono vicino si resero conto che in realtà era un bambino di circa dieci anni. Era conciato piuttosto male: aveva un occhio gonfio, perdeva sangue dal naso e da un taglio al labbro inferiore, e inoltre aveva un braccio rotto. Senza alcun indugio lo caricarono con attenzione su un cavallo e, cercando di non peggiorare le ferite, lo portarono al castello, dove venne lasciato alle mani esperte dei guaritori. Quando si fu ristabilito, andarono ad accertarsi del suo stato di salute. Ma alle domande su ciò che gli era successo, il giovane non riuscì a ricordare assolutamente nulla. Dietro insistenza personale di Hyana, al giovane venne permesso di fermarsi a palazzo, diventando il paggio della regina.

    Un discreto bussare lo riportò alla realtà. «Vieni avanti».

    «Mi hai mandato a chiamare?». Il ragazzo che entrò aveva una folta massa di riccioli castani ribelli e uno sguardo molto vivace.

    Mathan indicò la gattina, tutta intenta a lavarsi accuratamente una zampa.

    «Te ne avrei parlato più tardi» si scusò lui.

    «Parlato di cosa?».

    «Ormai non è più un cucciolo, non c’è più bisogno di tenerla chiusa in una stanza, non credi? Ha imparato cosa deve e cosa non deve fare, e anche dove andare a fare i bisogni».

    «Ne sei sicuro?».

    «Hai la mia parola. Le tende e la tappezzeria sono al sicuro».

    «Lo sai che Hyana ci tiene a queste cose...».

    «Dalle la mia parola che non succederà nulla». Cercò di assumere un’aria sicura di sé.

    «D’accordo, voglio fidarmi».

    «Sua Maestà mi concede un grande onore». Sorrise e si produsse in un elaborato inchino.

    «In questi giorni ho un pensiero che mi ronza sovente nella testa» confidò Hyana mentre erano a letto, in attesa che la stanchezza avesse il sopravvento.

    «E sarebbe?».

    «È da parecchio tempo che non vedo i miei genitori». Lo disse con una punta di nostalgia volutamente marcata.

    «Possiamo invitarli a palazzo» suggerì Mathan.

    «In verità, avrei un’idea migliore» ribatté la giovane donna stringendoglisi più contro. «Perché non andiamo noi da loro? Tanto per evadere un po’ dalla monotonia degli obblighi del mestiere; Ensal non è che sia poi così lontana».

    Più ci pensava, meno gli sembrava una cattiva idea: qualche giorno di riposo lontano dai soliti incarichi non avrebbe di certo fatto male a nessuno dei due. E comunque, il Primo Ministro avrebbe potuto prendere temporaneamente il loro posto: non sarebbe stata la prima volta.

    «Credo che sia una buona idea» ammise infine. «Potremmo partire tra qualche giorno, in modo da avere il tempo di girare gli incarichi di quei giorni al Primo Ministro e preparare la scorta».

    «Scorta?». Il tono di voce di Hyana non nascose un certo disappunto.

    «Un po’ di sicurezza non fa mai male» affermò Mathan, accarezzandole il viso.

    «Basta che non ci portiamo dietro l’intero esercito».

    «Non c’è motivo per farlo. Ensal dista circa cinquanta chilometri: se partiamo subito dopo colazione e manteniamo una buona andatura, dovremmo farcela per il tramonto». Si soffermò un attimo a riflettere. «Dieci cavalieri saranno più che sufficienti».

    «Sono d’accordo». Si stiracchiò languidamente. «Ricorda di mandare un messaggio per avvertirli: non vorrei arrivare a casa loro e interrompere qualcosa di importante».

    Mathan annuì. «Preparerò la missiva domani mattina, in modo che il messaggero possa subito partire».

    3

    Il mattino successivo, dopo una rapida colazione, si sedette alla scrivania e buttò giù una bozza del messaggio da far poi controllare alla moglie. Se la cavava molto meglio di lui con le parole.

    «Adeguato» commentò lei dopo averlo letto. «È inutile raccontare tante cose: gliele diremo poi a voce».

    Mathan concordò e lo riscrisse in forma ufficiale. Infine chiamò un servitore e glielo diede, ordinando che un messaggero partisse immediatamente per consegnarlo.

    La risposta arrivò due giorni dopo: i genitori di Hyana asserivano che non ci sarebbe stato nessun problema, anzi non aspettavano l’ora di vederli. Così, Mathan partì alla ricerca del Primo Ministro. Lo trovò nella sala del Consiglio Reale, intento a leggere una missiva. Quando lo vide arrivare, si alzò e chinò la testa in segno di saluto.

    Lord Valan, Primo Ministro d’Atalea, era un uomo piuttosto anziano che aveva superato i sessant’anni, non molto alto e con pochi capelli bianchi. Aveva un buon carattere, serio e divertente nelle occasioni che richiedevano l’uno o l’altro. Per Mathan era più che un amico: era stato il suo istruttore da ragazzo, insegnandogli l’arte di governare, e aveva consigliato e aiutato sia lui che Hyana nei primi mesi del loro governo, trattandoli più come figli che come sovrani.

    «Lord Valan» lo salutò.

    «Hai bisogno di qualcosa, Mathan?».

    «Sì» ammise il giovane sedendosi e facendo cenno al ministro di fare altrettanto. «Domani, Hyana e io partiremo dopo colazione per recarci dai suoi genitori. Ha espresso il desiderio di andare a trovarli».

    «La piccola Hyana soffre di nostalgia?» sorrise.

    «È da oltre un anno che non li vede. Mi sembra un periodo di tempo sufficiente per sentirne la mancanza».

    «Quanti giorni pensate di fermarvi?».

    «Non troppo, diciamo tre o quattro giorni al massimo. Ce ne vogliono già quasi due solo per andare e tornare».

    «E vuoi che prenda il tuo posto per le faccende di stato».

    «Se non hai nulla in contrario, naturalmente».

    Il vecchio sorrise. «Certo che no, Mathan, certo che no. Prendervi qualche giorno di libertà è, anzi, una buona idea: avete l’aria stanca, tutti e due».

    «Sapevo che avresti capito».

    Proprio in quel momento la porta si aprì e sulla soglia apparve, splendente, Hyana. Era di una bellezza da togliere il fiato: i capelli biondi erano trattenuti da un cerchietto rosso e l’abito bianco, che faceva da contrasto con l’abbronzatura, lasciava ben poco all’immaginazione. Rivolse ai due uomini un sorriso luminoso come il sole.

    «Vostra Altezza». Lord Valan si alzò e fece un elaborato inchino.

    «Suvvia, Lord Valan!» protestò Hyana. Gli si avvicinò e gli accarezzò la guancia rugosa. «Ci conosciamo da tanto di quel tempo da evitare tutti questi titoli e questi svolazzi, quante volte ve l’ho già detto?».

    L’effetto della carezza, unito alla visuale dell’abito succinto, ebbe un tale effetto sul caro vecchietto che Mathan si impietosì: Lord Valan arrossì fino alla punta dei capelli e goccioline di sudore gli si formarono sulla fronte. Pur essendole vicino da anni, non era riuscito a immunizzarsi al fascino che la giovane emanava.

    A salvare Lord Valan fu l’ingresso senza tante cerimonie di Kilian. «Ho interrotto qualcosa?» domandò con un sogghigno, osservando l’anziano uomo che cercava di ricomporsi.

    «Lord Valan stava per sciogliersi sotto il tocco di Hyana» lo canzonò Mathan, cercando inutilmente di trattenere un sorriso.

    «Capisco».

    «Questo perché Lord Valan è un vero uomo» commentò Hyana avvicinandosi all’imponente guerriero. «Tu, invece, sei un pezzo di marmo» e gli sfoderò uno dei suoi sorrisi.

    Kilian non fece una piega.

    «Vedi?» lo accusò. Poi sollevandosi sulle punte dei piedi, accarezzò anche a lui una guancia, aggiungendo: «Ma a me piaci così».

    «Sono lusingato».

    «Mi sono fatta una certa idea su di te» continuò Hyana guardandolo dritto negli occhi. «Secondo me, Galhaus ti ha creato affinché rimanessi scapolo».

    «Dici?».

    «Proprio così: nessuno può rimanere insensibile al fascino di una bella ragazza, se non per volere divino. Mi dispiace, caro amico, ma questa è la verità».

    Kilian scrollò le spalle. «Credo che sopravviverò comunque».

    «È assolutamente impossibile ragionare con lui» concluse Hyana con finto tono rassegnato.

    «Ho saputo che domani mattina partirete per Ensal» riprese Kilian cambiando argomento.

    «E come hai fatto a saperlo?» gli chiese Mathan.

    «Le notizie girano veloci».

    «Comunque sia è vero: staremo via tre o quattro giorni».

    «Verrò con voi». Il suo tono indicava che non voleva sentire repliche.

    «E per quale motivo?» volle sapere Hyana.

    «Ricordate il mio secondo titolo, oltre a quello di Comandante dell’Esercito di Atalea?».

    «Protettore della Famiglia Reale».

    «Vi sembra sufficiente per evitare discussioni?».

    «D’accordo» acconsentì Mathan. «Prepara solo un gruppo di dieci soldati a cavallo che ci accompagnino».

    Kilian annuì e uscì dalla stanza.

    «Ti diverti sempre a stuzzicarlo, vedo» osservò Lord Valan rivolto a Hyana.

    «È il mio modo di prenderlo in giro: voglio vedere quanto tempo resiste. Però credo proprio che sia ora di cominciare a cercargli una moglie».

    «Non sono sicuro che sia una buona idea invadere il suo spazio privato» ribatté Mathan con una smorfia.

    Hyana sospirò. «Forse hai ragione. E poi, in fondo, non è da escludere che incontri una ragazza che lo faccia innamorare... anche se non ci conterei molto».

    4

    «Sembra la mobilitazione dell’esercito» osservò Kilian la mattina della loro partenza, scendendo la scalinata del palazzo e scrutando la piazza tutto intorno.

    Hyana aveva deciso di portare con sé le dame di compagnia per allietare il viaggio, e questo aveva dato inizio a una reazione a catena: le dame di compagnia avevano bisogno dei camerieri, e tutti avevano bisogno di scudieri e valletti.

    «Vedi se riesci a sfoltire il gruppo» lo pregò Mathan.

    Dopo pochi minuti e molte epurazioni, si ritrovarono in una quantità più accettabile.

    «I cavalieri ci stanno aspettando all’esterno» lo informò Kilian.

    «Bene. Ormai siamo pronti per partire».

    Il corteo si apprestò a iniziare il viaggio e, fuori dalle mura, venne circondato dai dieci soldati scelti da Kilian, il quale cavalcava in testa assieme a Mathan.

    «Non capisco il motivo per cui ci siamo portati dietro tutte quelle farfalle troppo vistose» commentò il soldato in tono sprezzante riferendosi ai paggi. «Non sono mai saliti su un cavallo in vita loro e di sicuro ci rallenteranno il passo».

    «Conosci mia moglie» replicò Mathan. «Quando viaggia vuole essere comoda come a palazzo».

    Kilian borbottò qualcosa di incomprensibile.

    Raggiunsero Ensal che era pomeriggio inoltrato: non vi era più molta gente per strada, ma appena riconobbero il loro sovrano le grida di saluto richiamarono il resto della popolazione fuori dalle loro case, e in men che non si dica ai bordi della strada si formò una folla festosa. Nonostante l’entusiasmo generale non ebbero difficoltà ad arrivare in prossimità della villa dei genitori di Hyana, circondata da un enorme parco, che si trovava quasi fuori dalla città.

    Due servitori in livrea, ai lati del grande cancello aperto, li fecero entrare e richiusero appena tutti furono entrati, lasciando fuori la folla che, ordinatamente, si dissipò quasi subito. I due servitori si offrirono di accompagnare il gruppo attraverso il parco ben curato, abbellito da fontane di marmo, statue e salici piangenti. E poi, oltrepassata una pineta di modeste dimensioni, si trovarono davanti alla villa, un’immensa costruzione su tre piani immersa nella calma del verde.

    Due figure illuminate dalle torce erano in attesa ai piedi dell’ingresso: Mathan non ebbe difficoltà a riconoscere i genitori di Hyana. A confermare ciò fu proprio la giovane donna che, scesa dalla carrozza, si lanciò di corsa e in maniera molto poco regale verso di loro, baciandoli e abbracciandoli.

    Nel frattempo Mathan era sceso da cavallo per consegnarlo alle cure di uno stalliere che era venuto a prenderli in consegna. Si diresse anch’egli verso l’ingresso, dove sua moglie stava parlando con i genitori.

    «Mathan!». Il padre di Hyana gli si avvicinò e gli tese la mano in una stretta vigorosa.

    «Come va, Obler? Ti trovo bene».

    Era un uomo sulla cinquantina, ma con un corpo ancora asciutto e solido. Si passò una mano sulla testa, tirandosi indietro i capelli grigi. «Non mi lamento. E a te?».

    Mathan scrollò le spalle. «Non ho tempo per annoiarmi. Asyen». La madre di Hyana gli si avvicinò con un sorriso materno.

    «Caro Mathan!» disse baciandolo sulla guancia. «Ti trovo bene».

    Mathan le sorrise. «Tua figlia mi impedisce di invecchiare».

    «Perché non entriamo?» propose Obler. «L’aria della sera è ancora fresca».

    «Se non vi diamo fastidio noi resteremo sul prato» intervenne Kilian dietro di loro.

    «Dentro c’è posto per tutti» assicurò Obler.

    «Siamo soldati, e dovremmo essere tutti indescrivibilmente coraggiosi. Un po’ di scomodità dovrebbe essere sopportabile».

    «Ti presento il Comandante del nostro esercito» gli spiegò Hyana. «Io suggerirei di lasciargli fare come vuole: può diventare estremamente scontroso se contraddetto».

    «Fate come volete, allora» concluse Obler, «ma se avete bisogno di qualcosa non esitate a chiedere».

    «Vi ringrazio» disse Kilian. Poi si girò e impartì una serie di bruschi ordini, accolti con borbottii da parte dei paggi.

    «Allora, venite?». Asyen prese sottobraccio Mathan e lo accompagnò dentro casa, seguiti da Hyana e da suo padre.

    L’interno era lussuosamente arredato, i candelabri appesi alle pareti illuminavano abbondantemente le stanze e i camini accesi provvedevano a riscaldare l’ambiente e creare un’atmosfera familiare e rilassante.

    «La cena è quasi pronta» annunciò Asyen. «Poi vi farò vedere la vostra stanza: dovrete essere stanchi dopo questo viaggio».

    «Non dovevi preoccuparti troppo, mamma» la ringraziò Hyana.

    Asyen accantonò i ringraziamenti con un cenno della mano e li condusse in una grande sala dove faceva bella mostra una tavola abbondantemente apparecchiata. Presero posto e quasi subito i camerieri portarono vassoi di carne fumante cucinata in svariati modi con contorni di verdure, formaggi e diverse qualità di frutta, il tutto accompagnato da ottimo vino.

    Data la stanchezza e l’ora tarda parlarono di argomenti di poco valore, accantonando per le giornate seguenti i discorsi più seri. Finita la cena vennero accompagnati nella loro stanza.

    «È bello essere di nuovo a casa» fu l’ultima cosa che disse Hyana prima di addormentarsi.

    5

    «Ultimamente non sono riuscito a viaggiare molto» stava dicendo Obler a Mathan la mattina successiva. Hyana stava ancora dormendo e lui era sceso al piano di sotto trovando Obler intento a fare colazione. «Ho avuto alcuni acciacchi: ho quasi cinquant’anni, non sono più un ragazzino».

    «Cinquant’anni ben portati» commentò Mathan spalmandosi della marmellata di more sopra una fetta di pane abbrustolito. «Alla tua età parecchia gente non riesce nemmeno a tenersi in piedi».

    «Ti ringrazio. Comunque, qualche mese fa ho compiuto un viaggio nell’Arenthloz: non vorrei inventare problemi che non esistono, ma credo che stia succedendo qualcosa in quel regno».

    «In tutti i regni succede qualcosa» osservò Mathan. «Di solito è a causa del malcontento della gente verso il governo che li regge».

    L’uomo scosse il capo. «Non credo che abbia qualcosa a che fare con il governo, ma con la religione».

    «Per quel che ne so, nell’Arenthloz la Santa Chiesa non ha mai avuto problemi».

    «Eppure ho l’impressione che si stia covando qualcosa. Ti dice niente il nome Fratellanza della Luna Nera?».

    Mathan si accigliò. «No» ammise. «Non ne ho mai sentito parlare».

    «Vedi, mentre alloggiavo in una locanda ho colto brani di una conversazione che sicuramente doveva restare segreta». Si portò il bicchiere alle labbra e bevve un lungo sorso di vinello rosso. «Da quello che ho capito, questa setta adora Oschan, quello che secondo loro è l’unico vero dio arenthian, e negano l’esistenza di Galhaus».

    Mathan si strofinò pensierosamente il mento. «Presumo sia difficile che l’Arciprelato ne sia al corrente: se è una setta segreta, anche gli adepti e di conseguenza la loro attività lo sono. Probabilmente è meglio che gliene parli quando torneremo ad Arendal, poi toccherà a lui prendere le decisioni che reputa opportune».

    Obler gli versò del vino riempiendogli per metà il bicchiere. «Secondo te, cosa deciderà di fare?».

    «Potrebbe mandare qualche osservatore a dare un’occhiata in giro» ipotizzò Mathan. «Ma conoscendolo potrebbe anche non fare nulla se non è più che convinto dell’esistenza di qualcosa di poco chiaro».

    «Dammi un po’ qualche notizia del resto del mondo, non me ne giungono più molte fresche di giornata».

    «Sono sempre i soliti problemi» rispose Mathan, cercando una posizione più comoda sulla poltrona. «Issenia e Moberkove si affrontano in continue scaramucce per il possesso delle Isole Tajmyr. Mi sembra che avessero firmato un trattato con il quale l’Issenia poteva sfruttare i giacimenti di diamanti dell’isola orientale, e il Moberkove quelli dell’isola occidentale, ma qualcosa deve essere saltato. Alcune tribù nomadi del Sackaren continuano a razziare i villaggi di confine dell’Itakan, approfittando della mancanza di truppe dislocate in quelle zone impervie, e dalla catena montuosa tra l’Itakan e il Dazarlands i Sacerdoti di Skul sconfinano per catturare uomini, donne e bambini da sacrificare al loro dio».

    «Le pratiche religiose dei dazaren sono orribili» osservò Obler con disgusto.

    «Come il loro dio» aggiunse Mathan con una certa durezza che la diceva lunga circa il suo pensiero sull’argomento. «Sarebbe quasi ora di condurre una campagna militare e cancellarli una volta per tutte».

    «Non sempre le maniere forti sono le migliori» osservò saggiamente Obler.

    «Hai ragione, forse mi sono fatto prendere la mano. Ma pensa che posto migliore sarebbe il mondo senza certa gente in giro: praticare sacrifici umani è una cosa inammissibile, e sarebbe un motivo più che valido per cancellarlo dalle cartine».

    Per un po’ nessuno disse niente. Mathan si versò un boccale di vino e ne versò un altro a Obler.

    «C’è una cosa che non riesco a capire» riprese quest’ultimo dopo aver finito la bevanda, cambiando argomento. «Le Isole Tajmyr non sono completamente ghiacciate?».

    «Sì, è così».

    «E allora, come si può riuscire a estrarre i diamanti, se si trovano sotto uno spessore di parecchi metri di ghiaccio?».

    «Esistono dei macchinari apposta» spiegò Mathan, cercando di evocarne l’immagine. «Sono molto robusti e possono scavare fino a raggiungere una profondità sufficiente, ma richiedono l’utilizzo di molti uomini: è un lavoro parecchio stancante».

    In quell’istante la porta si aprì ed entrò Hyana. «Mi sono svegliata e non eri più nel letto» disse a Mathan.

    «Mi sono alzato presto» ammise lui. «Non riuscivo più a dormire».

    Hyana sorrise, si avvicinò e lo baciò. «Non è troppo presto per bere vino?».

    «Non è mai troppo presto per bere vino» ribatté Obler. «A quest’ora ti dà subito la carica per affrontare nel modo giusto la giornata».

    «È una scusa campata in aria» osservò acidamente lei.

    Mathan pensò che sua moglie volesse trascorrere del tempo da sola col padre, quindi li lasciò con la scusa di voler dare un’occhiata fuori. Uscì dalla stanza e attraversando il corridoio incontrò Asyen.

    «Buongiorno, Mathan. Hai già fatto colazione?».

    «Sì, grazie: ha provveduto tuo marito».

    «Molto bene. Immagino che andrai a dare un’occhiata a quelli fuori».

    «Preferisco controllare» ammise il giovane con il sorriso di chi la sa lunga. «Kilian non apprezza molto i paggi: non vorrei trovarne qualcuno in meno e doverne spiegare il motivo a tua figlia».

    Asyen sorrise e si allontanò, e Mathan proseguì lungo il corridoio fino ad arrivare alla scalinata.

    «Uno due, uno due, uno due...». La voce di Kilian proveniva da un punto imprecisato del giardino. Mathan scese le scale, e venne accarezzato dai tiepidi raggi del sole. Inspirò profondamente una boccata di aria frizzante poi, voltandosi alla sua destra, vide una scena che lo fece scoppiare a ridere: due paggi impegnati ad effettuare delle flessioni sotto lo sguardo imperturbabile di Kilian che dettava il ritmo. Dalla loro espressione stanca e sofferente capì che erano quasi allo stremo.

    «Devono essersi macchiati di chissà quale orrendo crimine, per meritare questa terribile punizione» osservò ironicamente avvicinandosi.

    «Fare ginnastica al mattino non ha mai ucciso nessuno» ribatté Kilian senza nemmeno prendersi il disturbo di voltarsi a guardarlo.

    «Da quanto tempo li stai torchiando?».

    «Non da poco, ma nemmeno da troppo».

    Il sudore colava copioso dai volti dei due paggi, che gemevano pietosamente a ogni flessione. Improvvisamente, uno dei due cadde al suolo e non si rialzò.

    «Tirati su!» ruggì Kilian.

    «Per pietà!» sussurrò quello. «Non ce la faccio più!».

    «Ho detto TIRATI SU!».

    Il paggio rimase a terra, e allora il biondo guerriero proruppe in una sequela di imprecazioni accompagnate da orrende minacce relative a torture fisiche. Il paggio scattò come una molla e riprese l’esercizio.

    «Perché lo stai facendo?».

    «Volevano accendere un fuoco per arrostire della carne che si erano portati dietro».

    Mathan era perplesso. «E dov’è il problema?».

    «Il problema è doppio. Primo: per accendere il fuoco stavano per abbattere una pianta del giardino. Secondo: se il rancio militare non è di loro gradimento hanno solo da non mangiare. Nessuno li ha invitati, tantomeno io. Senza contare che hanno impiegato quasi due ore a montare una mezza dozzina di tende, e ogni volta che ne preparavano una andava giù la precedente». Lanciò un’occhiata gelida ai due uomini. «E ora, se non ti dispiace, levati dai piedi: noi tre abbiamo da fare un discorsetto... in privato». Il tono con cui sottolineò quelle ultime parole non lasciava presagire nulla di buono per quei due.

    6

    La Notte delle Lacrime era una ricorrenza conosciuta in tutto il mondo. Veniva così chiamata non a causa di un fatto tragico, ma per uno strano fenomeno atmosferico. Ogni quarantacinque anni, alla stessa ora della stessa notte, l’oscurità del cielo era solcata da stelle cadenti che, a poco a poco, aumentavano di numero e di intensità, fino a quando il cielo se ne riempiva a tal punto da sembrare che stesse piangendo. E da qui il nome.

    Quella sera era abitudine che le famiglie si riunissero per festeggiare la possibilità di osservare un fatto così eccezionale. E rispettando l’abitudine anche i genitori di Hyana per quella sera avevano preparato un bel banchetto, reso ancor più sontuoso per la presenza della famiglia al completo.

    Una grande tavolata era stata approntata in giardino, davanti alla scalinata, e le lanterne appese ai rami degli alberi davano un tocco artistico che rendeva l’atmosfera ancora più magica.

    Per volere dei genitori di Hyana anche i paggi e i dieci soldati erano stati invitati alla tavola e questa volta, stranamente, Kilian non trovò nulla da obiettare. Mangiarono zuppe, carne, pesce e verdure in gran quantità, anche più di quanto ne avessero effettivamente bisogno, rimanendo poi sazi e tranquillamente seduti, appoggiati allo schienale, a chiacchierare e attendere l’evento.

    Un paggio ruttò sonoramente, e Kilian gli lanciò un’occhiata tagliente come la lama della sua spada. Arrossendo e chinando il capo l’uomo borbottò delle scuse. Mathan era sicuro che il giorno seguente quell’uomo avrebbe avuto un brutto inizio di giornata.

    «C’è un’antica leggenda che pochi conoscono» disse Obler interrompendo il silenzio che era calato. «Narra che le stelle cadenti in realtà siano le lacrime degli dei, delusi dal comportamento degli uomini che hanno smarrito la via che loro avevano dato da seguire. Secondo la leggenda questo fenomeno avviene perché essi vogliono avvertirci del male che ci facciamo a vicenda. Fino a quando il male regnerà incontrastato sulla terra, essi ci lasceranno soli al nostro destino».

    Fino a quando il male regnerà sulla terra...

    Mathan rifletté su quella frase mentre osservava il cielo scuro. Era ipotizzabile che il male venisse debellato, sconfitto come una malattia che danneggia il corpo? Molto difficile, si disse. Sospirò. Cosa sono il bene e il male, se non le due facce della stessa medaglia? Cancellandone una, automaticamente non si cancellerebbe anche l’altra?

    La sua riflessione venne interrotta da un puntino rosso alto nel cielo che disegnò un arco e si spense in lontananza.

    «Comincia» disse Hyana seduta alla sua destra. Gli circondò la vita con braccio e appoggiò la testa sulla sua spalla.

    Un’altra, poi un’altra e un’altra ancora. In poco tempo, il cielo iniziò ad essere attraversato da decine di archi rossi, il cui colore aumentò via via d’intensità.

    Mathan aveva letto su alcuni testi della sua biblioteca la spettacolarità dell’evento, ma vederlo dal vivo era un’emozione che non si poteva descrivere.

    Ma poi cominciò ad accadere qualcosa: anziché splendere sempre di più, il colore delle stelle prese a sbiadire. Un fastidioso vento gelido si alzò all’improvviso. E, sempre all’improvviso, la luna si oscurò di colpo.

    Mathan guardò sua moglie, avvertendo lo sconcerto nei suoi occhi. Si voltò verso Obler, e anche lui aveva quell’espressione. Capì che stava avvenendo qualcosa di strano: nei suoi testi non si faceva nessun cenno a queste variazioni.

    Intanto i colori continuavano a mutare, e le stelle che solcavano il cielo avevano colori diversi una dall’altra. Poco per volta tornarono rosse e, infine, scomparvero. Cessò di colpo anche il vento, e la luna tornò a brillare nel cielo.

    Tutt’intorno, la gente sussurrava sbigottita.

    No, concluse Mathan. Non era così che doveva andare. Era successo qualcosa di strano.

    In quegli stessi istanti, in una torre diroccata vicino al confine tra Itakan e Dazarlands, un migliaio di chilometri più lontano, un vecchio osservava lo strano cambiamento da una finestra. Il suo sguardo era fisso al cielo, i lunghi capelli bianchi scompigliati dal vento gli danzavano attorno alla testa.

    «E così è giunta l’ora» si disse quando tutto fu terminato. «Il conto alla rovescia è iniziato». Venne avvolto da uno scintillio azzurro, poi, sotto forma di un corvo nero, si alzò in volo nella notte scura.

    7

    Quella fu l’ultima notte che trascorsero a casa dei genitori di Hyana. La mattina successiva, di buon’ora, prepararono i bagagli e scesero in cucina per i preparativi. Mathan preferiva evitare un nuovo bagno di folla come quello che li aveva accolti al loro arrivo, quindi, subito dopo i saluti, le strette di mano e le promesse di mantenersi in contatto, attraversarono il cancello e ripartirono.

    Pur essendo ancora presto, parecchia gente era già in giro per le strade, pronta per affrontare una nuova giornata di lavoro, ma quelli che incontrarono non dimostrarono molto interesse al gruppo, proseguendo per la loro strada.

    «Quello che è successo stanotte deve aver turbato un po’ tutti» osservò Hyana, seduta nella carrozza insieme a Mathan.

    «Già» annuì il marito, che non trovò nulla da aggiungere.

    Il viaggio proseguì tranquillamente, e nel tardo pomeriggio giunsero al palazzo. Ad attenderli ai piedi della scalinata c’era Lord Valan.

    «Avete passato delle buone giornate?» esordì avvicinandosi.

    «Ottime» ammise Mathan. «A patto di escludere quello che è successo ieri notte».

    «Strano» si trovò d’accordo Lord Valan. «Davvero molto strano. Io ho avuto la fortuna di vederne un altro, quarantacinque anni fa, ma posso assicurare che era andato tutto come sempre».

    «Certo, questo deve aver scosso i nervi della gente».

    «Non solo quelli della gente: gli animali ieri erano ingovernabili. Ma per questo è meglio che ne parli con Hedar, lui saprà spiegartelo molto meglio di me».

    Mathan annuì e oltrepassò l’ingresso, seguito dall’anziano uomo. «Se vuoi posso mandartelo a chiamare».

    «Digli di venire nel mio studio: spero che non abbiano danneggiato nulla o ferito nessuno».

    Lord Valan si allontanò a cercare il ragazzo, mentre Mathan si diresse verso il suo studio. Entrando lasciò la porta aperta e si avvicinò a una finestra, osservando il cielo limpido e sgombro di nubi.

    «Posso entrare?» chiese dopo qualche minuto Hedar,

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