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La Tessitrice di destini
La Tessitrice di destini
La Tessitrice di destini
E-book343 pagine4 ore

La Tessitrice di destini

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Info su questo ebook

L’esercito demoniaco della Tessitrice di destini è pronto per muovere alla conquista delle terre abitate.
Chi potrà fermarlo ora che Rubino, il mago imperiale incaricato da re Balton di reclutare alleati per fronteggiare la minaccia, è stato ucciso e a guidare la sua compagnia è rimasta una giovane e inesperta guaritrice?
Anche la missione diplomatica dell’erede al trono pare destinata al fallimento.
Cosa potrà fare l’esercito di evocati di Aram per contrastare la ferocia di quello della Tessitrice?
Molte delle speranze sono riposte in Rajan e nel suo famiglio, ma il dubbio che la strega decida infine di unirsi alla Tessitrice assilla gli alleati.
Terzo e ultimo capitolo di una straordinaria saga fantasy che ha affascinato migliaia di lettori.
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2021
ISBN9788832929331
La Tessitrice di destini

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    Anteprima del libro

    La Tessitrice di destini - Gianluca Comunale

    Prologo

    La donna correva disperata. Il ragazzino esanime tra le braccia. Ci siamo quasi… Infatti, vedeva da lontano il luogo magico di cui aveva sempre e solo sentito parlare. Era strano da descrivere. Si trovava in mezzo a un enorme lago. Come un’isola, si ergeva dall’acqua, ma coperto da una coltre di nubi scure e avvolto da una fitta pioggia. Sapeva, per sentito dire, che si trattava di una sorta di barriera magica che, se attraversata, rivelava agli isolani la presenza dei visitatori. Era raggiungibile solo tramite un ponte naturale, contornato da piante e arbusti enormi. Il nome di quello specchio d’acqua la donna non lo conosceva, come non conosceva il nome di quel posto.

    Sapeva solo che ci abitavano le fate.

    Arrivata sulla riva del lago, ebbe un attimo di esitazione. Il sentiero era ricoperto d’erba, i rami degli alberi ondeggiavano, pigramente, al vento. Ogni tanto una foglia cadeva, danzando leggera nell’aria prima di posarsi al suolo. Farfalle volteggiavano sopra i fiori ai bordi del viottolo. Passeri cantavano tra le fronde. Tutto avrebbe dovuto trasmettere quiete e serenità, ma lei avvertiva un senso di disagio.

    Si fece coraggio e mosse il primo passo. Il manto erboso era soffice sotto i suoi piedi. Venne inghiottita dall’ombra del fogliame. Le ci vollero parecchi minuti per giungere alla fine del percorso.

    La pioggia scrosciava violenta di fronte a lei, impedendole la vista e coprendole il viso con una pellicola umida. Nessuno sapeva cosa celasse, perché nessuno aveva mai osato attraversarla. Le fate erano esseri spesso capricciosi, e non si curavano dei bisogni degli umani. Anzi, tendevano a evitarli. Guardò il volto cianotico del bambino, gli occhi chiusi, le labbra scure… Doveva farlo per lui. Socchiuse gli occhi per proteggersi dall’acqua violenta, si ingobbì per ripararlo il più possibile, ed entrò.

    Stranamente non fu investita dal getto. Si ritrovò invece oltre la barriera. Guardò verso il cielo. Lì non pioveva, anzi, il sole splendeva. Si voltò. La pioggia alle sue spalle continuava a cadere, nascondendole, ora, il mondo esterno.

    Scrutò intorno a sé. Era circondata da una fitta vegetazione. Enormi foglie di felci si facevano largo tra ogni tipo di pianta. Alberi dai tronchi talmente grossi che ci sarebbero voluti parecchi uomini per circondarli prendendosi per mano, si ergevano come giganti. I rami si intrecciavano a formare un reticolo attraverso il quale si insinuavano i raggi di luce. La donna non aveva idea della direzione che avrebbe dovuto prendere, così si avviò, semplicemente, procedendo in linea retta, facendosi largo tra la selva. Dopo qualche passo la sensazione di essere osservata si fece sempre più forte.

    C’è qualcuno? urlò, guardandosi intorno.

    Non ottenendo risposta, insistette. Per piacere... ho bisogno che qualcuno mi aiuti…

    Nulla. Col groppo in gola, accennò a proseguire.

    Con quale diritto entri in Ellhenen, umana? Hai violato il nostro confine senza autorizzazione.

    La voce, nonostante fosse di donna, era molto profonda. Nulla a che fare con le leggende che raccontavano di voci d’usignolo. Si diffondeva nell’aria, come se provenisse da ogni angolo della foresta.

    Ho bisogno d’aiuto! ripeté, disperata.

    L’aiuto che vieni a chiederci non ti sarà concesso, rispose la voce, impietosa.

    Ora era molto più vicina. La donna girava su se stessa, cercando di incrociare le sembianze di chi le stesse parlando.

    Come…? È mio figlio... ho bisogno... voi... voi dovete…

    "Noi dobbiamo? la interruppe la fata guardiana con tono irato, uscendo finalmente allo scoperto, e apparendo, sembrò, dal nulla. Noi non dobbiamo nulla a nessuno, donna presuntuosa. Come osi pretendere aiuto da noi?"

    Mentre parlava, altre fate comparvero. Erano tutte bellissime d’aspetto, con abiti di ogni colore, aderenti, lunghi fino ai piedi scalzi. Niente ghirlande o ali o qualsiasi tipo di ammennicoli descritti dai racconti che si facevano ai bambini, le sere d’inverno, di fronte al fuoco di un camino. In breve, fu circondata. La fata guardiana impugnava una semplice lancia di legno.

    La donna era sempre più disperata, ma iniziava anche ad avere paura. Quegli esseri non avevano nulla di amichevole. La osservavano dall’alto in basso, come fosse un insetto o poco più.

    Chiedo scusa, non volevo mancarvi di rispetto, non ne avevo assolutamente intenzione. Solo, sono disperata. Mio figlio è caduto, ha sbattuto la testa, ed è…

    Non riuscì a finire la frase, era troppo duro da dire. Appoggiò il corpo a terra, rimanendo in ginocchio accanto a esso, il volto rigato dalle lacrime. La fata sembrò addolcirsi nella voce, ma mantenne lo sguardo duro e l’espressione altezzosa.

    Mi spiace, non possiamo riportare i morti nel mondo dei vivi. È contro le nostre leggi, sentenziò.

    Ma voi ne avete il potere. La vostra magia è potente.

    La nostra magia non prevede il richiamo delle anime. Non possiamo.

    Le labbra della donna tremarono, altre lacrime si riversarono copiose lungo il suo viso. Tutto era perduto.

    Lo farò io! urlò una delle fate presenti.

    Tutte si voltarono verso di essa, compresa la donna.

    Era diversa da tutte le altre. Aveva la pelle più scura, mentre le sue compagne erano candide, quasi lattiginose. I capelli neri, che risaltavano tra quelli biondi, castano chiaro o rossi. Gli occhi talmente chiari da fondersi con il bulbo oculare, nulla a che fare con i verdi sgargianti o gli azzurri profondi che ora la fissavano increduli.

    No, Rajan, non puoi, la ammonì in tono duro la fata imperatrice, sbucata anch’essa dal nulla, probabilmente per intercettarla.

    Sì che posso, rispose dura Rajan, a denti stretti.

    Avanzò ad ampie falcate e, prima che qualcuna delle altre potesse intervenire, si inginocchiò accanto al ragazzo, gli avvicinò la mano al petto, dalla quale scaturì un flebile bagliore e chiuse gli occhi.

    Rajan, no!

    Fece appena in tempo a urlare l’imperatrice. Il corpo del bambino si inarcò violentemente e, con gran dolore, inspirò rumorosamente una gran quantità d’aria. Poi si riadagiò a terra e aprì gli occhi. La madre pianse e lo abbracciò, continuando a ripetere il suo nome e ringraziando.

    Cosa hai fatto… sussurrò la fata.

    Quello che dovevo.

    Rajan la fissava, con aria di sfida.

    Accompagnate questa donna fuori dal regno, ordinò l’imperatrice sostenendo il suo sguardo.

    Le altre fate eseguirono con solerzia, facendo alzare la madre e prendendo il bambino in braccio. Quando la donna fu lontana, l’ira scaturì dalla fata come un fiume in piena.

    Come osi mancarmi di rispetto? Come osi agire contro un mio ordine? Ti rendi conto di quello che hai fatto?

    Rajan sbuffò, insolente. Un tuo ordine? In questo regno riportiamo in vita ogni tipo di pianta, albero o fiore e non possiamo aiutare una madre disperata? La vita di un bambino è forse meno importante?

    Tu non sai cosa hai fatto. Non hai aiutato una madre, ma commesso un crimine.

    Addirittura un crimine? Non pensi di esagerare?

    "Per riportare in vita le piante, come le chiami tu, utilizziamo magia bianca e loro non costituiscono un pericolo per nessuno. Per riportare le anime dei defunti attingi alla magia oscura, senza sapere cosa riporterai dall’aldilà. Non abbiamo mai la certezza che sia quella giusta. Potresti avere richiamato qualsiasi cosa, anche un demone, per quel che ne sappiamo e questo, nel mio regno, è un crimine."

    Allargò le braccia e le fate scomparvero tra la vegetazione, lasciandole sole. La fata imperatrice scosse la testa.

    Sono molto delusa da te, Rajan. Pensavo che i miei insegnamenti ti avrebbero cambiata, facendoti diventare una di noi.

    Fata non si diventa… sussurrò Rajan. Era una delle frasi che sentiva pronunciare sottovoce al suo passaggio, dopo ogni volta che infrangeva qualche regola.

    Vero, e tu me lo dimostri ogni giorno che passa. Speravo davvero in un tuo cambiamento. Oggi hai esagerato, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. A te, della madre e di suo figlio, non interessava nulla, lo hai fatto solo per sfidarmi ancora una volta. Stai percorrendo il sentiero oscuro.

    Hai paura che abbia richiamato un demone? Non ti preoccupare, non si trovano tra le anime degli umani.

    La fata imperatrice scosse la testa. A un suo gesto, le radici di un albero affiorarono dalla terra, intrecciandosi strette in un trono di legno sul quale si sedette.

    Di quello non mi interessa. Se la vedano gli umani col rinato. Hai trasgredito a ogni regola che ti è stata imposta. Dalla condivisione dei pensieri al rispetto delle tue superiori.

    La condivisione…

    L’aveva sempre odiata. Il fatto che chiunque potesse sapere, in qualsiasi momento, cosa stesse pensando o facendo la faceva impazzire. Così aveva schermato la sua mente, impedendo a chiunque di entrarvi. Ma lei, se avesse voluto, avrebbe potuto sentire loro. La cosa aveva fatto andare su tutte le furie l’imperatrice e le fate superiori. Ma non erano mai riuscite a cambiare le cose.

    Non posso permettere che qualcuno, specie una di noi, minacci il nostro regno, la accusò l’imperatrice. Sei sempre più imprevedibile e pericolosa.

    Rajan non poteva credere alle proprie orecchie. Non aveva mai fatto del male a nessuna.

    Ma potresti farlo, le disse la fata.

    Rajan ebbe un sussulto, come se fosse stata colpita in pieno volto.

    Sì, mia cara, io posso ancora farlo. Non sempre e non per molto. I tuoi poteri aumentano di minuto in minuto. Non ho mai visto una progressione simile… e la tua anima è macchiata dall’oscurità. Per questo mi preoccupi.

    Due fate guerriere comparvero ai suoi fianchi.

    Non ti posso permettere di restare oltre. Sei bandita.

    La fata era allibita.

    Le guerriere fecero per afferrare le braccia di Rajan, ma le loro dita si chiusero nell’aria. Lei era scomparsa in una nube nera, per riapparire, allo stesso modo, qualche metro alle loro spalle.

    Non osate toccarmi, ringhiò a denti stretti verso le guerriere, che si erano voltate, incredule e spaventate.

    L’imperatrice impallidì. Domina le ombre... Un brivido percorse la sua schiena. Era già più pericolosa di quel che pensava. Si preparò a un eventuale scontro.

    Conosco la strada, disse, invece, Rajan.

    La fata si rilassò, tirando un sospiro di sollievo.

    Rajan la fissò ancora per qualche secondo, poi si avviò.

    Non si voltò mai. Dentro di sé non rimpiangeva niente.

    Arrivata al confine, si fermò qualche istante. La barriera d’acqua era una magia creata e mantenuta dalle fate superiori, le più anziane. Erano cento, e il potere utilizzato era enorme. Ma lei non voleva andare via senza una piccola rivincita.

    Allungò un braccio e immerse la mano sotto la pioggia. Sentiva le gocce picchiare violentemente sulla pelle del palmo, l’acqua scorrere lungo il dorso. Non sapeva se ne fosse in grado, ma voleva provare.

    Chiuse gli occhi, assorbendo energia dalla barriera. Altra capacità derivata dalla magia oscura. Sapeva che le fate superiori stavano percependo la sua intrusione e doveva fare alla svelta. Quando le sembrò di avere attinto a sufficienza, fece fuoriuscire la magia rubata fusa con la sua, emanando una potente onda. Le nubi scure si dispersero e la pioggia si interruppe di colpo, cadendo come un velo al suolo e rivelando l’isola al mondo per la prima volta dalla sua creazione.

    Un sorriso maligno le piegò le labbra.

    Percepì alcune presenze. Senza bisogno di voltarsi capì che si trattava dell’imperatrice e di alcune fate guerriere.

    Sto andando, non ho bisogno di commiati.

    Hai oltrepassato ogni limite, Rajan. Ora pagherai per la tua insolenza.

    La rabbia della fata era palpabile.

    Non voglio scontrarmi con te, Saphira.

    Scomparve, per riapparire alle spalle dell’imperatrice.

    Per il tuo bene, le sussurrò all’orecchio.

    Era ora di andarsene.

    Addio, Saphira.

    Prima che chiunque potesse dire qualcosa o agire, venne inghiottita da una nube nera, dileguandosi.

    Riapparve su un’altura, dalla quale poteva osservare l’isola.

    Le nubi si stavano formando nuovamente. Poteva percepire l’agitazione e la frenesia delle anziane. Presto l’acqua avrebbe ripreso a cadere, sigillandola nuovamente dal mondo esterno. Osservò il paesaggio che la circondava. Erano decenni che non usciva dal Regno delle fate. Da quando venne consegnata a loro per istruirla alla magia bianca. Per allontanarla dalla tentazione. Percepì il tentativo di Saphira di individuarla e schermò la mente.

    Ora aveva bisogno di una dimora. Si incamminò tra gli alberi. Vagò per tutto il giorno. Quando calò la notte, decise di fermarsi. Era circondata dai versi di animali notturni che non riusciva a vedere, ma ne avvertiva la presenza. Si tenevano lontani. Non osavano avvicinarsi a lei nemmeno i predatori più feroci. Si sedette tra il fogliame, appoggiando la schiena al tronco di un albero. Sentiva la linfa vitale che scorreva dentro il legno.

    Chiuse gli occhi e, presto, si addormentò.

    Apre gli occhi.

    Rajan è circondata da un mondo a lei alieno.

    Gli alberi del bosco sostituiti da arbusti contorti, neri e rinsecchiti. I suoi piedi affondano in una cenere spessa. Il cielo è plumbeo, l’aria pesante e infranta da enormi lampi che illuminano l’orizzonte, il rombo dei tuoni che percorrono la vallata. Non riesce a capacitarsi di come vi sia giunta e dove possa trovarsi. Teschi e ossa sono disseminati ovunque.

    Poco più avanti la polvere nera inizia a smuoversi, creando una nube scura dalla quale emerge una figura incappucciata, il corpo magro coperto da una lunga tonaca nera e logora. Rajan non distingue il suo volto, nascosto nell’ombra. Forse addirittura inesistente.

    Chi sei? Dove mi trovo?

    Sei nell’Ombra, Rajan. Scura come la tua anima, tenebrosa come il tuo cuore. Questo regno ti appartiene e tu appartieni a lui. Appartieni a me.

    Io non appartengo a nessuno!

    Tu mi appartieni da quando hai iniziato a percorrere i sentieri oscuri. Dal primo momento in cui hai attinto alla magia proibita. Hai siglato un patto e la tua anima è il mio compenso. Dovresti saperlo. Come dovresti sapere chi io sia.

    Rajan è invasa dalla rabbia.

    Voglio andarmene via subito da qui, ora! urla, carica d’ira.

    Una risata scaturisce dalle tenebre sotto il cappuccio. La figura alza le braccia, solo ora Rajan si accorge che è priva di mani, e fili di fumo si sollevano intorno a lei. Tentano di ghermirla. La fata non ha alcuna intenzione di permetterglielo. Emette un’onda magica che li dissipa, sollevando la cenere che ricopre il terreno.

    Non opporre resistenza, Rajan. Questo è il tuo destino, il tuo punto di arrivo. Non hai altri destini. Non hai altre possibilità. Devi solo decidere come venire a me. Se con le buone, o con le cattive. In ogni caso il risultato non cambia.

    Mentre ancora la nuvola scura si sta posando, altri filamenti si sollevano, questa volta più veloci e decisi.

    Mai! grida Rajan.

    Un’altra ondata di magia li spazza via, altra polvere scura si leva in seguito a essa.

    Mani scheletriche affiorano dalla cenere e le afferrano le caviglie. Rajan abbassa lo sguardo, sorpresa. Le dita stringono come una morsa e la trascinano verso il basso.

    Sei indomita come un cavallo selvaggio, Rajan. Il tuo carattere è forte, la tua determinazione assoluta. Ma anche i cavalli più testardi alla fine si arrendono e vengono soggiogati. Sarà così anche per te, come lo fu per tua madre.

    A quelle parole l’ira di Rajan cresce a dismisura. Le sue gambe affondate nella cenere fino al ginocchio si dibattono inutilmente.

    Io non sono un cavallo, ringhia a denti stretti.

    Sente la magia bruciarle dentro, scorrerle nelle vene, invaderle la mente.

    Sente la sua aura crescere.

    Ali di pura energia, nere, scaturiscono dalle sue scapole e la sollevano velocemente in alto, strappandola alla cenere e alle mani scheletriche che si distruggono, spargendo ossa sul terreno.

    Gli occhi della fata oscura fiammeggiano, tutto il corpo è percorso da magia.

    Un rombo di tuono invade l’aria.

    Dall’alto fissa la figura incappucciata.

    Io non sono mia madre. Io non vengo domata da nessuno. Io non ti apparterò mai, essere ignobile.

    Allarga le mani. Sfere bianche ne avvolgono la pelle. Si allargano, inghiottendola in pochi istanti. Una esplosione di luce abbatte ogni cosa nel raggio di decine di metri.

    " Io ho pazienza, Rajan. Non pensare di sfuggirmi. Sarai mia. Alla fine, sarai mia. Come tua madre…"

    Aprì gli occhi. Le tenebre la circondavano, ma era tornata nel bosco. La voce sconosciuta, ancora nella mente, si affievoliva. Un lupo nero era sdraiato poco più avanti. La fissava con occhi luminosi. Non era un animale, ne aveva solo le sembianze. Era un famiglio. Un essere magico che affiancava gli stregoni, diventandone compagno a vita. Lui l’aveva scelta. Già ne percepiva il legame.

    Rajan si alzò, imitata dal lupo. Gli si avvicinò. Lui sollevò il muso, accettando che la fata lo grattasse sotto il mento, e socchiuse gli occhi con aria compiaciuta.

    Tenebra. Che ne dici?

    Ottenne un impulso mentale soddisfatto. Aveva accettato il nome.

    Si guardò intorno. In fondo non doveva cercarsi una dimora. Il mondo poteva essere la sua casa. Lei comandava ogni elemento, piegandolo ai suoi voleri. Le venne in mente Saphira, quando aveva creato il trono. Aprì la mente, in cerca dei segni vitali provenienti da ciò che la circondava. Ogni elemento ne emanava, persino la roccia. Individuò quelli che le interessavano. Radici affiorarono dal terreno, si intrecciarono, sempre più strette, saldandosi. Rajan sorrise soddisfatta. Si sedette sullo scranno improvvisato, che scricchiolò sotto il suo peso. Tenebra le si accucciò accanto. Lei gli appoggiò una mano sulla testa, accarezzandolo distrattamente.

    Il destino è mio.

    Lo creo io.

    Io non sono fata.

    Io non sono strega.

    Io non sono mia madre.

    1

    Regno oscuro

    La Tessitrice comparve nell’ampia sala attraverso una nube scura che si dissolse immediatamente dopo la sua apparizione. Percorse i metri che la separavano dal trono con ampie e rabbiose falcate.

    Come osano? si chiese a denti stretti. Come osano mettersi sul mio cammino?

    Si sedette, appoggiando la testa all’alto schienale, proprio sotto il volto urlante del nobile defunto. Il golem e Caidan erano di fronte a lei, in attesa di un suo ordine. Tessa osservò il gigante di pietra. Posò gli occhi sul braccio mozzato.

    Pagherà anche lei, pensò, ricreando distrattamente l’arto mancante. Il golem non parve nemmeno accorgersene.

    Vogliono la guerra? L’avranno. Vogliono soffrire? Soffriranno. Vogliono morire...?

    Le sue labbra si piegarono di piacere al solo pensiero.

    Ignus camminava da ore, ormai.

    Aveva lasciato la pianura del lago, attraversato boschi e vallate. La sua destinazione si avvicinava sempre più. La sua paura aumentava di conseguenza.

    I maghi demoniaci… Deglutì agitato al solo pensiero.

    Giunse ai piedi di una bassa collina.

    Un luogo dove nessun essere senziente e intelligente, che ci tenesse alla propria incolumità, si sarebbe mai avvicinato. Lui, invece, avrebbe dovuto entrarci.

    Salì il dolce pendio. Arrivato in cima, si guardò intorno. Sembrava un luogo come tanti altri. Erba verde ricopriva l’ampia piana, alberi radi costellavano il prato, cespugli punteggiavano l’ambiente. Si incamminò di malavoglia.

    Al centro del pianoro, gli alberi si infittivano, creando un piccolo boschetto. Ignus penetrò sotto le ombre che i rami intrecciati fittamente gettavano al suolo. Lentamente i suoi occhi si abituarono alla leggera oscurità. Fasci di luce biancheggiavano qua e là. Al centro vi era una struttura in pietra, corrosa e avvolta da rampicanti a manifestarne l’antichità. Da lontano pareva un semplice cumulo di sassi. Mentre Ignus si avvicinava, però, iniziò a distinguerne i contorni e la forma reale. Massi erano ammucchiati al suolo. Da essi si innalzavano due colonne di pietra scura, inclinate, che si appoggiavano in cima l’una all’altra, formando una irregolare porta triangolare. Il mago si fermò di fronte a essa, restio ad attraversarla. L’antro era una pozza nera.

    Non ho tempo da perdere, mago, vai! ordinò imperiosa la voce della Tessitrice nella sua mente.

    Ignus deglutì senza saliva per l’ennesima volta e oltrepassò l’ingresso.

    L’oscurità lo avvolse.

    Non riusciva a vedere a più di qualche metro davanti a sé. Anzi, poche decine di centimetri.

    La voce della Tessitrice irruppe nella sua mente. Ora i tuoi poteri sono attivi. Trova i maghi e portameli. Possibilmente senza farti ammazzare. Almeno non prima di aver portato a termine il tuo incarico.

    Ignus sospirò.

    Al diavolo... sussurrò il mago, senza riuscire a trattenersi.

    Una fitta violentissima gli esplose nel cranio, facendogli perdere la presa sul bastone e piegandolo su se stesso, ad ammonirlo. Si portò le mani alla testa, ma già il dolore andava ad affievolirsi.

    Ho capito… ho capito…

    La Tessitrice non ebbe bisogno di aggiungere alcunché. Il messaggio era chiaro.

    Tastò a terra, cercando il bastone con dita tremanti, e si raddrizzò a fatica. Mosse le labbra a recitare una breve formula e la pietra blu in cima al bastone emise una luce azzurrina e confortante a illuminare l’ambiente intorno al mago. Non voleva che ciò che abitava quel luogo infernale lo notasse, quindi lasciò che il fascio fosse debole, consentendo la visione solo di alcuni metri. Ciò poteva rivelarsi pericoloso, perché non aveva la possibilità di vedere lontano e quindi rimaneva all’oscuro di ciò che lo circondava. Ma preferiva così. I suoi sensi di mago, ora tornati attivi, lo avrebbero avvertito di eventuali pericoli.

    Almeno spero...

    Abbassò lo sguardo. Pietra lavica, nera e lucida. Mosse i primi passi, col bastone che picchiettava debolmente sulla superficie dura. Era impossibile stabilire se fosse in un ambiente chiuso o all’aperto. Il cielo scuro non presentava alcun segno che lo facesse capire. Niente stelle, lune, qualsiasi bagliore. Era totalmente nero.

    Ignus si sentiva soffocare in quell’ambiente, ma si costrinse ad avanzare.

    Dal nulla apparve una parete scura, verticale. Le rocce si sovrapponevano come tante scaglie, creando una superficie irregolare e tagliente. Il mago camminò lungo a essa. Nonostante fosse nera come la pece, rifletteva la luce, aumentando leggermente la visuale.

    Si muoveva con cautela, per via della scarsa visibilità, stando ben attento a dove poggiava i piedi. Aveva paura di trovarsi all’improvviso sull’orlo di un precipizio e non vederlo, cadendoci dentro. Teneva la parete vicina, così da avere almeno un fianco coperto ed evitare, da quel lato, sorprese sgradevoli. Non sapeva quanto ancora si sarebbe dovuto addentrare in quel maledetto posto, ma sperava di uscirne in fretta.

    Un ringhio gutturale sopra

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