Non dare da mangiare ai fenicotteri e altri racconti
Di Luca Novara
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Anteprima del libro
Non dare da mangiare ai fenicotteri e altri racconti - Luca Novara
sempre
Prisenia
1. Visioni sul Quod
Era là.
Seduto comodamente su una poltrona foderata in pelle, i gomiti bene appoggiati ai braccioli, la schiena dritta e lo sguardo perso nel vuoto di quella grande sala.
Alle sue spalle crepitavano e danzavano calde lingue di fuoco, mentre il fumo saliva per la canna fumaria sparendo nell’oscurità.
L’uomo si portò nuovamente alle labbra il bicchiere di alcool che aveva in mano.
Un gusto amaro gli invase la bocca.
Un forte sapore di whisky percorse come fuoco la sua gola, lasciando che un piacevole bruciore gli pervadesse il torace, lasciando solo un lieve tepore a riscaldarlo.
Inspirò profondamente e, allontanato il bicchiere dalla bocca, chiuse gli occhi, ascoltando le note di Mozart danzare nell’aria e giungere al suo orecchio fino a purificare il suo animo.
La sua mente riconobbe subito quell’armonia e istintivamente pronunciò con un filo di voce Klarinettenkonzert A-dur K. 622
, mentre la mano che reggeva il whisky oscillava lentamente facendolo roteare contro il vetro.
Prese a tamburellare con il piede sulla soffice moquette scandendo con l’altra mano il ritmo della musica.
Riaprì gli occhi.
Osservava dinanzi a sé, a diversi metri da lui, la parete con infisso al muro l’inquietante quadro del pittore Tiziano, raffigurante Marsia scorticato
, il satiro scuoiato vivo per essere stato sconfitto da Apollo in una gara musicale; alla destra di Marsia legato per i piedi ad un albero, si poteva scorgere re Mida pensieroso assistere alla macabra scena.
Ai lati del dipinto erano appese due torce che rischiaravano la tela conferendole un aspetto quasi surreale, mentre onde sonore si propagavano in tutta la sala.
La musica di Apollo
pensò ad alta voce l’uomo.
Posò il bicchiere su un tavolino di forma circolare posto a fianco della poltrona; era di legno massiccio, la cui base era retta da un grande e maestoso drago, le cui ali, finemente modellate, formavano e avvolgevano il tutto.
L’uomo si alzò girandosi verso le fiamme.
Si compiacque di vedere due lame d’argento incrociarsi sopra il caminetto, circondate da splendidi affreschi floreali.
Bevve un ultimo sorso di whisky e si avviò lentamente verso la porta ovest della sua camera.
Con un gesto veloce del polso la aprì ed entrò.
Era uno stanzino molto piccolo rispetto alla sala in cui si trovava prima ed era scarsamente illuminato. Sapeva però, dove guardare.
Si sedette su una panca di legno e si infilò due stivali scuri, legando strettamente le stringhe; quindi prese dal muro una lunga spada, con l’elsa dorata e ricoperta di simboli e piacevoli disegni. Il filo della lama sembrava perfetto e, soddisfatto, infilò la spada nel fodero, legandosela al fianco.
Raccolse da un tavolo un cinturone ricco di proiettili d’oro e, stretto alla vita, prese con sé anche la pistola.
Mi scusi, signore... è ora
disse un individuo, una volta che ritornò nella grande sala.
Certo, arrivo
La ringrazio, signore. Sa, è molto difficile trovare collaborazione al giorno d’oggi
continuò questi, facendo vibrare impercettibilmente i suoi lunghi baffi e accennando un inchino.
Stupido idiota! Solo uno stolto come te può credere che ci sia collaborazione. Io lo faccio perché non ho altra scelta. Capisci la differenza, automa insignificante?
ribatté con sdegno.
Perdonate, signore. Come al solito vi importuno con le mie inutili parole. –Importuno, inopportune, sconvenienti, fuori luogo... importuno importunare importunaccio importunaccino importunaccione... – scusate... sono desolato. Ultimamente mi capita spesso, non fateci caso. Ma ora si è fatto tardi. Se il signore è così gentile da seguirmi...
si scusò l’automa, inchinandosi e indicando la porta a est, aperta.
Non preoccupatevi... ecco, vi seguo.
Finì l’uomo incamminandosi verso la porta che quella macchina dall’aspetto umano gli stava tenendo aperta.
Egli sapeva che cosa lo aspettava.
Come prima cosa, però, c’era da percorrere quel lungo corridoio. Era tutto immerso nell’oscurità e l’uomo pensò a suo figlio.
Poi lasciò che la sua mente si liberasse, lasciando che per un attimo fosse assente da pensieri.
Domande, mille domande, come parassiti inferociti, gli invasero nuovamente la testa.
Perché lo stai facendo?
Perché sto facendo cosa, signore?
Perché stai camminando?
Perché gli impulsi elettrici che dalla mia mente arrivano ai piedi dicono e impongono che io muova passi in quella direzione.
Eh-eh. Ecco la risposta che mi aspettavo di sentire. Ecco la risposta che una macchina come te può dare. Lo scopo è lo scopo stesso; ma io, perché cammino? Sai dirmelo?
rise l’uomo.
Per lo stesso motivo, signore.
È qui che ti sbagli. Io cammino in quella direzione perché ne sono obbligato... ma non dai miei impulsi elettrici... io ne sono obbligato e costretto dalla mia volontà che, guarda caso, ironia della sorte, non è neanche la mia volontà! Riesci a capirlo questo, stupida macchina?
No, signore
Allora tenterò di spiegartelo in altro modo. Vedi quanto è lungo questo corridoio?
Si, signore
E non vedi quanto è scuro, buio e stretto? Non si riesce a vedere la fine.
Lo vedo, signore, ma le assicuro che vi è una fine. Io vengo da quella, difatti.
Lo so questo, e anch’io tempo fa lo percorsi per arrivare alla Sala. L’ho attraversato così tanto tempo fa che non mi ricordo com’è fatta la fine. O tanto meno l’inizio, che dir si voglia.
Se posso osare nel dire, è improbabile che la ricordi, signore
E perché mai, automa?
Perché nessuno la ricorda mai. È così e basta.
Capisco. Ma ci siamo persi in chiacchiere, tu e io.
Esatto, signore. Mi doveva gentilmente spiegare perché lei cammina in questa direzione.
Giusto. È semplice, ma tu non potrai mai capire
Tenti, signore
Ti sto seguendo attraverso questo lungo corridoio e sto mettendo un passo dietro l’altro solo per salvare mio figlio. Nel caso che io arrivassi sino in fondo come ho promesso, mio figlio sarà salvo e libero.
Aveva ragione, signore... non comprendo
Non puoi, te l’ho detto.
Camminarono in silenzio per un tempo indefinito (il tempo non aveva comunque nessun senso lì) quando finalmente videro un bagliore verso il fondo.
Una volta arrivati l’automa gli aprì una porta di forma sferica, curvata verso l’esterno, e l’uomo dovette socchiudere gli occhi per la luce più intensa di quella sala sferica.
Eccoci, signore. Ora devo lasciarla. Presto verrà dall’altra parte a prenderla un mio collega. È stato un piacere. Addio
disse l’automa accennando un inchino, ma l’uomo lo interruppe: ora dove andrai?
Tornerò indietro, ovviamente
Ma non vi è più nulla indietro
Con rispetto, signore, ma lei come fa a dirlo?
Lo so, c’ero solo io in quella stanza
...Non comprendo. Io devo svolgere il mio compito. Tornerò indietro ad eseguire il mio lavoro.
Ma il tuo lavoro consisteva nel prendere me e portarmi indietro... io sono l’Ultimo... ora nella sala che ci siamo lasciati alle spalle non c’è e non ci sarà più nessuno per l’eternità...
Con rispetto, signore, ma lei come fa a dirlo?
È una sala vuota... hai portato a termine il tuo compito...
Il mio compito non si esaurisce mai, signore. Non può essere finito. Mi dispiace, ma ora si è fatto tardi. Devo andare.
No, aspetta... non ha senso quello che fai
Con il dovuto rispetto, signore, ma credo sia quello che fa lei a non avere alcun senso. Ma non posso più trattenermi: nell’altra sala c’è sicuramente qualcuno che aspetta. Addio, signore, è stato un piacere. Non temete, il mio collega arriverà a breve.
Finì l’automa, chiudendo alle sue spalle la porta sferica che si sigillò immediatamente.
Non c’è nessuno nell’altra stanza, stupida macchina
mormorò a bassa voce l’uomo, prima di accomodarsi su una poltrona foderata in pelle.
La prima cosa che notò questa volta fu la particolare e oppressiva forma della stanza; la sua mente abituata a spigoli lati e pareti, non si trovava a proprio agio lì tra quelle forme morbide.
Soltanto in quel momento notò che anche il pavimento era una conca.
Strano se ne accorgesse solo ora. In effetti, però la sensazione era quella di camminare su una normale superficie.
Guardando con maggiore attenzione notò che anche la sua pelle e il suo corpo sembravano curvati anch’essi, come a seguire i contorni del luogo in cui si trovava. Eppure si sentiva perfettamente normale; osservò la poltrona e vide con stupore che anche i piedi di questa si incurvavano assieme alle sue gambe. Era bizzarro ma allo