Come sarebbe bello
Di Mosi
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Anteprima del libro
Come sarebbe bello - Mosi
ispirato.
1. L’aspirante investigatore
È una fresca serata estiva. La piccola città sul mare si presenta deserta. Nel porto tutto appare immobile e domina una gran quiete, accompagnata dal quasi impercettibile rumore dell’acqua in sottofondo e da un leggerissimo alito di vento. Il cielo, sgombro di nubi, lascia limpida la vista delle stelle e di una memorabile luna piena. Sono poche le imbarcazioni ormeggiate. A un estremo, lontana da tutte le altre, c'è una grande nave che galleggia solitaria, ancorata all'ultima banchina. Alla muta calma che regna nella terraferma si unisce, con naturale armonia, il silenzio della grande nave, sulla cui coperta, affacciato a un balconcino del ponte, ci sono solo io, uomo di mezza età con i capelli brizzolati. Vestito con un bel completo grigio e la camicia aperta nei primi due bottoni, con aria rilassata volgo lo sguardo sulla linea ideale dell'orizzonte, verso le luci dei pescherecci.
Serio e pensieroso, decido di sedermi su una sdraio vicino al balconcino dove mi trovavo qualche attimo prima; una volta accomodato, dalla tasca interna della giacca prendo un taccuino da cui estraggo una matita. Non so se è perché non sono mai stato su una nave, ma questo silenzio irreale crea un’atmosfera insolita, mi provoca sensazioni mai avute prima. Il fatto è che sulla nave c’è un assassino. Sulle navi c'è sempre un assassino. Sono sicuro che ce n’è uno anche in questa. Chissà cosa sta tramando, chissà perché vuole uccidere, chissà chi sarà la vittima. Non so come fare a scoprirlo per impedirgli di agire, però so che devo assolutamente trovarlo.
Ripongo il taccuino nella tasca e con la faccia da aspirante investigatore mi alzo deciso dalla sdraio dirigendomi sull'altro lato della nave, quello che guarda a terra. Mi appoggio al balconcino e mi affaccio incuriosito giù, sulla banchina, attratto da una parte dell'equipaggio che poco distante dalla scaletta per l’imbarco si è radunata attorno a un tavolino per giocare a carte. C'è anche il capitano. Da su, alzo la voce per essere sentito.
— Ehi, voi, scusate!
— Buonasera! — risponde, alzando lo sguardo, un tizio vestito da marinaio con le carte in mano e l’accento intonato alla divisa.
— Che fate? Come mai non siete a bordo?
— Eh, bella domanda. Non si parte! — replica sconsolato, indicando il cielo stellato
— Non c'è la stella polare. E senza stella polare non c'è nave che possa partire, sa?
— Ah. Quindi non si parte?
— E no, gliel’ho detto, non c'è la stella polare, non si sa dove sia finita!
— Ah. E nel frattempo giocate a carte?
— E sì, si ammazza un po' il tempo. Il capitano non gioca, mischia solo le carte. Ogni tanto si alza, ci ronza intorno, guarda che carte abbiamo e, se gli gira, ci dà qualche suggerimento. Ma lui non parla, dobbiamo esser bravi a capirlo, lui ammicca, gesticola, da un solo mezzo tic dobbiamo capire. L'ha capito, signore?
— Sì sì, ho capito. Vabbè, allora buona serata!
— Buona serata a lei!
Con le spalle rivolte alla banchina e il sedere poggiato al balconcino, tiro di nuovo fuori il taccuino e la matita, pensando a voce alta: «Il capitano mischia, ma non gioca». Ripongo di nuovo tutto nella giacca, rimuginando tra me e me: «Questi sono fuori dalla nave, per ora, ma non posso escludere che l'assassino sia uno di loro. Soprattutto il capitano, che conosce le carte di tutti.»
Mi viene incontro un giovane distinto un po’ più basso di me, con una barba e una giacca che gli stanno a pennello, la camicia senza cravatta, la faccia da ingegnere e dei jeans che tradiscono la sua ancora giovane età. Dietro gli occhiali da vista ha l'espressione tipica di chi vuol socializzare. Infatti, una volta di fronte a me, mi saluta cordialmente e io gli rispondo con lo stesso sorriso.
— Salve.
— Buonasera.
— Le navi non sono puntuali come i treni, siamo un po' in ritardo — dice, controllando il suo orologio da polso, con l'aria di chi vuol rompere il ghiaccio.
— Ma no, guardi, non è questo il caso. Ho appena parlato con alcuni membri dell'equipaggio. C'è anche il capitano. Dicono che non si parte perché non c'è la cosa.
— Quale cosa?
— La cosa, la stella polare.
— Impossibile! — fa il giovane con tono sicuro.
— Guardi, a me non interessa, non saprei nemmeno dove cercarla. È la prima volta che parto in nave, a malapena so che c'è un timone.
— Ma che c'entra, la stella polare sta…
— Senta, ho molto da riflettere per questioni... personali. Non è che mi interessi molto sapere dov'è una cavolo di stella polare. Lei ha un modo di fare pignolo. Mmm, per caso è ingegnere?
— Ma che significa? Possibile che se uno si presenta appena ordinato e misurato deve per forza essere…
— Quindi, me lo sta confermando.
— Sì, sì, va bene, sono ingegnere. Soddisfatto?
— Abbastanza. Il suo ordine e la sua attitudine a sistemare quadri già sistemati potrebbero essermi molto utili. Viaggia da solo?
— Sì, viaggio da solo, ma...
— Bene, anzi molto bene! Avevo intenzione di fare un giro nella nave. Mi vuol fare compagnia?
L'ingegnere fa una smorfia iniziale d'incomprensione, poi, con un misto di rassegnazione e mancanza di motivazioni per negare la richiesta, alza le spalle e accetta la proposta.
— Perché no? Andiamo.
2. La sinestesia
Camminando lungo un corridoio della nave, io e l'ingegnere ci troviamo in una zona in cui non ci sono cabine per i passeggeri ma varie stanze a tema. La prima che