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La madre segreta
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E-book285 pagine4 ore

La madre segreta

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Info su questo ebook

“Sei tu la mia mamma?”
Quando Tessa Markham torna a casa, trova nella sua cucina un bambino che la crede sua madre.
Ma Tessa non ha figli.
Non più.
Non sa chi sia il piccolo né come sia arrivato lì.
Dopo aver contattato la polizia, Tessa viene sospettata di aver rapito quel bambino misterioso. La sua intera vita è stravolta e poi suo marito le rivela un segreto...
Tessa non è sicura di cosa credere o di chi fidarsi, perché qualcuno sta mentendo. Per scoprire chi, però, dovrà affrontare il suo doloroso passato. Che la verità sia più pericolosa di quanto lei possa immaginare?
 
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2019
ISBN9788855311106
La madre segreta

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    Anteprima del libro

    La madre segreta - Shalini Boland

    Shalini Boland

    USA Today Bestselling Author

    La madre segreta

    1

    Titolo: La madre segreta

    Autrice: Shalini Boland

    Copyright © 2019 Hope Edizioni

    Copyright © 2017 Shalini Boland 

    www.hopeedizioni.it

    info@hopeedizioni.it

    ISBN: 9788855310031

    Progetto grafico di copertina a cura di FranLu

    Immagini su licenza Bigstock.com e Depositphoto.com

    Fotografi: Joe Pchatree e Phongphan

    Traduttrice: Raffaella Arnaldi

    Editor: Francesca Chiavarini

    Impaginazione digitale: Cristina Ciani

    Questo libro è concesso in uso esclusivamente per il vostro intrattenimento personale. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in qualunque forma o con qualsiasi mezzo elettronico o meccanico, compresi i sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni, senza il permesso scritto dell’autore, tranne nel caso di brevi citazioni contenute in una recensione. Se state leggendo questo libro e non lo avete comprato, per favore, andate sul sito amydawsauthor.com per scoprire dove potete comprarne una copia. Vi preghiamo di rispettare il duro lavoro dell’autore. Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, avvenimenti o luoghi è puramente casuale.

    Tutti i diritti riservati.

    Prima edizione digitale novembre 2019

    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Capitolo 33

    Capitolo 34

    Capitolo 35

    Messaggio da Shalini

    Ringraziamenti

    Hope edizioni

    Per Pete.

    Il tuo nome significa roccia

    ed è questo che sei per me.

    La mia roccia.

    Capitolo 1

    1

    I lampioni sfarfallano, illuminando il marciapiede grigio punteggiato di zolle di neve sporca e ghiaccio nero e scivoloso. Pozzanghere melmose si allargano oltre il cordolo, con i pneumatici delle macchine che schizzano acqua sibilando. Ho bisogno di tutta la mia concentrazione per tenermi in equilibrio. Le mani starebbero più calde se le infilassi nelle tasche del cappotto, ma mi servono libere per aggrapparmi a muri, steccati, alberi, lampioni. Non voglio cadere. Eppure, sarebbe così terribile se scivolassi sul ghiaccio? Jeans bagnati, un livido sul sedere. Non è la fine del mondo. Ci sono cose peggiori. Molto peggiori.

    È domenica: l’ultimo respiro della settimana. Quella disagevole pausa prima del lunedì, quando ricomincia di nuovo tutto. Una solitaria simulazione di vita. La domenica è diventata per me un punto nero sull’orizzonte, che si fa più grosso ogni giorno. Mi sento sollevata, adesso che è quasi finita, eppure sto già aspettando la prossima. È il giorno in cui visito il cimitero e sto davanti alle loro tombe, fissando l’erba e le lapidi, parlando con entrambi, chiedendomi se riescano a sentire le mie chiacchiere insensate o se stia semplicemente parlando al vento. Sotto il sole rovente, con la pioggia battente, a temperature sotto zero o nella nebbia fitta, io me ne sto lì. Ogni settimana. Non ho ancora mancato una domenica.

    Il nevischio mi schizza sul viso. Aghi ghiacciati che mi fanno sbattere le palpebre e sussultare. Infine lascio il viale e giro nella strada stretta dove abito; è più riparata e il vento meno violento. Un assortimento multicolore di bidoni strapieni punteggia il mio percorso, in attesa della raccolta di domani, a qualche ora disumana precedente l’alba. Distolgo il viso dalle finestre in cui ammiccano le luci degli alberi natalizi, ricordandomi Natali più felici. I Natali prima.

    Quasi a casa.

    La mia piccola villetta a schiera nella zona nord di Londra si trova a metà della via. Evito di soffermare lo sguardo sul giardino trascurato, con le carte di caramelle e i pacchetti di patatine vuoti portati lì dal vento, adesso incuneati in mezzo ad alti ciuffi d’erba e cespugli bisognosi di potatura. Caccio le dita ghiacciate nella borsa finché non tasto un mazzo di chiavi. Sono contenta di essere a casa, al riparo dal freddo, eppure il mio corpo si affloscia quando apro la porta ed entro nel silenzio buio del corridoio, percependo la loro assenza.

    Almeno qua fa caldo. Mi scrollo di dosso il cappotto, scalcio via gli scarponi, abbandono la borsa sulla consolle all’ingresso e accendo la luce, evitando di guardare il mio triste riflesso nello specchio. Un bicchiere di vino, in questo preciso momento, sarebbe gradito. Do un’occhiata all’orologio: solo le 17:20. No. Farò la brava e mi preparerò una cioccolata calda.

    Stranamente, la porta della cucina è chiusa. Mi pare strano, dato che la lascio sempre aperta. Magari una raffica di vento l’ha fatta sbattere quando sono entrata. Mi trascino fino in fondo al corridoio e mi fermo. Attraverso lo spiraglio sotto la porta vedo che la luce è accesa. C’è qualcuno. Trattengo il respiro e sento il mondo rallentare per un momento prima di accelerare di nuovo. Forse ho un ladro in casa?

    Tendo l’orecchio. Mi arriva un suono. Un bambino sta canticchiando nella mia cucina. Ma io non ho un bambino. Non più.

    Lentamente abbasso la maniglia e tiro verso di me la porta, mentre il mio corpo si irrigidisce. A malapena oso respirare. 

    Di fronte a me siede un bambino con i capelli scuri, che indossa jeans azzurri e un maglione verde. Un bambino di cinque-sei anni, appollaiato su uno sgabello davanti al bancone della mia cucina, che canticchia una melodia familiare. A testa bassa, si concentra sul suo disegno: matite colorate sono sparse intorno a un foglio A4. Un impermeabile blu è accuratamente appeso allo schienale.

    Alza lo sguardo appena entro nella stanza, sgranando gli occhi color cioccolato. Ci fissiamo per un momento.

    «Sei la mia mamma?» chiede il piccolo. 

    Mi mordo il labbro inferiore, sentendo la terra scivolarmi sotto i piedi. Mi aggrappo al bancone per sostenermi. «Ciao» dico, il cuore improvvisamente gonfio. «Ciao. Tu chi saresti?»

    «Lo sai. Sono Harry» risponde. «Ti piace il mio disegno?» Solleva il foglio davanti a sé, mostrandomi il disegno di un bambino e una donna accanto a un treno. «Non è finito. Non ho avuto il tempo di colorarlo bene» spiega.

    «È bellissimo, Harry. Sei tu quello accanto al treno?»

    «Sì.» Annuisce. «Siamo tu e io. L’ho disegnato perché tu sei la mia mamma.»

    Ho le allucinazioni? Sono impazzita, alla fine? Questo bellissimo bambino mi sta chiamando mamma. Eppure non lo conosco. Non l’ho mai visto prima in vita mia. Serro gli occhi e poi li riapro. È ancora lì, e adesso sembra meno sicuro di sé. Il suo sorriso speranzoso è svanito, rimpiazzato da un’espressione perplessa. Ora i suoi occhi sono un po’ troppo lucidi. Conosco quello sguardo, è quello che precede le lacrime.

    «Ehi, Harry» dico, fingendo allegria. «Allora ti piacciono i treni, eh?»

    Il sorriso gli torna in volto. «I treni a vapore sono il massimo. Meglio dei diesel.» Contorce il viso in una smorfia e sbatte le palpebre.

    «Sei venuto qua in treno? A casa mia?»

    «No. Siamo venuti col bus. Mi sarebbe piaciuto venire col treno, il bus era tanto lento. E mi dava la nausea.» Posa di nuovo il foglio sul bancone.

    «E con chi sei venuto qua?» chiedo.

    «Con l’angelo.»

    Penso di aver capito male. «Chi?»

    «L’angelo mi ha portato qua. Lei mi ha detto che sei la mia mamma.»

    «L’angelo?»

    Lui annuisce.

    Mi guardo intorno, improvvisamente consapevole che Harry potrebbe non essere l’unico sconosciuto presente in casa mia. «Lei è qua adesso?» chiedo in un sussurro. «C’è qualcun altro con te?» 

    «No. È andata via. Mi ha detto di fare dei disegni e che tu arrivavi presto.»

    Rilasso le spalle, sollevata di non avere nessun altro in casa. Ma questo non risolve il problema di chi sia il bambino. «Come sei entrato in casa mia?» chiedo, domandandomi nervosamente se magari sto per trovare una finestra rotta da qualche parte.

    «Dalla porta, sciocchina» replica lui con un sorriso, alzando gli occhi al cielo.

    Dalla porta? L’ho per caso lasciata aperta? Sono sicura che non lo farei mai. Ma che cosa sta succedendo? Dovrei chiamare qualcuno. Le autorità. La polizia. Qualcuno starà cercando questo bambino. Saranno sconvolti dall’ansia. «Ti andrebbe una cioccolata calda, Harry?» chiedo, cercando di tenere un tono il più calmo possibile. «Ne stavo per fare una per me, quindi…»

    «La fai col latte?» m’interrompe. «O con l’acqua calda? Col latte è proprio più buona.»

    Reprimo un sorriso. «Sono d’accordo, Harry. La faccio sempre col latte.»

    «Okay. Allora sì, grazie. Mi piacerebbe tanto una cioccolata calda.»

    Mi si stringe il cuore per quanto è beneducato.

    «Vado avanti a colorare il mio disegno» dice, «o ti aiuto? Perché sono davvero bravo a girare la cioccolata.»

    «Be’, che fortuna» replico, «perché io sono pessima a girare la cioccolata, quindi è una cosa positiva che tu sia qua ad aiutarmi.»

    Lui fa un gran sorriso e scende dallo sgabello.

    Che cosa sto facendo? Devo chiamare la polizia, e subito. Questo ragazzino è sparito dalla casa di qualcuno. Ma, oh Dio, concedimi giusto dieci minuti con questo dolce bambino che mi crede la sua mamma. Giusto qualche momento di finzione e poi farò la cosa giusta. Allungo la mano per toccargli la testa e subito la ritraggo. Ma cosa mi viene in mente? Questo bambino deve tornare dalla sua vera madre, che sarà terrorizzata.

    Lui mi sorride di nuovo e il petto mi si stringe. 

    «Okay» dico, inspirando e sbattendo le palpebre per scacciare le lacrime che mi minacciano. «Prepareremo la cioccolata tra un minuto. Devo solo fare una telefonata rapida in corridoio, okay?» 

    «Oh, okay.»

    «Vai avanti con il tuo disegno per un po’. Non ci metto tanto.»

    Lui si rimette sullo sgabello e sceglie una matita verde scuro prima di ritornare a colorare, l’espressione concentrata e seria. Mi giro ed esco in corridoio, dove prendo il telefono dalla borsa. Ma invece di fare il numero della polizia, chiamo un altro numero. Squilla due volte.

    «Tess.» La voce all’altro capo è tesa, diffidente.

    «Ciao, Scott. Ho bisogno che tu venga da me.»

    «Cosa? Adesso?»

    «Sì. Ti prego, è importante.»

    «Tessa, sono distrutto e il tempo è orrendo. Mi sono appena seduto con una tazza di tè in mano. Non può aspettare fino a domani?»

    «No.» In piedi accanto alla consolle dell’ingresso, sbircio Harry attraverso la porta: dei riccioli gli ricadono su un occhio. Me lo sto sognando?

    «Che cosa c’è?» Scott lo dice nel suo solito modo. Ma quello che intende davvero è E adesso cosa c’è? Perché c’è sempre qualche problema. Io sono la moglie disturbata, quella che ha sempre nuovi drammi o una nuova crisi immaginaria. Solo che stavolta vedrà che si tratta di una cosa vera, non di una mia invenzione.

    «Non posso dirtelo al telefono, è troppo strano. Devi venire qua e vedere da te.»

    Il suo sospiro echeggia a lungo e con forza nella linea. «Dammi venti minuti, okay?»

    «Okay. Grazie, Scott. Vieni appena puoi.»

    Il cuore mi martella nel petto mentre cerco di trovare un senso a quanto sta succedendo. Il bambino là dentro dice che l’ha portato un angelo. Dice che sono la sua mamma. Ma non è mio. Quindi, da dove diavolo è arrivato?

    Faccio un bel respiro e torno in cucina. L’aria è calda, l’ambiente accogliente, intimo. Niente a che vedere con la solita atmosfera sterile.

    «Adesso possiamo fare la cioccolata calda?» Harry mi guarda con occhi scintillanti.

    «Naturalmente. Prendo le tazze e il cacao. Tu apri quel cassetto e passami il pentolino più piccolo che trovi.»

    Obbedisce con zelo.

    «Harry» riprendo. «Dove sono i tuoi genitori, la tua mamma e il tuo papà?»

    Lui fissa le pentole nel cassetto.

    «Harry?» insisto.

    «Non sono qua» risponde. «Questo è piccolo abbastanza?» Solleva un pentolino d’acciaio e lo agita nella mia direzione.

    «Perfetto.» Annuisco e lo prendo. «Puoi dirmi dove vivi?»

    Nessuna risposta.

    «Sei scappato da casa? Ti sei perso?»

    «No.»

    «Ma dov’è la tua casa, o il tuo appartamento? Il posto in cui vivi? Si trova qua a Friern Barnet? A Londra? È qui vicino?»

    Lui mette il broncio e guarda le piastrelle del pavimento.

    «Hai un cognome?» chiedo con più gentilezza possibile.

    Alza lo sguardo su di me, il mento in fuori. «No.»

    Riprovo, abbassandomi al suo livello. «Harry, caro, come si chiama la tua mamma?»

    «Sei tu la mia nuova mamma. Ora devo stare qua.» Il suo labbro inferiore trema.

    «Okay, tesoro. Non ti preoccupare. Adesso ci facciamo la cioccolata, va bene?»

    Annuisce con vigore e tira su con il naso.

    Gli stringo la mano e mi alzo. Avrei preferito non dover chiamare Scott. Eppure ho bisogno che sia qua quando chiamerò la polizia. Non posso gestirla da sola, dopo quello che è successo in passato. Temo l’arrivo degli agenti: le domande, le occhiate di sbieco, l’insinuazione che io possa aver fatto qualcosa di male. Ma non ho fatto niente di male. Giusto?

    Harry… verrà portato via. E se i suoi genitori fossero violenti? E se dovessero darlo in affidamento? Un milione di pensieri mi attraversano la mente, ciascuno peggiore del precedente. Ma non sta a me decidere cosa debba succedergli. Non posso farci niente, perché lui non è mio. 

    Io non ho un bambino. Non più.

    Capitolo 2

    1

    Harry e io armeggiamo insieme in cucina, e ci viene così facile. Così naturale. Come se facessimo qualcosa che abbiamo sempre fatto. Come se fossi davvero la sua mamma e lui mio figlio, e fosse perfettamente normale preparare una cioccolata calda insieme, la domenica pomeriggio, dopo una passeggiata sotto la pioggia. Ci godremo le nostre bevande mentre guardiamo un film, e poi dovremo sistemare le cose per la scuola di domani. Gli preparerò il bagno e gli laverò i capelli, prima di metterlo a letto e leggergli una favola. No! Smettila. Smettila subito. Perché mi sto torturando con questi pensieri ridicoli?

    Ho la gola piena di lacrime, e tutt’a un tratto sto piangendo nel pentolino in cui bolle il latte.

    «Stai bene, mammina?»

    Mi asciugo le lacrime con la manica della felpa. «Sì, sì. Sto benissimo, tesoro. Non vedo l’ora di bermi un grande sorso di cioccolata quando è pronta.»

    «Anch’io.»

    Harry si inginocchia su una sedia e lo controllo mentre mescola il cacao con un cucchiaio di legno. Poi verso la bevanda in due tazzoni e ci sediamo insieme al piccolo tavolo della cucina. Ho solo qualche minuto per godermi questa istantanea di come sarebbe potuta essere la mia vita.

    So che dovrei insistere per sapere da dove arriva Harry. Chiedergli di nuovo chi siano i suoi veri genitori, dove vive e tutte le altre informazioni importanti. Ma prima non ha risposto e non voglio farlo agitare. Lascerò queste domande ai professionisti.

    Harry sorseggia rumorosamente la cioccolata e fa una smorfia. «È calda.»

    «Attento, non scottarti la lingua. Soffiaci sopra per raffreddarla un po’.»

    «A te piacciono i treni?» chiede Harry. Ha un baffo di cioccolata sopra il labbro, cosa che mi fa sorridere. 

    «Adoro i treni» rispondo. «Una volta ho preso il treno giù fino in Francia e poi attraverso la Spagna e il Portogallo.»

    «Wow! Quanto ci hai messo?»

    «Giorni e giorni.»

    «E anche notti? Hai dormito sul treno?»

    «Qualche volta» dico, ricordando lo scompartimento stretto che io e Scott avevamo condiviso poco dopo esserci messi insieme. Quei primi giorni d’amore, confusi e bellissimi.

    «Possiamo farlo?» domanda Harry, sgranando gli occhi all’idea di un’avventura simile. «Possiamo andare in treno in tutti quei Paesi e dormire sul treno nel sacco a pelo?»

    Ho voglia di dirgli sì, certo che possiamo. Ho voglia di dirgli che domani prenoteremo i biglietti e viaggeremo per il mondo insieme su un treno a vapore. Che vedremo posti esotici, meravigliosi, e saluteremo la gente dal finestrino. Chiacchiereremo con gente interessante e avremo uno scompartimento tutto per noi. Gli comprerò un cappello da macchinista, e il guidatore gli lascerà azionare il fischio. Sarà la cosa più divertente di sempre.

    «Sono sicura che un giorno, quando sarai più grande, potrai farlo, Harry.»

    «Fantastico» risponde con il naso nella tazza, la voce che riecheggia.

    Suona il campanello e io sobbalzo appena.

    «Chi è?» chiede Harry aggrottando la fronte e posando la tazza sul tavolo. 

    «Sarà Scott» replico alzandomi. «Non ti preoccupare. Ti piacerà, è simpatico.»

    «Okay.»

    «Ora lo faccio entrare,» dico «e torno. Stai lì un momento, va bene?»

    Harry annuisce, l’espressione improvvisamente seria.

    Esco dalla cucina chiudendomi la porta alle spalle. Scott ormai si rifiuta di usare le sue chiavi. Anche se siamo separati e non viviamo più insieme, gli ho detto di tenerne una copia. Gli ho detto che questa sarà sempre casa sua. Ma lui non entra mai da solo, suona ogni volta il campanello.

    Apro la porta d’ingresso e trovo mio marito, sgocciolante e cupo.

    «Ciao, entra. Non sapevo stesse piovendo così forte.» Mi faccio indietro e lui mi supera in corridoio. «Ti prendo il cappotto?»

    «Non mi fermo, Tess. Che succede?» La sua voce profonda rimbomba nello stretto spazio.

    «Shh, abbassa la voce» gli dico indicando la cucina.

    «Cosa?» replica lui con un tono ancora più alto. «Perché? C’è qualcuno lì dentro?»

    «Scott, ti prego.»

    «Okay» dice sussurrando platealmente.

    «Senti» esordisco. «Questo pomeriggio sono tornata dal cimitero…»

    Il viso di Scott si rabbuia ancora di più. Non va mai al cimitero, dice che è troppo deprimente. Che preferisce ricordarli com’erano.

    «… e quando sono tornata a casa c’era un bambino nella nostra cucina.»

    Impiega qualche secondo per digerire le mie parole.

    «Un bambino?» ripete aggrottando la fronte. «Di cosa stai parlando? Quale bambino?»

    «È quello che sto cercando di dirti» rispondo con il cuore a mille. «È lì dentro adesso. Si chiama Harry.» 

    Scott mi prende per le spalle e mi guarda in faccia come alla ricerca di qualcosa. «Tessa, che diavolo. Spero tu non abbia fatto qualche stupidata.»

    Mi scrollo di dosso le sue mani e faccio un passo indietro. «Non ho fatto niente» sibilo. «Ti sto dicendo cosa è successo. Sono tornata e lui era in casa nostra, seduto al bancone della cucina a disegnare. E poi mi ha chiesto se fossi sua mamma!»

    «Cristo, Tessa. Che cosa hai combinato?» Mi supera e apre la porta della cucina, bloccandosi di fronte alla visione di Harry seduto al tavolo, che pulisce il fondo della tazza con l’indice.

    Supero Scott e mi metto al fianco del nostro piccolo visitatore, non volendo che si senta intimidito da un estraneo in collera. Ma Harry sembra tranquillo. Fissa Scott e poi sposta lo sguardo su di me.

    «Harry,» dico con allegria forzata «questo è Scott, di cui ti parlavo.»

    Lui si alza e si pulisce le dita sporche sui jeans. Fa il giro e allunga la mano. «Felice di conoscerti, Scott» dice, la sua vocina tanto pura e sicura di sé che mi viene voglia di abbracciarlo.

    La rabbia di Scott si è sgonfiata. Rimane lì con la bocca aperta e l’aria stordita prima di rispondere a Harry dandogli la mano. «Ciao» gracchia. «Io e Tessa dobbiamo fare una chiacchierata in corridoio, okay? Torniamo tra un minuto.»

    «Ti chiami Tessa?» mi chiede il piccolo.

    Annuisco.

    «Ma sei la mia mamma, giusto?»

    Gli rivolgo un sorriso flaccido, incapace di negare.

    «Okay, Harry» ci interrompe Scott. «Dacci un paio di minuti.»

    Mi afferra per l’avambraccio e mi trascina fuori dalla cucina, gli occhi stretti e le labbra allungate in una linea sottile. Chiude la porta dietro di noi e si gira verso di me, le mani aperte come artigli.

    «Perché pensa che tu sia sua madre? Da dove arriva, Tess? Dove l’hai preso?»

    Scuoto la testa. «Te l’ho già detto. Sono tornata a casa ed e…»

    «Sì, me lo hai detto, era lì

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