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Gods & Monsters: Edizione Italiana
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E-book423 pagine6 ore

Gods & Monsters: Edizione Italiana

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Info su questo ebook

Lui era un artista. Lei era la sua musa.
Per tutti in città, Abel Adams era la progenie del diavolo, un ragazzo che non sarebbe mai dovuto nascere. Un mostro.
Per la dodicenne Evie Hart, era soltanto un ragazzo con capelli dorati, magliette morbide e una macchina fotografica. Un ragazzo che amava scattarle fotografie e portarle di nascosto cioccolatini, prima di cena. Un ragazzo che la faceva sentire speciale.
Nonostante gli avvertimenti della sua famiglia, Evie lo ha amato in segreto per sei anni. Si sono incontrati in aule vuote e si sono baciati nei ripostigli bui della chiesa.
Finché non hanno più potuto farlo.
Finché è giunto il momento di scegliere tra l’amore e la famiglia, ed Evie ha scelto Abel, perché il loro amore valeva quel rischio.
Il loro amore era leggendario.
Le leggende, però, raccontano di scelte, ma anche di errori. E per Abel ed Evie, l’artista e la musa, questi errori arriveranno sotto forma di luci, videocamere e sesso.
LinguaItaliano
Data di uscita20 feb 2021
ISBN9788855312691
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    Anteprima del libro

    Gods & Monsters - Saffron A. Kent

    Parte I

    Il peccato

    Capitolo 1

    Non ho paura dei mostri.

    Non ne ho mai avuta. Neanche quando ero piccola e mia mamma diceva sempre che se mangiavo la cioccolata prima di cena, il mostro sotto al mio letto sarebbe venuto a prendermi.

    Be’, ho sempre pensato, perché mi sarebbe venuto a prendere se mangiavo la cioccolata? Perché gli sarebbe importato di quello che mangiavo? Voleva la mia cioccolata tutta per sé? Aveva fame? Perché, se ne aveva, potevo di sicuro condividerla.

    Così, quando avevo cinque anni ho deciso che se mai avessi incontrato un mostro gli avrei dato un pezzo della mia cioccolata e gli avrei detto di smetterla di cercare di essere spaventoso.

    Non funzionerà con me, gli avrei detto.

    Non penso che tutti i mostri siano cattivi o malvagi, anzi. Penso che abbiano una storia, e a me le storie piacciono più di qualsiasi altra cosa al mondo. Forse mi piacciono le storie più di quanto mi piaccia il cioccolato… il Toblerone, nello specifico.

    A ogni modo, adesso ho dodici anni. Lo sostengo ancora e mangio cioccolato prima di cena in ogni caso. In effetti, ne ho una scorta segreta proprio qui, nella mia casetta sull’albero.

    È il mio posto preferito al mondo. È piccola e accogliente, con dei cuscini sul pavimento, uno dei quali lo sto occupando proprio ora, e un tappeto multicolore. Ma la parte più mitica è la tinta delle pareti. È solare, tutta dipinta di giallo. Mio papà l’ha fatto da solo l’estate scorsa per il mio compleanno. È uguale al colore del sole, e anche dei miei capelli. Il mio bene più prezioso è una vecchia cassetta che se ne sta proprio accanto a me. Contiene tutti i miei segreti: la mia riserva di Toblerone, una montagna di libri e i miei diari.

    Scrivo diari da quando riesco a ricordare. Credo che un giorno farò la scrittrice. Non so di cosa scriverò, però. Per adesso, scrivo della mia vita, di quello che faccio tutti i giorni e un giorno, quando sarò adulta, tornerò indietro e ne farò una storia.

    Un giorno, la gente leggerà quello che ho scritto seduta dentro la mia solare casa sull’albero, mangiando il mio Toblerone e giocando con le ciocche sciolte dei miei capelli gialli. Leggeranno le mie storie, le rileggeranno. Forse le adoreranno, le detesteranno o forse non proveranno un bel niente. Ma si ricorderanno di me, e forse addirittura parleranno di me per anni.

    Non sarebbe il massimo? Vivere per sempre.

    Di solito, riesco a starmene seduta quassù per molto tempo, ma oggi non riesco a mettermi comoda. Il mio sedere si è addormentato e devo spostarmi e aggiustare la posizione ogni cinque secondi.

    Ugh.

    Detesto tutto questo. Detesto essere diventata una donna. È così che mia mamma ha detto quando oggi è entrata nella mia stanza per svegliarmi e ha visto le lenzuola a fiori macchiate di sangue.

    Era appiccicoso e puzzolente, e nella sonnolenza ho pensato che sarei morta, che qualcuno fosse arrivato durante la notte, mentre dormivo, mi avesse fatto a pezzi le interiora e mi stessi dissanguando. Le lacrime mi sono corse giù per le guance quando ho pensato a tutte le cose divertenti e meravigliose che non sarei riuscita a fare quest’estate. Sarei morta senza scrivere la mia storia. Avevo bisogno di scriverla. Quella era l’unica cosa che avevo sempre desiderato.

    «Mamma, sto per morire, vero?» ho bisbigliato.

    La mamma mi ha lanciato un’occhiata severa e mi ha detto di asciugarmi le lacrime. «Non sei più una bambina, Evie. Non essere così melodrammatica. È soltanto il tuo ciclo.»

    Ciclo.

    Oh, okay. Le cose sono scattate al loro posto, dopo quello. Certo, lo sapevo.

    Sapevo del ciclo. Chi non lo sa? Ma il sangue può rendere stupidi e far pensare a cose terribili. Avrei preferito sapere anche quanto sia scomodo indossare un assorbente. È come camminare con uno sparticulo permanente. Odio avere il ciclo. Lo detesto. Disdegno. Disprezzo. Aborro.

    Okay, basta così. Queste sono tutte le parole che conosco che descrivono l’odio. Amo i sinonimi. Ho addirittura, nella mia cassetta, un grosso dizionario che leggo ogni estate solo per divertimento.

    «Puoi smetterla di muoverti per un secondo?» scatta Sky, la mia migliore amica. «Mi devo concentrare.»

    Alzo lo sguardo da dove sono seduta e poso gli occhi su di lei. Si chiama Skylar, ma tutti la chiamano Sky. Come il mio nome che è Evangeline, ma tutti mi chiamano Evie. Lei è la mia più cara amica al mondo.

    In questo momento, è impegnata a legare un tubo attorno al suo ramo biforcuto per fare una fionda. La sua arma preferita, dice.

    Già, Sky è il genere di ragazza che ha bisogno di un’arma, nella sua vita. Avrei paura di lei, se non fossi sua amica, perché è assetata di sangue e odia quasi tutti e ha una lunga lista di persone che vuole uccidere. Il suo viso è abbassato e io riesco a vederle solo i capelli neri e in disordine, mentre le ciocche lunghe fino al mento le guizzano da una parte all’altra della faccia.

    «Non riesco a mettermi comoda» brontolo.

    Lei mette giù la fionda mezza fatta e alza lo sguardo, i suoi occhi grigi sono grandi e tempestosi. «È quello

    «Sì.»

    Storce la bocca. «Quindi, cioè… senti qualcosa?»

    «Tipo cosa?»

    «Non lo so, tipo quando esce.»

    «Bleah. Schifo. No.»

    «Davvero? Niente di niente? Voglio dire, sta uscendo da te.»

    «Sei la persona più disgustosa che abbia mai incontrato.» Socchiudo gli occhi e cerco di muovermi un po’. Sento qualcosa, una strana sensazione, come una bolla che viene fuori da me. «Ugh. L’ho sentito proprio adesso.»

    Il viso di Sky è così inorridito che mi viene voglia di ridere, ma sono troppo impegnata a provare lo stesso orrore.

    «Oh, mio Dio» sussurra.

    «Non vedo l’ora che venga anche a te, così possiamo essere infelici assieme.»

    Lei si ritrae come se le avessi tirato uno schiaffo. «Non posso credere che tu l’abbia detto davvero. Sono la tua migliore amica. Perché me lo dovresti augurare?»

    «Perché succede a tutti. Cioè, a tutte le ragazze.»

    Lei socchiude gli occhi mentre gioca con la sua arma, come se progettasse un omicidio. «Lo detesto. Lo detesto assolutamente. Cioè, dobbiamo pagare il prezzo di essere ragazze.» Alza lo sguardo, come se parlasse con Dio. «Ehi, non ho mai chiesto di essere una ragazza, okay?» Abbassando gli occhi, scuote il capo. «È una stronzata, e per colpa di questo mi verranno le tette. Non voglio le tette. Odio le tette. Sai una cosa? Ci deve essere un modo per fermarlo.»

    Ecco a voi Sky. È una specie di giustiziera. Se qualcuno può cambiare il mondo, sarà lei. Io? Io sono contenta di come stanno le cose. Mi sta bene avere le tette. Anzi, un po’ non vedo l’ora. So che avrò le tette grosse, è una cosa di famiglia. Mia mamma e tutte le mie zie le hanno grosse. È così che sono fatte le donne, da noi: formose e basse, e a me sta bene.

    Non voglio cambiare il mondo. Voglio soltanto restare in questa casetta sull’albero per sempre, sospesa tra cielo e terra, e scrivere il mio diario e mangiare la mia cioccolata.

    Ma non è possibile.

    Alzo lo sguardo e, attraverso il vuoto tra le assicelle, mi accorgo che il cielo è diventato un po’ arancione. Accidenti. Il sole sta tramontando e presto farà buio.

    «Dobbiamo andarcene. Mia mamma si arrabbierà.» Chiudo di scatto il diario e mangio l’ultimo pezzo sciolto di Toblerone prima di ficcare tutto dentro la cassetta.

    «Ehi, quand’è che tua mamma non è arrabbiata?» brontola Sky, ma mette via le sue cose.

    Ci alziamo entrambe in piedi e il pavimento dipinto di giallo scricchiola. Sky è la prima a calarsi giù. Non vede l’ora di uscire di qui, odia questa casa sull’albero perché ha paura dell’altezza, ma lo negherà fino alla fine. È troppo tosta per avere paura.

    Devo ammettere, tette a parte, che davvero non vedo a cosa serva sanguinare ogni mese, e questa faccenda dell’assorbente è disgustosa. Mi sistemo discretamente le mutandine e come una papera scendo la scala.

    Raggiungiamo entrambe il suolo e, al solito, Sky comincia a correre, con gli anfibi che picchiano contro il terreno. Non riesco a credere che lei non stia assimilando le cose, che non stia assorbendo i raggi morenti del sole, o non stia sentendo la morbidezza dell’erba, o toccando la corteccia ruvida degli alberi, o persino sentendo l’odore del granturco.

    Io potrei passare tutta la vita fuori nei boschi o alla fattoria. In realtà, mio padre dice che quando ero piccola avevo capelli scuri e occhi scuri come entrambi i miei genitori, e avevo l’abitudine di andare in giro per i campi di grano dietro casa nostra. Restavo fuori per ore, prima che qualcuno riuscisse a trovarmi. La cosa faceva arrabbiare moltissimo mia madre, e poi un giorno mi hanno trovata fuori nei campi con i capelli gialli e gli occhi azzurri. Papà dice che ho assorbito i colori del sole e del cielo. È una storia carina, anche se so che è impossibile.

    Anche papà è un amante delle storie, ho preso da lui il pallino della lettura.

    La mia casa sull’albero è situata nel mezzo del bosco dietro casa mia. Non è profondo né fitto né affatto simile al vero bosco in cui vivono gli animali. È soltanto un insieme di alberi molto alti che sono raggruppati insieme e formano una volta su, in alto. Il terreno ha fiori di campo e l’erba più soffice che si sia mai sentita. È come camminare sulla seta. Diventa molto carino quando piove, con tutti i colori vividi, sferzanti e chiari.

    Esco dal bosco rado e arrivo alla fattoria che mio padre possiede. Riesco a vedere casa nostra in lontananza, appena più avanti lungo il sentiero sterrato che passa attraverso gli steli alti e spessi del grano. È bianca, con le imposte grigie alle finestre e un portico tutt’attorno. Ci sono dei gradini di legno che conducono alla porta d’ingresso, ma io non ho il permesso di usarla se ho passato troppo tempo fuori. Questo significa che uso sempre la porta sul retro che passa per la cucina. Mamma dice che mi sporco davvero troppo per una ragazzina di dodici anni. Abbasso lo sguardo su di me e mi accorgo delle macchie d’erba sul vestito rosa, dei piedi e dei polpacci infangati.

    Oh, cacchio.

    Ho perso di nuovo le scarpe. Giuro che le avevo addosso quando ero su nella casetta sull’albero. Dovrei tornare indietro a controllare? La mamma si arrabbierà tanto tanto. Cioè, tantissimissimo, al punto da pizzicarmi le cosce e la vita per attirare la mia attenzione. Emetto un sibilo mentre il dolore divampa sul lato destro del mio punto vita, dove la mamma è stata piuttosto brutale l’ultima volta che ho perso le scarpe nel bosco e mi sono presentata con i piedi infangati e a pezzi.

    Sono pronta a tornare indietro perché non rischierò di essere pizzicata di nuovo, ma mi accorgo di Sky, più avanti, in piedi accanto alla cassetta della posta, con gli occhi su qualcosa. Non riesco a vedere cosa sia, ma mi ha incuriosita, quindi proseguo.

    Quando qualche secondo più tardi la raggiungo, un furgone bianco appare sibilando alla mia vista. È più arrugginito che bianco, con la vernice che si stacca dai lati e dalle portiere. Vibra e stride, come se stesse per rompersi da un momento all’altro, mentre sfreccia lungo il sentiero sterrato che si distacca dall’autostrada e aggira la nostra fattoria portando alla casa del nostro vicino.

    Peter Adams.

    È il solitario della città. Difficilmente esce o parla con la gente. Solo una manciata di volte l’ho visto in giro per il paese. Ha i capelli biondo scuro con una spolverata di grigio, e occhi che a volte sembrano un po’ persi. È taciturno ed è sempre stato gentile con me.

    L’anno scorso, avevo questa enorme torre di libri che avevo appena preso in prestito dalla biblioteca cittadina e mentre camminavo lungo la strada, verso il punto in cui la mamma aveva parcheggiato la macchina, sono inciampata e li ho fatti cadere tutti. Il signor Adams è venuto in mio soccorso e mi ha aiutata a raccogliere tutti i libri. Quando l’ho ringraziato, lui non ha detto nulla e se n’è andato. La gente mi lanciava occhiate strane, e la notizia è arrivata a mia mamma. Naturalmente, lei è partita al contrattacco. Parte al contrattacco per qualsiasi cosa abbia a che fare con la famiglia Adams. Mi ha urlato contro per circa un’ora. Le botte quella settimana sono state più brutali di qualsiasi altra cosa avessi mai sopportato.

    Oh, Be’. Le cose stanno così. Anche se non ho mai parlato con il signor Adams dopo allora, credo ancora che mia mamma abbia reagito in maniera eccessiva. Il suo odio per Peter Adams è un po’ esagerato. Voglio dire, lui non è responsabile di quello che è successo quindici anni fa. Non è responsabile di quello che suo fratello David ha fatto. Che importa se Peter Adams appartiene alla stessa famiglia?

    Il furgone traballa fino a fermarsi sotto un albero spoglio. È estate e c’è verde dappertutto, ma non ho mai visto quell’albero mettere su foglie. Quanto è strano? È sempre stato sottile e scheletrico, come se fosse morto tanto tempo fa. Mi rende triste. Tutti meritano un po’ di colore, nella loro vita.

    Lo sportello dal lato del guidatore si apre e ne esce Peter Adams. Indossa una camicia a quadri e pantaloni sbiaditi. I suoi capelli si sono diradati nell’ultimo anno, e quasi tutte le ciocche sono di un bianco grigiastro. Cammina fino al retro del furgone, apre il portellone posteriore con uno stridio gigante e tira giù una piccola borsa.

    Ha ospiti? Non ho mai visto nessuno fargli visita prima, però. Sono più che curiosa adesso, e sembra che per Sky sia lo stesso.

    Un paio di gambe lunghe ciondolano fuori dalla cabina e scendono a terra con un tonfo. Chiunque sia, ha le scarpe sporche: questo è il mio primo pensiero. Scarpe da ginnastica di tela bianca con macchie di fango dappertutto. Oh, questo lo capisco benissimo. Io non riesco mai a tenere le scarpe pulite, sempre che le stia indossando. Muovo le dita sporche e nude dei piedi nel fango, detestando il fatto che mi aspetta una bella strigliata da parte di mia madre.

    Tutti i pensieri sull’essere punita svaniscono dalla mia mente quando il visitatore salta giù dal furgone. È un ragazzo.

    Un ragazzo alto, con vestiti larghi e sgualciti, e uno zaino in spalla. Sembra più grosso della borsa che il signor Adams sta portando. C’è uno strappo nei jeans del giovane, con fili bianchi che sporgono in fuori come una dentatura.

    I suoi capelli sono tutti in disordine e gli toccano le sopracciglia. Ondeggiano nel vento che all’improvviso sembra essersi alzato. Sono biondi. Be’, non come il mio biondo. Io ho i capelli gialli come il sole, mentre i suoi sono più tipo biondo sporco. Cioè, se si intingesse il sole nella crema al caffè, si otterrebbe una tinta che corrisponde al colore dei suoi capelli. Dorati.

    Il signor Adams gli si avvicina, e il giovane fa saettare gli occhi per guardarlo di traverso. Wow. C’è così tanta rabbia, in loro. Non ho mai visto nessuno così arrabbiato. Neanche mia mamma. Se fossi il signor Adams, starei tremando come una foglia. Perbacco, il ragazzo è alto. Più alto del signor Adams, addirittura. E i suoi pugni sono stretti come se volesse colpire il viso dell’uomo.

    Le narici del ragazzo si dilatano e la sua mandibola si fa rigida, come se stesse digrignando i denti. Io faccio una smorfia, pensando che ormai stia per succedere da un momento all’altro. Il ragazzo sta per tirare un pugno al signor Adams.

    Oh, mio Dio, dovrei fare qualcosa? Gridare? Chiamare aiuto? E in ogni caso, perché è così arrabbiato con lui?

    Ma poi, il giovane si gira, più che altro piroetta, e sbatte la portiera del furgone. Lo fa in modo così forte e rapido che tutta la cabina trema, giuro che vedo i granelli di vernice volare via. Il suono è come un tuono. L’esplosione di una bomba. Un Big Bang.

    Il silenzio che segue è molto più limpido. Riesco a sentire il signor Adams dirgli qualcosa – e non sembra piacevole – prima di procedere a grandi passi verso casa con aria arrabbiata, lasciando lì il ragazzo.

    Io avverto i miei stessi respiri. Riesco perfino a percepire quelli rumorosi del giovane. Mi sento tremare, come se avessi freddo, il che è ridicolo perché oggi fuori fa caldo. Sto anche sudando, ma non riesco a fermare il tremore.

    Sto ancora fissando il ragazzo mentre se ne sta lì solitario, con i pugni ancora stretti, a guardare in alto verso il cielo arancione, quando un forte suono manda in frantumi tutto. Il silenzio, la pace tesa.

    «Evie!»

    È mia mamma che mi chiama con voce stridula.

    «Su, andiamo, Evie» borbotta Sky e si volta indietro.

    Ma io non riesco a muovermi. I miei piedi sono bloccati nel fango, le loro dita serrate. Perché in quel preciso istante, quando la mamma ha gridato il mio nome, il ragazzo ha fatto scattare lo sguardo verso di me e i nostri occhi si sono incontrati.

    Il mio tremore si ferma, e io sento un’esplosione di calore dappertutto. Lui è ancora arrabbiato, a giudicare dal grosso broncio e dagli occhi socchiusi. Il mio cuore comincia a battere molto veloce, riesco a sentirlo nei denti e nella tempia. Quando gli occhi di lui scendono sui miei polpacci pieni di polvere, il mio cuore palpita anche lì, e io mi sento in imbarazzo. Stringendo il vestito, mi gratto il polpaccio destro con l’alluce del piede sinistro.

    Okay, allora, non sono molto presentabile al momento, ma sapete cosa? Neanche lui lo è. Le sue scarpe sono sporche. La sua maglietta nera ha buchi lungo tutto il collo e i jeans sono strappati.

    Lo guardo con cipiglio anch’io. Mi sta giudicando? Perché se è così, allora lui non mi piace, e a me piacciono tutti.

    Nella luce morente del sole, non riesco a vedere i dettagli minori del suo viso, ma giuro che lo vedo… sciogliersi. Non come un gelato ma, tipo allentarsi. Il suo broncio è completamente sparito e le sue labbra si muovono un po’. Contorcendosi in un sorriso sghembo.

    «Evangeline Elizabeth Hart, torna qui immediatamente» grida di nuovo mia madre.

    «Maledizione» mormoro tra i denti. La mamma è proprio arrabbiatissima. Il nome completo è riservato alle emergenze.

    Con un’ultima occhiata al ragazzo nuovo, che credo per qualche ragione mi stia ancora un po’ sorridendo, mi volto e inizio a correre. Sky è già sulla mia veranda, e se ne sta lontana da mia mamma. Non sono grandi fan l’una dell’altra.

    Mentre mia madre mi trascina dentro casa borbottando sotto i baffi, mi volto e lo trovo in piedi nello stesso punto. È soltanto una sagoma, da qui.

    Una sagoma con i capelli dorati e una maglietta nera e uno zaino contro il cielo arancione.

    Capitolo 2

    Viviamo in un posto chiamato Prophetstown, in Iowa. È una piccola cittadina in cui tutti conoscono tutti, con rigogliosi e ampi campi di granturco sovrastati da vasti cieli. È il genere di luogo in cui si vuole andare in giro a piedi nudi e stare fuori tutto il tempo con i capelli sciolti e spettinati. È così che giustifico il non voler indossare scarpe e non volermi fare le trecce.

    Ci sono due cose che definiscono questa città: la nostra chiesa, l’edificio più alto e più antico, e la leggenda. La leggenda di David Adams e Delilah Evans. Be’, la gente non chiama così questa vicenda, ma è questo il nome che io le ho dato.

    Anni fa, David e Delilah si amavano. Nessuno sapeva della loro relazione finché Delilah non è rimasta incinta, e allora è scoppiato il finimondo. Hanno rinchiuso Delilah perché era stata una vera ragazzaccia. Ho sentito la parola troia associata a lei. Stavano anche per mettere David in galera, ma in qualche modo sono scappati entrambi prima che ciò potesse accadere. Non so bene come si sia svolto il tutto, ma da allora la gente li odia, tipo un sacco. Probabilmente, sono le persone più odiate dopo il diavolo.

    Ho sentito la mamma dire che dopo che se la sono svignata, il signor Adams, il padre di David, si è praticamente logorato e poi è morto un paio di anni più tardi. È stato uno shock per un onesto abitante della città che aveva cresciuto i suoi figli tutto da solo dopo che la moglie era morta di cancro. Mia mamma dice che era molto benvoluto, e guardate cosa gli hanno fatto quei mostri. Dopo che il signor Adams è morto, Peter Adams, fratello di David e altro figlio del signor Adams, è diventato piuttosto chiuso e ha iniziato a starsene sulle sue.

    Vedete, David e Delilah non si sarebbero mai dovuti innamorare l’uno dell’altra, men che meno avrebbero dovuto avere un bambino insieme. Delilah era la cugina di primo grado di David e Peter ed era andata a vivere con loro quando era soltanto una bambina e i suoi genitori erano morti. In pratica, era cresciuta con loro, e tutti li trattavano come veri fratelli, invece che come cugini. La relazione ha sconvolto tutti quando l’hanno scoperta: era sbagliata e immorale e malata. E il bambino? La gente lo definiva un abominio. La progenie del diavolo. Diceva che soltanto mostri potevano essere creati da un amore come quello di David e Delilah.

    Alcuni dicono che siano andati a New York, la grande città cattiva, ma qualcuno dice che abbiano lasciato il Paese. Scommetto che mia madre lo sa. Lei sa tutto, ma, ovviamente, non me lo dirà. Secondo lei, erano entrambi dei mostri e avrebbero dovuto essere internati in un manicomio, o magari in un campo dove alla gente viene fatto l’elettroshock per sistemare la chimica del cervello. Già, quella è la soluzione di mia mamma a tutto.

    Ho sentito un’infinità di storie in cui le madri tenevano le figlie sotto stretta sorveglianza dopo lo scandalo. Non le lasciavano stare fuori fin troppo tardi. I coprifuochi erano pazzeschi. Ogni ragazzo in città era sospettato di malefatte. Ogni storia d’amore veniva contrastata e calpestata. La signora Weatherby, la pettegola del paese e migliore amica di mia madre, li chiama tempi bui, in cui l’amore era morto e la purezza era stata macchiata.

    «Tutto per colpa di quei peccatori: David e Delilah» diceva. «Dio solo sa cos’è successo a quel bambino. Non può essere sopravvissuto, sai. È fuori discussione che ce l’abbia fatta. I bambini come quello non vengono mai fuori normali. Muoiono prima che arrivi la loro ora.»

    E così David e Delilah sono i nostri Adamo ed Eva e, quattordici anni fa, hanno messo al mondo un bambino. Il suo nome è Abel.

    È vivissimo, però. È il ragazzino con i capelli dorati e la maglietta nera. È quello che ha fatto una specie di sorriso vedendo i miei piedi sporchi e il vestito macchiato d’erba.

    È il mio nuovo vicino. Abel Adams.

    Ieri sera è stata la peggiore in assoluto. Non ho mai visto la mamma così arrabbiata. Anche Sky ne era intimidita, e lei non ha mai paura di mia madre. Abbiamo aspettato in un silenzio teso finché la signora Davis, la mamma di Sky, non è venuta a prenderla. Lei è la donna più dolce di sempre, con gli stessi capelli scuri e occhi grigi della figlia. Io le voglio bene, è molto più spassosa di mia mamma.

    Quando loro due se ne sono andate, con Sky che mi ha rivolto un’occhiata solidale da sopra la spalla, sono cominciate le grida. Mia mamma ha urlato che ero sporca, selvaggia, rozza, incivile e grezza. Be’, non con tutte queste parole ricercate, ma fa lo stesso. Poi, mi ha mandata dritta in bagno, dove mi ha sparato addosso acqua fredda mentre ancora indossavo i vestiti, e mi ha strofinato i piedi e le gambe per ore. In effetti, è stata una cosa buona che stesse scorrendo l’acqua della doccia. La mamma non è riuscita a vedere le mie lacrime.

    «E che ci facevi lì a fissare quel nuovo ragazzino?» I suoi occhi scuri erano talmente duri che ho davvero dovuto fare un passo indietro. «Non devi avere a che fare con lui, hai capito, Evie? Quel ragazzo non dovrebbe neanche avvicinarsi a te. Se fa qualcosa, me lo dici, chiaro?»

    Avrei voluto chiedere perché, ma mi sono limitata ad annuire. In quel momento, non avevo idea di chi fosse il ragazzo, ma sapevo che se la mamma stava dando di matto in quel modo, allora doveva essere imparentato con gli Adams.

    Dopo cena, ho sentito per caso mamma e papà parlare in salotto. La mamma gli ha detto dell’arrivo del nuovo vicino e ha chiesto se tutte le dicerie fossero vere. La voce di mia madre è stridula e, al contrario, quella di mio padre è più bassa e calma. Mi sono spostata dal tavolo da pranzo dove stavo leggendo un libro e mi sono nascosta dietro al muro per origliare.

    È stato allora che ho saputo che il bimbo mostro era vivo e si era trasferito qui da New York City, la grande città cattiva.

    «David e Delilah sono morti» ha detto papà. «Sono morti in un incidente d’auto. Peter è il suo unico parente in vita.»

    «Be’, una bella liberazione, allora. Dio vede tutto. È tempo che sia fatta giustizia e il male sia sconfitto.»

    La mamma crede molto in Dio e nei mostri. Non so da dove abbia tirato fuori queste idee visto che in chiesa non parliamo del diavolo. Padre Knight parla di perdono, ma fa lo stesso. Mia madre pensa che Dio tenda a punire il male ed eliminare i mostri. Dio guarda sempre, dice. Mio padre, però, è super tranquillo. Non alza mai la voce e non litiga mai con la mamma. Io cerco di imitarlo. Va meglio dopo che lei si è sfogata, così possiamo stare tutti in pace.

    In quel preciso momento, però, ero arrabbiata e triste. Tristissima. David e Delilah erano morti. A dirla tutta: io non li odio, non come fanno le altre persone, non come mia madre. Non credo che siano dei mostri, anche se ammetto di essere curiosa. Negli anni, mi sono chiesta come il tutto sia accaduto. Come possono essersi innamorati dove non c’era assolutamente la possibilità di innamorarsi? È come coltivare un fiore in una palude. Come accade una cosa del genere?

    Nella mia stanza al piano di sopra, mentre mi preparavo per andare a letto e dicevo una preghiera, ho pensato ad Abel Adams. Nella mia tristezza, mi ero dimenticata che era lui quello senza una mamma e un papà. Non riuscivo a immaginare di essere sola al mondo in quel modo. Anche se la mamma sapeva essere un po’ pesante, le volevo bene comunque. Per di più, papà era una bomba. Era il miglior papà di sempre.

    Sono scesa dal letto e mi sono avvicinata alla finestra. Stringendo le sbarre di ferro con le mani, ho guardato nella notte verso la casa del signor Adams, con il suo albero senza foglie e la veranda che cade a pezzi, chiedendomi cosa Abel stesse facendo in quel momento.

    Speravo che stesse dormendo bene.

    È domenica mattina, adesso, e sono seduta su una panca dura in chiesa, in fondo. Le mie gambe sono corte, quindi non arrivano a terra, e le sto facendo dondolare avanti e indietro immaginando di essere fuori, nel parco, su un’altalena vera. Preferibilmente, senza queste stupide scarpe strette da chiesa – delle ballerine nere – e senza la treccia tirata che mi fa prudere lo scalpo.

    Mi dispiace dirlo, ma la funzione della domenica può essere un po’ noiosa. Senza offesa per Dio né nessun altro, è solo che preferirei essere fuori al sole. Per di più, è sempre magnifico alle nove di domenica mattina. Non è colpa mia.

    In ogni caso, me ne sto seduta in fondo insieme a Sky, i cui piedi toccano terra, e questo lo detesto. Mia mamma è davanti con la signora Weatherby, e sono tutte indaffarate a chiacchierare di qualcosa, probabilmente di quanto lievito aggiungere ai loro biscotti. Mio papà è seduto insieme al signor Knight, che è il poliziotto e la persona più importante della città escluso suo fratello, padre Knight. Mio padre e il signor Knight sono grandi amici, sono andati a scuola insieme e tutto.

    Stiamo tutti aspettando che la funzione inizi, quando Sky si sporge. «Credo che dovremmo tentare la fuga.»

    «Cosa?»

    Fa un cenno con il mento. «La porta. Svigniamocela.»

    «Neanche per sogno.» I miei occhi sono sgranati. «Ci beccheranno.»

    «Non se lo facciamo per bene.»

    «No. Non lo faremo.» Scuoto il capo. Una bella scrollata.

    Lei si appoggia allo schienale con uno sbuffo. «Sei proprio una guastafeste, Evie. Guasti tutte le mie feste.»

    «Non è vero.» Le do una spintarella con il gomito. Una spintarella forte.

    «Ahi» si lamenta Sky e contrattacca. Ovviamente.

    Mi pianta il gomito nel fianco e adesso sono io quella che dice ahi. In men che non si dica, ci stiamo picchiando, gridandoci contro sottovoce e lanciandoci occhiatacce, quando qualcuno si schiarisce la gola sopra di noi. Rumorosamente.

    Ci blocchiamo entrambe con le mani in alto, tutte pronte a colpire. È Sky a vedere chi è, la mia schiena è voltata.

    Sorride radiosa alla persona. «Ehi, signor B, come sta?»

    Mi sgonfio, abbassando le braccia. Ah, grazie a Dio. È solo il signor Bernard. È l’uomo più simpatico del mondo, con un rugoso viso gentile e un cespuglio di capelli bianchi. È lui che mi porta di nascosto i cioccolatini quando la mamma non guarda. È del tutto sicuro. Pensavo che fosse qualcun altro, qualcuno tipo la mamma, o la signora Weatherby, o una qualsiasi delle varie spie.

    «Bene. Bene.» Ridacchia. «Anche se pare che a voi signorine non vada poi così bene. Stiamo litigando di nuovo?»

    Mi giro per guardare verso di lui, sorridendo. «Ehi, signor B, lo sa quanto è violenta Sky.»

    Lei mi urta la spalla da dietro. «Neanche Evie è poi così delicata.»

    «Ehi!» Le punto il dito contro. «Io sono delicata, okay? Sono una signora.» Mi giro di nuovo di scatto per rivolgermi al signor Bernard. «Glielo dica, signor B, le dica…» Mi perdo quando vedo qualcuno sbucare da dietro l’uomo.

    È il ragazzo nuovo. Abel.

    È una cosa sorprendente, perché Peter Adams, suo zio, non viene mai a messa. Immaginavo, quindi, che neanche Abel l’avrebbe fatto, ma eccolo qui, tutto alto e… dorato.

    I suoi capelli dorati luccicano alla luce del sole che fa capolino attraverso la porta marrone

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