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La magia di Amsterdam
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E-book237 pagine3 ore

La magia di Amsterdam

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Info su questo ebook

L’introduzione di Arlo Wright alla propria sessualità è arrivata quando ha visto Jack Cooper, il migliore amico di suo fratello maggiore, in una sudata divisa da calcio. Purtroppo, non ha avuto abbastanza tempo per godersi la scoperta perché è andato subito a sbattere contro un tavolo.
I rapporti tra loro non hanno mai davvero fatto dei passi avanti da quel fausto inizio. Arlo è ancora impacciato e Jack è bello e irraggiungibile come sempre.
Tuttavia, le cose sembrano cambiare, quando, durante una vacanza ad Amsterdam a Natale, Arlo si ritrova a condividere con Jack una stanza d’albergo. Riuscirà il clima delle feste a farli finalmente avvicinare, oppure stavolta Arlo sbatterà la testa contro il muro?
Dall’autrice di bestseller, Lily Morton, arriva una calda commedia romantica, ambientata nella fredda Amsterdam.
LinguaItaliano
Data di uscita20 nov 2022
ISBN9791220704335
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    Anteprima del libro

    La magia di Amsterdam - Lily Morton

    1

    ARLO

    Il taxi si ferma all’aeroporto di East Midlands e, dopo aver afferrato i miei bagagli e aver quasi lanciato i soldi all’autista stupefatto, mi precipito fuori.

    «Grazie,» dico ansimando, e inizio a correre verso le Partenze, con i piedi che scivolano nella fanghiglia.

    Attiro l’attenzione di una guardia giurata, perciò correggo la mia andatura in una corsa più dignitosa, con la speranza che non gridi corriere della droga oppure uomo armato di pistola a qualcuno che potrebbe perquisirmi qualche cavità. Lo vedo scuotere la testa in modo leggermente condiscendente, mentre mi ritrovo bloccato nella porta girevole.

    «Merda!» impreco, cercando di liberarmi, ma la borsa che mi sporge dalla spalla rifiuta di muoversi. «Scusi, non l’ho fatto apposta.» La porta emette un rumore stridulo e lamentoso, poi si ferma con violenza, mentre la guardia sta lì impassibile, con aria annoiata.

    «Ma non si preoccupi.» Mi sforzo di superare l’apertura, mentre diverse persone sbuffano alle mie spalle. «Sono un mago negli spazi piccoli e stretti. Non che stia insinuando qualcosa di squallido,» mi affretto ad aggiungere, dimenandomi come una tartaruga incastrata in una porta girevole. «Non io.»

    «Possiamo darci una mossa?» dice un tizio dietro di me.

    «Forse,» sibilo a denti stretti. Faccio una pausa. «Potresti sempre provare a darmi una spinta,» aggiungo speranzoso.

    Sento un borbottio. «Cazzo.» Poi mani forti mi spingono da dietro e vengo scagliato attraverso la porta e dentro il terminal, causando un tremendo fracasso. Il mio burbero samaritano mi supera facendo un giro largo intorno a me e se ne va, lamentandosi sottovoce dei cretini.

    Lo ignoro, mi ricompongo e mi guardo attorno agitato, alla ricerca del banco per il check-in. Ma il mio sguardo si posa subito su qualcosa di meglio.

    Se ne sta appoggiato al bancone, con l’attenzione rivolta al cellulare e una lieve espressione corrucciata in volto. Due assistenti di volo lo adocchiano e sussurrano tra di loro ridacchiando. Non posso biasimarle. Jack Cooper è fantastico, con quei capelli neri e i profondi occhi castani. Indossa un maglione color cammello, jeans sbiaditi che mettono in mostra il bel fisico slanciato e appare curato e in ordine come al solito.

    «Ehi,» dico ansimante, correndo verso di lui. «Mi dispiace davvero tanto per il ritardo. La sveglia del telefono non ha suonato e l’autista del taxi andava così piano che se avessi potuto scendere a spingere la macchina saremmo andati più in fretta.»

    Alza lo sguardo. Un sorriso caldo e ampio gli illumina il viso e a me risulta familiare come la casa della mia infanzia. E così dovrebbe essere, perché è presente nella mia vita da sempre. Dal giorno in cui ha conosciuto mio fratello maggiore alle elementari ed è diventato il suo migliore amico.

    «Non importa,» dice immediatamente, con un familiare tono di conforto nella voce. «Anche se mi stavo preoccupando, perché pensavo avresti perso il volo.» Lancia un’occhiata alle mie spalle. «Perché quella guardia giurata ti sta guardando come se fossi Charles Manson?»

    Lo liquido con un gesto della mano. «Forse perché sono un ragazzaccio attraente.»

    Alza un sopracciglio. «Davvero?»

    Faccio una smorfia. «Ma certo che no! Sono rimasto incastrato nella porta girevole!»

    La sua risata è così calda e genuina da farti venir voglia di ridacchiare insieme a lui. «Sai proprio come farmi ridere,» aggiunge con affetto.

    «Bene, allora,» lo interrompo in modo brusco, «questa vacanza ad Amsterdam sarà una meraviglia.»

    Con un tacito comando mi tende la mano e io, esitante, gli porgo una delle mie valigie. «Faremmo meglio a muoverci,» mi esorta, facendosi scivolare la cinghia sulla spalla. «Non abbiamo molto tempo.» Prende il porta-documenti in pelle dalla sua borsa a tracolla. Lo apre, afferrando il biglietto e la carta d’imbarco. Sono lisci e perfetti. «Hai i tuoi? Dammeli, così ci penso io.»

    Infilo la mano nella tasca della giacca e tiro fuori il mio documento accartocciato. È tutto sciupato e c’è addirittura una macchia, perché la scorsa notte ci ho versato sopra del caffè. Nella sua mano sembra uno straccio sporco e sgualcito.

    «Scusa,» mormoro. «È…»

    «Caffè?» chiede. Un sorriso gli illumina gli occhi.

    Alzo le spalle. «Potrebbe anche essere whisky, frutto della mia vita estremamente selvaggia.»

    «Il giorno in cui non prenderai il tuo caffè, l’Inghilterra cadrà.» Mi fa l’occhiolino. «Pronto?»

    Annuisco e lo seguo. Di solito, quando viaggio all’estero, è il caos. È consuetudine per me perdere qualcosa o presentarmi nel momento sbagliato o, in una memorabile disavventura, addirittura nell’aeroporto sbagliato. Ma con Jack va tutto alla perfezione.

    Passiamo senza alcun problema attraverso il check-in, mentre lui sceglie a colpo sicuro la fila che inizia a scorrere non appena ci mettiamo in coda. Le procedure vanno lisce anche alla dogana. Di regola vengo perquisito e sottoposto a interrogatorio, a causa della mia espressione colpevole, neanche fossi il signor Darcy che contrabbanda droga. Oggi l’attraversiamo senza problemi. Forse grazie all’aria ingenua da chierichetto di Jack.

    Ci ritroviamo nel trambusto della sala d’aspetto destinata alle Partenze. Sento nell’aria il profumo del caffè e cerco speranzoso il bar più vicino. Jack scuote la testa, ma vi si dirige per cortesia nei miei confronti.

    Il posto è caldo e luminoso, con Frank Sinatra in sottofondo che invita tutti a trascorrere un piacevole Natale. Mi appoggio alla vetrina dei dolci, osservandoli con lo stomaco che brontola.

    «Sei in astinenza da caffeina?» chiede Jack mentre si avvicina. «Sembri piuttosto nervoso.»

    «Questo è l’eufemismo dell’anno,» sussurro. «Ti ricordo che stamattina andavo di fretta, nel caso in cui non avessi ricevuto il messaggio.» Ride e si appoggia al bancone mentre io ordino. «Vuoi qualcosa?» chiedo. «Cornetto?»

    Fa una smorfia. «Non così presto, grazie. Oltretutto sono pieni di zucchero.»

    «Questa è la parte migliore!» rispondo sconcertato.

    «Ma prenderò una tazza di tè verde.»

    Arriccio il naso. «Perché?»

    Un sorriso gli tende le labbra piene. «Perché fa molto bene e libera dalle tossine.»

    «Anche il caffè.»

    «E da quando?»

    Agito una mano per aria. «L’ho letto da qualche parte.»

    Ridacchia e io afferro la bevanda, sorridendo e ringraziando il barista. Tolgo subito il coperchio e, chiudendo gli occhi, inspiro con avidità il profumo.

    «Cosa stai facendo, Arlo? Di solito non usi un’altra apertura per bere?»

    Apro gli occhi e gli rivolgo un’occhiataccia. «Non rovinare questo momento idilliaco. Questo odore ha il potere di farmi svegliare del tutto, indipendentemente da quante ore sono riuscito a dormire.»

    Scuote la testa, bevendo il suo tè e sorridendo alla ragazza che gliel’ha servito. Sembra quasi che stia per svenire. Non posso certo biasimarla, ci sono andato vicino anch’io qualche volta.

    «Come riesci a sopportare l’orario scolastico, Arlo? Oppure i tuoi studenti arrivano più tardi di quanto io ricordi?»

    Gli sorrido. «Hanno sei anni, Jack. Entrano quando vengono lasciati dai genitori, e conoscendone alcuni, sono eternamente sorpreso che non siamo costretti a fare dei pigiama party. Le scuole private sono gestite dalle famiglie e non credere a chi ti dice il contrario.»

    Ride ed esce dal bar, la gente si scosta per farlo passare, come se avesse visto Gesù con un panino in mano. Lo seguo, cercando di non buttare l’occhio sullo splendido sedere avvolto nei jeans. È una battaglia persa che combatto da quando avevo undici anni e mangiavo zuppa nella cucina di casa mia. Mi ricordo il momento in cui, alzando lo sguardo verso la porta, ho avuto una visione: Jack che entrava tutto sudato, con addosso la divisa da calcio che aderiva come colla al suo corpo da quindicenne. In quel momento ho avuto diverse rivelazioni sulla mia sessualità. Tuttavia, ho dovuto mettere da parte quel pensiero per alcune ore perché mi è andato di traverso un crostino e, mentre soffocavo, sono caduto sbattendo contro il tavolo della cucina.

    Non è stato il mio momento migliore, ma ripensandoci, nemmeno il peggiore.

    Quell’estate ho trascorso diversi mesi seguendo Jack e mio fratello, con grande stupore di quest’ultimo oltretutto, perché era quel periodo della vita in cui spesso voleva picchiarmi. Ho smesso di pedinare Jack quando sono accadute due cose. La prima è stata la minaccia di mio fratello di strapparmi lentamente gambe e braccia e poi dirlo alla mamma, se non avessi smesso di seguirlo e gli avessi impedito di corteggiare la ragazza del momento. La seconda è stata il fatto che Jack si è trovato una ragazza, Samantha Hampson. Mi sono disperato per circa un mese, poi però il mio naturale ottimismo è emerso, dicendomi che lui mi avrebbe notato presto e che lei era una troia e non meritava il mio amato.

    Non si è mai accorto di me, ovviamente. Samantha ha fatto la stessa fine di molte delle sue fidanzate e, dopo che si è dichiarato bisessuale, dei suoi fidanzati. Avevano tutti un fisico perfetto, relazioni esclusive e, in generale, sembravano usciti dalla pubblicità di un dentifricio. Inevitabilmente qualcosa andava storto e loro svanivano, ma solo per essere sostituiti dal successivo esemplare perfetto.

    Arriccio le labbra al ricordo dell’ultimo. Steven: straordinariamente bello, ma anche un gran coglione. Freddo e possessivo nei confronti di Jack, però lui sembrava non accorgersene. Mi si attorciglia lo stomaco solo al pensiero che sia durato più degli altri. Forse era quello giusto, pensavo. Si sposeranno, metteranno su famiglia e alleveranno figli o pinguini o qualsiasi cosa facciano le persone che vivono in una relazione perfetta.

    Niente che io possa conoscere. La mia vita amorosa è disordinata tanto quanto la mia misurazione del tempo, al punto che i miei partner sono stati inclusi nelle leggende di famiglia: storie divertenti da raccontare ai nuovi arrivati durante le feste. Per esempio, quella volta in cui il mio ragazzo dell’università era talmente ubriaco che si è rifiutato di parlare con chiunque, a parte il nostro cane. Tanto che, dopo un intero fine settimana di conversazioni profonde e significative, Fifì sembrava felice di sbarazzarsi di noi quando siamo tornati in ateneo.

    Non credo di essermi mai aspettato che Jack mi guardasse, però. Sono il fratellino del suo migliore amico. Il rompiscatole a cui ha rattoppato le ginocchia dopo una caduta e a cui ha cercato di insegnare a pescare, finché non ha dovuto rinunciare quando sono caduto nel fiume. Non guarderebbe mai un disastro come me.

    Sfortunatamente, pur sapendo tutto ciò, non sono mai riuscito a mettere da parte la mia cotta giovanile. Forse perché è stato il primo amore ed è molto doloroso quando ti succede, quasi come sbattere la testa sul tavolo della cucina. Parti di esso ti rimangono nel cuore. Forse perché è una persona affascinante, dentro e fuori. Gentile, premuroso, intelligente e non è mai stato arrogante con me.

    Ci avviamo verso la fila di sedili vicino all’enorme vetrata. Distolgo lo sguardo dalla vista degli aerei. Più tardi ci sarà tutto il tempo per pensare a volare. Invece, mi concentro su Jack, che si sta togliendo il maglione, rivelando una maglietta bianca che gli aderisce perfettamente al corpo e mette in risalto i suoi bicipiti pronunciati. La sua pelle è di un bel color olivastro chiaro e, quando ripiega il maglione nella valigia, le vene dei suoi avambracci si contraggono.

    Ci sediamo per qualche minuto in un silenzio rassicurante. Lui beve fino all’ultima goccia il tè e stranamente non ha l’espressione di chi sta per vomitare. Si assicura che la bustina sia posizionata ordinatamente all’interno della tazza, prima di richiudere il coperchio usando la stessa precisione di un barista. Lo guardo con affetto. Jack dà un nuovo valore alla parola attento. È un perfezionista in tutto e per tutto, il che nel suo lavoro è un bene: chi vorrebbe un architetto distratto che si dimentica di inserire il tetto di una casa? Eppure non credo che questa premura sia così positiva per lui nella vita privata. Avrebbe davvero bisogno di lasciarsi un po’ andare.

    Raccoglie la mia tazza vuota, decisamente più sporca della sua, e scompare per gettarle tutte e due con cura nella spazzatura.

    Gli sorrido mentre torna. «Perché non hai viaggiato con tutti gli altri? L’aeroporto di East Midlands è un po’ lontano da Londra.»

    Ho un contratto di un anno per coprire un congedo di maternità in una scuola privata a Derby, ma il resto della famiglia e dei miei amici sono a Londra.

    «Dispiaciuto?» chiede.

    Rido. «Ovviamente no!»

    «Lo speravo.»

    «Perché mai dovrebbe dispiacermi?» domando, confuso.

    «Stavo facendo visita ai miei genitori, quindi ho deciso di prendere l’aereo qui.»

    Non riesco a trattenere una smorfia e poi fingo di tossire, mentre lui mi guarda incuriosito. Odio i suoi genitori, cazzo. Penso siano i responsabili del modo in cui Jack è così ossessionato dalla perfezione. È il loro unico figlio e questo è stato un bene per tutti gli altri potenziali bambini, ma ciò ha contribuito al fatto che hanno concentrato tutta la loro attenzione su di lui. Doveva vestirsi sempre bene ed essere il migliore in ogni momento. Non c’era tempo per le sciocchezze giovanili, quando c’erano esami importanti da dare e sport in cui primeggiare. E tutto questo quando aveva solo sette anni. Il fatto che, nonostante i loro metodi educativi, non sia diventato come Attila, il re degli Unni, è una dimostrazione della sua intrinseca gentilezza.

    «Che bello,» mormoro, e lui mi lancia uno sguardo ironico. «Come stanno Derek e Barbara? Si trovano bene?»

    I suoi genitori si sono trasferiti pochi mesi fa a Eyan, un piccolo villaggio nel Derbyshire, il cui ultimo disastro naturale, prima del loro arrivo, è stata la Peste Nera.

    «Più o meno come al solito.»

    «Male, eh!» esclamo con indifferenza, e poi impallidisco. Merda!

    Prima che io riesca a scusarmi, lui ride e dice: «Probabilmente sì. Soprattutto dopo che ho dato loro la notizia.»

    Oh, mio Dio, si è fidanzato! Lo fisso, consapevole di assomigliare a qualcuno a cui è appena morto il gatto, ma non riesco a trattenermi.

    «Tutto bene?» mi domanda, e sembra quasi indeciso se darmi una pacca sulla spalla o eseguire la manovra di Heimlich. Ha dovuto fare entrambe le cose per me nel corso degli anni.

    «Bene, bene,» rispondo con entusiasmo. «Ehm, che novità?»

    Fa una smorfia. «Steven e io ci siamo lasciati.»

    «Davvero? È incredibile!» commento talmente ad alta voce che la coppia accanto a noi alza subito lo sguardo. Li guardo infastidito, cercando di tenere sotto controllo la mia felicità. Quando sono certo di esserci riuscito, gli do un colpetto sul braccio. «Mi dispiace tanto. Terribile per entrambi.»

    «Sul serio?» chiede con voce intrisa di incredulità. «Non lo sopportavi!»

    «Non è vero. Da dove diavolo ti è venuta questa idea?» esclamo.

    «Ehm, me l’hai detto tu.»

    «Sicuro?» Devo spremermi le meningi. «E quando?»

    «Lo scorso Natale, quando eri ubriaco.»

    «Oh! Oh, cielo, mi dispiace!»

    Ride. «Perché mai? Sei stato sincero. È una delle cose che più mi piace di te.»

    «Veramente?» replico, ansimante come Marilyn Monroe nel suo periodo d’oro. Voglio davvero conoscere quali altre cose gli piacciono di me, ma mi accontento di chiedere, un po’ a disagio: «E che altro ho detto? Non ricordo affatto questa conversazione.»

    «Perché avevi fatto fuori tutto lo zabaione di tuo padre.» Entrambi rabbrividiamo al pensiero, dato che quella roba è atroce, poi continua: «Hai inveito contro i genitori della scuola privata e sottolineato quanto fossero diabolici i bambini piccoli, poi mi hai detto, molto seriamente, che Steven era un perfetto coglione e che avrei potuto trovare di meglio.»

    «Oh!» mormoro. «Beh, non mi sbagliavo. Anche se avrei potuto dirlo in modo diverso.»

    Guarda fuori dalla finestra e io guardo lui, piuttosto che gli aerei. «Avevi ragione, anzi, mi hai fatto riflettere su cosa stessi facendo, Arlo.»

    «Ma non hai ragionato abbastanza, visto che siete stati insieme un altro anno.»

    Alza le spalle. «Solo perché Steven è stato via per lavoro per sei mesi.»

    «Cosa fa di preciso?» domando gentilmente. «Sicario a contratto?»

    «Telecomunicazioni.»

    «Beh, Dio lo benedica, non gli è mai mancata la capacità di esprimere i propri pensieri,» replico rabbrividendo.

    «Devo ringraziarti, Arlo.» Mi mette un braccio sulla spalla. È caldo e pesante, è talmente vicino che riesco a sentire le note legnose della colonia di Guerlain. Mi fa sempre venire voglia di annusarlo.

    Deglutisco con difficoltà. «Questa cosa mi preoccupa. E se tra vent’anni ti pentirai di aver perso questo amore e invocherai il mio nome soffrendo?»

    Sbatte le palpebre. «Come la signorina Havisham? ¹ Non fa per me indossare gli stessi vestiti per vent’anni.»

    Rido. «Ci sta. In che modo l’hanno presa i tuoi genitori?»

    Fa una smorfia. «Com’era prevedibile.»

    «Non riesco a prevedere nulla, a dire il vero,» commento in tono serio. «Cercherò solo di non muovermi troppo velocemente accanto a loro per non attivare eventuali istinti di caccia.»

    Sorride per un attimo, poi si rattrista all’improvviso. «In realtà sono rimasti molto delusi.»

    Sono sorpreso dalle sue parole. «Davvero? Pensavo considerassero la parte maschile della tua bisessualità come qualcosa da tenere nascosta in soffitta, a raccogliere polvere insieme ai tanti libri e opere d’arte.»

    Ridacchia. «Ah beh, adoravano Steven. Gli piaceva perché era molto attento e determinato.»

    «Questo è un punto di vista,» rispondo brusco. «Scommetto che, non appena si sono conosciuti, hanno tirato fuori la

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