La vista e il tatto nella percezione dello spazio (Con tavole illustrate)
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La vista e il tatto nella percezione dello spazio (Con tavole illustrate) - Enzo Bonaventura
INDICE
La vista e il tatto nella percezione dello spazio
Enzo Bonaventura
INTRODUZIONE
PARTE PRIMA: PERCEZIONE DELLE FORME
I. – La tecnica sperimentale e la misura del tempo.
II. – Processo psicologico dell'esperimento in generale.
III. – Descrizione analitica di alcuni esperimenti.
IV. – Risultati generali.
PARTE SECONDA: PERCEZIONE DELLE GRANDEZZE
I. – La tecnica e il processo psicologico dell'esperimento in generale.
II. – Risultati dell'esperimento e loro interpretazione.
CONCLUSIONI TEORETICHE
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
Note
LABOR. DI PSICOLOGIA SPERIM. DEL R. ISTITUTO DI STUDI SUPERIORI DI FIRENZE
diretto dal Prof. F. DE SARLO
ENZO BONAVENTURA
La vista e il tatto
nella percezione dello spazio
Estratto dalla Rivista di Psicologia, N. 1, 2 e 3, Anno XVII – 1921
Il presente ebook è composto di testi di pubblico dominio.
L’ebook in sé, però, in quanto oggetto digitale
specifico,
dotato di una propria impaginazione, formattazione, copertina
ed eventuali contenuti aggiuntivi peculiari (come note e testi introduttivi),
è soggetto a copyright.
Edizione di riferimento: La vista e il tatto nella percezione dello spazio / Enzo Bonaventura. - Bologna: Stabilimenti tipografici riuniti, 1921. - 60 p., 6 p. di tav. ripieg.; 23 cm. - Estr. da: Rivista di psicologia, n. 1-3, anno 17.(1921).
Immagine di copertina:
https://pixabay.com/illustrations/psychology-psyche-mask-wire-rack-1959758
Elaborazione grafica: GDM, 2019.
Enzo Bonaventura
Enzo Bonaventura (Pisa, 1891 – Gerusalemme, 1948) è stato uno psicologo italiano.
Dopo aver frequentato il laboratorio di psicologia sperimentale di Firenze, si laureò nel 1913 con Francesco de Sarlo di cui divenne presto assistente. Convinto assertore della dimensione sperimentale della psicologia e in particolare della psicologia applicata, Bonaventura svolse le sue ricerche nel laboratorio fiorentino.
Nel 1938, a causa delle leggi razziali, fu espulso dall’università. Si trasferì a Gerusalemme e per dieci anni lavorò Dipartimento di psicologia dell’Università ebraica, focalizzando i propri interessi scientifici sulla psicologia sociale, nonché sull’orientamento scolastico e professionale. Prima di lasciare l’Italia aveva dedicato un lavoro monografico a La psicoanalisi.
INTRODUZIONE
Le sensazioni che più di tutte servono a darci notizia ed esatta cognizione degli oggetti del mondo esterno sono da un lato le sensazioni visive, dall’altro quelle tattili, muscolari, articolari, tendinee. Le une e le altre sono unite da così stretti legami, che nella nostra esperienza quotidiana possono con grandissima facilità sostituirsi a vicenda: se, nell’oscurità della notte, tocchiamo una sedia, la riconosciamo immediatamente al contatto, e ce la rappresentiamo mentalmente nella forma e nella grandezza in cui ci apparirebbe se la luce ci permettesse di vederla: così, quando vediamo un albero a distanza, siamo certi che, pur di avvicinarci quanto è necessario per toccarlo, proveremmo certe sensazioni di ruvidezza, di resistenza, di forma cilindrica etc.
Poichè le qualità dei varii sensi sono affatto disparate, è ovvio che soltanto per effetto dell’esperienza si stringono tra i diversi dati sensoriali quelle associazioni che ci permettono di servirci indifferentemente degli uni o degli altri per riconoscere gli oggetti per gli usi pratici della vita quotidiana. Ed è pure evidente come in tale processo di associazione e di unificazione si manifesti in alto grado l’attività sintetica della psiche umana, sempre intesa, in tutto il suo sviluppo, a porre coerenza, ordine, unità nella molteplice varietà dei dati sensoriali.
Ma questo processo di associazione e di unificazione, comprensibile per chi tenga conto della esigenza di sintesi inerente allo spirito umano, non avrebbe forse richiamato tanto l’attenzione di psicologi e di filosofi, se non ci conducesse nel vivo di un problema che da secoli ha appassionato i pensatori: quello dell’origine della nostra rappresentazione di spazio. Giacchè le sensazioni visive e quelle tattili e cinetiche non ci forniscono soltanto le qualità proprie a ciascun organo sensoriale (luci e colori per le une, contatti, movimenti, sforzi per le altre), ma, sì le une che le altre, ci forniscono la nozione di certi aspetti degli oggetti suscettibili di determinazioni quantitative: gli aspetti che diciamo appunto «spaziali»: l’estensione, la grandezza, la forma, la distanza. E mentre non può venir dubbio che le qualità proprie di ciascun senso non siano in origine affatto disparate e che soltanto l’esperienza permetta di associarle, è facile invece ritenere che i caratteri spaziali degli oggetti siano sostanzialmente identici, tanto se sono rivelati attraverso la vista quanto se sono rivelati attraverso il tatto e i movimenti. Tale idea di una originaria identità dei due spazii fu per molto tempo condivisa da tutti, appoggiata dalla comune osservazione della immediatezza della trascrizione che in ogni istante della nostra pratica facciamo delle estensioni, grandezze, forme, distanze visive in estensioni, grandezze, forme, distanze tattilo-cinetiche, e viceversa.
Il primo dubbio sopra d’identità originaria dei due spazii fu, com’è noto, sollevato dal fisico inglese Molyneux nella celebre lettera rivolta al Locke e da questi riferita nel «Saggio sull’intelletto umano» (lib. II, cap. 9; 1620). Se un cieco-nato, il quale abbia appreso mediante il tatto a distinguere oggetti di forma differente, p. es. un cubo da una sfera, ad un tratto acquistasse la vista, sarebbe o no capace di riconoscere immediatamente, al solo vederli, gli oggetti, e d’indicare subito, senza ulteriori prove, qual’è l’oggetto che aveva imparato col tatto a chiamare cubo, e quale l’oggetto che aveva imparato a chiamare sfera? La risposta del Molyneux, alla quale il Locke pienamente aderisce, era negativa: finchè un’esperienza non abbia permesso di associare i dati spaziali dei due sensi, il riconoscimento, basato sulla possibilità di sostituire gli uni agli altri, non è possibile. Quasi quarant’anni più tardi, la prima prova sperimentale fatta sul primo cieco-nato che in seguito all’operazione di cataratta congenita acquistò la vista in età matura (caso di Cheselden, 1728) dava piena ragione alla tesi stabilita teoricamente dal Locke; nel corso dei due secoli successivi, fino ad oggi, le prove si sono moltiplicate, e tutte in appoggio della stessa tesi: coloro che acquistano la vista ad una certa epoca della loro vita, dopo avere imparato a conoscere gli oggetti mediante il tatto e i movimenti, hanno bisogno di compiere un lavoro di associazione dei dati visivi a quelli tattili e cinetici,