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Appuntamento Con Il Destino: Faber est suae quisque fortunae
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E-book296 pagine3 ore

Appuntamento Con Il Destino: Faber est suae quisque fortunae

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Info su questo ebook

Il destino è ineluttabile, prestabilito, oppure abbiamo la possibilità di forgiare noi stessi il nostro futuro? Nel contesto di un piacevole romanzo che vede coinvolti due adolescenti in una serie di avventure, l’autrice – incrociando verità scientifiche tratte dalla fisica quantistica con fondamenti religiosi e filosofici – fornisce una possibile risposta al quesito, rendendo il lettore partecipe della trama, attraverso un sottile gioco psicologico che si svelerà soltanto alla fine.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2014
ISBN9788865123171
Appuntamento Con Il Destino: Faber est suae quisque fortunae

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    Anteprima del libro

    Appuntamento Con Il Destino - Adriana Cercato

    2012

    PRIMA PARTE

    1

    La stanza era buia, le persiane erano quasi completamente abbassate; Chiara sedeva ad un tavolino, comodamente appollaiata su di una vecchia sedia in paglia di Vienna. L’unico chiarore proveniva da una applique in pregiato vetro di Murano, appesa alla parete della stanza. La luce che filtrava attraverso il vetro colorato era fioca e riempiva di ombre suggestive l’intero ambiente. Sul vecchio grammofono girava un disco di Astor Piazzolla.

    Chiara sorseggiava un caffè amaro; dinanzi a sé aveva una scacchiera e stava giocando una partita a scacchi. Il suo avversario, avvolto nella penombra della stanza, sembrava indugiare silenzioso prima di effettuare la mossa successiva.

    Dai, muoviti! lo rimbrottò Chiara impaziente.

    Poi si alzò, andò in cucina e mise un cucchiaino di zucchero nel caffè ancora bollente. Ritornò al tavolo da gioco e si sedette nuovamente sulla sedia, mentre il suo avversario spostava in avanti l’alfiere.

    Ora tocca a me! pensò analizzando attentamente la disposizione dei pezzi sulla scacchiera. Decidere come e che pezzo muovere è un po’ come scegliere il proprio destino, disse a voce alta, pensierosa; "ognuno di noi ha la responsabilità del proprio vivere, molte mosse sono possibili, sta solo a noi determinare la giusta scelta. Ogni nostra azione ha sempre un solo modo per riuscire, ma molti per fallire. Centrare un bersaglio, ad esempio, è obiettivo unico e semplice, ma lo si può mancare in vari modi, o oltrepassando la giusta misura o arrestandosi prima,"¹ aggiunse con voce quasi velata, mentre la sua mente già vagava oltre, allontanandosi dalle sue parole.

    Il suo avversario di fronte non le rispose.

    Chiara lo guardò negli occhi; erano chiari, proprio come i suoi, ma non la stava guardando, completamente assorto nella partita.

    Chiara abbassò lo sguardo e si concentrò sulla mossa successiva che avrebbe dovuto effettuare.

    Se muovo il cavallo in quella direzione, rischio di perderlo; se sposto la regina, metto a rischio l’alfiere.

    Era trascorsa circa un’ora, da quando quella sfida era cominciata e fino a quel momento i due avversari erano rimasti alla pari; ma adesso Chiara si trovava in difficoltà. Come il suo rivale, aveva già perso dei pezzi importanti, oltre ad alcuni pedoni; ora doveva prestare estrema attenzione alle mosse seguenti. Già una volta aveva messo a rischio il re, e questo – si era detta – non doveva più accadere. In ballo c’era il risultato della partita, la vittoria o la sconfitta.

    Decise di muovere una torre, attaccando la regina di colore opposto. Prontamente il suo avversario, per difendere il suo pezzo, effettuò una mossa imprevista che spiazzò Chiara: era uno ‘scacco al re’, al quale lei ora doveva reagire con prontezza. Avrebbe dovuto cercare la strategia migliore per uscire da quell’impasse; avvertiva tutta la responsabilità della situazione e comprendeva che il risultato del gioco era nelle sue mani e solo lei, con la sua scelta, avrebbe potuto salvare o perdere la partita.

    Chi vince, prende tutto! disse a bassa voce.

    Mentre rifletteva sul da farsi, percepì il respiro affannoso dell’avversario; sembrava essersi uniformato al suo, come se il movimento dell’inspirare ed espirare dei loro polmoni fosse diventato un unico fluire.

    Chiara si alzò di scatto, innervosita dalla scelta che doveva compiere; raggiunse il grande specchio nell’ingresso e si guardò; il suo volto non era più giovane, la sua pelle infatti mostrava già le prime rughe, mentre i suoi capelli lasciavano intravedere alcuni fili grigi, segno dell’inappellabile trascorrere del tempo.

    Ritornò al suo posto, per niente tranquillizzata.

    Non devo permettergli di darmi scacco matto! disse fra sé. Questa gara la voglio vincere io, devo solo capire qual è la mossa giusta…

    In cuor suo sapeva di non poter mollare il gioco, anche se era proprio quello che avrebbe voluto fare in quell’istante: non sarebbe stato onesto nei confronti del suo avversario ed inoltre il suo gesto sarebbe apparso come un’accettazione inesorabile della sconfitta.

    Dopo alcuni minuti di attesa e di profonda riflessione, Chiara ebbe un’intuizione e, sorprendendo anche se stessa, intravide una possibile via d’uscita; mosse il suo alfiere in avanti di quattro case e, rivolta al suo avversario, esclamò con entusiasmo: Scacco matto! Quindi allungò la mano per raggiungere l’interruttore a muro ed accese il lampadario centrale; di fronte a lei, sulla sedia antistante non vi era nessuno. Appoggiato allo schienale della sedia, soltanto un grande specchio che rifletteva la sua immagine: aveva giocato una partita con se stessa!

    Fin da quando era adolescente, Chiara coltivava l’hobby degli scacchi, ma spesso non riusciva a trovare avversari disponibili; aveva pertanto adottato l’escamotage di giocare contro di sé, alternandosi nel ruolo di antagonista. I suoi amici le dicevano che il suo era un gioco improduttivo, se non addirittura una perdita di tempo; sostenevano infatti che, giocando in quel modo, lei conoscesse a priori i piani dell’avversario e che quindi fosse inutile, se non addirittura insensato, giocare contro qualcuno di cui fossero già note le intenzioni. Chiara, invece, lo trovava molto istruttivo, perché poteva confrontarsi con se stessa, cercando di capire come bloccare un suo piano strategico, scovandone le debolezze e analizzandone i possibili errori. Era convinta che giocare le partite in solitario, giungendo da sola al finale, fosse il miglior modo per allenarsi, perché permetteva di prendere – da ambo i lati – il destino nelle proprie mani. Mentre così rifletteva, le ritornarono alla mente gli anni della sua infanzia ed adolescenza, in particolare quel periodo in cui lei frequentava il liceo, all’inizio degli anni Settanta…

    ¹ PLUTARCO, De virtute morali, Moralia I, a cura di G. Pisani, Biblioteca dell’Immagine, Pordenone, Marzo 1989, p. 109.

    2

    …Erano trascorsi pochi mesi dall’ultima volta che Matteo e Chiara si erano visti e mai avrebbero pensato di incontrarsi in un luogo così lontano dalla città in cui erano cresciuti.

    Matteo, infatti, dopo l’esame di maturità, era partito per l’America Latina in cerca di fortuna, e vi stava ora ritornando, per una seconda volta, con l’intenzione di fermarsi. Prima della sua precedente partenza non aveva più rivisto nessuno dei suoi excompagni di liceo, a parte Phil, il suo migliore amico, e Chiara, una compagna con la quale durante il periodo scolastico non aveva mai intrecciato alcun particolare legame di amicizia. L’aveva incontrata in una calle pochi giorni dopo gli esami di maturità, ritornando dalla Capitaneria di Porto di Venezia, dove aveva cercato e ottenuto un ingaggio su un mercantile diretto in Argentina, e si era fermato a parlare con lei. Quell’incontro casuale fu molto importante perché, in quel periodo, entrambi stavano attraversando un momento difficile della propria vita. Forse per scaricare la tensione delle scelte che ognuno di loro stava per compiere, o per una forma di solidarietà legata agli anni trascorsi nella stessa classe, vedendosi, si avvicinarono e sentirono il desiderio di confidarsi ciò che avevano dentro l’animo, nonostante durante gli anni di scuola non fossero stati nulla di più che compagni di classe. Incredibilmente, nei cinque anni trascorsi sui banchi, di rado si erano scambiati un’opinione, un parere o un’emozione. Soltanto occasionalmente i loro sguardi si erano incrociati durante gli intervalli e solo saltuariamente si erano rivolti qualche timida frase. Terminato il periodo scolastico, ognuno aveva rimosso il ricordo dell’altro e aveva proseguito il cammino alla ricerca del proprio futuro.

    Le loro vite erano così iniziate, o meglio continuate, su strade differenti ed entrambi, poco per volta, avevano cominciato a strutturare la propria esistenza sui principi che più rispecchiavano il loro modo di pensare.

    Negli anni del liceo, il loro rapporto con lo studio era stato del tutto differente: Chiara, tenace e impegnata, otteneva quasi sempre buoni risultati e, mantenendo nel tempo un livello costante di preparazione, si assicurava la continuità di voti brillanti; Matteo, discontinuo e svogliato, preso sempre da mille cose che lo distraevano dall’impegno scolastico, riusciva a malapena a rosicchiare qualche sei striminzito; per lo più fioccavano invece le insufficienze, delle quali peraltro pareva non preoccuparsi molto. Eppure a volte, paradossalmente, riusciva persino a convincersi di essersi impegnato abbastanza da poter conseguire buoni risultati. In ogni caso non invidiava chi otteneva voti migliori: a lui, infatti, la scuola proprio non interessava.

    Forse fu questo uno dei motivi per cui non volle mai approfondire l’amicizia con Chiara. Matteo raramente dialogava con i compagni su temi che riguardavano lo studio; Chiara, al contrario, trascorreva gran parte del suo tempo con alcune compagne che dedicavano molte energie all’apprendimento delle materie scolastiche e provava un senso di fastidio per tutti quei compagni, tra cui Matteo, che vivacchiavano tra i banchi, disturbando la lezione e tentando di recuperare una sufficienza non meritata con le scuse più ridicole, accompagnate spesso da una notevole dose di faccia tosta.

    L’unico elemento su cui tutta la classe si trovò d’accordo fu il professore di lettere, giunto al secondo anno. A tutti loro insegnò la cosa forse più importante della vita: pensare con la propria testa. Durante le sue lezioni ognuno prestava la massima attenzione ad ogni sua parola. Amava spesso derogare dal programma, dissertando sui temi più vari, affrontando questioni di attualità, e in quel periodo – erano gli anni della contestazione giovanile – non mancavano di certo gli argomenti. Ogni sua frase riusciva a scatenare sussulti nel loro animo; aveva infatti la capacità di provocare emozioni e reazioni, senza però mai fornire risposte ai quesiti che poneva. In questo modo costringeva gli studenti a riflettere e a confrontare il proprio pensiero con quello degli altri compagni; e questo faceva loro bene, perché davvero essi impararono a rapportarsi prima di tutto con se stessi e poi anche con le opinioni altrui.

    Le lunghe discussioni che si ingeneravano in classe stimolavano il loro senso critico nei confronti del mondo che si preparavano ad affrontare e, mettendo in gioco convinzioni ed idee, accrescevano la loro intraprendenza. In questo modo, venivano anche alla luce le contraddizioni, i luoghi comuni e gli infantilismi non ancora abbandonati.

    Nel corso di quel meraviglioso anno scolastico ognuno si sentì partecipe della vita della classe, alimentando, con il proprio contributo, i numerosi dibattiti che venivano intavolati, sezionando ogni argomento con la passione e la vivacità tipici degli adolescenti di quegli anni.

    Così furono gettate le basi di molte delle idee e convinzioni che avrebbero determinato, in futuro, le loro rispettive scelte.

    Matteo, come molti altri, partecipava attivamente a quelle discussioni che lo avvincevano e lo stimolavano, perché gli fornivano l’opportunità di comunicare il proprio pensiero, ma talvolta non si lasciava sfuggire la possibilità di evitare qualche ora di scuola, prendendo parte alle assemblee di istituto o agli scioperi, il più delle volte senza nemmeno sapere quale fosse il motivo delle proteste in atto.

    Chiara, per contro, non perdeva mai una lezione: stava composta sul banco e non chiacchierava con le compagne a fianco, che peraltro avevano lo stesso suo modo di interpretare il proprio dovere di studentesse. Studiava assiduamente e non rimaneva mai indietro con le lezioni da preparare per il giorno successivo, facendo sempre bella figura nelle interrogazioni e nei compiti in classe e ottenendo voti piuttosto alti. Non le piaceva sciupare il tempo in quelle che considerava per lo più inutili divagazioni, e mirava a migliorare sempre più la sua preparazione, pensando al proprio avvenire.

    Chiara e Matteo vivevano in due mondi diversi, dai toni completamente contrastanti; le strade che percorrevano erano l’una dall’altra così lontane, da apparire come pianeti su orbite diverse, che si distanziano – nel loro moto – ogni giorno di più; una cosa però li accomunava: la forte passione con la quale cercavano di mettere in pratica e vivere i propri ideali.

    Chiara e Matteo, in fondo, riflettevano la netta divergenza intellettuale che esisteva all’interno della loro classe; in essa infatti si distinguevano alcuni che dedicavano molte energie allo studio, e altri che vivevano la realtà di quel tempo con l’animo pervaso da uno spirito di contestazione.

    3

    Chiara proveniva da una famiglia cattolica, dalla quale aveva assorbito la serietà e i principi che la contraddistinguevano. Era una ragazza molto religiosa, frequentava la chiesa, si accostava ai sacramenti. La sua fede, tuttavia, era per lei più un fatto culturale e abitudinario che una forza viva. Era rimasta presto orfana di padre e la mancanza della figura paterna, fondamentale negli anni della crescita, le aveva provocato alcune paure fondamentali. Parte delle sue insicurezze derivavano anche da un’educazione eccessivamente rigida impartita da sua madre, della quale Chiara ricercava continuamente l’approvazione. Gli apprezzamenti che otteneva da lei per i risultati scolastici erano rari. Questo non significava che la madre non la stimasse; era solo il suo modo di rapportarsi con la figlia: Studiare fa parte dei tuoi doveri, le ricordava spesso. Tale atteggiamento, tuttavia, non l’aiutò affatto a crescere in autostima. Fu così che in Chiara venne a crearsi un senso di incertezza e di impalpabile paura della vita che, in modo più o meno latente, l’avrebbe accompagnata per molti anni, fino all’età adulta.

    Oltre a ciò, nel periodo dell’adolescenza che stava sbocciando proprio in quegli anni, trasformandola velocemente da ragazzina in donna, Chiara – a seguito di una patologia alla schiena – dovette portare per un intero anno un ingombrante busto di gesso, che la immobilizzava dall’inguine fino al collo. Secondo i medici che l’avevano visitata a causa dei suoi continui dolori alla schiena, vi era una grave scoliosi da correggere, che altrimenti l’avrebbe segnata per il resto della vita. Il disagio e la mortificazione che quella costrizione le procurò gravarono giorno dopo giorno sulla sua fragile e sensibile personalità, mentre lei osservava con malinconia le sue compagne che in classe, sedute nel banco davanti, indossavano con grande disinvoltura minigonne e shorts e trascorrevano la loro giovinezza dietro a frivolezze, lasciandosi coinvolgere nelle prime esperienze amorose e cambiando frequentemente i fidanzatini con cui per breve tempo si accompagnavano.

    Chiara soffriva molto per questo, e col tempo finì col chiudersi in se stessa, prigioniera di quelle mortificazioni dell’animo che la spingevano a concentrarsi ancor di più sullo studio e sull’introspezione, nel tentativo di esorcizzare le sue paure. Temeva il giudizio altrui a causa di quella gabbia di gesso che intrappolava la sua fiorente avvenenza e forse, anche per questo motivo, rinunciò presto ad avviare ogni genere di rapporto con i maschi della sua età. Iniziò quindi ad interessarsi ai temi fondamentali della vita. La sua brillante intelligenza, infatti, le permetteva di accostarsi senza grande fatica a quei concetti che in seguito avrebbero continuato a guidarla anche nella maturità. A causa della sua passione per lo studio, Chiara era considerata dai suoi compagni di liceo la classica ‘secchiona’. Così, mentre i suoi coetanei, nel tempo libero, si dedicavano ai tipici svaghi della loro età – il gioco del tennis o le nuotate in piscina, le lezioni di chitarra o le festine fra compagni – lei, anche a causa del busto che portava, si concentrava praticamente solo sullo studio. Il suo impegno, tuttavia, non era giustificato soltanto dal desiderio di ottenere dei risultati scolastici brillanti: la sua era una vera e propria sete di sapere! Covava dentro di sé un forte bisogno di comprendere le leggi che regolavano il mondo, dal punto di vista sia etico e sociale che fisico e matematico. In particolare cercava di capire il senso della vita e dell’esistenza dell’uomo sulla terra.

    Come si è formato l’universo? Quando ha avuto inizio? Il mondo avrà mai una fine? Qual è lo scopo della vita umana su questo pianeta? Erano questi gli interrogativi che lei si poneva e che spesso la torturavano, fino a toglierle la tranquillità, rendendo agitate le sue notti, talvolta insonni, per via di quel lungo rimuginare. Sebbene il suo sapere di adolescente fosse limitato, Chiara non disdegnava di cimentarsi in ricerche assolutamente fuori della sua portata, a causa del fascino che tali problematiche esercitavano su di lei.

    Nei momenti di pausa pomeridiana, dopo aver svolto i compiti scolastici per il giorno seguente, Chiara si metteva di buona lena a sfogliare l’enciclopedia o dei vecchi libri di psicologia, nel tentativo di carpire qualche informazione che potesse farla procedere nella conoscenza dell’universo, da un lato, e dell’animo umano, dall’altro. Per approfondire le tematiche che le stavano particolarmente a cuore, affrontava anche la lettura di testi assai complessi: consultava vecchi libri di fisica, chimica e matematica che, con le teorie del Big Bang e dell’evoluzionismo di Darwin, si proponevano di dare una spiegazione alla formazione del cosmo e all’evoluzione dell’uomo. Alla base dei suoi studi e delle sue ricerche vi era la convinzione che dentro l’animo umano si celassero le leggi universali che ponevano l’uomo non solo in relazione con gli altri, ma anche in connessione con il cosmo intero. Le sue intuizioni, seppure ingenue e talvolta infantili, la instradavano su ragionamenti logico-deduttivi che erano la premessa per successive riflessioni.

    Sua madre, che in quel periodo la osservava con attenzione e discrezione a causa dei suoi improvvisi stati di tristezza, la vedeva talvolta assorta, con lo sguardo fisso sui libri, mentre con la mente fantasticava verso mondi sconosciuti.

    Sovente le bastava incontrare, nel testo che leggeva, una formula o un postulato matematico, per farla trasognare in un viaggio immaginario.

    Eppure sono certa che la spiegazione di tutto si trovi qui, diceva fra sé e sé, mentre guardava con occhi pieni di stupore quelle formule che a lei sembravano celare la conoscenza assoluta.

    * * *

    Nonostante il busto e la scomoda realtà in cui era costretta a vivere e che in quel periodo dominava continuamente i suoi stati d’animo, iniziò a provare un sentimento forte nei confronti di Luca, un ragazzo che frequentava la quarta, del quale poco per volta, si innamorò. Era la forza della natura, che giorno dopo giorno reclamava la sua parte.

    Mio Dio, quanto mi piace! Se solo non avessi questa armatura e potessi avvicinarmi a lui come tutte le altre… si ripeteva sempre più spesso, intuendo come quella strada le fosse per il momento preclusa.

    Quel nuovo sentimento per Luca cominciò a causarle dei forti tumulti nell’animo, che a fatica riusciva a governare e che le procuravano emozioni confuse e turbolente. Quando pensava a lui, sentiva spesso nascere dentro di sé sentimenti di inquietudine, che la portavano ad approdare in un mare di insicurezza ancora più grande.

    Non voglio sentirmi respinta e tanto meno derisa, rimuginava quando era sola, torturandosi a volte fino ad uno sconforto così smisurato, da sfociare in un pianto carico di rabbia e di amarezza. Così decise di non manifestare mai a Luca il suo sentimento, sempre più acceso, e si chiuse ancor più nel guscio protettivo delle poche amicizie che aveva e nello studio.

    Quel lungo anno di prigionia per il suo corpo la rese introversa e le uniche cose in cui riusciva a trovare conforto erano i sogni che le letture, di cui divenne ben presto molto avida, le permettevano di creare.

    La sua temporanea infermità fu alleggerita dall’amicizia con Lucia, una sua compagna di classe con la quale si sentiva serena e che, come e forse più di lei, amava studiare. Spesso, durante le pause che si concedevano nelle lunghe ore dedicate allo studio della letteratura, della filosofia e della matematica, si confrontavano in appassionate discussioni che riguardavano i principi della cristianità e i misteri di una fede che, con il passare del tempo, poneva dinanzi a loro quesiti sempre più complessi.

    Fu un anno terribile per Chiara, quello della seconda liceo, ma la forza d’animo e la caparbietà la supportavano e giorno dopo giorno le permettevano di fronteggiare quel presente ingrato, consentendole di superare lo sconforto e la malinconia e di mantenere salda l’originaria, intensa voglia di vivere, che da sempre – nonostante tutto – albergava nel suo animo.

    4

    Matteo, tutte le mattine, si incontrava all’angolo della strada con quattro amici, di cui uno della sua stessa classe, e si recava a scuola in loro compagnia. In quei tre chilometri incrociava sempre le stesse facce, ragazzi che si recavano invece verso gli altri istituti scolastici, percorrendo la via in senso opposto.

    Il momento

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