Il tramonto di Venere
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Fantascienza - racconto lungo (55 pagine) - La guerra se li portava via, pezzo per pezzo. Ma continuavano a ricostruirli.
Da anni infuria una guerra fratricida tra il pianeta Terra e Venere. Clara e Matteo, giovanissimi terrestri, si sono arruolati perché credevano in un sogno di giustizia e fratellanza. Sogno che presto diventerà un incubo: le gravi ferite riportate in battaglia costringeranno entrambi all’impianto di numerosi organi artificiali. In un mondo in cui il confine tra umano e macchina si fa sempre più labile, Clara e Matteo finiranno per mettere in discussione la loro stessa natura. Da Barbara Bottalico, già autrice de Il palazzo, una novelette che affronta in chiave young-adult quesiti morali e filosofici: identità, memoria, integrazione, accettazione di sé e dell’Altro.
Barbara Bottalico è nata nel 1987 a Bari, dove si è diplomata al Liceo delle Scienze Sociali e dove attualmente vive e lavora.
Tre suoi racconti sono stati pubblicati nelle antologie horror Orrore al sole (2016), Orrore al sole (2017) e Z di zombie (2017). Con Futuro Presente ha già pubblicato il racconto lungo Il palazzo.
Tra le sue tante passioni, c'è l’ascolto di musica per violino: in particolare reels irlandesi e greensleeves.
Amante della lettura e della scrittura fin da bambina, spazia dall'avventura, all'horror, alla fantascienza, ma ama anche il mainstream, e adora Isabel Allende.
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Anteprima del libro
Il tramonto di Venere - Barbara Bottalico
9788825405439
Capitolo uno
Della guerra su Venere, Clara Corsini avrebbe saputo ricostruire esattamente tutte le sensazioni provate.
La guerra è un tripudio di sensi: il rumore, quello delle bombe, il cigolio dei bio-robot quando un arto meccanico non funziona bene.
Puzza. Di sangue vero e sintetico. Di olio di motore. L’aria di Venere, quell’aria strana, per via dell’ozono artificiale che circondava il pianeta.
Tatto. Ricordava esattamente la consistenza del fucile tra le mani, la divisa ruvida contro la pelle.
Dolore: quello dei proiettili che perforavano la divisa.
Voci: gli ordini del generale Talieri. Avrebbe saputo ricostruire tutto semplicemente unendo i puntini, ma in quel momento non ne era capace, e immagini confuse si aggiravano nella sua testa.
Della vista ricordava ben poco. Solo gli infiniti tramonti del pianeta, la sua perenne primavera.
In quel momento, attaccata a un respiratore, la sua mente elaborava, nonostante il suo corpo fosse ancora in stasi, costretto al riposo.
Anima.
Dio.
Ma anima e Dio sono concetti.
Un computer è come un corpo, è fisico. Lo puoi toccare. Ha una telecamera per occhi. Uno schermo per viso. Un microfono per orecchie, delle casse come voce. Una memoria immagazzinata nell’hard disk.
Anima.
Può l’anima rimanere incastrata in un corpo più meccanico che umano?
Non potrebbe semplicemente volare via e lasciare il fantasma di ciò che era? Una serie di dati immagazzinati in una memoria interna. Se ricostruissi tutti i collegamenti neuronali in un computer, sarei sempre io?
Posso farmi domande del genere?
No. Io sono solo un soldato. Eseguo gli ordini.
* * *
L’ospedale era bianco, asettico.
Un calendario olografico alla parete recitava la data e l’ora. Quattro aprile 2324. Dieci anni dopo l’inizio della guerra delle colonie, una guerra che aveva portato gli abitanti di Venere a ribellarsi alla terra. Quel Venere che era stato colonizzato dagli stessi terrestri, e su cui era stata costruita una vita intera.
Di Venere, Clara ricordava quando ci andava da bambina. Rurale, eppure al tempo stesso moderno, vivo. Venere. Il pianeta delle università. Degli ingegneri, dei robot tuttofare, il pianeta delle migliori scoperte degli ultimi cent’anni.
Clara non aveva il coraggio di provare a muoversi: aveva paura di scoprire che il suo corpo biologico era andato irreversibilmente distrutto, o che le operazioni per sistemarla non fossero andate a buon fine. Deglutì. Aveva gli occhi chiusi, un senso di costrizione al viso e al corpo, che appariva immobilizzato.
Sentiva ogni parte del suo corpo urlare, non per il dolore, ma per il fastidio. Perfino la flebo nel braccio sinistro in quel momento sembrava un coltello conficcato nella carne.
Si sforzò di aprire almeno il suo occhio biologico: la vista era offuscata, ma aveva già provato ad aprire l’occhio meccanico, e aveva visto ogni singolo poro del muro con precisione tale da farle venire un violento mal di testa. Preferiva quello biologico, per il momento, con tutte le sue imperfezioni. In quel momento era incapace di tarare l’occhio bionico in modo che vedesse come l’altro.
In stanza non era sola: nel letto accanto al suo c’era un uomo totalmente fasciato. Con l’occhio meccanico aveva sbirciato la sua cartella clinica: ustioni multiple su tutto il corpo, trapiantato con pelle coltivata in laboratorio.
D’improvviso un ricordo le percorse il cervello, facendole aumentare il mal di testa. L’esplosione di qualcosa, proiettili che vagavano nella bolla di atmosfera artificiale costruita intorno a Venere. Odore: quello del sangue che era uscito dal suo corpo. Un lampo di luce violentissimo, poi il dolore: un dolore così forte che mai avrebbe potuto immaginare di provarlo. Attraverso la pelle sintetica che le ricopriva varie parti del corpo, a Clara parve di risentire il dolore di ferite passate.
Rialzò l’occhio, quell’iride di un azzurro così strano che replicarla per l’occhio finto era stato impossibile, e ora la differenza si notava leggermente. Lo portò lungo le finestre olografiche.
– Assistente? – disse con voce flebile e roca. La polsiera, posata sul comodino, vibrò leggermente.
– Dimmi pure, Clara. Stai meglio oggi? – La voce maschile che aveva scelto era calda e confortante, simile a quella di suo padre, che Clara aveva perso quando era ancora bambina, nella guerra contro Venere. – Credo tu abbia temuto di morire su Venere come tuo padre.
– Credi? Peter, sei una IA… Limitati a dirmi dove siamo.
– Roma. È il quattro aprile dell’anno…
– Lo so questo.
– Sei in ospedale. Sei stata ferita gravemente su Venere, si potrebbe dire che tu sia stata a un passo dalla morte. Ho monitorato i tuoi parametri vitali per tutto il tempo. – Lo aveva fatto attraverso un piccolo chip installato nel suo cervello, che permetteva a Clara di controllare Peter e a Peter di controllare lei.
– Avanti – disse con voce appena spaventata. – Dillo pure.
– Non guardare la cronologia, c’è una bella selezione di urne che avevo scelto per suggerirle a tua madre.
Clara sospirò. Se avesse potuto, si sarebbe data una manata sulla fronte. – Nel caso accada, non fargliela vedere. Non è indicato mostrare delle urne a qualcuno che ha appena perso un familiare. Cancella la cronologia e continua.
– Sei stata in coma per cinque settimane. Non riesci a muoverti perché sei totalmente immobilizzata. Hai la spina dorsale rotta, ma te ne hanno messa una meccanica al suo posto. E già che c’erano ti hanno sostituito le gambe, riparlarle sarebbe costato troppo, e non avrebbe dato buoni risultati: erano maciullate, mancavano pezzi di ossa e di muscoli, ed era