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Scacco Matto
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E-book272 pagine3 ore

Scacco Matto

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Info su questo ebook

Hai mai pensato che la vita sia come una partita a scacchi? Se muovi le pedine in modo sbagliato, ricevi uno scacco matto che termina il gioco e, senza possibilità di tornare indietro, perdi tutto. Ma... se ti dessero una seconda possibilità? Cosa succede se chi ti ha messo sotto scacco decide di mostrarti gli errori in modo che tu possa imparare da essi? Non è un compito facile, ma nulla è impossibile se ti impegni.

Carolina è la prescelta per questa seconda opportunità e dovrà affrontare situazioni, sentimenti e segreti del passato che la colpiranno nel momento peggiore della sua vita, mettendola di fronte a tutto ciò che le era sfuggito o che non voleva vedere. Perché, se la mente è cieca, gli occhi non vedono.


Una storia che mescola vita quotidiana con pura fantasia.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita2 mar 2020
ISBN9781393275404
Scacco Matto

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    Anteprima del libro

    Scacco Matto - Lisa Suñé

    Scacco matto

    Scacco matto

    ––––––––

    Lisa Suñé

    ©Tutti i diritti riservati

    Non è consentita la riproduzione totale o parziale di quest'opera, né la sua incorporazione in un sistema informatico o la sua trasmissione in qualsiasi forma o mezzo, sia esso elettronico, meccanico, mediante fotocopia, registrazione o altri metodi, senza preavviso e scritto dall'autore. La violazione dei suddetti diritti può costituire un reato contro la proprietà intellettuale.

    Titolo: Scacco Matto

    Titolo dell’opera originale: Jaque Mate

    Traduzione di Miriam Cumbo

    Immagine: H2ORobert (acquisita su Fotolia)

    ©Lisa Suñé

    Progetto copertina: Lisa Suñé

    Penso che siamo tutti ciechi,

    ciechi che possono vedere ma non guardano.

    José Saramago

    Sinossi

    Hai mai pensato che la vita sia come una partita a scacchi? Se muovi le pedine in modo sbagliato, ricevi uno scacco matto che termina il gioco e, senza possibilità di tornare indietro, perdi tutto. Ma... se ti dessero una seconda possibilità? Cosa succede se chi ti ha messo sotto scacco decide di mostrarti gli errori in modo che tu possa imparare da essi? Non è un compito facile, ma nulla è impossibile se ti impegni.

    Carolina è la prescelta per questa seconda opportunità e dovrà affrontare situazioni, sentimenti e segreti del passato che la colpiranno nel momento peggiore della sua vita, mettendola di fronte a tutto ciò che le era sfuggito o che non voleva vedere. Perché, se la mente è cieca, gli occhi non vedono.

    Una storia che mescola vita quotidiana con pura fantasia.

    Prologo

    A te, che non so dove sei

    Non avrei mai pensato di poter conoscere la felicità assoluta nel momento peggiore della mia vita e di iniziare a vivere con più intensità grazie al dolore.

    Il mio essere scontrosa accompagnato da tutti gli errori commessi mi hanno portato a capire quanto stessi vivendo male. Ho scoperto di avere pochissima voglia di guardare avanti, pensavo di avere tutto, ma non possedevo nulla e non ne ero consapevole. Pensavo di aver ottenuto tutto nella vita, praticamente senza muovere un dito.

    Mi sentivo al top di una carriera professionale e, in pochi secondi, ho perso tutto. Come fare un salto nel vuoto ed entrare nell'oscurità. Oscurità e ombre: non esistono parole migliori per definire lo stato in cui mi trovavo. Questo amaro processo è stato necessario. Fondamentale.

    E io, oggi, guardo indietro e non mi pento di ciò che mi ha portato a soffrire in quel modo. Non ripeterò gli errori commessi perché sono tuttora lezioni dalle quali ho imparato. Sono una di quelle persone che pensano che non dobbiamo pentirci di nulla, che tutto accade perché è già predestinato. Non ero dispiaciuta per quello che mi era successo.

    Per due motivi:

    Il primo, perché mi ha fatto rendere conto di non vivere davvero.

    Il secondo, tanto piacevole quanto doloroso, perché adesso posso innamorarmi di qualcuno per la sua anima e non per il suo corpo.

    È incredibile come sia stata in grado di sviluppare questi aspetti che rimanevano nascosti o sopiti, ditelo come volete, dentro di me. Tuttora stento a capire come le persone intorno a me siano riuscite ad accettarmi di nuovo. Mi hanno persino aiutato e incoraggiato ad andare avanti, quando tutto ciò che avevo offerto loro era indifferenza e insulti. Ero una persona spregevole.

    Ma adesso, una volta aperti gli occhi sulla vita e aver capito quanto mi sbagliavo, cerco di imparare e comprendere tutto ciò che mi circonda. A dare importanza alle relazioni umane e non alle cose materiali. I beni e il denaro non sono paragonabili alla positività che deriva da un’interazione tra persone.

    Da tutto questo potresti pensare che sono diventata buddista o qualcosa del genere, ma no. Ho imparato la lezione.

    Non posso dire che, dopo tutto il percorso attraversato, non commetterò più errori, perché so che sbaglierò di nuovo. L'unica differenza è che me ne renderò conto e cercherò di non inciampare sulla stessa pietra e questo, prima di quello che mi è successo, non mi passava nemmeno per la testa. Pensavo di essere perfetta e che il mondo girasse intorno a me.

    Sono felice di aver perso tutto e di essere stata costretta a ricostruirlo, ripensando agli errori sto cercando di farlo nel modo giusto, per la seconda volta. Non è stato affatto un compito facile. Ma... senza fatica non c’è ricompensa. Ogni azione ha un costo, può essere alto o basso, ma si deve lottare.

    Di tutte le cose che ho perso, però, ce n’è una che non ho potuto recuperare: l'unica persona che ho veramente amato. Spero di aprire gli occhi un giorno e poter contemplare nuovamente il suo viso, come quell’unica volta.

    So che mi costerà, sono anche consapevole delle poche possibilità che ho, ma non perdo la speranza.

    Non è la strada a diventare più facile, sei tu che diventi migliore.

    Carolina Miró,

    Maggio 2017

    Prefazione di «I piedi di Carol»

    Scacco matto

    Entrechat

    Passo che consiste nel fare ripetuti salti incrociando rapidamente e alternativamente le gambe davanti e dietro.

    ––––––––

    Giovedì, sei del mattino; un altro giorno nella città di Barcellona. Il cielo era coperto da nuvole che non sapevano se scaricare un acquazzone o quattro gocce che avrebbero solo sporcato l'asfalto e gli ombrelli.

    Avevo finito di preparare la borsa con il materiale per andare al lavoro: le mezze punte, un paio di punte con i rispettivi salvapunte, pece, calzamaglia, scaldamuscoli e body.

    Uscii di casa, tranquilla, come sempre. A quel punto non importava se arrivassi in ritardo di cinque minuti al Gran Teatro del Liceo, non avrei minimamente danneggiato la mia carriera, ero già al top. Mia madre, ogni volta che mi vedeva, continuava a ripetermi quanto fosse orgogliosa di me. Per anni, ha riversato su di me la sua frustrazione come ballerina professionista, a un livello tale che tutto ciò che ottenne fu farmi pentire di aver seguito le sue orme.

    Odiavo la mia professione. Tanti anni di disciplina, impegno e sofferenza per finire a lamentarmi di questo. E non è qualcosa che nascondevo, lo mostravo chiaro e tondo sapendo quanto la irritasse. Avevamo avuto molte discussioni e sapevo che non erano finite. Mi ripeteva in continuazione che il mio atteggiamento non era positivo, che avrei dovuto essere più socievole e allegra, ma una persona non la cambi. Sono nata così: senza motivazione, zero emozione e nessun desiderio per qualcosa. Mi limitavo solo a trascinare i piedi uno dietro l'altro in modo che i giorni passassero fino a... fino alla fine dei miei giorni.

    La gente mi stressava sempre fin da quando ero piccola. Mi irritava essere circondata da persone che sapevano solo raccontare i propri litigi. Non mi importava affatto dei problemi degli altri, a mala pena pensavo ai miei. Ognuno ha i propri demoni e deve occuparsene da solo.

    Ovvio che non mi piaceva realizzare la carriera frustrata di mia madre, sopportare i sermoni di un padre insoddisfatto e crescere all'ombra di una sorella brillante, ma non parlavo dei fatti miei con nessuno. Sarebbe stato una dimostrazione di debolezza.

    Forse è per questo che mi sono allontanata da loro.

    Quando arrivai, nessuno ha avuto il coraggio di rimproverarmi per il ritardo, nemmeno il direttore. Fin da quando sono stata selezionata per far parte della compagnia di danza ho mostrato il mio brutto carattere e il mio atteggiamento arrogante, una tattica che mi ha portato ad essere una delle migliori, anche se in realtà è stata la mia tecnica raffinata a darmi il privilegio di essere la prima.

    Ero anche quella che guadagnava di più, ma non sono stati quei soldi a permettermi il tenore di vita che conducevo: vestiti costosi, eventi dell'alta società, un appartamento di design nel centro di Barcellona... Vivevo con stile ma lo stipendio della compagnia non era abbastanza, quindi non avevo altra scelta che fare soldi con altri mezzi. Non avrei rinunciato a vivere al massimo.

    Preparavamo una rappresentazione di Tristano e Isotta da mesi. Il grande debutto era sabato, quindi i nervi e la tensione tagliavano l'aria.

    Non era il mio caso. Ero molto tranquilla. Anche se avevo solo venticinque anni, la mia sicurezza li sorprese. Apprezzarono la mia capacità nel controllare lo stress, ma in realtà ero tranquilla perché non mi importava niente, non pensavo. Il risultato di quell'atteggiamento fu ottenere il ruolo da protagonista e interpretare Isotta.

    Le ore passavano e continuavamo a ripetere le stesse scene senza sosta. C’erano solo errori nei tempi e nelle posizioni di alcune ballerine. Un'intera mattinata persa fino all'ora di pranzo.

    Mi isolai con le cuffie e mi rifugiai nella musica dei The National mentre mangiavo una triste barretta ai cereali, finché qualcuno non interruppe il mio momento di pace.

    «Carol, potresti aiutare Ines con i passi?», chiese Aitor, il direttore.

    «No». Mi rimisi le cuffie.

    Non avrei perso tempo con qualcosa di impossibile. Ines non aveva dei piedi ma degli zoccoli. Era inutile dal primo giorno in cui era entrata nella compagnia. Anche aiutandola, non sarebbe migliorata. Ho sempre pensato che sarebbe stata più adatta come assistente di volo a causa del suo aspetto innocente e fragile da ragazza indifesa e insicura, caratteristiche che le avrebbero fatto guadagnare un sacco di soldi in base al contesto in cui... Comunque, non mi interessava cosa faceva della sua vita, era negata per la danza.

    Riprendemmo le prove e i miei sospetti furono confermati: le persone con la pancia piena non lavoravano bene, tutti erano molto più goffi. Sapevo per certo che il gruppo non era pronto per il debutto di sabato e le ore continuavano a passare. Le prove stavano per terminare e non avevo intenzione di fermarmi un minuto in più. I miei passi e le mie scene erano andati alla perfezione, quindi non avevo bisogno di ore extra.

    Inoltre, avevo cose molto più importanti da fare.

    Quella notte avrei ricevuto un sacco di soldi e non avevo esitato ad accettare. Forse molte persone potevano pensare che fossero soldi sporchi, ma erano comunque soldi. Avevo approfittato di tutti quegli anni di studio in una scuola di danza per avere un guadagno extra. E, guardando il mio conto in banca, aveva talmente tanti zeri da potermi ritirare per una buona stagione, se mi andava, ma avrei dovuto dare molte spiegazioni alla mia famiglia, e questo non mi piaceva affatto. Mia madre era come un corvo che mi volava attorno appropriandosi dei miei meriti come se fossero suoi.

    Odiavo che lo facesse. Quella con i piedi distrutti dalla danza, quella che passava ore a provare e che si alzava alle sei del mattino ogni giorno per mettersi le maledette punte ero io.

    Tornai a casa per prepararmi e andare al mio secondo lavoro. Lasciai i capelli sciolti, dato che ai capi piacevano i capelli folti. Un tubino nero Chanel molto attillato. Le Peep toe di Christian Louboutin e voilà. Mi truccai appena, avevo una buona genetica e dovevo approfittarne.

    Il tassista, quando mi vide, mi osservò dalla testa ai piedi. Ero abituata a questo atteggiamento e, dato che non avrei tradito nessuno, ne approfittavo. Avevo una vita sessuale molto frenetica, ma mai nel mio appartamento.

    Non ho mai invitato nessuno, era il mio santuario. Non volevo che nessuno sapesse dove abitavo, per evitare che potessero trovarmi lì e disturbare la mia esistenza. Spesso erano molto pesanti e volevano sempre rivedermi.

    A diciotto anni trovai la soluzione. Il mio nome sarebbe stato Valentina e il mio numero di cellulare sarebbe finito con 6 e non con 9, un numero falso, ovviamente.

    Quando arrivai a destinazione, non ero consapevole di quanto la mia vita sarebbe cambiata quella notte. Uno spartiacque nel mio cammino. Un incidente che mi avrebbe tolto tutto in pochi secondi.

    Stallo

    Costringere il re avversario a una posizione che non gli consente nessuna mossa perché non può muoversi in nessuna casella senza essere attaccato.

    ––––––––

    Alla lista di Morticia si aggiunse una vita. Una giovane di venticinque anni in overdose. Morticia diceva tra sé e sé che era qualcosa di orribile. É tanto bello vivere...

    Si recò sulla scena del crimine e vide la giovane donna. Era bellissima. Folti capelli castani, lineamenti delicati e squisiti con profondi occhi del colore del mare. Le dispiaceva impadronirsi della vita di un essere così bello, ma non era stata lei a deciderlo. Il suo lavoro nel mondo era quello di mandare queste persone al loro posto: in letargo.

    Guardò i familiari. I genitori piangevano in modo sconsolato e la sorella maggiore era a pezzi. Non sapevano ancora se sarebbe sopravvissuta a quell'episodio, ma Morticia aveva già un verdetto. Si avvicinò al letto dove si trovava il suo prossimo nome e avvicinò le sue labbra a quelle di quell'essere che, nel giro di pochi secondi, non sarebbe più stato in vita. Agì lentamente, come se fosse in attesa di qualcosa che interrompesse la sua esecuzione.

    A pochi centimetri dal contatto mortale, apparve qualcuno.

    «Fermati!», gridò una voce profonda e chiara.

    Morticia si fermò e osservò attentamente l'essere che aveva osato urlarle contro.

    «Heraclio... Non hai niente da fare qui».

    «Questa ragazza deve ancora vivere», disse quell’essere che sembrava un anziano.

    I suoi movimenti e il suo modo di parlare dimostravano esperienza e saggezza. Morticia non disse nulla.

    «Sai che se mi hanno mandato qui, è perché è scritto così. Il suo nome è nella lista ed è così che deve andare. Non può rifare quello che ha fatto. Tu lo sai, Heraclio».

    «Ti capisco, Morticia. Ma questa ragazza ha un destino nel mio libro e la sua fine non è ora. Non sbaglio mai», affermò con fermezza, sicuro del suo lavoro e delle sue visioni. «Deve imparare dai suoi errori, vivere e.... innamorarsi. Non ha ancora fatto niente di tutto ciò. Non è il suo momento, amica cara».

    Morticia era un po’ confusa. Com'era possibile che Heraclio avesse scritto questo nome sia nel libro che nella sua lista? Non sapevano cosa fare. Era una decisione pericolosa la cui conseguenza poteva essere una punizione e lei l'aveva già vissuta.

    Si era innamorata di qualcuno annotato nella sua lista. Ovviamente l’aveva baciata e uccisa, ma non la portò nel regno dei morti. Scatenarono la loro passione per tutti i confini del limbo. Vissero un'intensa storia d'amore divorandosi ogni pezzo di pelle. Fecero l'amore senza sosta, toccandosi l’un l’altra senza mai stancarsi. Pensavano di aver ingannato le leggi della vita, ma queste non tardarono ad arrivare. Lasciarono che Morticia credesse alla propria menzogna per punirla in seguito. Un evento che è rimasto inciso nella parte più profonda del suo cuore. Un marchio che non dimenticherà mai.

    Lei stessa dovette mandare all’inferno chi amava di più e, una volta lì, fu obbligata a vedere la penitenza che le era stata inflitta: essere l'oggetto sessuale di tutti gli infedeli che sarebbero rimasti lì fino all'eternità. Senza mai redenzione. Ma non era tutto. All'angelo caduto che comandava nell'oscurità fu ordinato di inchiodare una verga ardente nel cuore di Morticia, impedendole così di innamorarsi di un altro essere. In questo modo, sarebbe sempre stata innamorata della stessa persona. Di qualcuno che la odiava fin dal primo minuto passato all'inferno.

    «Chiamo il Supremo per chiarire questo enigma», disse Heraclio con le palme delle mani rivolte in alto e parlando al cielo.

    Presto apparve la luce caratteristica dell'essere Supremo. Un bagliore danzante si mosse attorno alla ragazza. Le girò attorno completamente finché non li circondò per dare loro istruzioni.

    «Carolina Miró Esteve deve continuare a vivere», disse con una voce alta e celestiale. «Tuttavia, non possiamo regalarle qualcosa di divino come la vita. Heraclio, il tuo compito è insegnarle a vivere e ad innamorarsi. Morticia, devi rimanere vigile, se si perde di nuovo nel cammino della vita, sarà una sua decisione e non ci saranno più opportunità».

    «Ma come possiamo cambiare il suo comportamento?», chiese Morticia senza capire cosa stesse succedendo.

    «Heraclio sa già cosa fare», disse la luce prima di scomparire.

    Morticia ed Heraclio si scambiarono un'occhiata. Quel robusto Eterno si avvicinò alla ragazza e le mise per un po’ la mano sugli occhi e infine sul collo.

    «Custodirò la tua vista finché non imparerai a vivere e ad innamorarti. Quando capirai le cose che contano davvero e sarai in grado di trasmettere con il tuo corpo quello che senti, riacquisterai questo prezioso senso».

    Morticia era sbalordita. Era la prima volta che assisteva a una scena simile. Heraclio, con un semplice gesto, privò quella ragazza di un meccanismo fondamentale nell'essere umano, ma non essenziale per vivere. La prima cosa che pensò fu che, se la ragazza aveva già commesso l'errore vedendoci, non avrebbe tardato a rifarlo ritrovandosi priva della vista.

    Heraclio si avvicinò a Morticia per salutarla.

    «Il mio lavoro è finito. Ora ti tocca aspettare».

    «Heraclio... tu che sai tutto. Sai se supererà la punizione?»

    «Ora è nelle tue mani. La mia penna scrive la storia di ogni individuo ma, quando commette un'imprudenza, svanisce».

    «Allora... mi stai dicendo che non sapevi di Daphne?», chiese sollevata.

    «La fine del mio lavoro nella vita termina con la parola morte. E Daphne è morta prima che iniziasse il tuo tormento».

    Morticia si precipitò verso Heraclio avvolgendolo in un abbraccio che lui accettò. Dopotutto, erano compagni per l'eternità e soffriva per il dolore della sua vecchia amica, a differenza di altri colleghi che sapevano cosa sarebbe successo e non l’avevano avvertita. Morticia resta sempre una persona sfortunata che, nonostante la sofferenza subita, non ha perso il sorriso.

    La prima cosa che vedevano i nomi della sua lista era la sua allegria contagiosa e capivano di essere appena morti.

    Brisé

    Un piccolo battito di piedi saltando.

    ––––––––

    Dove mi trovavo? Cosa erano tutte quelle ombre sfocate grigie e verdi? Cosa mi stava succedendo? Dove mi trovavo? Per la prima volta nella mia vita mi sentii sopraffatta. Un nodo soffocante si insinuò nella gola e un sudore freddo mi permeò il corpo. Di riflesso toccai con le mani ciò che mi circondava.

    «Carol?», chiese una voce familiare.

    «Mamma?»

    «Tranquilla... a poco a poco, tesoro». Era la voce di mia madre. La riconoscerei ovunque.

    Notai che mi teneva la mano e con l'altro braccio mi abbracciava attorno alle spalle.

    Cominciai ad ansimare sempre più velocemente

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