Siamo tutti personaggi di storie
Di Giulia Massi
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Siamo tutti personaggi di storie - Giulia Massi
storie
ANCHE GLI OCCHI PARLANO
Comincia un nuovo giorno, Akim è sveglio nel suo letto, un pensiero fisso lo tormenta: sua madre. L’ha lasciata da sola, a casa sua, senza sapere se e quando l’avrebbe rivista. Se n’è andato. Ora la sua vita è in un altro posto, dove tutto è diverso e dove ha trovato una nuova famiglia.
Qui fa freddo, piove sempre, il sole è spento, la gente è diversa, la solitudine è più brutta della fame che pativa prima. C’è tristezza. Cos’è la tristezza? Cos’è questo posto? Akim se lo chiede, non lo sa, non capisce, pensa a sua madre, alla sua casa, al caldo, al sole, qui c’è troppa tristezza.
Lo sente, sa che ogni nuovo giorno è inizio di domande, di pensieri, di malinconia, è un bambino che non sa cosa sia la felicità perché la vita non glielo ha permesso e adesso è troppo difficile cominciare a vivere, imparare cose che non capisce, stare lontano da sua madre fingendo che non ci sia più perché ora ce n’è un’altra. Una donna bella, elegante, sorridente, una che la felicità forse neanche l’ha mai conosciuta ma sicuramente sa come trovarla, o almeno ci prova. Sorride al bambino, lo coccola, lo ama, ma non è sua madre e lui questo non può dimenticarlo. Non si può dimenticare della donna che l’ha messo al mondo, la donna che lo abbracciava la notte per farlo addormentare, che si sacrificava per farlo mangiare, che lo ha lasciato andare via per offrirgli una vita migliore.
Akim si alza con tutta la fatica dei suoi sette anni, si veste, si prepara. Ha imparato a fare questo, ha scoperto che qui la gente si veste, si pettina, si lava, mangia, sta bene. I bambini hanno le guance rosse e le fossette. Lui non ha niente di tutto questo: le guance rosse non le può avere perché la sua pelle è troppo scura, non si può pettinare perché i suoi capelli sono crespi, però ha imparato a vestirsi bene, o almeno gliel’ha insegnato la donna che lo ha accolto in casa sua. Oltre a lei c’è suo marito, loro si amano ma la loro unione non gli ha portato figli e questo li ha fatti soffrire.
Era successo mesi prima: lei era rimasta incinta ma poco dopo aveva avuto un aborto spontaneo e il medico le aveva detto che non poteva avere più figli. Il marito le era stato vicino e alla fine si erano ripresi, era arrivato Akim, un bambino triste e solo che stava morendo per la fame; è triste, è la vita. Lei si chiama Giorgia, ha gli occhi azzurri e i capelli scuri, il suo sorriso è bellissimo, le sue gambe sono lunghe e sinuose, è bella. Lui si chiama Cristian ed è pazzo di lei, la guarda come se fosse il tesoro più prezioso che esista sulla faccia della terra, come se senza di lei, il mondo non girasse più. E Akim? Lui è il loro bambino, con gli occhi grandi e tristi, un bambino a cui vogliono far conoscere l’amore, a cui vogliono insegnare tutto quello che sanno, che vogliono amare come un figlio e ci riescono. Lo amano davvero, ormai è il loro bambino. Lui ancora non lo sa perché non ha imparato, perché è triste, perché è piccolo, ma i suoi genitori lo amano davvero. Giorgia entra in camera di Akim, lo trova già pronto, gli chiede come sta, anche se sa che lui non le risponderebbe, poi lo bacia sulla guancia, lo abbraccia e intanto Cristian prende le chiavi della macchina per portare il piccolo a scuola. Giorgia lo porta in classe e poi lo lascia sorridendogli.
Akim frequenta la seconda elementare e fino a poco tempo fa non sapeva nemmeno cosa fosse una scuola. Scrivere? Leggere? Ma cosa ne può sapere un bambino come lui di queste cose? Andare a scuola gli piace, è un bambino curioso e impara in fretta, le maestre lo adorano ma lui è sempre triste.
La maestra entra in classe e dice: «Bambini oggi farete un pensierino».
Cos’è un pensierino? Akim ripete la parola nella sua testa ma ovviamente non gli dice niente. La sua compagna di banco alza la mano: «Su cosa lo dobbiamo fare?» e la maestra sorride, si alza e dice: «Sulle vostre mamme».
Mamma, Akim questa parola l’ha imparata subito, è l’unica che gli dice qualcosa. Ma non vuole scrivere di lei, non ne è in grado, non conosce parole di quella lingua che possano fargli scrivere su un foglio quanto vuole bene a sua madre, quanto gli manca, quanto la vorrebbe vicino. La maestra si avvicina ad Akim, gli sorride: «Akim se vuoi lo possiamo fare insieme il pensierino. Ti ricordi della tua vera mamma? O preferisci parlare di quella che hai ora?».
Detta così sembra semplice: ne avevi una di cui forse non ti ricordi, ora ne hai un’altra. No, non è così. Akim stringe la penna fra le dita, guarda la maestra. «Voglio scrivere di tutte e due».
Adesso non gli importa più se non ha le parole, vuole parlare di tutte e due e la maestra lo aiuterà. Il tempo passa in fretta, Akim scrive il suo primo pensierino e la maestra lo trova così bello che lo vuole far leggere ad almeno una delle due mamme. Giorgia aspetta Akim fuori scuola con un nuovo sorriso, lo vede e agita la mano. Akim la guarda, quella è la sua mamma, le va incontro e per la prima volta le parla: «ciao mamma».
Giorgia non sa che dire, lo bacia, è felice, ecco ora anche lei sa cosa vuol dire questa parola e la vuole far conoscere a suo figlio.
La maestra si avvicina e le consegna il tema: «lo legga», non dice altro.
Giorgia prende in braccio Akim e lo porta via, lui la stringe forte e si lascia coccolare un po’. A casa c’è Cristian, è più facile pensarlo come padre perché lui non sa chi sia il suo vero padre e forse non lo saprà mai. Giorgia guarda Akim negli occhi. Sono occhi profondi, si perde in quel miele liquido del suo sguardo e pensa che sia dolce, comincia a vedere un bambino di sette anni. Cristian lo fa sedere, pranzano insieme ed è facile ritrovarsi sul divano a giocare alla playstation e a ridere e a scherzare. Akim lo adora e oggi si sente un po’ meno triste perché ha messo i suoi pensieri bianco su nero, si è scritto e ora qualcun altro lo può leggere. Quel qualcun altro è Giorgia, sdraiata sul suo letto con gli occhi immersi nella lettura, le sembra di sentirle quelle parole, si sente una mamma per la prima volta e le viene da piangere, ma ancora non lo fa, vuole arrivare alla fine, vuole mantenersi intatta ancora per un po’, è felice: "La mia mamma è ancora lì e la notte la sogno perché non posso dimenticarmi di quanto le voglio bene, i suoi occhi mi parlavano e mi davano amore, vorrei saperlo fare anche io perché non conosco le parole e se parlo allora mi viene da piangere. Mi manca la mia mamma e non so