Analista con la coda
Di Paola Zoli
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Anteprima del libro
Analista con la coda - Paola Zoli
SINOSSI
È questo il primo romanzo che ho scritto, anche se ho deciso di pubblicarlo solo ora. Vi si parla di sentimenti e di tenerezza, tenerezza di un uomo per il suo gatto e del gatto per il suo compagno umano, perché il gatto non ha padrone. Se tra i due il rapporto funziona, si crea un sodalizio che aiuta a superare momenti difficili, incomprensioni famigliari, periodi di tristezza. Tutto con naturalezza, senza bisogno di farmaci, di terapie, di esperti, perché a volte un piccolo essere come un cane o un gatto può fare il miracolo che gli uomini non riescono a fare. Non è un libro adatto a chi non ama gli animali.
ANALISTA CON LA CODA
Il Professor Antonio Corbari era profondamente addormentato sulla poltrona della sala da pranzo con le gambe sopra un puff e un gatto sulle ginocchia. I due ronfavano all’unisono ed erano l’espressione della più perfetta beatitudine. D’un tratto però il gatto si alzò a sedere con uno scatto improvviso sempre rimanendo sulle ginocchia del suo compagno di sonnellino ed anche il professore cominciò a svegliarsi. Girandosi alla sua sinistra, da dove aveva sentito un rumore sommesso, vide suo figlio Stefano con una ragazza. Padre e figlio si guardarono per qualche istante come se faticassero a riconoscersi, poi il professore esclamò:
- Non ti aspettavo per oggi. Perché non mi hai comunicato la data del tuo arrivo? -
- Avevo le chiavi, non volevo scombinare le tue abitudini. Questa è Melanie. Ti avevo detto che sarei arrivato con un’ospite.-
Solo in quel momento Stefano parve accorgersi della presenza del gatto, rimase qualche istante a guardarlo con aria interrogativa, poi aggiunse:
- Non sapevo che avessi un gatto, non me l’avevi detto. -
- Non me l’hai mai chiesto; sono tante le cose che non mi chiedi più. Ad ogni modo si chiama Vasco ed è il mio compagno di vita. -
A quel punto la ragazza cominciò a lamentarsi, in un inglese con spiccato accento americano, che lei era allergica ai gatti.
Il professore capiva bene l’inglese e, benché lo parlasse altrettanto bene, rispose in italiano:
- Questo mi dispiace, mi rendo conto che è un problema, ma lui abita qui. -
Vedendo l’espressione delusa della ragazza, aggiunse che sarebbe bastato impedire al gatto di entrare nelle loro camere, cosa non facile data la naturale curiosità dei gatti, ma visto che Vasco ancora non li conosceva si sarebbe forse tenuto in disparte.
Stefano però ebbe un moto di sorpresa nel sentir parlare delle loro camere
. Perché, non ne bastava una?
Beh, rispose il padre, lui aveva parlato di un’ospite di genere femminile senza meglio specificare, ma si poteva rimediare subito. Nella camera della figlia, che se n’era andata da qualche tempo e che lui aveva preparato per la ragazza, c’era un letto gemello che avrebbe potuto essere trasportato nell’altra camera e unito a quello di Stefano. Così dunque fecero, sotto gli occhi increduli e incuriositi di Melanie a cui pareva di aver appena fatto la conoscenza di un alieno. Dopo circa un’ora tutto era stato sistemato, i bagagli buttati provvisoriamente in un angolo della camera da letto ed aperti quel tanto che aveva consentito di tirar fuori delle comode tute, e finalmente tutti e tre poterono sedersi in cucina davanti ad una tazza di the. Vasco si teneva nei paraggi osservando da una distanza di sicurezza quegli strani visitatori che non sembravano promettere niente di buono.
Stefano ad un tratto si ricordò che il padre aveva nominato sua sorella e aveva detto che se n’era andata da casa. Ripensandoci, si accorse che erano mesi che non aveva notizie di lei. In effetti, da quando aveva lasciato l’Italia, si erano scambiati qualche mail all’inizio poi lui aveva lasciato cadere ogni contatto e lei non aveva insistito. Adesso però era curioso di saperne di più, perciò chiese al padre cosa fosse successo a Lidia.
- Lidia - rispose il professore, riflettendo come per trovare le parole giuste -anche lei è cresciuta. Ne devo essere contento; d’altra parte non potevo mica pensare che mi rimanesse in casa tutta la vita, non me lo auguravo nemmeno. Ha fatto la sua scelta; spero sia quella giusta. Non so nemmeno se sarà quella definitiva, ma poi, cosa c’è di definitivo nella vita? -
Adesso suo padre stava diventando filosofico e lui invece, ormai abituato al pragmatismo del Nuovo Mondo, stava diventando impaziente, impaziente di essere informato senza tanta perdita di tempo.
- Insomma, babbo, cos’ha fatto? É scappata di casa per seguire qualcuno? Si è fatta suora? É andata missionaria in Africa? -
- Scappata non è. Ha semplicemente fatto la valigia ed è andata a convivere con l’uomo che dice di amare. Non è andata molto lontano, sarà circa un chilometro da qui.
- Capirai! Ma com’è andata veramente? Avete avuto una discussione, avete litigato? - Stefano a questo punto, pur non volendo mostrare un interesse eccessivo nei confronti della sorella, era morso dalla curiosità di sapere come mai suo padre avesse lasciato andare la sua figlia diletta, colei che lui era sicuro gli sarebbe rimasta attaccata come l’edera.
- No, non abbiamo litigato, discusso sì. D’altra parte c’era poco da discutere; quando uno s’innamora i ragionamenti valgono poco e anche chi vuol far ragionare una persona, se si ferma un attimo a pensare, non riesce più a capire nemmeno lui da che parte stia veramente la ragione. Chi poteva dire in tutta certezza che non fosse quella la scelta giusta?
- Però ancora non mi hai detto chi è l’oggetto della scelta. -
- Il suo insegnante di chitarra, un musicista. No, non fare quella faccia, non uno dei soliti ragazzi che mettono su un piccolo complesso senza neanche conoscere la musica. Lidia è sempre stata molto seria nello studio, perciò, quando si è messa in testa di imparare a suonare la chitarra, quella classica intendo, si è scelta un maestro diplomato al Conservatorio che insegnava in una scuola privata.
- Ogni tanto mia sorella riesce a stupirmi. -
Suo padre avrebbe voluto dire: - Anche me. - Ma si trattenne perché si accorse che avrebbe potuto essere interpretato nel modo sbagliato.
- Lei andava a casa dell’insegnante con la sua chitarra. Devo dire che obiettivamente il ragazzo non è male. Poi, sai, quando ti metti a suonare certi pezzi il tuo fascino aumenta a dismisura. Credo che la passione vera e propria sia esplosa quando lui le ha fatto sentire come doveva essere eseguito il tremolo, suonandole quel brano di Tarrega, Recuerdos de la Alhambra.
É una melodia struggente. -
- Adesso a sorprendermi sei tu. Hai lasciato che tua figlia se ne andasse a vivere con un uomo che per te era uno sconosciuto e che probabilmente non sarà nemmeno in grado di offrirle una vita serena. Guarda che non ti sto rimproverando; penso soltanto che qualche anno fa non l’avresti mai fatto. Ricordo bene il rapporto simbiotico che c’era tra voi due: sembrava quasi un innamoramento. -
- Qualche anno fa Lidia era una ragazza, spesso avventata e impulsiva come tutti i giovani di quell’età. Aveva bisogno di essere seguita. Sì, lo so che tu hai sempre guardato con occhio critico il nostro rapporto, ma non era come pensi tu. Avevamo semplicemente gli stessi interessi: io insegnavo greco e latino e quelle erano le materie che lei prediligeva, le lettere classiche. Adesso lei è una donna pienamente consapevole di quello che vuole e indipendente quel tanto che può essere indipendente un giovane nell’attuale crisi economica. Deve essere libera di fare le sue scelte-.
Stefano rimase in silenzio. Aveva lasciato suo padre tre anni prima in preda a una tempesta di opposti sentimenti: la sensazione di soffocare nell’atmosfera che si respirava in casa, il desiderio di fare nuove esperienze ed avere migliori prospettive di carriera e d’altra parte la schermaglia continua con la propria coscienza che gli diceva di non abbandonare il padre in quel particolare momento della sua vita. Qualche mese prima il professore aveva perso la moglie all’improvviso, per un embolo che l’aveva portata via in poche ore, e per di più proprio in quell’anno era andato in pensione. Quest’ultima cosa già di per sé era stata traumatica per un insegnante che aveva fatto della scuola e dei suoi studenti la sua ragione di vita; la morte della moglie era stata la batosta finale che l’aveva trascinato in uno stato di prostrazione assai preoccupante. Tuttavia quest’uomo, testardo e indipendente nelle sue scelte, aveva sempre caparbiamente rifiutato un qualsiasi aiuto psicologico, nella convinzione che alla fine ce l’avrebbe fatta da solo ad uscirne.
All’epoca Stefano era un giovane astrofisico che lavorava come ricercatore all’università e proprio in quel periodo gli era stata offerta la prospettiva allettante di un soggiorno di lavoro e di studio negli Stati Uniti per far parte di un team di ricerca presso una prestigiosa università americana, nell’ambito di accordi di collaborazione tra università di vari paesi. Le settimane che seguirono la notifica di questa entusiasmante proposta, furono forse le più difficili che il giovane dottore avesse mai passato in vita sua. La decisione, che in circostanze normali avrebbe potuto essere immediata, sembrava quasi impossibile da prendersi senza far gravi danni ad una di queste due cose: la carriera, con tutti i sogni che questo miraggio si portava appresso, e la propria coscienza.
Ora, Stefano nel tempo si era convinto che tra lui e suo padre non ci fosse mai stata una grande intesa e fin dall’adolescenza aveva cominciato a guardare con una sorta di gelosia mista a risentimento il rapporto che si andava via via instaurando tra il padre e la sorella e che, a giudizio della sua natura sospettosa, sembrava escluderlo. In quel momento, però, questo rapporto veniva a fargli molto comodo, dato che la ragazza viveva ancora in casa ed era, ne era sicuro, la compagnia che ci voleva per il padre. Questa considerazione aveva cominciato a tranquillizzare la sua coscienza e per di più suo padre, quando aveva capito in quale dilemma il figlio stesse dibattendosi, si era messo ad insistere perché partisse, dicendo che sarebbe stato un delitto perdere un’occasione come quella. A questo punto in Stefano erano sorti due opposti sentimenti: da un lato si sentiva sollevato e autorizzato a partire dall’insistenza paterna, dall’altro gli sembrava di essere spinto ad andar via dal desiderio del padre di rimanere da solo, con l’unica compagnia della sorella.
Alla fine comunque aveva preso una decisione e aveva lasciato la casa e Bologna, la sua città che aveva amato moltissimo durante tutta la sua vita studentesca ma che stava cominciando a stargli un po’ stretta, per andare a vivere quest’avventura americana. L’inizio non era stato così semplice come si era figurato nell’euforia della partenza: il taglio del cosiddetto cordone ombelicale
con la famiglia (per quanto contestata), con la sua città e con gli amici, con tutto quello che era stato fino ad allora il suo mondo, non era stato indolore e la mattina si svegliava come se avesse una spina nel cuore. Sentiva nostalgia di tutto: del caffè, del pane fresco, delle passeggiate sotto il Pavaglione nelle sere di primavera quando il cielo è di un azzurro intenso e Bologna sempre più rossa sotto il sole che muore, sentiva persino nostalgia del padre e paradossalmente anche della sorella, sentimento che non avrebbe mai supposto di poter provare. In mezzo a tutto questo però, o forse proprio a causa di tutto questo, rimaneva nascosto in un angolino del suo cervello un vago risentimento nei confronti del padre, come se in fondo fosse stato lui con la sua insistenza ed il suo comportamento la causa del suo presente malessere.
Poi, a poco a poco, i ricordi, gli odori e persino i sapori che l’avevano seguito nel suo viaggio e in certo qual modo perseguitato nei primi tempi della sua nuova vita, si erano fatti sempre più fievoli e alla fine erano stati quasi rimossi in una stanzetta della sua mente dove lui aveva ormai perso l’abitudine di entrare. Ormai stava bene così, con i suoi nuovi colleghi, i suoi nuovi amici, le nuove abitudini che cominciavano ad appartenergli sempre di più e con la prospettiva di lavorare in un centro di eccellenza dotato di mezzi che in Italia non avrebbe mai potuto sognare. Certo, quando pensava a quanti suoi colleghi c’erano, nella sua vecchia università, dotati di intelligenza e di iniziativa, che riuscivano a portare avanti la ricerca con le poche risorse che avevano e ad avere ogni tanto delle intuizioni a dir poco sorprendenti, era preso da un sentimento di impotenza e persino di rabbia per l’ingiustizia da cui sembrava governato il mondo. Per questo e per qualche vago rumore che gli giungeva dalla stanzetta delle rimozioni i cui muri forse erano piuttosto sottili, si era tenuto in contatto costante con il suo vecchio ambiente universitario che, a dispetto delle invidie e delle gelosie comuni a tutti gli ambienti di lavoro, era invece molto fiero di lui.
Aveva cominciato presto a fare delle amicizie fra i ricercatori del Campus, anche fra quelli di altre facoltà: ce n’erano di tutti i paesi del mondo e questo rendeva gli approcci molto più interessanti. All’inizio era stata la curiosità a spingerlo a conoscere gente tanto diversa, poi aveva cominciato ad essere più selettivo e a puntare più sull’affinità che sulla diversità. Si era creato una cerchia di amici con cui si trovava a suo agio, eppure sentiva oscuramente che c’era qualcosa che mancava in questa compagnia, qualcosa che gli mancava; si era