Una carezza dal cielo
Di Lara Tonello
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Anteprima del libro
Una carezza dal cielo - Lara Tonello
Indice
La ragazza del caminetto
Come una favola
L’esatto opposto
Una vita diversa
Fermo immagine
Non io
Falsa identità
La Baita
Il tranello
Tutto il bene del mondo
Il cielo nero
Il tempo del Dono
La metà dell’anima
La Richiesta
Nessun Posto
Tuffo nel vuoto
Alla nostra età
Le farfalle
Ventiquattro
Il messaggio nella bottiglia
Reiki
Coincidenze e razionalità
I passi dell’anima
Ringraziamenti e dediche
Opere citate
Note
Lara Tonello
Una carezza dal cielo
Youcanprint
Tratto da una storia vera.
I nomi ed alcuni dettagli dei personaggi sono stati modificati per tutelare la loro Privacy.
Titolo | Una carezza dal cielo
Autore | Lara Tonello
ISBN | 978-88-31652-24-7
Prima edizione digitale: 2019
© Tutti i diritti riservati all'Autore.
Questa opera è pubblicata direttamente dall'autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'autore.
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Alcune storie ci scelgono, per essere scritte.
Dedicato ad Emanuele ed Ines per avermi
dimostrato che l’amore non conosce confini.
La ragazza del caminetto
Dobbiamo essere grati alle persone che ci rendono felici, sono gli affascinanti giardinieri che rendono le anime un fiore.
Marcel Proust
Una brezza tagliente scuoteva le foglie ingiallite degli alberi di acero e betulla nel vialetto che conduceva fuori dalla scuola. Luna camminava lentamente verso il cancello d’uscita mentre André le parlava senza sosta delle svariate applicazioni dell’algebra nella vita quotidiana.
Lei non era minimamente interessata, ma lo lasciava proseguire col suo appassionato discorso. A breve avrebbero preso le bici e si sarebbero diretti verso casa. Erano cresciuti insieme, André aveva un anno più di lei ed avevano giocato assieme sin da bambini come due fratelli. Avevano scelto la stessa scuola ed assieme ogni mattina inforcavano le bici e percorrevano quei sei chilometri che li separavano dall’Istituto superiore. Con che poco entusiasmo li facevano ora, con la consapevolezza di avere davanti tutto un gelido e lungo inverno. Arrivati al piccolo deposito delle bici, André stava ancora parlando, mentre Luna era intenta a togliere il lucchetto dalla bici, quando una voce familiare interruppe la loro conversazione.
Ciao Luna! Ti ricordi di stasera vero? Ricordati la maglia rossa e nera a maniche lunghe! Ore 20:00 per il riscaldamento, puntuale mi raccomando altrimenti Giò ti fa rullare! E non dimenticarti che poi andremo tutti a casa mia!
Davanti a lei, sorridente e radiosa, Aurora, la sua migliore amica. Sempre bellissima e perfetta, aveva quel modo di fare femminile e dolce, quella delicatezza, quella pacatezza che Luna guardava sempre con ammirazione. Era in qualche modo il suo opposto. Luna era alta, con lunghi boccoli castano scuro sempre raccolti in una coda alta, vispi occhi castani con venature verdi appena percettibili. Aurora, invece, era stupenda. Frequentava il liceo accanto alla scuola di Luna ed era indubbiamente tra le ragazze più belle ed ambite dell’Istituto. Alta, occhi verdi, dai lunghi e liscissimi capelli biondi con riflessi più chiari che ricordavano l’effetto del sole e del mare. Un sacco di ragazzi le ronzavano attorno, ma lei nella sua semplicità nemmeno se ne accorgeva. Si erano conosciute alle medie, quando Luna era entrata a far parte della squadra di pallavolo della scuola. Da quel momento, erano diventate inseparabili.
Ciao Aurora! Si, certo! Sarò puntuale! A stasera!
Aurora era un palleggiatore, mentre Luna era un centrale. Liliana e Giorgia giocavano in banda, Ariel in opposto, Federica era il libero. Altre 6 ragazze, altrettanto brave e simpatiche si contendevano di partita in partita questi ruoli. Erano una squadra fantastica, si volevano un bene dell’anima, si aiutavano e si supportavano l’un l’altra. Certo, lottavano tra di loro per il posto da titolari, ma finita la partita, si facevano una doccia, si truccavano in spogliatoio chiacchierando di ogni genere di cosa ed uscivano per passare la serata tutte insieme. Quell’unione, l’amicizia e la bravura di Giorgio che le guidava le faceva stare anno dopo anno in vetta al campionato, era la loro marcia in più. Era sabato e quella sera alle ventuno ci sarebbe stata la partita con le seconde in classifica, rivali da sempre delle ragazze, sempre a qualche punto da loro e pronte ad approfittare di ogni minimo cedimento. Dopo la gara si sarebbero recate tutte da Aurora che aveva preparato una piccola festa per il suo compleanno.
Ora Luna era in sella alla sua bici, diretta verso casa. Le piaceva correre in bici, ma con il freddo di novembre era arrivato anche il vento tagliente che detestava: le sfiorava il viso, le fischiava con forza nelle orecchie e riusciva ad insinuarsi fino alla schiena malgrado il cappotto a collo alto che indossava. Quel gelo entrava comunque. Poco male, a breve sarebbe stata a casa ed avrebbe messo finalmente qualcosa sotto ai denti. Luna aveva sempre una gran fame. Arrivata a casa appoggiò la sua mountain bike in garage e salì di corsa le poche scale verso il suo appartamento. Aprì la porta e si diresse in cucina per prepararsi qualcosa da mangiare. Abitava da sola con Duccio da ormai tre anni, lui lavorava a turni per riuscire ad arrivare alla tanto desiderata pensione. Prima abitava con loro anche la sorella Zoe di sette anni più grande, ma poco più che ventenne, si era innamorata di Loris e qualche mese dopo si erano resi conto di aspettare un bambino. Loris si comportò come un uomo d’altri tempi, si presentò da Duccio e chiese la mano di sua figlia. Duccio, felice, acconsentì. I due si sposarono ed arrivò presto Jessica, l’amata prima nipotina di Luna. Appena i loro occhi s’incrociarono in quella sala d’ospedale Luna, appena quattordicenne, sentì cambiare qualcosa in lei, provò un amore immediato per quella piccola creatura che la stava guardando con grandi occhi spalancati e che le stringeva un dito con quella piccola e morbida manina. Abitavano ora in quell’appartamento solo Luna e Duccio, lei aveva imparato fin da piccola a cucinare, le riusciva abbastanza bene. Affamata, mise a bollire una pentola con dell’acqua per la pasta, mentre preparava del radicchio e dello speck a listarelle per il sugo. Avrebbe cucinato delle tagliatelle, più veloci e gustose, aveva troppa fame per aspettare che si cuocesse della pasta tradizionale. Dopo pranzo avrebbe dato una sistemata alla cucina e si sarebbe messa a studiare fino all’ora del ritrovo per la partita. Arrivò l’ora e Luna, col suo borsone in spalla, si trovava davanti alla porta della palestra alle 20:04.
Ciao Luna, sono le 20.04, sai cosa significa vero?
Ciao Giò, sì so cosa significa…significa quattro rullate, una per ogni minuto di ritardo!
No, ti sbagli. Significa otto rullate, perché questo non è un allenamento, è una partita. Vale doppio.
Mah…
Se vuoi disquisire, saranno dodici. Datti una mossa ad entrare in spogliatoio, il tempo che perdi ora con me sarà conteggiato come ulteriore ritardo!
Le ragazze entrarono in palestra, unite e sorridenti come sempre, decise a vincere. Luna abbracciò Aurora ed insieme iniziarono il riscaldamento. In partita andò tutto liscio come sempre; con uno sguardo lei ed Aurora si capivano, sapevano che attacco fare senza dirsi nemmeno una parola. La loro complicità era una forza per tutta la squadra, in campo non c’erano mai dubbi. Ariel poi, aveva un braccio forte ed un gioco imprevedibile. In difesa Liliana non lasciava cadere nessun pallone. La partita finì e le ragazze rientrarono negli spogliatoi festose per la vittoria spuntata per qualche punto. Una doccia veloce e poi di corsa a casa. Poche centinaia di metri separavano la palestra da casa. Luna appoggiò il borsone in camera sua e scese da Aurora che la attendeva giù in auto assieme ad altre ragazze più grandi. Salì in auto e si avviarono tutte verso la festa. Luna non era molto interessata ai ragazzi. La sua principale gioia era giocare a pallavolo. In campo liberava completamente la mente da ogni altro pensiero, si sentiva libera da ogni peso da ogni problema: era felice. Poteva sfogare le sue emozioni colpendo sempre più forte quella palla. Aveva scoperto che vincere le piaceva e stare con le sue amiche la faceva sentire davvero bene. Amava stare tra la gente, condividere. Ora però, era tempo di festeggiare Aurora, quel giorno compiva 17 anni, era più grande di Luna di un anno. La famiglia di Aurora era meravigliosa, i suoi genitori erano giovani e simpatici e suo padre era appassionato di bricolage; aveva ricavato una taverna imperlinata con tanto di cucina e bagno per le feste al piano interrato della casa. Erano persone cordiali e buone e davano proprio quel senso di famiglia che Luna aveva sempre in cuor suo cercato. Un gruppetto di ragazzi era già davanti al cancello di Aurora, mentre il suo cagnolino bianco abbaiava e scodinzolava oltre la recinzione. Entrarono tutti assieme dal garage nell’ampia taverna, era un posto davvero perfetto per una festa. Una cassapanca ad angolo in legno massiccio era appoggiata al muro, accompagnata da un enorme e spesso tavolo che poteva comodamente ospitare venticinque persone. Su un altro lato, chiusa da una porta a soffietto si trovava una piccola cucina, con quanto bastava per cucinare o scaldare qualcosa. Accanto alla cucina, un’altra porta immetteva nel bagno. La fine della sala era dominata da un meraviglioso caminetto in mattoni faccia vista, circondato su tutti i lati da una seduta sempre in mattoni. Al suo interno grossi pezzi di legno ardevano riscaldando la sala e creando un’atmosfera rilassata ed accogliente. Erano ormai arrivati tutti. Aurora, oltre alla sua squadra aveva invitato anche i suoi compagni di scuola ed alcuni altri amici. C’era anche Max, il ragazzo con il quale Aurora si frequentava da qualche settimana, era appassionato di musica e faceva il Deejay saltuariamente in qualche pub della zona. Aveva portato con sé delle luci stroboscopiche e delle casse ed in poco tempo la sala si era praticamente trasformata in una discoteca. I ragazzi ballarono, mangiarono e cantarono tutti insieme per qualche ora. Poi, ad un tratto, quasi tutti uscirono. Le luci da discoteca erano spente e la sala era illuminata solo dalla luce fioca del fuoco acceso. Oltre la porta a soffietto semichiusa erano rimaste solo Aurora e sua madre, intente a decorare il tiramisù bianco al cocco e mandorla, che era da sempre la loro specialità.
Ma dai Aurora non vedi che così è troppo?!
Ma no mamma, il cocco sopra ci vuole!
Beh, se poi i tuoi amici dicono che è pastoso è colpa tua!
Luna era rimasta sola nella grande sala, seduta davanti al caminetto ed il suo sguardo era fisso nel tremolio di quelle fiamme. Sentiva solo le voci della sua amica e di sua madre che battibeccavano scherzosamente e ridevano oltre la porta. Sarà stata la luce dolce di quel fuoco accompagnato dal rumore sordo dei ragazzi che scherzavano in lontananza fuori dalla grande casa, ma Luna fu colta da un momento di nostalgia. Ripensò a sua madre, a com’era bello guardarla scherzare con Duccio quando lei era piccola, mentre Ines era intenta ad impastare qualche dolce e suo padre giocava a sporcarle il naso con la farina. Seduta sul bordo di quel caminetto, con le braccia che le cingevano le ginocchia, lacrime di nostalgia rigarono il suo viso illuminato solo dalla Luce calda del fuoco. Poco più in là, all’ingresso della grande sala, Eros la stava osservando da qualche minuto senza farsi vedere. Come sembrava diversa ora dalla ragazza spavalda, giocosa e sicura di sé che aveva incontrato prima tra la gente. Com’era dolce, nel suo maglione beige a righe alto fino al collo, mentre osservava quelle fiamme piangendo. Chissà a che cosa stava pensando...Eros batté un colpo di tosse fasullo per farsi sentire ed entrò nella sala. Luna si girò ancor più verso il caminetto per non farsi vedere, mentre si asciugava le guance, poi rapidamente si alzò ed accese la Luce.
Ciao, io sono Eros. Piacere!
Luna alzò gli occhi, chi era quel ragazzo? Non lo aveva mai visto, né tra gli amici di Aurora, né tra i compagni di classe; ormai tra feste e tornei di pallavolo li conosceva tutti. Era alto, spalle larghe, fisico asciutto, capelli neri appena mossi pettinati con il gel ed un viso a dir poco perfetto, fronte spaziosa, labbra carnose; denti bianchissimi dritti e perfetti. Il naso era piccolo, allineato ed appena all’insù. Le sopracciglia erano folte e curate e gli occhi…erano diversi tra loro! Ma com’era possibile?! Uno era color castagna, con intense venature verdi che partivano dal centro, l’altro era azzurro, con le medesime striature verdi. Erano davvero meravigliosi, non si poteva non notarli. Sembrava appena uscito da uno di quei poster di boy band che riempivano le camere delle ragazze della sua età.
Piacere, Luna!
Gli altri sono tutti fuori, che ne dici se giochiamo con uno di quei giochi in scatola lì sull’angolo?
Ok, ma sappi che io non amo perdere
rispose prontamente Luna
I due ragazzi giocarono tutta la sera, anche quando gli altri rientrarono e ricominciarono rumorosamente a far festa. Vincevano una partita a testa, erano sempre in perfetta parità. Nessuno dei due voleva cedere all’altro.
Ne ho vinta un'altra tipo!
Mi chiamo Eros, non tipo! E la prossima la vinco io!
Eros era attratto da quella personalità così forte, contrapposta alla dolcezza che aveva avuto modo di notare di nascosto. Luna invece lo guardava senza troppo interesse, quel ragazzo era bellissimo e di certo non avrebbe mai badato a lei, persa nel suo maglione, con tutte le belle ragazze che c’erano alla festa quella sera. Poi lei non aveva tempo da perdere coi ragazzi, c’era un campionato da vincere. Però era divertente, ironico e simpatico, quindi trascorreva volentieri del tempo in sua compagnia. La serata trascorse così, ormai quasi tutti erano andati a casa, erano già passate le tre del mattino. Erano rimasti solo Max che frequentava Aurora, Luna che avrebbe dormito da lei quella sera ed Eros che lo stava aiutando a smontare le luci. Luna capì così che i due ragazzi erano amici. Se ne andarono anche Max ed Eros mentre Luna e Aurora andarono al piano superiore a prepararsi per andare a dormire. L’indomani avrebbero lavorato entrambe come cameriere nel ristorante lì vicino. Aurora viveva in una famiglia benestante, mentre Luna faceva la cameriera per aiutare suo padre con le spese di casa. La sua amica aveva un grande cuore ed anche se non ne aveva bisogno lavorava volentieri con Luna, in quel modo avevano l’occasione di trascorrere dell’altro tempo insieme. Si susseguirono velocemente le settimane tra scuola, pallavolo, casa e quel lavoretto al ristorante che a Luna faceva un gran comodo. Era felice, a lei bastava entrare in campo per essere nel suo mondo e dimenticare ogni cosa.
Una sera dopo una partita giocata non troppo bene, le ragazze decisero di andare tutte insieme in un pub li vicino. Le ampie vetrate facevano intravedere già da fuori la quantità enorme di persone ammassate all’interno, ogni tavolo era pieno di ragazzi e ragazze che si divertivano e chiacchieravano. Le ragazze entrarono facendosi largo una ad una tra le persone stipate per arrivare a parlare con un cameriere e chiedere un tavolo.
Tutto pieno Signorina e la sala di sopra non è accessibile, è stata prenotata per una festa privata
Luna a quel punto cercò a fatica di raggiungere le sue amiche per riferire loro che avrebbero dovuto cambiare locale. Nel mentre, tra la folla, sentì il suo nome. Un ragazzo con una giacca in pelle blu la stava chiamando facendole cenno di seguirlo: quegli occhi inconfondibili le stavano chiedendo di raggiungerlo. Luna si avvicinò
Ciao tipo! Che ci fai tu qui?
Non mi chiamo tipo, sono Eros! Ciao anche a te, selvaggia Luna!
Eros si trovava sul primo gradino di un’ampia scalinata in legno con un cordone passamano dorato su entrambi i lati che dava al piano superiore. Aveva preso la mano di Luna e senza dire una parola si era voltato per portarla con sé tra la folla al piano superiore.
Ehi tipo! Noi non possiamo salire! C’è una festa privata al primo piano!
Sì lo so, è la nostra festa privata. Suona Max. È già sceso a chiamare Aurora e tutta la tua squadra, potete stare con noi se vi fa piacere, sarete nostre ospiti
Luna acconsentì e lasciò che quella mano decisa e calda la guidasse al piano superiore. Non aveva idea del motivo, ma le batteva forte il cuore. Era consapevole che Eros poteva avere ogni ragazza sulla faccia della terra ed era altrettanto consapevole che non doveva illudersi di nulla. Le stava stringendo la mano solo per farle strada tra tutta quella gente, non c’era nulla di romantico in realtà in tutto ciò. Certo che quel ragazzo, i suoi occhi magnetici, la stretta dolce e sicura insieme della sua mano, facevano sussultare il suo cuore. Tutta la squadra salì, fecero festa tutti assieme ed Eros non disse che poche parole a Luna. Era un tipo silenzioso tra la gente, aveva un modo di fare piuttosto misterioso. Arrivò il momento dei saluti. Max salutò Aurora con un bacio appassionato, poi salutò Luna con due baci sulle guance. Anche Eros salutò tutti e per ultima salutò Luna con un bacio sulla guancia e l’altro appena oltre l’angolo esterno delle labbra, quasi a sfiorarle. Luna aveva sentito il cuore sobbalzare in quel momento, era sulle nuvole, ma immediatamente da ragazza razionale com’era si impose di pensare che lui, forse, voleva solo baciarle la guancia e si era sporto un po' troppo. Solitamente non si faceva troppi castelli in aria, era una ragazza pratica, abituata ad analizzare i fatti senza troppi voli pindarici. Fissò i bei momenti vissuti in quella serata nella sua mente, entrò in casa cercando di non fare troppo rumore per non svegliare Duccio che russava rumorosamente oltre la porta della sua camera e si mise a dormire.
Come una favola
Un giorno, dopo aver dominato i venti, le onde, le maree e la gravità, imbriglieremo l’energia dell’amore: e per la seconda volta nella storia del mondo, l’uomo avrà scoperto il fuoco.
Pierre Teilhard De Chardin
Scivolarono in fretta i giorni e Luna cercò di pensare il meno possibile alle labbra di Eros così vicine alle sue. Aveva ben altro a cui pensare; la spesa da fare, le lavatrici, qualcosa da cucinare per lei e Duccio ed i conti di casa da far tornare con il poco che avevano. Lei era consapevole che suo padre era sin troppo bravo a continuare a lavorare nelle sue condizioni ed immaginava il carico che Duccio doveva sentire sulle sue spalle. Entrambi, però, erano bravi a sminuire il peso di quella singolare vita insieme, battibeccando e scherzando come due ragazzini.
Lui voleva un bene dell’anima a Luna e Zoe, aveva sempre fatto tutto il possibile per loro. Era invalido, si era salvato per mezzo miracolo da una terribile malattia quando non aveva ancora diciotto anni. Era caduto in bici marinando la scuola ed il ginocchio destro aveva preso un forte colpo, era divenuto gonfio e violaceo. Fu quindi portato in ospedale per aspirare il liquido della botta dal ginocchio. Fu anestetizzato, ma una volta inciso con il bisturi il ginocchio i medici si accorsero che c’era ben altro oltre al liquido da aspirare. Un tumore si stava rapidamente diffondendo nella gamba ed aveva già intaccato l’osso. Duccio aveva perso suo padre improvvisamente qualche anno prima, i medici chiamarono sua madre per informarla di quanto avevano riscontrato. Era necessario decidere immediatamente, per tentare di salvare il ragazzo l’unica strada era quella di amputare la gamba all’altezza della coscia e sperare che il tumore non si fosse già diffuso oltre. Esitare nella decisione avrebbe potuto significare concedere il tempo alla malattia di raggiungere l’anca, condannando il giovane Duccio a morte certa. Sua madre, si trovò catapultata in una realtà che le sembrava un incubo, nella necessità di prendere all’istante quella terribile decisione, da sola. Con la morte nel cuore, firmò il consenso all’operazione, che fu fatta subito. Duccio si svegliò dall’anestesia così, impreparato, sconvolto e per sempre diverso. Dalle analisi scoprirono più tardi che si trattava di un sarcoma, un tumore maligno con altissimo tasso di mortalità, soprattutto negli anni sessanta quando la medicina in materia doveva ancora compiere grandi progressi. Lui però era di tempra forte e sprizzava voglia di vivere da tutti i pori. Era giocoso e vivace come tutti i ragazzi della sua età, rifiutò anche la piccola pensione che gli era stata offerta: voleva lavorare come tutti i suoi coetanei, voleva costruire qualcosa, voleva sentirsi semplicemente normale. Qualche anno dopo incontrò in una gita tra ragazzi disabili Ines; era bellissima. Si era avvicinato senza farsi notare per ascoltarla, mentre parlava al suo gruppetto di amici di poesia e di arte e raccontava dei colori vivaci del luogo meraviglioso dove aveva studiato e poi era riuscita a diplomarsi: Arco di Trento. Lì le montagne a picco scivolano sul verde del lago. Aveva un sorriso bianchissimo e contagioso, lunghi capelli neri lucenti ed occhi di un verde brillante. Sembrava così sicura di sé, tanto che le persone si fermavano ad ascoltarla parlare. Duccio se ne innamorò immediatamente. Fece di tutto per farsi notare e per farla innamorare, le raccontò barzellette, le regalò fiori, suonò per lei la chitarra in riva al mare. Lui non era mai sicuro al cento per cento di qualcosa, era di indole titubante; tranne quando incontrò Ines. In quel momento capì senza ombra di dubbio che avrebbe voluto sposarla. E così fu. Trascorsero gli anni e purtroppo ora Ines non era più accanto a lui, strappata via dalla sua famiglia con la forza, da un male simile a quello che aveva quasi ucciso Duccio. Ora, in quell’appartamento erano rimasti solo Luna e suo padre; lei era consapevole di tutta la sofferenza e la fatica che egli portava nel corpo e nel cuore. Poteva quasi immaginare il suo dolore ogni volta che all’alba si infilava quella protesi sapendo che avrebbe sentito dolore ancora, sempre negli stessi punti, per lavorare in fabbrica otto ore e portare a casa i soldi per la spesa. Lei era molto orgogliosa di lui, anche se non glielo diceva mai. Duccio faceva tutto il possibile per racimolare qualcosa in più, aveva scelto di lavorare a turni per arrotondare e conviveva con la rabbia di aver rifiutato da giovane quella piccola pensione che invece gli avrebbe fatto comodo. Ora non gli era più concessa a meno che egli non decidesse di abbandonare ogni altro reddito, quindi il lavoro. Ma con duecentocinquanta euro al mese ed una figlia a carico non si vive. Quindi lavorava con fatica e sofferenza, per portare avanti ciò che restava della famiglia che aveva desiderato e costruito con Ines. A Luna piangeva il cuore quando lo sentiva lamentarsi di notte per i nervi del moncone che tiravano, sapendo che poche ore dopo avrebbe dovuto infilarsi ancora quella protesi, stringere i denti per il dolore delle piaghe da sfregamento ed andare al lavoro. Una parte di lei avrebbe voluto gridare al mondo che tutto questo non era giusto. Era consapevole di tutto e provava a sostenerlo con ogni mezzo. Serviva al ristorante, andava in bici a scuola perché l’autobus costava troppo. C’era una borsa di studio, per ottenerla era richiesta una media dell’otto per avere gratuitamente tutti i libri di testo nuovi ogni anno. Luna studiava fino ad avere una media certa dell’otto, poi metteva via tutti i libri, suonava il campanello di André ed insieme tiravano un pezzo di nastro da cantiere bianco e rosso: quella era la loro rete. Giocavano a pallavolo fino a quando la luce del giorno sfumava nel rosso del tramonto, fino a quando il pallone semplicemente non si vedeva più. Suo padre era orgoglioso di lei, si vedeva dal suo sorriso soddisfatto ogni volta che Luna arrivava a casa saltellando felice con una nuova medaglia in mano. Le piaceva lo sport, da sempre. Era una gioia per Duccio vedere che sua figlia, nata da due persone con difficoltà motorie, non solo correva, ma vinceva gare di velocità, corsa ad ostacoli e salto in lungo. Lui non si perdeva una partita di pallavolo, era sempre presente sugli spalti, qualche volta faceva il tifo, qualche altra per divertirsi la prendeva in giro davanti a tutti per farla arrabbiare. Le giornate trascorrevano in quello strano equilibrio,