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Murder. Omicidi a Natale
Murder. Omicidi a Natale
Murder. Omicidi a Natale
E-book314 pagine4 ore

Murder. Omicidi a Natale

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Info su questo ebook

Quattro storie per un Natale in giallo.
A unirle il fil rouge della suspense e di un Natale celebrato secondo tradizioni e latitudini diverse, dove il calore della festa e delle luci è spezzato dal freddo della morte. Racconti lunghi o romanzi brevi, gotici ma moderni, noir e a tratti erotici, sempre avvicenti.
LinguaItaliano
Data di uscita17 dic 2012
ISBN9788895758138
Murder. Omicidi a Natale

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    Anteprima del libro

    Murder. Omicidi a Natale - Antonella Polenta

    Antonella Polenta

    Murder. Omicidi a Natale 

    racconti

    Enzo Delfino Editore

    ISBN 978-88-95758-13-8

    © Enzo Delfino Editore 

    Via Ruggero Bonghi, 32/A 00184 Roma

    Tel. 0645476193 Fax 0697257966

    http://enzodelfinoeditore.it 

    Al mio amato papà

    Tracce di sangue in Lapponia

    Si crede facilmente a ciò

    in cui si spera veramente

    Terenzio

    Finalmente era arrivato.

    Era dal 1° dicembre che Hellin, una deliziosa bimba di quattro anni, riccioli biondi e guance paffute, e sua sorella Tanja, di sei anni e mezzo, capelli lisci e lunghi e occhi di un azzurro intenso, scoprivano, giorno dopo giorno, le finestrelle del calendario dell’Avvento. Quello era stato il primo anno in cui non avevano bisticciato, la madre Joanna finalmente aveva capito che doveva acquistare due calendari distinti.

    Già a soli due anni Hellin con i suoi capricci non permetteva alla sorella, quando toccava il suo turno, di strappare quel pezzetto di carta colorato che celava un disegno augurale, la foto di un dolcetto o una simpatica scritta. Inoltre non sapendo ancora contare tirava via le caselle a caso, facendo indignare Tanja che invece voleva procedere regolarmente fino al giorno di Natale.

    A dire il vero, nel momento in cui li avevano ricevuti, avevano protestato. A entrambe piaceva quello con lo sfondo color erba, le campane dispiegate a festa e le slitte trainate da quattro renne ridanciane, con le corna ramificate e grandi occhi da cerbiatto. Joanna riuscì per un soffio a evitare un battibecco; in ogni caso, forte dell’esperienza, per l’anno a venire avrebbe acquistato due calendari uguali.

    Joanna guardò l’albero e provò compiacimento. Le era venuto veramente bene. Ogni anno era soddisfatta della propria opera, ma questa volta le sembrava più sontuoso e le luci più scintillanti. L’unico neo erano i pochi regali che circondavano la base.

    Era seriamente preoccupata. In genere Mauri aveva sempre fatto le consegne il giorno della Vigilia, anche a tarda ora, ma era sempre arrivato. Più volte l’aveva chiamato al cellulare. Certo, avrebbe potuto provare anche a casa, ma non voleva approfittarne: di sicuro Ilona le avrebbe risposto con distacco. Fra loro non c’era mai stata una particolare affinità, erano troppo diverse per trovarsi simpatiche. Si tolleravano quel tanto necessario allo scambio dei saluti e di frasi di circostanza quando s’incontravano; il che, per loro fortuna, avveniva di rado. Negli ultimi tempi, poi, i rapporti si erano inaspriti. Joanna aveva lasciato Gabriel, e Mauri, da amico della coppia qual era sempre stato, si era trasformato in una sorta di nume tutelare per Joanna: le stava accanto e, nei momenti di necessità, si prodigava in piccoli lavoretti manutentivi in casa e in garage.

    Joanna l’aveva conosciuto al tempo in cui si era fidanzata con Gabriel e le era rimasto subito simpatico. Pur non essendo proprio il suo tipo, a lei piacevano gli uomini sportivi, atletici, occhi chiari, capelli biondi o tutt’al più castani, lo trovava gradevole d’aspetto e cordiale.

    Doveva aver avuto un contrattempo, oppure le richieste erano diventate più numerose. Mauri gestiva un grande negozio di giocattoli, in più vendeva articoli per la casa. Da quando, travestito da Babbo Natale, consegnava a domicilio i regali per bambini, la voce si era sparsa a tal punto che sempre più genitori si rivolgevano a lui per stupire i propri figli. Alla Vigilia chiudeva sempre un po’ più tardi del solito, per permettere ai ritardatari di fare gli ultimi acquisti, nel retrobottega indossava il vestito di panno rosso che teneva ripiegato nel cellophan, metteva barba e baffi finti, la lunga parrucca bianca e il berretto poi, con l’aiuto di Jorge, caricava il pick up preso in affitto per l’occorrenza e iniziava il suo giro. Da Joanna passava alla fine, così da trattenersi un po’ con lei. Joanna gli preparava una tazza di cioccolato e dei dolcetti, oppure gli offriva una buona birra.

    La sera prima, dopo aver mandato a letto le bimbe che avevano recalcitrato non poco, si era fatta un bel bagno caldo, indossato un vestito attillato rosso di maglia, infilato gli stivali in cuoio, poi si era seduta sul divano di fronte al camino scoppiettante. Non erano tante le occasioni in cui poteva rilassarsi con quelle due pesti che la subissavano di richieste, in più c’era il Natale che metteva a dura prova chi poteva contare soltanto sulle sue forze. La casa da pulire da cima a fondo e il pranzo di Natale, ricco e succulento. Aveva già preparato una teglia di aringhe con patate e cipolle, la torta di carote da mettere in forno e avviato a cottura lo joulukinkku, il cosciotto di prosciutto che andava cucinato lentamente e a fuoco basso.

    Per rispettare la tradizione della vigilia a colazione aveva servito la pappa con il riso, cui aveva aggiunto un velo di zucchero e una spolverata di cannella, di cui le bambine andavano ghiotte. La porzione avanzata l’avrebbe offerta a Mauri, che sicuramente avrebbe trovato la mandorla nascosta al suo interno. Quella mandorla era una sorta di portafortuna.

    In grembo il voluminoso libro di Stieg Larsson, Uomini che odiano le donne. Da quando era morto, Larsson era divenuto un caso letterario in tutta Europa, forse lei era una delle poche a non averlo ancora letto. Ogni tanto alzava lo sguardo per sbirciare l’orologio a pendolo. Aveva letto sì e no tre pagine quando, sopraffatta dalla stanchezza, si era appisolata.

    Un brivido di freddo la ridestò, il fuoco languiva sotto la cenere. Si sgranchì le gambe intorpidite e riattivò la circolazione delle mani, aprendo e chiudendo i palmi. Guardò l’ora e si accorse che ormai il Natale era arrivato, la mezzanotte era passata da 45 minuti. Afferrò il cellulare per controllare che non ci fossero messaggi o chiamate perse, ma trovò soltanto un SMS di auguri di Janette. Con grande delusione decise che era tempo di andare a letto.

    Prima di salire guardò fuori, il cielo rossastro era carico di neve e del vialetto non s’intravedeva più il lastricato. Quel tempo rendeva felici le bambine: con quella soffice coltre sarebbe stato divertente giocare a palle di neve. Probabilmente Mauri sarebbe passato nelle prime ore del mattino, pensò, ma non riusciva a non sentirsi inquieta. Non era da lui non avvisare. Che si fosse trattenuto a casa di qualche nuova cliente, scordandosi di lei, non le pareva verosimile. Da circa due anni le faceva il filo e, se lei non fosse stata così recalcitrante per i suoi sensi di colpa, forse un po’ esagerati, già si sarebbero messi insieme.

    Mauri era ancora sposato e non voleva essere lei la causa della separazione. C’erano tre figli di mezzo e una moglie antipatica ma ancora innamorata, e poi Gabriel era il suo migliore amico. Joanna si era separata da lui tre anni prima: troppi i litigi e le incomprensioni, i loro caratteri erano troppo diversi. Questo lo sapevano già quando si erano conosciuti ma, come spesso avviene, l’attrazione immediata per il contrario supera le considerazioni sul lungo periodo. Adesso si frequentavano di tanto in tanto, per consentire alle bambine di passare i giorni di festa con entrambi i genitori e così, anche per il pranzo di Natale, era stato invitato.

    Joanna ripensò al giorno in cui Mauri l’aveva baciata. Era stata una serata speciale: aveva da poco sfornato la pizza e le bambine erano gioiose, come spesso accadeva quando la madre si cimentava nei manicaretti della cucina italiana. Mauri era passato per vedere se avevano bisogno di una mano ed Hellin, con la quale lui si fermava spesso a giocare, aveva chiesto alla madre se poteva restare a cena. Joanna si vide costretta ad accettare, lui avvertì subito Ilona che sarebbe rientrato più tardi. Avevano riso e scherzato e forse bevuto un bicchiere di troppo. Quando le bambine erano andate a letto, si erano fumati una sigaretta all’aperto sulla veranda e come per magia nella notte serena aveva cominciato a lampeggiare.

    Quei lampi, effetto dell’aurora boreale, non erano mai stati così intensi e colorati. Strie azzurre che si sfrangiavano alle estremità come nappi di una sciarpa, sibili e lievi fruscii si sparsero nel cielo e presero a ondeggiare per trasformarsi di lì a poco in bande tra il verde elettrico, il rosso fuoco e il giallo, come oro disciolto. Provarono un’emozione tale da non riuscire più a contenere il loro sentimento di gioia, meraviglia e smarrimento. In quell’istante i loro cuori non battevano più singolarmente, ma all’unisono, diventando un unico grumo di sangue e fibre muscolari. Lui le prese la mano: era gelida. Lei se la lasciò riscaldare. I lori corpi si protesero per allacciarsi in un abbraccio. Così, stretti stretti, le loro labbra si accostarono per un appagante, interminabile bacio.

    «Alcuni Inuit credono che guardare l’aurora boreale porti male. Sembra che in passato facessero scongiuri sollevando in aria i coltelli e rivolgendo verso il cielo getti d’urina» fu la prima cosa che Mauri riuscì a dire, per superare l’imbarazzo.

    «Credi a queste superstizioni?» gli aveva sorriso Joanna. «Che io sappia il revontulet, secondo la leggenda, è dato dai fiocchi di neve sollevati in aria dalla coda di una volpe che corre sulle distese innevate della Lapponia».

    «Ad ogni modo, che serata sorprendente» concluse Mauri, felice.

    La prima ad alzarsi fu Hellin, che sgambettando veniva giù di corsa dalla scala. In genere era una dormigliona ma il giorno di Natale sia lei che la sorella, come se possedessero una sveglia interna, si precipitavano nella sala di prima mattina, per raggiungere i regali.

    Joanna controllò l’ora. Erano le otto, troppo presto per il risveglio delle bambine e troppo tardi per Mauri. Provò a richiamarlo al cellulare, suonava sempre libero, gli inviò un messaggio, poi decise che avrebbe aspettato un altro po’. Alla fine l’avrebbe chiamato a casa.

    Provò a mettere il naso fuori. Aveva nevicato così tanto da ricoprire il vialetto d’accesso e il freddo intenso mordeva le carni come un cane rabbioso. Era inquieta e non sapeva cosa fare.

    «Mamma, mamma» gridò Hellin «vieni a vedere».

    Joanna già conosceva la ragione di quel grido angosciato.

    «Perché quest’anno ci sono così pochi regali? Babbo Natale non è venuto! Siamo state cattive, mamma?».

    Per rassicurarla Joanna le rispose che Babbo Natale era in ritardo, ma prima o poi sarebbe arrivato.

    Nel frattempo le raggiunse anche Tanja, che ebbe la stessa delusione della sorella.

    «Ma questi regali neanche sono per noi!» disse, leggendo i biglietti d’auguri.

    «Bambine» le incitò la madre per distrarle «perché non vi coprite bene e nell’attesa non fate un bel pupazzo di neve? Ho proprio una bella carota e dei grossi bottoni rossi. Vi potrei dare anche un berretto di lana!».

    Pur controvoglia le bambine accettarono, a patto che lei le aiutasse a vestirsi. Non che non lo sapessero fare, ma impiegavano tanto di quel tempo a cercare indumenti, calze e vestiti che finivano per dimenticare sempre qualcosa.

    Dopo averle coperte ben bene con calde sciarpe di lana bouclé e aver detto loro di raccogliere la neve poco oltre la veranda, per non farsi male, Joanna volle fare un ultimo tentativo, chiamando Mauri al cellulare. Se anche questa volta non avesse risposto, facendosi coraggio l’avrebbe chiamato sul serio a casa, senza più tergiversare, poiché cominciava a essere seriamente preoccupata.

    Era ancora con l’apparecchio incollato all’orecchio, quando la piccola Hellin gridò: «Mamma, mamma, c’è un telefono che squilla qua fuori».

    Joanna, ancora col telefono in mano, si sporse dalla porta d’ingresso e guardò incerta la bambina.

    «Sì, mamma, è proprio così» reiterò Tanja.

    «Là» indicarono le bambine in direzione dell’abete.

    Pervasa da un fremito di paura, Joanna provò a richiamare il numero che sul display compariva per ultimo. Il trillo la fece sobbalzare. Gridando alle figlie di restare indietro, inforcò la pala e si fece strada nella coltre di neve, affondando le gambe fino al ginocchio. Più avanti, un’innaturale montagnola nevosa da cui spuntava una piccola ruota di bicicletta e l’estremità di un pacco di lucente carta natalizia frenò il suo incedere incespicante. Le bambine, che come accadeva il più delle volte avevano disubbidito, le si fecero dappresso.

    «Eccoli i regali! Forse erano troppo pesanti, Babbo Natale non ce l’ha fatta a portarli dentro» esclamarono contente.

    La madre si affrettò a estrarre la bici. «Ce la fate a portarla fino alla veranda? Però fate attenzione!». Così per un po’ non le avrebbe avute attorno.

    Con la pala liberò anche l’altro dono. Doveva trattarsi del grande orsacchiotto di peluche che Hellin aveva chiesto, assieme alla bicicletta, scrivendo direttamente a Joulupukki. Quando intravide un lembo di stoffa rossa, gettò via l’arnese e continuò a scavare con le mani. Il suo cuore andava all’impazzata e il gelo le si conficcava nelle dita come tanti chiodi acuminati. Forse avrebbe dovuto infilarsi almeno i guanti, ma era troppo agitata per agire serenamente e non voleva perdere tempo. Continuò a scavare ancora, ma più andava a fondo e più la neve s’induriva e i cristalli di ghiaccio le graffiavano i polpastrelli. Quando le spine di un rovo le si conficcarono nel palmo urlò di un dolore lancinante; le avevano uncinato la carne tanto in profondità da procurarle una ferita. Con la mano destra quasi assiderata afferrò l’orsacchiotto e lo trascinò dentro casa.

    «Anche questo regalo è per Hellin! E i miei dove sono?» chiese Tanja rammaricata.

    «Vedrai che tra non molto arriveranno. Intanto fammi un favore, cerca il numero di papà sulla rubrica e digli di venire al più presto, ho bisogno del suo aiuto. Poi chiama la zia Janette e dille di anticipare».

    «È successo qualcosa mamma? Perché hai la mano ferita?».

    Joanna si avvicinò alle bambine e le strinse a sé, rassicurandole. Dalla porta interna raggiunse il garage, dove prese un paio di spessi guanti da lavoro, un piccolo rastrello e una vanghetta. Ripensò a quanto aveva protestato con Gabriel per l’apertura di quella porta interna: ora, con la neve che bloccava l’accesso dal viale, ne comprese l’utilità. Prima di uscire, si calò in testa un caldo berretto, avvoltolò il collo con una spessa sciarpa color crema e accese il televisore. Così le bambine avrebbero potuto seguire il programma di Natale trasmesso da Turku, l’antica capitale finlandese, dove il sindaco leggeva il rituale discorso sulla pace dal balcone del municipio.

    «Non dovevamo fare un pupazzo di neve?» protestò Hellin.

    «Lo farete dopo. Vi farete aiutare dalla zia Janette che è così brava».

    «Mamma, non riesco a trovare né papà, né la zia» disse Tanja.

    «E tu riprova» rispose la madre, mentre si accingeva a uscire in giardino.

    Quando ebbe dissotterrato completamente il panno rosso, lasciò andare un profondo respiro. Si trattava di un sacco di frutta candita e dolciumi da appendere all’albero di Natale. Mauri era sempre stato generoso con le bambine. Anche quella volta, benché sapesse che la faceva arrabbiare, non si sarebbe presentato a mani vuote. Joanna si domandò dove fosse finito. Con lo sguardo abbracciò il giardino. Un’altra collinetta poco distante catturò la sua attenzione; a ben guardare, fra il candore della neve, si scorgeva un tacco di uno stivale.

    Si piegò in due, gli occhi pieni di paura e un grido soffocato in mezzo al petto.

    Facendo attenzione, con la vanga rimosse la neve tutt’attorno. Liberò le gambe, fredde e rigide come ciocchi, poi si concentrò sul tronco ricoperto da uno spesso strato di neve. Malgrado fosse sfinita, armeggiò la pala con destrezza ed energia finché uno stridio metallico e un incaglio non la convinsero a desistere. Non capiva bene di che natura fosse quell’intralcio, e aveva paura di danneggiare il corpo.

    Avrebbe voluto qualcuno al suo fianco. Perché al telefono non risponde nessuno? Pensò disperata. Forse Tanja sbagliava a fare il numero. Avrebbe dovuto farlo lei, ma non riusciva a scollarsi di lì. Come se la sua foga potesse cambiare qualcosa. Come se l’accelerare le ricerche potesse restituirle per intero, sano e salvo, il suo Mauri. Perché in fondo era ormai certa che fosse lui, anche se il cuore si affrettava a negare ogni evidenza.

    In quel frangente avrebbe gradito la vicinanza del padre, lui avrebbe saputo cosa fare e come farlo, lui sapeva sempre tutto, destreggiandosi nelle situazioni più difficili. L’unico evento della sua vita che non era riuscito a fronteggiare, che non gli aveva offerto possibilità di scelta né di reazione, e neppure il tempo sufficiente per lottare, era stato l’infarto che l’aveva stroncato mentre se ne stava in poltrona davanti alla TV. Mikko, il fedele Husky che aveva condiviso con lui dieci anni della sua vita canina, con gli occhi buoni e inquietanti, il manto color sabbia e il tartufo schiacciato, aveva fatto di tutto per aiutarlo. Con i suoi strazianti guaiti aveva richiamato l’attenzione del vicinato. Erano accorsi in tanti, ma la porta era chiusa dall’interno col chiavistello; fu inutile anche l’intervento dei vigili del fuoco, giunti dopo cinque minuti dalla chiamata. Pochi mesi dopo, malgrado il miglior amico del suo ex padrone l’avesse accolto in casa, preso da una sindrome depressiva Mikko si lasciò morire poco a poco.

    Joanna si mise in ginocchio e continuò a scavare servendosi della vanghetta e del rastrello. La parte finale di un dardo occhieggiò sotto uno sparuto riflesso di sole. Aveva un fusto di legno tornito e due alette di ferro all’estremità. Un brivido diffuso le aggricciò la pelle e uno spasmo di raccapriccio le contrasse le viscere. Joanna non riusciva a credere a quello che aveva davanti: qualcuno aveva ucciso Mauri con un sistema così remoto, medievale. Che fosse avvenuto per sbaglio, stentava a crederlo. Con entrambe le mani provò a sfilare la freccia, ma non riusciva a tirarla via come se si fosse fusa con la carne. Il corpo ebbe un lieve sobbalzo, i lunghi capelli bianchi si aprirono di lato e la barba somigliante a candida stoppia si scostò dal viso. Mossa da un filo di speranza, si sfilò un guanto e pigiò due dita sulla vena giugulare, come aveva visto fare in tanti thriller in televisione. Poi, non reggendo più la tensione, si abbandonò a un pianto a dirotto.

    «Mammina, mammina, cosa è successo? Hanno ucciso Babbo Natale!» esclamarono le bambine in preda alla disperazione.

    Joanna sussultò. «Vi avevo detto di restare dentro» le redarguì con tono alterato, mentre con la manica del piumino cercava di asciugarsi il volto inondato di lacrime.

    «Mi avevi chiesto di chiamare papà e la zia. Ho provato più volte, ma papà non risponde e la zia Janette sembra avere il telefono staccato» rispose Tanja con gli occhi lucidi e voce tremolante. «Ero venuta solo a dirti questo...».

    Tanja era una bambina sensibile, forse troppo. Bastava un nonnulla per farla rattristare e farle venire gli occhi lucidi. Anche le maestre avevano riscontrato quest’inclinazione alla malinconia, le loro parole rassicuranti non riuscivano a scalfire lo stato di chiusura in cui spesso si nascondeva. In quella circostanza, la sua reazione appariva più che giustificata, ma Joanna era convinta che a spingerla alle lacrime non era stato l’atroce spettacolo che si era trovata davanti, quanto l’alterazione della sua voce. L’umore della piccola era peggiorato quando i genitori avevano deciso di separarsi.

    A dire il vero, era stata Joanna a spingere. Benché litigassero di frequente, Gabriel sopportava quel clima di tensione come se la lite fosse un fenomeno naturale nella vita coniugale di tutti i giorni. Per Joanna, cresciuta in una famiglia unita dove il litigio era un semplice scambio di opinioni, era inammissibile e frustrante andare avanti così. Ad essere più scossa fu proprio Tanja, che all’epoca aveva tre anni e mezzo ed era molto legata al papà. Hellin, al contrario, era ancora nella fase di completa dipendenza materna.

    Joanna abbracciò la piccola, dicendole con garbo di rientrare in casa.

    «Se Babbo Natale è morto, allora nessuno ci porterà più i regali» esclamò Tanja sconsolata.

    «È vero!» fece eco Hellin. «E la slitta, dov’è finita?».

    «Almeno a te i regali li ha portati! Io, invece, non ho ricevuto niente» piagnucolò Tanja.

    Per fortuna le bambine non avevano mai saputo che fosse Mauri a portare i regali di Natale. Per questo si recava tardi a casa loro: se per caso l’avessero riconosciuto, per le bimbe sarebbe andato distrutto il mito di Joulupukki, con tanto di renne e slitta dorata, e infrangere così presto quella credenza le avrebbe costrette a crescere ancor più rapidamente.

    Joanna era ancora sotto shock: benché le avessero messo un caldo plaid addosso non smetteva di tremare. Dopo aver riscaldato il glögg in un pentolino, una sorta di vin brulé con mandorle e cannella immancabile nel Natale finlandese, Janette la costrinse a mandarne giù mezzo bicchiere. Come se non bastasse, le preparò anche una tazza di caffè nero amaro che Joanna deglutì controvoglia.

    Gabriel si era seduto accanto a lei sul divano e le stringeva la mano. Alle bambine era stato ordinato di restare nella loro cameretta, almeno fino a quando la polizia non avesse terminato i rilievi e il corpo di Mauri non fosse stato rimosso. Dal pick-up parcheggiato fuori avevano prelevato gli ultimi regali, che erano quelli richiesti da Tanja eccetto una bambola Berenguer per Hellin, talmente realistica da sembrare vera. Nel vedere i pattini a lama bianchi con finiture argentate, il nuovo slittino e il completo di lana con tanto di cappellino e muffole, finalmente Tanja si lasciò andare a un sorriso, che per qualche istante rallegrò il suo malinconico visino.

    «Ok» disse Mauno Niemi con tono lievemente alterato. «Prima l’ho detto a lui, credo il suo superiore, ora devo ripeterlo a lei» sbuffò, guardando dritto negli occhi il tipo quasi albino che aveva davanti. Alto all’incirca due metri, secco allampanato, con le guance che parevano risucchiate dall’interno, somigliava a Don Chisciotte della Mancia, così com’era raffigurato su un libro che gli era stato regalato quando era adolescente.

    «Io sono arrivato per spalare la neve, sono entrato nel giardino e ho visto la signora seduta in terra, intirizzita e tremante che ripeteva me l’hanno ucciso, me l’hanno ucciso, con accanto il corpo trafitto di Babbo Natale. Dapprima ho chiesto cos’era successo, ma lei non reagiva, il suo sguardo era perso nel vuoto. Allora mi sono avvicinato, l’ho aiutata ad alzarsi e pian pianino, sorreggendola, l’ho convinta a rientrare in casa. Sotto la loggia, sedute per terra con le ginocchia al petto, ho trovato le bambine impaurite e intirizzite dal freddo. Ho detto loro di entrare e di andarmi a prendere una coperta perché la madre aveva bisogno di restare un po’ al caldo. Ho chiesto alla signora se aveva chiamato la polizia, in verità non credevo che mi capisse tanto era in stato confusionale. Invece, scuotendo la testa, mi ha fatto intendere che non l’aveva fatto. Le bambine mi hanno detto che qualcuno aveva ucciso Joulupukki e che la mamma cercava d’aiutarlo. Allora vi ho chiamati io. Ma ripeto, io non so nulla sulla dinamica dell’incidente».

    «Allora chi ha scavato e rinvenuto il corpo?» domandò il poliziotto macilento.

    «Presumo la signora».

    «E perché il vialetto nell’ultimo tratto è stato spalato?».

    «Quello l’ho fatto io per agevolare gli eventuali soccorsi. Sono uno spalatore, gli abitanti di questa strada e delle vie limitrofe mi pagano proprio per questo. In attesa del vostro arrivo mi sono reso utile, ma non ho agito nelle immediate vicinanze del cadavere».

    «Il casino quindi l’ha fatto la signora!» esclamò il giovane.

    «Un casino tale da inquinare le prove» replicò il secondo poliziotto che, per come si comportava, pareva di grado superiore. «Alle signore zelanti andrebbero tagliate le mani. Ad ogni modo, le bambine hanno confermato il racconto».

    «Vi avevo chiesto espressamente di lasciar stare le bambine. Non potete traumatizzarle più di quanto già lo sono!» inveì Gabriel, alzandosi in piedi.

    «Le avevamo già interrogate prima

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