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Il guaritore
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E-book505 pagine7 ore

Il guaritore

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Info su questo ebook

In una notte fitta di stelle che brillano sulla Gerusalemme di duemila anni fa, nel silenzio di un sepolcro scavato nella roccia, una figura solitaria veglia il cadavere di un condannato a morte. In apparenza una scena abbastanza usuale per quell’epoca lontana e spesso brutale, ma così non è. Quell’uomo, nudo e completamente inerme è Mark Sacks, proviene dal nostro tempo e deve portare a termine il compito più straordinario mai affidato a un singolo individuo: perché il corpo vegliato potrebbe essere quello di un uomo passato alla storia con il nome di Gesù di Nazareth.
Le cose però non vanno come le alte sfere vaticane auspicavano e Jeshua, così verrà chiamato l’uomo giunto nella nostra epoca al seguito del primo crononauta, si rivelerà un personaggio fortemente contraddittorio.
Completamente privo di memoria, nonostante abbia il fisico e l’indole di un guerriero piuttosto che del profeta illuminato, si rivelerà capace di sensazionali guarigioni. Proprio a causa di queste straordinarie doti diviene oggetto di accese dispute tra i poteri economici, politici e religiosi che dominano nel pianeta.
Il soggetto di tante e non sempre innocue attenzioni non ci sta, e lo dimostrerà riuscendo a evadere dal segretissimo centro ricerche in cui è stato segregato. Nel successivo e istintivo peregrinare, in un mondo che gli appare totalmente alieno, giunge a Roma.
Ma proprio nella Città Eterna dovrà affrontare l’avversario più temibile, un nemico che serve il Male su scala universale e che non esiterà a seminare terrore e distruzione nel cuore stesso della cristianità.

LinguaItaliano
Data di uscita20 feb 2020
ISBN9788831285247
Il guaritore
Autore

Damiano Leone

Damiano Leone è nato a Trieste nel 1949. Di formazione chimico, nella prima parte della vita si è interessato alle discipline scientifiche. Da oltre un trentennio si dedica allo studio della storia antica, dell’arte e della letteratura classica, corroborando le nozioni letterarie con frequenti visite a musei e siti archeologici di tutta Europa.Dopo il suo ritiro dall’attività lavorativa, ed essersi trasferito in un paesino montano del Friuli, ha potuto trovare il tempo e la serenità per realizzare un’antica ambizione: quella di dedicarsi attivamente alla narrativa.Dopo aver terminato il romanzo storico “Enkidu”, pubblicato nel 2012, nel 2015 pubblica “Lo spettatore” e, nel 2018 per la GCE, il romanzo storico “Il simbolo”.

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    Anteprima del libro

    Il guaritore - Damiano Leone

    Crononauta

    Dal profondo, affiorata dall’inconscio per avvolgere corpo e mente di gelide spire, percepiva l’insinuante serpeggiare di una sgradevole emozione. Avrebbe voluto definirla con termini più edulcorati ma, confessandolo a se stesso, ammise che doveva chiamarla con il suo vero nome. Paura.

    La consapevolezza di essere stato scelto fra tanti grazie a un fisico eccezionale ma anche per le doti di ferreo autocontrollo, non impediva a una fronte imperlata di sudore freddo di rivelare a un raziocinio turbato quella sgradita e insolita realtà. Il trovarsi lontano dal rassicurante mondo civile più di quanto non lo fosse mai stato qualsiasi essere umano, da solo non bastava a spiegare quel senso di crescente sbigottimento così fastidiosamente vicino al panico. Un qualcosa di terribilmente spiacevole ma in grado di alterare l’abituale, gelida freddezza all’origine del suo soprannome: Freezer.

    L’uomo passò la mano sul volto dai tratti decisi per togliere l’umidore che lo rivestiva di minute goccioline. Non possedeva alcun fazzoletto per il semplice motivo che era completamente nudo. A turbarlo non c’era solo la consapevolezza che tra poco i soldati sarebbero tornati e lui non poteva difendersi, nascondersi e nemmeno andarsene ma anche l’amara constatazione che tutti i rischi corsi fino allora e il titanico sforzo responsabile di averlo condotto in quel luogo, alla resa dei conti si fossero rivelati inutili.

    Eppure fino a quella notte tutto era sembrato filare per il meglio. Le due missioni precedenti erano state un successo completo, forse perfino insperato. Anche adesso il vero problema non veniva tanto dal supporto tecnico, quanto dalla semplice evidenza che l’uomo con cui doveva parlare era irrimediabilmente defunto. Per l’ennesima volta rivolse uno sguardo disgustato al ripiano di pietra rozzamente scalpellato, dove la sagoma appena distinguibile di un corpo giaceva immobile. Rise amaro tra sé. Tanti sforzi e aspettative andati in fumo: quel povero bastardo morto in modo atroce pareva intenzionato a deludere grosse speranze e, ora lo sapeva, millenni di pie illusioni.

    Non era per niente osservante, fingeva solo di esserlo per mantenere il culo saldamente piantato sulla sua comoda, ben remunerata poltroncina; inoltre là non c’era proprio nessuno che potesse vederlo. Così, nonostante il luogo ritenuto sacro da un miliardo di credenti e la bocca riarsa da una sete feroce, scosse la testa sputando a terra con rabbia.

    La luce aumentava e tra poco sarebbe iniziato il viaggio di ritorno... Ma ce l’avrebbe fatta? Il tempo che gli restava sarebbe stato sufficiente? Senza orologio non poteva saperlo. E se lo pigliavano i soldati che sorte lo attendeva? Magari una identica a quella del cadavere nudo e steso nella nicchia di pietra che pareva deriderlo silenziosamente?

    Per quanto ragionasse non trovava alcuna valida alternativa. Se voleva tornare a casa doveva restare in quella zona fino al momento prefissato. Solo allora, macchine azionate da energie incredibili l’avrebbero portato istantaneamente in salvo.

    Ansiosi, gli occhi grigi di Mark Sachs esplorarono l’esterno. L’alba non pareva lontana e dall’entrata diffondeva già una debole luminosità che permetteva di vedere con maggior chiarezza i dettagli dell’ambiente in cui si trovava. Una caverna artificiale rozzamente scavata, lunga e larga solo pochi passi ma abbastanza alta perché un uomo robusto come lui potesse starsene ritto. Gli venne da ridere: a cosa diavolo serviva con i morti? L’improvviso accesso di tosse trasformò la risata in un rantolo. In quell’ambiente ristretto l’odore penetrante di balsami e aromi toglieva il fiato annebbiando la mente. Allora, alzandosi da terra dove stava seduto si mosse verso l’ingresso.

    Appoggiato allo stipite di roccia, respirando a fondo l’aria fresca della notte, cercò di ripulire mente e polmoni. Solo dopo aver riacquistato un minimo di lucidità tornò a esaminare l’ambiente esterno, dove in lontananza intravedeva le deboli, rade luci della città. Il silenzioso e caotico ammasso di pietre e mattoni che da un millennio se ne stava accovacciato in cima a un tozzo pianoro appariva punteggiato qua e là dal candore marmoreo dei palazzi del potere. Tutto attorno, molto più vicino a lui, le sagome grigie dei sepolcri s’indovinavano appena più chiare della collinetta in cui erano scavati. Infine, a pochi metri, il debole rosseggiare della brace ormai morente di un bivacco abbandonato che all’inizio, ancora fiammeggiante, gli aveva permesso di esplorare l’ipogeo.

    Sospirò. Sì, al momento tutto pareva ancora calmo, ma per quanto sarebbe durata? Passata l’ondata di panico per merito di uno sbraitante ufficiale, i soldati sarebbero tornati più incazzati che mai e più che mai decisi a vederci chiaro.

    Già: vederci chiaro! La stessa ragione per la quale si trovava in quel maledettissimo luogo duemila anni prima della sua cinica, forsennata e caotica ma pur sempre comodissima era.

    Lasciandosi scivolare a terra appoggiò la nuca allo stipite per guardare il cielo stellato. Tra le tante nozioni apprese di recente c’era qualcosa di più che un’infarinatura d’astronomia. Una competenza questa indispensabile per orientarsi in quell’epoca primitiva. Guardando un cielo stipato di stelle come mai gli era accaduto di ammirare, cercò di rilassarsi vagando con lo sguardo su quell’infinito polverio luminoso. L’ipnotica maestosità lo contagiò e dopo brevi attimi ci riuscì: inevitabile allora che i pensieri tornassero agli avvenimenti di qualche mese innanzi.

    * * * * *

    Quel giorno, l’inizio di un’impensabile e pericolosa avventura, mentre compilava il questionario distribuito a tutti i dipendenti maschi tra i trenta e i cinquant’anni del Centro Ricerche Avanzate di Ginevra, non poteva neanche lontanamente immaginare dove lo avrebbe condotto il gesto.

    In apparenza, al CRAG si cercavano elementi per sperimentare una nuova tecnologia medica basata sulle nanomacchine: una sorta di microscopici robot che iniettati nelle vene potevano curare malattie e riparare danni come trombi o neoplasie. L’opuscolo affermava che dopo lunghi e, sottolineava, incoraggianti esperimenti sugli animali si poteva finalmente passare alla sperimentazione umana. La cosa non presentava rischi rilevanti e sarebbe stata ampiamente ricompensata: e da come si mormorava nei corridoi, non solamente in denaro ma anche con sostanziosi avanzamenti di carriera.

    In ogni caso, già allora la faccenda gli sembrò piuttosto strana. Di solito, quel genere di esperimenti non si conducevano sul personale ma su esterni raccattati tra gli strati sociali più bassi. In altre parole, su disperati cui la vita aveva talmente poco da offrire da non poter resistere alla tentazione di metterla in gioco per guadagnare soldi apparentemente facili. Questa volta invece pareva che la cosa dovesse restare nell’ambito del Centro; di conseguenza, stando alle voci fatte filtrare probabilmente ad arte, i compensi sarebbero stati faraonici. Una vera tentazione per chi come lui nascondeva un paio di debolezze segrete alquanto costose. Faccende che denaro e successivi avanzamenti di carriera avrebbero consentito di soddisfare con frequenza e ampiezza maggiore di quanto al momento si poteva permettere.

    A convincerlo c’era stata anche una semplice considerazione: quali rischi correva in una struttura diretta e finanziata dallo Stato Vaticano? Se la faccenda non fosse stata più che sicura, il Centro non avrebbe rischiato insuccessi e una conseguente pessima pubblicità. Una situazione capace di imbarazzare vivamente e di dar parecchio fastidio ai dirigenti del minuscolo ma potentissimo staterello. Insomma, aveva firmato e dopo una settimana erano iniziate le selezioni.

    Tanto per cominciare c’erano state accurate indagini fisiche che avevano eliminato metà dei trenta aspiranti, poi quelle psicologiche e talmente severe da mandare a casa il novanta per cento dei rimanenti; infine vari test attitudinali e perfino di sopravvivenza in ambienti estremi.

    Il risultato di tutto questo era stato che avevano scelto proprio lui. Ma sebbene molto soddisfatto, non poteva fare a meno di continuare a pensare che tutta la procedura fosse davvero strana.

    D’altra parte, l’obbiettiva considerazione che essendo un semplice burocrate della sezione geologica e che di faccende mediche biologiche ne sapeva veramente poco – in pratica solo quanto nell’ora di pranzo gli arrivava alle orecchie dell’arcano bisbigliare dei camici bianchi alla mensa – lo indusse a non preoccuparsi troppo. In realtà si sentiva talmente appagato di essere stato scelto da non domandarsi nemmeno perché servisse un unico soggetto per l’esperimento.

    In ogni caso, questo particolare niente affatto secondario glielo chiarì il professor Josep Kuiper quando, scortato da un taciturno segretario, Mark Sachs mise piede per la prima volta nel sancta sanctorum e cioè l’inaccessibile ufficio del quasi mitico gran capo.

    In quella stanza dall’aspetto dimesso, scarsamente illuminata, stracarica di volumi stipati in vecchie librerie accostate alle pareti, e che nell’insieme era in stridente contrasto con la profusione di acciaio, plastica e cristallo impiegati per edificare il Centro, il grand’uomo se ne stava seduto su una supertecnologica sedia a rotelle. Qualcosa che tra i colleghi si mormorava capace perfino di levitare e contemporaneamente servire dell’ottimo caffè espresso.

    In apparenza assorto a fissare qualcosa fuori della finestra, ignorando il segretario – che d’altra parte si volatilizzò all’istante – e il vagamente imbarazzato ospite, il vecchio rivolgeva le spalle all’entrata. Vecchio per modo di dire. In realtà aveva solo vent’anni più dei suoi trentacinque, anche se metà dell’esistenza l’aveva trascorsa da disabile. Un brutto incidente aveva ridotto a quel modo un ottimo atleta del pentathlon e un geniale neolaureato in fisica. Un giovane d’ascendenze ebraiche pieno di energie, abbastanza scavezzacollo da amare le macchine sportive quanto le fanciulle che sportivamente gli si concedevano, oltre a una vita allegra e spensierata.

    A parte le conseguenze fisiche, quell’incidente era stato l’inizio di un drastico cambiamento mentale. Dapprima il nascere di una crisi mistica dovuta al rimorso per la morte della ragazza che gli stava accanto, seguita poi dalla conversione al cristianesimo e la decisione di pronunciare i voti da sacerdote. La seconda cosa però non gli era stata possibile realizzarla. Perché se anche un prete può diventare storpio, difficilmente a uno storpio è concesso di dire messa. Inoltre, le alte gerarchie religiose parevano concepire disegni ben più consoni per una mente così acuta. Qualcosa di molto più utile del solo zelo spirituale. Per convincerlo gli assicurarono che si poteva servire Santa Madre Chiesa in molti modi, e ogni credente doveva farlo secondo il talento in cui si mostrava più abile. Lui possedeva una laurea in fisica appaiata a un’intelligenza assolutamente non comune. Cose che, nonostante la crisi delle vocazioni nel mondo moderno, poteva essere molto più utile mettere a disposizione del volere di Dio di quanto lo fosse qualche sermone propinato a un pubblico di fedeli sempre più scarso, distratto e attempato.

    La scelta si rivelò perfettamente azzeccata. Appena entrato nell’allora nuovissimo Centro Ricerche aveva subito dimostrato il proprio valore scientifico non meno di un sincero fervore spirituale. Sedendo sulla sedia a rotelle dietro scrivanie sempre più importanti, il giovane Josep era passato dai laboratori sperimentali alla sezione progetti avanzati, salendo rapidamente la scala gerarchica fino a sovrintendere una struttura che vantava le menti più intelligenti e le attrezzature scientifiche tra le più avanzate del pianeta.

    In quel momento, le divagazioni di Mark sul direttore furono interrotte da un lievissimo ronzio: la sedia stava ruotando dandogli finalmente modo di vederlo in viso. Vestito con un elegante abito grigio scuro, pareva robusto o almeno lo sembrava dalla cintola in su. I lineamenti affilati, quasi ascetici, erano coronati da folti capelli grigi. Sopra labbra talmente sottili da indovinarle appena, spiccava un grande naso affilato, caratteristica che in altri tempi e nel paese da dove i suoi avi avevano dovuto fuggire avrebbe sicuramente attratto l’indesiderata attenzione della Gestapo.

    Quando quegli occhi azzurri si puntarono nei suoi, l’ospite ne rimase colpito. Brillavano così vivamente espressivi da ricordargli quelli dell’attore Mel Gibson in alcune delle sue ormai parecchio datate ma anche migliori interpretazioni. Mentre li osservava, la riga sottile della bocca si dischiuse appena per lasciar emergere una voce bassa e profonda.

    «Mi dica dottor Sachs: a suo parere, qual è il mistero che più d’ogni altro gli uomini vorrebbero svelare?»

    Mantenendo fede al soprannome l’interpellato non mostrò sorpresa per una domanda così imprevista. Scuotendo piano la testa si limitò a spostare il peso del corpo sull’altra gamba.

    «Credo siano troppi per elencarli, signore» disse con voce neutra.

    Rispondendo laconicamente non aveva fatto menzione al titolo accademico: non era prassi tollerata, come non lo era sedersi in sua presenza. Erano due delle molte stranezze di Kuiper, commentate a bassa voce nei corridoi come eredità di quel lontano incidente di gioventù. La prima ricordava a chiunque che non solo si trovava al cospetto di un’intelligenza tra le più brillanti del mondo, ma soprattutto di un individuo che, pur privo di investitura, si sentiva ministro di Dio. La seconda invece sottolineava che in quel luogo nessuno, tranne lui, aveva diritto di farlo.

    Annuendo, l’altro aveva intanto ripreso: «Su questo ha ragione. Gli uomini sono uno sconfinato serbatoio d’incertezze e si pongono fin troppe domande senza soluzioni. Per fortuna, la scienza risponde a molte di quelle importanti anche se, purtroppo, non riesce a dare una risposta al quesito primario. Esiste Dio? Certo, per noi come per tutti coloro che hanno fede, questo è indubitabile; ma per altri miliardi d’individui la cosa è diversa. Avrebbero forse bisogno di un piccolo incentivo per liberarsi dal cinismo, dalla superbia, e aprire finalmente il cuore alla Sua parola».

    Con un vago senso di disagio Sachs si chiese se il gran capo sapesse della sua fede a dir poco freddina. Si trattava forse di un preambolo per una retrocessione? No, non poteva essere. Se ci fossero stati dubbi del genere non lo avrebbero scelto per un esperimento molto importante. O forse sì?

    Kuiper continuò: «Ho affermato che nemmeno la scienza è in grado di rispondere a questa fondamentale domanda, tuttavia non è esatto. In realtà, tra poco potremo farlo».

    Suo malgrado sorpreso Sachs sbottò: «Dimostrare l’esistenza di Dio?»

    Nel vedergli affiorare sul volto un qualche indizio d’emozione, le labbra sottili del gran capo formarono un leggero arco. Poi sommessa arrivò la voce: «In modo indiretto... ma se riusciamo a dimostrare come storicamente autentica l’esistenza del Figlio Prediletto, è inevitabile per chiunque accettare anche la Sua».

    «Come si potrebbe farlo?»

    «Per esserne veramente certi c’è un solo modo. Viaggiare nel tempo per assistere agli eventi...»

    A quel punto la freddezza di Mark ebbe un più vasto cedimento. La voce risuonò alterata quando chiese: «Viaggiare nel tempo? Impossibile!»

    «Non secondo le ipotesi di alcuni fisici. Tra l’altro, le stesse teorie di Albert Einstein lo ammettono, anche se lui riteneva irrealizzabile tornare indietro nel tempo, o almeno non oltre il momento in cui era stata creata la tecnologia per farlo. Tuttavia, analizzando con cura le sue equazioni matematiche, alcuni scienziati hanno scoperto che in realtà nulla lo vieta. Vede, i principi teorici sono noti da parecchio, solo che finora mancava la tecnologia. Ora però l’abbiamo. A dire la verità, io stesso ho portato un certo contributo a rendere fattibile la cosa. Adesso comunque, prima di continuare il discorso devo farle una precisazione. Al momento dell’assunzione lei ha firmato una dichiarazione di riservatezza sugli studi che qui sono portati avanti e ora devo tornare a porre l’accento sull’assoluta necessità di segretezza riguardo a quanto le rivelerò. Siamo d’accordo?»

    Chiedendosi perché lo scienziato raccontasse una storia che sembrava quasi il prologo di un romanzo di fantascienza, Mark assentì laconico: «Naturalmente».

    Kuiper emise un leggero sospiro e, ponendo le mani sulla scrivania alla quale si era intanto avvicinato, si chinò in avanti. «Abbiamo già eseguito diversi esperimenti con animali: sono stati incoraggianti anche se con una mortalità relativamente elevata. Soltanto esemplari in perfetta forma fisica oltre che dotati di un certo schema neurale sono sopravvissuti all’inevitabile trauma. Se non fosse per questo ostacolo, sarei proprio io a svelare il più grande mistero della storia.» Per un lungo momento, mentre lo sguardo si velava d’amarezza, lo scienziato tacque. Alla fine, quasi non lo stesse soltanto immaginando ma vivesse davvero quell’evento, infervorato riprese: «Ma ci pensa? È l’avvenimento storico che più stuzzica la fantasia di chiunque! Il sublime mistero della divinità fatta uomo, la sua morte e resurrezione... Oh sì! Per assistervi, sacrificherei la vita senza esitare!»

    Mark annuì, non nutriva alcun dubbio su quanto l’altro affermava. Conoscendone vita e opere non si poteva certo equivocare sull’ardente sincerità di quelle parole.

    «Non me lo hanno permesso» continuava intanto Kuiper. «Il Santo Padre in persona mi ha dapprima scongiurato e poi vietato di farlo. Ha affermato che la mia vita e soprattutto la mente sono troppo preziose per la Chiesa da porle inutilmente in pericolo.» Scosse la testa, emise un profondo sospiro e fissò negli occhi il dipendente. «Per questo lei è qui da me. Dovrà andare nel passato per assistere alla resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo.»

    Davanti a quell’affermazione, perfino un individuo come Mark rimase allibito e l’evidente amarezza di Kuiper o l’enormità del compito non erano certo la prima causa. Finalmente capiva il perché di quella tirata introduttiva. Serviva solo per rivelare la vera finalità dell’esperimento per il quale era stato prescelto. No, non si trattava per niente di più o meno innocue ricerche biomediche, ma doveva essere proprio lui il primo uomo a finire catapultato in una lontana epoca da dove, e questo era implicito nel preambolo sulla mortalità delle cavie, non c’era nessuna certezza di tornare vivo. Assieme alle mille domande che gli si affollavano nella mente avvertì anche uno spiacevole senso di vertigine, e mentre cercava di recuperare la calma si disse che la faccenda meritava un approfondimento assai ponderato.

    «Prima di accettare vorrei saperne di più. Per esempio cosa avrò a disposizione per difendermi o semplicemente sopravvivere in un ambiente così diverso dal nostro?»

    «Nulla se non corpo e intelligenza! Oltre ad un organismo biologico purtroppo, almeno per ora, non è possibile inviare nel passato alcun congegno. Lei dovrà essere nudo come al momento della nascita. Fortunatamente i suoi denti non hanno piombature altrimenti dovremmo toglierle.»

    «Mi scusi, ma come farò a raccogliere prove senza l’aiuto di una videocamera o un registratore?»

    Kuiper mosse la mano come se assieme all’obiezione volesse spazzare una scrivania già perfettamente lucida. «Non è necessario. Basterà la sua parola che l’evento è avvenuto e nostro Signore è risorto dalla morte.»

    «Sarà un po’ difficile essere creduti solo in base a chiacchiere, non le pare?»

    «Per il momento dovremo accontentarci. Almeno fino a quando non troveremo il sistema per inviare nel passato anche manufatti tecnologici. Il tempo stringe, ci sono anche altri ricercatori che stanno lavorando a questo progetto. Dobbiamo assolutamente batterli sul tempo.»

    «Perché tanta fretta?»

    «Ci pensi dottor Sachs: cosa succederebbe se un Imam facesse l’annuncio ufficiale che Gesù non è per niente risorto, o peggio, non è nemmeno esistito? Oh certo, per noi questo è indubitabile, tuttavia dobbiamo esserne assolutamente certi. L’Islam sta diventando un concorrente molto agguerrito e sebbene non abbia mai affermato la divinità di Maometto, bisogna ammettere che l’esistenza del profeta è storicamente innegabile. Grazie alle comunicazioni di massa, alla gran prolificità dei musulmani e all’immigrazione selvaggia, questa fede si sta diffondendo molto più in fretta di quanto potevamo immaginare solo qualche decennio addietro. Il numero di praticanti ha già largamente superato i fedeli di tutte le chiese cristiane messe assieme, e purtroppo i loro seguaci sono molto più zelanti dei nostri... E ora glielo ripeto: cosa accadrebbe se venisse divulgata la notizia che Gesù non è risorto o che addirittura non è nemmeno esistito? Bene, la risposta è fin troppo ovvia: il già religiosamente molto tiepido Occidente perderebbe del tutto la fede, e quanti avvertono comunque il bisogno di credere in qualcosa cambierebbero religione. In fin dei conti, almeno per menti semplici e ingenue, il paradiso maomettano è molto più attraente del nostro, non le pare?»

    «Non per me...» mormorò Sachs; poi incuriosito domandò: «Oltre a noi, chi possiede le capacità scientifiche e tecnologiche per realizzare un simile progetto?»

    «Lei sottovaluta il potere del denaro, caro dottore! Perché se noi abbiamo i migliori scienziati assieme alle tecnologie più avanzate, i petrodollari possono comprare qualunque cosa, inclusi uomini, mezzi o informatori. Il Centro è sorvegliato in modo rigidissimo, eppure ci sono state fughe di notizie e qualche tecnico si è misteriosamente volatilizzato. Sospettavamo anche l’esistenza di spie infiltrate all’interno e qualcuna è stata smascherata. Vede, ci sono alcuni Stati arabi che si professano filo occidentali o perlomeno filo americani e buon per questi ultimi che ci credono... Però, oltre al senso di frustrazione diffuso tra la maggioranza di quelle popolazioni nei riguardi degli europei e i loro discendenti d’oltreoceano, ci si dimentica che in quegli stessi Stati la Sharia è ancora in pieno vigore. Sono comunemente eseguite pubbliche esecuzioni alle quali tutti i presenti, compresi occidentali di passaggio, devono assistere. Pena subire la medesima sorte di un ladro cui è mozzata la mano o di una donna lapidata. Quest’ultima magari, colpevole solo di aver subito uno stupro. Inoltre le continue lotte intestine tra gruppi rivali non escludono per niente che, prima o poi, la situazione politica muti in aperta ostilità verso l’Occidente e la Chiesa cristiana. Lo sa che i peggiori fanatici terroristi, o meglio le menti che li dirigono, sono nati in questi Stati e ne sono profumatamente foraggiati? D’accordo, ora è inutile sottolineare l’ingenuità suicida dell’Occidente quando crede di combattere l’Islam con la forza delle armi, mentre il pericolo è molto più subdolo e vicino. Quello che preme è di non offrire altri strumenti d’offesa a un concorrente spirituale molto agguerrito e pericoloso. Mi comprende?»

    Più per cortesia che per altro Mark annuì, ma siccome le diatribe religiose non lo interessavano tornò al punto essenziale: «Sì, capisco il problema. Comunque, almeno a quanto lei stesso afferma l’esperimento presenta notevoli rischi, quindi vorrei saperne di più. Per esempio, quante possibilità ho di sopravvivere?»

    «Viste le sue condizioni fisiche e mentali direi attorno al novanta per cento. Ad ogni modo, prima di farle compiere il grande balzo eseguiremo un test di dislocamento temporale molto breve. La cosa presenta pericoli minimi e potremo controllare le sue reazioni. Se non ci saranno problemi e se lei accetterà, solo allora daremo il via al vero esperimento.»

    In tono basso, quasi parlando a se stesso, l’altro mormorò: «Non lo so... Sono un tipo tranquillo che non ama l’avventura. Quanto mi propone, invece, presenta notevoli incognite...»

    Lasciò la frase in sospeso. Facile per Kuiper comprendere che era arrivato il momento di illustrare gli incentivi.

    «Sarà compensato in modo adeguato. Cinque milioni di dollari americani in una banca di suo gradimento. Inoltre, se nonostante questo denaro vorrà continuare a lavorare, le affideremo un incarico di grande prestigio come consulente per i successivi esperimenti: poniamo nominandola presidente della commissione addetta a scegliere altri candidati. In ogni caso, non è solo alle gratifiche materiali che dovrebbe pensare. Lei sarà il primo uomo a viaggiare nel tempo e potrà avvicinare il Cristo. Tutto questo le offrirà una fama che rimarrà senza paragoni rispetto a qualsiasi altra impresa umana. Sì, può starne certo: diverrà l’individuo più famoso del pianeta e il suo nome campeggerà per sempre nei libri di storia e in quelli di religione. Dottor Sachs, le spetterà l’inconcepibile onore di raccogliere e divulgare la parola del Cristo, dopo un silenzio durato troppo a lungo. Perché lei diventerà il tredicesimo e forse più importante apostolo!»

    Anche se a quel punto Kuiper tacque, gli occhi sfavillanti d’esaltazione parlavano ancora per lui.

    Pure se non coinvolto da quel fervore Mark si sentiva tentato. Non tanto per la fama o l’indubitabile onore, quanto soprattutto per l’enormità della ricompensa materiale. Tuttavia, non per nulla lo soprannominavano Freezer, quindi doveva pensarci con calma, poi decidere. Perciò cautamente disse: «Signore, non nego che l’offerta presenti indubitabili vantaggi, ma chiedo troppo se mi prendo un giorno per pensarci?»

    «Naturale! Anche se devo avvertirla che da questo momento lei resterà sotto continua sorveglianza.»

    Intuendo le implicazioni, Mark chiese: «A proposito, e se non dovessi accettare?»

    Kuiper fece un sorrisetto. «So a cosa pensa. Si tranquillizzi, non siamo più ai tempi dell’Inquisizione. Non le sarà torto un capello e continuerà a lavorare in questo luogo. L’unica restrizione è che non potrà andarsene fino a quando l’esperimento non sarà portato a termine con il secondo classificato che, tra parentesi, rappresenta la sua riserva in caso di malattia o infortunio.»

    Abbastanza rassicurato Mark annuì. «La ringrazio, domani mattina le darò la risposta.»

    «Spero sia affermativa. Le sue doti naturali sopravanzano di molto quelle del suo sostituto, ed è un fattore non trascurabile per la buona riuscita dell’esperimento. Bene, per oggi è tutto, può andare.»

    Come se quelle ultime parole fossero un segnale, la porta si aprì rivelando la figura del segretario. Senza aspettare che se ne andassero dalla stanza, Kuiper azionò la sedia a rotelle per dirigersi alla finestra. Guardando fuori, a voce bassa ma perfettamente udibile aggiunse ancora: «Si, ci rifletta... Se non all’onore o alla fama, a cosa potrà fare con tutto quel denaro».

    Mark ci pensò per tutto il giorno e la notte. Cinque milioni di dollari! Una cifra incredibile e tale da permettergli di soddisfare ampiamente le sue uniche debolezze. Senza contare che rappresentavano solo le briciole iniziali. Già, perché se tutto andava bene sarebbero poi arrivate le interviste, sponsorizzazioni spettacolari, offerte d’ogni genere e solo Dio sapeva cos’altro ancora! Ma che comunque e certamente avrebbe decuplicato la cifra iniziale. Come al solito il Vaticano agiva con astuzia. Avrebbero potuto sparare anche una cifra più alta, ma sapevano bene che lui era abbastanza sveglio da comprendere: meglio se il denaro vero, quello a fiumi, lo sborsavano altri. In quei pensieri s’insinuava però un dubbio: qualcosa, accennato dalle ultime parole del gran capo, lo aveva turbato. Di certo non doveva riguardare la sua costosa collezione di mineralogia. Costosa perché, se un comune cristallo di solfato di calcio si acquistava abbastanza a buon mercato, altrettanto non si poteva dire per un perfetto accrescimento del bisilicato d’alluminio e berillio completamente privo d’inclusioni o imperfezioni. Anche se minuscoli, simili smeraldi erano una vera rarità. In ogni modo, se i colleghi sapevano di quella dispendiosa passione che gli offriva il piacere di immergersi in un mondo ordinato e scintillante, dove l’essenza stessa di perfezione, armonia e purezza diveniva realtà, lui stava ben attento a non rivelare a nessuno l’altra, perfino più onerosa fonte di spese personali. Fin da quando si era insediato al Centro devolveva una parte dell’ottimo stipendio a una fondazione privata. Il farlo, alleviava in parte quel dolore misto a senso di colpa in grado di opprimerlo ancora dopo tanti anni...

    Ne aveva dieci quando comprese l’origine dei lividi sul viso e il corpo della madre. Macchie bluastre ed escoriazioni che deturpavano un volto dolce e mite come non ricordava di aver mai veduto in nessuna donna.

    Negli uffici delle Nazioni Unite a Ginevra il padre, o meglio, l’animale responsabile di averlo messo al mondo – come preferiva definirlo – godeva fama di ottimo e diligente burocrate. D’origini tedesche, meticoloso, intelligente e gelido, pareva fatto apposta per barcamenarsi in un ambiente soggetto alle continue pressioni d’ordine politico economico. Sembrava proprio il classico, rispettabile uomo tutto d’un pezzo. Ma sotto la levigata facciata di educata cortesia con cui avvicinava il prossimo, qualcosa di segretamente vizioso e brutale gli covava nell’animo. E come succede a molti vigliacchi, se badava bene a nasconderlo a chiunque, sfogava segrete tendenze sulla persona più mite e sottomessa del mondo: sua moglie.

    Lei sopportava in silenzio. Convinta, come a molte altre donne immerse in simili vicende succedeva, di essere la causa di quegli accessi furiosi e quindi di meritarseli ampiamente.

    Sì, lei sopportava in silenzio e lui, Mark bambino, non capiva l’origine di quei segni e nemmeno dei tonfi sordi che udiva filtrare dalla camera dei genitori. Percosse violente e sadiche, alle quali la donna non rispondeva nemmeno con un gemito. Fino al giorno in cui, forse non trovando sottomano il solito agnello sacrificale, l’uomo si era messo a picchiare lui.

    Gli era caduto un bicchiere di latte. Senza capire perché lo faceva vide il padre sfilarsi la cintura dei pantaloni, guardarlo con occhi gelidi e intimare di chinarsi sulla poltrona poggiandovi le mani per sostenersi. Lo aveva fatto e, dopo avergli slacciato i pantaloncini e abbassato le mutandine, l’uomo si era messo a colpirlo con la cinghia. Riuscì a vibrare solo tre colpi che però bastarono a farglielo odiare per sempre. In quell’istante, per fortuna o meglio sfortuna, la porta si aprì ed entrò lei, l’angelo della sua vita. Per un breve momento rimase impietrita, poi i pacchetti che reggeva caddero rumorosamente a terra lacerandosi e riversando il contenuto attorno. Ma non se ne curò. Livida in viso aveva strappato la cinghia dalle mani del marito, quindi si era precipitata dal figlio cercando di sorridere rassicurante mentre lo rivestiva. Poi vincendo il desiderio di continuare a coccolarlo assieme all’urgenza di piangere, era andata in cucina invitando l’uomo a seguirla. Non appena lo ebbe fatto, lei chiuse la porta. Un gesto di delicatezza verso il bimbo, anche se non molto efficace. Perché se non vedeva cosa accadeva, lui poteva sentire abbastanza di un agitato bisbigliare.

    «Se lo fai ancora ti caccio questo nel cuore...»

    Mark intese uno scalpiccio dirigersi verso la porta e immaginò il padre allontanarsi da lei. Poi ne avvertì la voce allarmata.

    «Sei pazza! Adesso sistemo anche te...»

    «Certo! Puoi farlo! Ma te lo ripeto: dovessi aspettare sveglia mille notti, se tocchi ancora il bambino giuro su Dio che ti ammazzo nel sonno come un cane!»

    L’assoluta dedizione della donna verso la religione era ben conosciuta da tutti; quindi un voto del genere non andava per niente sottovalutato. Al termine di una lunga esitazione, intuendo la fondatezza della minaccia, in tono più arrendevole l’uomo ammise: «Va bene... Ma adesso posa il coltello. Te ne rendi conto vero? Sei stata irrispettosa e meriti una punizione».

    Così prima vennero i colpi. Tanti, sempre più feroci e violenti. Seguiti dal rumore di abiti stracciati e ancora quel suono terribile, ben conosciuto, della carne nuda percossa. Poi il tonfo di un corpo sbattuto a terra mentre risuonava un singhiozzo soffocato. Subito dopo, un furioso ansimare interrotto a tratti da oscene frasi smozzicate.

    Anche se atterrito, avvicinandosi all’uscio fino a poggiare la mano sulla maniglia, Mark sarebbe voluto intervenire, ma a quel punto c’era stato un urlo disumano. Reso folle dall’angoscia era corso a rifugiarsi nella sua stanza. Non voleva vedere né sentire cosa sarebbe successo ancora.

    Però anche qualcuno dei vicini aveva sentito.

    Disteso nel letto con la testa infilata sotto il cuscino avvertì bussare energicamente alla porta di casa. Passò altro tempo in cui cercò di ignorare voci allarmate accompagnate da un trambusto crescente. Ma quando l’ambulanza arrivò a sirene spiegate fermandosi davanti a casa, come se avesse avvertito il passo dell’angelo della morte, non ce la fece più. Con il cuore schiacciato dall’angoscia si alzò di scatto per correre di sotto. Nella cucina due uomini stavano sollevando il corpo seminudo della madre per adagiarlo su una lettiga mentre un terzo, dopo averla coperta con un telo argentato, si faceva subito avanti per trattenerlo.

    Seduto a occhi bassi sulla poltrona, livido in viso e inzaccherato peggio di un macellaio, il padre rispondeva lentamente alle domande di un agente. Quando dalla cucina uscì la barella con adagiata sopra la madre, a Mark parve pallidissima. Con un violento strattone si liberò dell’uomo che lo tratteneva per precipitarsi ad abbracciarla. Sembrava svenuta, ma singhiozzi e richiami imploranti ebbero il potere di riportarla alla coscienza.

    Socchiudendo gli occhi lo riconobbe. Sfilando una mano dalla coperta per stringerlo a sé, bisbigliò: «Non è niente bambino mio. Tornerò presto... vedrai».

    Non tornò. Di lei gli restarono la malinconica sensazione di quell’ultimo struggente abbraccio e l’immagine del suo sangue sparso sul pavimento della cucina dove un matterello giaceva abbandonato. L’oggetto aveva compiuto una devastazione irreparabile.

    Lo stesso giorno, verso sera, ritornò la polizia ma stavolta in forze. Senza troppa delicatezza, alla presenza del bambino annunciarono il decesso della madre dovuto a traumi al capo sommate a devastanti lacerazioni interne. Più per prammatica che per necessità rivolsero qualche domanda a padre e figlio; infine portarono via il carnefice affidando il bambino a un vicino di casa riluttante quanto indifferente. Quell’interminabile notte trascorsa piangendo raggomitolato sotto le coperte di un letto estraneo, piena di incubi spaventosi nati dalla consapevolezza di un’estrema, vulnerabile solitudine, lui l’avrebbe ricordata per sempre.

    Il mattino successivo, su ordine di un giudice per l’impossibilità di rintracciare un parente qualsiasi, Mark venne prelevato da una coppia di poliziotti e depositato in un orfanotrofio. Qualche giorno dopo, quando ne uscì, fu per assistere al funerale della persona che lo aveva messo al mondo.

    In piedi, con vicino solo il prete incaricato di accompagnarlo, davanti al loculo dove calavano lentamente la bara pianse senza ritegno, mentre giurava a se stesso che sarebbero state le sue ultime lacrime. Al mondo non c’era rimasto più nessuno che le meritasse.

    Tenne sempre fede al giuramento. Non pianse nemmeno quando, solo pochi giorni dopo e per prassi comune in un orfanotrofio, fu picchiato e rapinato dei pochi effetti personali da due adolescenti. Si limitò a stringere i denti per il dolore e l’umiliazione, concentrando la mente su come fargliela pagare. Se i due prepotenti non l’avessero deriso, imbrattato di sputo quindi stracciato la fotografia della madre custodita come una preziosissima icona, forse la vendetta non sarebbe stata così feroce. Affrontandoli senza alcun preavviso uno per volta, con l’aiuto di un robusto bastone li ripagò con tutti gli interessi.

    Se da allora in poi a nessuno dei giovani ospiti venne in mente di usargli una qualche violenza, non gli fu altrettanto facile liberarsi delle attenzioni di un insegnante.

    Ad ogni modo, messo in guardia dalle brevi e vergognose ammissioni di qualche compagno su cosa accadeva ai ragazzini più graziosi, si preparò per tempo. Rubò alla mensa un coltello smussato, l’affilò pazientemente su una pietra e, dopo aver preparato un rudimentale fodero di carta per evitare di ferirsi, lo tenne sempre con sé infilato nei calzini. Precauzione forse drastica ma non inutile, poiché dicerie e timori non parevano campati in aria.

    Lo constatò nel tardo pomeriggio di qualche settimana dopo, quando venne convocato nell’ufficio di quell’insegnante. Invitandolo a sedere su una poltroncina l’uomo gli offrì una tavoletta di cioccolato e non ebbe alcun sospetto quando lo vide riporla in tasca senza mostrare nessun interesse. Pensando che quello splendido ragazzino introverso era la preda perfetta, chiuse tranquillamente la porta a chiave e gli tornò accanto. Convinto che sarebbero bastate vaghe promesse, poche moine e qualche carezza per ottenerne la resa, cominciò con la solita tattica.

    Dopo un po’, incoraggiato per la mancanza di qualsiasi ripulsa a preliminari verbali e caute carezze, ormai eccitato e abbandonata ogni remora si sbottonò i calzoni. Nel vedere che assecondando il suo invito Mark afferrava il sesso eretto, pienamente convinto di aver a che fare con un ragazzino già da tempo incline a quel genere di giochi, sogghignò di piacere. Proprio allora però, invece di procedere come sempre, le cose andarono in modo diverso da come già le pregustava. L’espressione sul suo volto mutò drasticamente quando, nell’altra mano, intravide balenare l’acciaio. Non fece a tempo a riprendersi dalla sorpresa o accennare una qualsiasi difesa che quattro brucianti saette, così ravvicinate da sembrare una sola, gli serpeggiarono sulla pancia prominente.

    Preso dal panico, al momento credette di esser stato sventrato: ma non era quello l’intento di Mark. Se i tagli non sembravano così profondi da danneggiarlo seriamente, lo erano comunque abbastanza da cominciare subito a sanguinare. Sotto shock, gemendo per il dolore, l’uomo guardava a occhi sbarrati l’apparire di un’inequivocabile M scarlatta.

    Mentre arretrava d’istinto temendo altre più devastanti mutilazioni, una voce ancora infantile ma dal tono precocemente freddo e controllato lo avvisava di lasciarlo in pace o avrebbe dovuto rispondere a imbarazzanti domande sull’origine di quella strana e ormai indelebile sigla.

    Tuttavia il ragazzo comprendeva di non essere al sicuro. Un nemico giurato adulto pareva una faccenda troppo pericolosa. Era un qualcosa da non poter sfidare impunemente in un luogo dove non esisteva nessuna reale protezione. Gli venne allora l’idea di confidarsi al prete confessore, lo stesso con il quale si era recato al funerale della madre.

    Per sua fortuna quel sacerdote era un uomo sensibile e dalla mente sana. Anche se ben conscio che simili episodi avvenivano di continuo nell’orfanotrofio, non rimase indifferente a una precisa richiesta d’aiuto, offrendogli di entrare in un istituto ecclesiastico nei sobborghi di Ginevra.

    Pur intuendo l’intento del prete di portare acqua al suo mulino in tempi di rare vocazioni, Mark accettò. Dopo pochi giorni entrava in seminario per restarvi fino ai diciotto anni. In seguito frequentò l’università diventando geologo, ma non prese mai i voti definitivi di sacerdote. Cercando di trarre ogni vantaggio dalla situazione, almeno in apparenza rimase credente. Però, nell’intimo di sé, non accettava l’esistenza di un Dio così insensibile da avergli tolto in modo tanto atroce l’unica persona degna e la sola veramente amata.

    Rifiutando i voti, al vecchio prete che ogni tanto lo andava a visitare chiese di trovargli un lavoro. Malgrado fosse deluso nelle proprie aspettative l’uomo lo aiutò ancora. Dopo qualche anno passato a fare l’impiegato alla sede

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