Gioie medievali: racconti e note
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Ma è nelle note che avviene l’apocalisse: i cieli si arrotolano, le terre si spalancano. Il lettore stenta a credere. Se il Medioevo fosse un film, è in queste “Gioie medievali” che troverebbe la sua scenografia.
Con due mappe disegnate a mano dall’autrice.
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Anteprima del libro
Gioie medievali - Liana Maccari
Gioie medievali
Racconti & Note
Liana Maccari
Gioie medievali
EDIZIONI SIMPLE
Via Trento, 14
62100 Macerata
info@edizionisimple.it / www.edizionisimple.it
ISBN: 978-88-6924-484-1
Realizzato da: WWW.STAMPALIBRI.IT - Book on Demand
Via Trento, 14 - 62100 Macerata
Tutti i diritti sui testi presentati sono e restano dell’autore.
Ogni riproduzione anche parziale non preventivamente autorizzata costituisce violazione del diritto d’autore.
Prima edizione: febbraio 2020
Copyright © Liana Maccari
Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo, riservati per tutti i paesi.
INDICE
GIOIE DELL’ANNO 800
Contemplazione d’Irene
Festa di San Martino
Deformitas segno di Dio
La vera icona
L’elefante di Carlo Magno
GIOIE DELL’ANNO MILLE
Il sano Ubaldo
La gran Costanza d’Altavilla a Jesi
Il Delfino bizantino prigioniero a Treia
RACCONTO DELL’APOCALISSE
La vendetta della Montagna
NOTE MEDIEVALI
Contemplazione d’Irene
Irene
Territori bizantini
Festa di San Martino
Pollentia
Burgo Monticle, Trea Jana
Pitino
Festa di San Martino
Carlo Magno
Albino Aboricum
Deformitas segno di Dio
Pipino il Gobbo
Ludovico il Pio
Angilberto
Italia
I nomi geografici medievali
Il fiume Rhenum
Il clima del Medioevo
Vita di Angilberto
Milano
Ragazza di Novana
I Franchi
Franchi Salii
Franchi Ripuari
Faramondo
I Merovingi
Altitudine di Troyes
I Goti
La vera icona
La rotta
Santa Chiara
L’elefante di Carlo Magno
L’elefante di Carlomagno
Gli elefanti di Annibale
Il coccodrillo
Parigi come Milano
Belgium et Ricina
Il delfino di Costantinopoli prigioniero a Treia
Corrado d’Antiochia
Antiochia
Il sano Ubaldo
Sant’Ubaldo
Federico Barbarossa
I re taumaturghi
Milano 2
Porto
Cassero
Urbe
I terremoti
Dante
Cistercensi da Cisterna
Napoleone a Tolentino
La gran Costanza d’Altavilla a Jesi
Federico II
La vendetta della Montagna
L’Apocalisse
Sparare particelle ovvero il Bosone di Higgs
Storia del laboratorio del Gran Sasso
E a nessuno gliene fregò un cazzo
Gioie dell’anno 800
Contemplazione d’Irene
Si chiamava Irene, che voleva dire Pace, ma tutti la chiamavano Irene, nel secondo significato del termine, per dire giovane, e questo fino ai venti anni.
A sedici anni lasciò Atene per andare sposa a Leone IV, che divenne Imperatore, a Bisanzio, e lei dovette abiurare il culto delle immagini.
Era giovane, aveva meno di venti anni. E pace!
Quando rimase vedova aveva ventotto anni e dovette usare ogni energia, per reggere lo scettro, stretta nelle dorate fasce imperiali insieme al figlio Costantino VI, bambino, di cui era reggente.
Lo aveva partorito nella sala del trono del palazzo imperiale, perché fosse chiaro che si trattava di un imperatore. Era cresciuto religioso, cristiano, devoto come lei.
Eppure tra Costantino e la madre le cose cominciarono ad andare male, quando Irene che era nata ad Atene si accorse che il figlio disprezzava le fondamenta classiche dell’impero bizantino, il culto dei valori e delle virtù greco-romane.
Ogni immagine dell’antichità: Sofia la Saggezza, venerata nella più grande chiesa mai costruita al mondo, Irene la Pace, e poi la Verità, la Filosofia, le statue di Aristotele, il grande pensatore, e Platone, il grande politico, Esculapio dio della Medicina, portavano in sé il significato di un’evoluzione umana, di cui il Cristianesimo era il compimento, il vertice, la cupola di copertura, il collegamento con il cielo, con l’unico e grande Dio, che aveva scritto infinite parole nel libro della natura e della storia.
Nell’anno 800, in nome di suo figlio, combatteva per frenare l’avanzata degli arabi guidati da Maometto, che erano diventati un popolo inarrestabile.
Quei cammellieri e beduini si erano dati una religione nuova e uno stile di vita.
Essi erano ora monoteisti e dicevano di venerare il solo Dio. Nessun idolo tolleravano, nessuna immagine, neanche quei quadri o quelle statue che invece a Bisanzio si veneravano, dicendo che fossero immagini del solo Dio.
In realtà, come tutti sapevano, erano antiche statue di dei.
Essi dicevano che il paganesimo non era stato estirpato dal cristianesimo, aveva solo travestito le sue immagini, per cui ora tutte le immagini di idoli maschili come Zeus, erano spacciate per immagini di Dio, tutte le immagini di giovani dei, come Esculapio, erano venerate come immagini di Cristo, tutte le immagini femminili, come la dea Iside, con in braccio il piccolo dio Horus, erano considerate delle madonne, ma in realtà si trattava di antichi idoli che ridevano diabolicamente dei nuovi nomi falsi.
Così l’imperatore Costantino, provocato dai musulmani, ragazzo com’era, cadde nella trappola della loro austerità senza segni e senza storia, senza idee e senza icone e volle obbligare i cristiani al culto di un Dio invisibile e impensabile, proibendo tutte le immagini. Le statue e i quadri vennero distrutti in enorme quantità. Tutta l’arte antica fu abbattuta, bruciata e frantumata. Si salvarono solo rari oggetti che presero la via dei clandestini. Col furore di un ragazzo si diede all’Iconoclastia, la distruzione delle immagini, destinata a prevalere nei secoli.
Irene, con profonda fede e autentica gioia, venerava invece le più sacre immagini della Madonna, tra cui l’Icona, che era stata disegnata in Siria, da San Luca, davanti alla stessa Madonna, dopo che aveva patito a morte la crocifissione e la resurrezione del Figlio, dopo la stupefacente sorpresa della Pentecoste, e dopo che i suoi occhi si erano alzati a seguire l’Ascensione al cielo.
Irene con gioia contemplava la sacra icona, vedendola muovere gli occhi da Dio al mondo e si rappresentava la vita di quell’incomparabile creatura, negli anni successivi ai vangeli, quelli vissuti appoggiandosi al nuovo figlio Giovanni, che Gesù stesso le aveva raccomandato sulla Croce.
Ora la reggia risuonava di ordini distruttivi, dove sentiva solo l’acuta crudeltà del ragazzo.
La santa immagine dipinta dal vero, di Maria, quella avrebbe dovuto distruggere?
Attorno a lei, nella corte, si riunirono tutti i fedeli delle immagini, sbalorditi, temendo per l’anima e per la vita.
Il complotto fu presto realizzato. Le sue guardie arrestarono Costantino. La madre lo fece condurre nella sala dove lo aveva partorito e gli disse: Gli occhi di chi non vuole più vedere il vero volto della Madonna, non vogliono vedere più niente.
Lì lo accecò.
E di nuovo gli parlò e gli disse: Così anche ti accontenterò. Tu potrai salvare la tua anima, poiché d’ora in poi crederai, senza vedere le immagini, proprio come hai desiderato.
Nessun altro poteva regnare al posto di suo figlio, così, per carità di madre, regnò lei, la prima e sola imperatrice donna. I più saggi e sofisti del suo impero avrebbero potuto trovarci da ridire ma non lo fecero.
Lo fece però uno zotico, barbaro, ignorante re di Franchi, là in occidente: il figlio di Pipino, colui che aveva rubato il trono al suo re.
Si diceva che il nonno, Carlo Martello, avesse preso accordi con gli arabi, e persino che questo Carlo Magno fosse musulmano egli stesso, travestito da Franco. Ignorava la lingua della ragione e della fede, il greco, e quando parlava il suo latino germanico, gutturale e scempiato, nessuno lo capiva. Non sapeva né leggere né scrivere. Tuttavia aveva un maestro di latino per le figlie femmine, chissà perché. Comunque, non capiva nulla di Greco!
Di lui non esistevano immagini, se non una con lunga barba bianca, ma doveva avere solo una trentina di anni. O una cinquantina? Le notizie impiegavano decenni per arrivare. Era certamente un musulmano travestito.
Informato e consigliato dai suoi sofisti aveva detto: Una donna imperatore, ma fammi ridere! Mica siamo bambini che diamo retta alla mamma. Qua, vorrà dire che comando io. Dammi il papa, come non si piglia? Gli stucco le mani, gli stucco. Non mi sente? Le orecchie gli stucco. Gli puzza la cosa? Senti, stucchiamogli pure il naso. Così mi potrà proclamare imperatore. Purché lo faccia di idea sua, che gli imperatori mi hanno sempre scocciato
.
L’imperatrice Irene non gli riconosceva diritto di critica, né tanto meno di futuro impero, con matrimoni dei reciproci figli, ma Carlo era corso a Venezia e l’aveva assediata, sloggiando i barbari.
Irene allora lo riconobbe re di tutti i popoli occidentali, e anche patrizio romano, e perché no? anche re di Roma, che tanto era perduta, per farsi lasciare Venezia bizantina, che valeva molto di più, un grande negozio aperto in Europa e Carlo Magno ci andava tutti gli anni a comprare qualcosa e gli fu venduto di tutto, di tutto, di tutto, dodici elefanti, trenta reliquie di santi e martiri, un sacco di libri che tanto a Bisanzio si bruciavano. Chissà perché li comprava se non li capiva.
Toccata da questo amore per la saggezza dei libri, in un uomo che da solo stava salvando metà dell’impero dai Sassoni e dagli Arabi e dagli Unni, Irene gli promise infine la figlia.
Non potendo mandare un ritratto che metà della corte non avrebbe permesso, la inviò per nave, e la seguì da lontano, con attenzione materna: la credevano una principessa albina, (non era anche lui albino?), tutta bianca, chi diceva che non avesse nessun pelo sul corpo, come i maschi ( i Bizantini usavano così), e chi diceva che ce li avesse ma tutti bianchi come la luna. Peccato che quando parlava aveva la voce da uomo. Perciò pensavano che fosse stata data al germanico, che tanto non se ne accorgeva. In ogni cosa coglievano solo l’aspetto manchevole della bellezza, cioè del bene, cioè del significato. Forse perché i Franchi erano del ceppo di Faramondo, l’unico sopravvissuto ai suoi tempi. Era uscito dal crollo del mondo unico illeso, qualche secolo prima. Uno solo si era salvato, ed era Faramondo.
Irene aveva guardato a lungo il ritratto famoso di quell’uomo: un vagabondo, un allegro mendicante, un epico residuo d’altri tempi, con la cappa tagliata a