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Luoghi segreti da visitare in Romagna
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E-book305 pagine3 ore

Luoghi segreti da visitare in Romagna

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Info su questo ebook

Le vicende più oscure, gli edifici più misteriosi e i personaggi più inquietanti

La tradizione ci racconta una Romagna legata ai modi semplici della vita agreste, ma la realtà di questa regione è molto più variegata e sfaccettata, e certamente la sua storia non manca di pagine oscure, troppo spesso trascurate o dimenticate. Questo libro esplora proprio la Romagna segreta, quella che non rientra negli stereotipi, quella che non si conosce, quella che non si immagina. Vicende oscure, edifici inspiegabili, località poco note eppure teatro di eventi storici, animate da personaggi inquietanti: un viaggio, reale e ideale insieme, all'interno delle pieghe nascoste del territorio, a caccia dei misteri più affascinanti che lo popolano.

Una guida ai più affascinanti misteri della Romagna

Forlì, Cesena e la loro provincia
• l’omicidio reso celebre dal grande Canova (1817) • l’atroce morte della nonna del papa (1731) • i due cadaveri scomparsi (1914) • la chiesa dell’ex corsaro albanese (1450) • il vulcano che brucia “con un solferino acceso” • l’eccidio dei Bretoni (1377)

Ravenna e la sua provincia
• dove visse il profeta del regime fascista (1909) • la strage (1576) • qui morì la figlia di Byron (1822) • la setta degli accoltellatori (1865-1871) • schioppettate per la “redenzione civile” (1845) • l’ottagono cosmico (547) • la fabbrica degli “uomini nuovi” (1939)

Rimini e la sua provincia
• cosa resta di Cagliostro? (1795) • il mistero del tempio dei demoni (1450-1464) • gli ipogei misteriosi
Paolo Cortesi
È scrittore e saggista. Il suo romanzo Il patto ha riscosso un notevole successo di critica e pubblico. Tra i numerosi libri pubblicati con la Newton Compton ricordiamo: Misteri e segreti dell'Emilia Romagna; Forse non tutti sanno che in Emilia Romagna…; Guida insolita ai misteri, ai segreti e alle curiosità dell'Emilia Romagna, Luoghi segreti da visitare in Romagna e Le grandi profezie che hanno cambiato la storia.
LinguaItaliano
Data di uscita21 giu 2021
ISBN9788822755759
Luoghi segreti da visitare in Romagna

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    Anteprima del libro

    Luoghi segreti da visitare in Romagna - Paolo Cortesi

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    532

    Prima edizione ebook: giugno 2021

    © 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-5575-9

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Punto a Capo, Roma

    Paolo Cortesi

    Luoghi segreti

    da visitare in Romagna

    Le vicende più oscure, gli edifici più
    misteriosi e i personaggi più inquietanti
    marchio-front.tif

    Newton Compton editori

    Indice

    Introduzione

    Forlì, Cesena e la loro provincia

    I. l’omicidio reso celebre dal grande Canova (1817)

    ii. L’atroce morte della nonna del papa (1731)

    iii. I due cadaveri scomparsi (1914)

    iv. La chiesa dell’ex corsaro albanese (1450)

    v. Il vulcano che brucia con un solferino acceso

    vi. L’eccidio dei Bretoni (1377)

    Ravenna e la sua provincia

    vii. Dove visse il profeta del regime fascista (1909)

    viii. La strage (1576)

    ix. Qui morì la figlia di Byron (1822)

    x. La setta degli accoltellatori (1865-1871)

    xi. Schioppettate per la redenzione civile (1845)

    xii. L’ottagono cosmico (547)

    xiii. La fabbrica degli uomini nuovi (1939)

    Rimini e la sua provincia

    xiv. Cosa resta di Cagliostro? (1795)

    xv. Il mistero del tempio dei demoni (1450-1464)

    xvi. Gli ipogei misteriosi

    RINGRAZIAMENTI

    BIBLIOGRAFIA

    Ho fatto nel mese passato un giretto

    per la Romagna; paese che mi piace infinitamente.

    Giacomo Leopardi a Luca Mazzanti

    (Lettera, 9 settembre 1826)

    Des chercheurs qui cherchent, on en trouve.

    Mais des chercheurs qui trouvent, on en cherche.

    Charles de Gaulle

    Introduzione

    (così breve che la si può anche leggere)

    Questo libro ha una caratteristica piuttosto insolita: è fatto per essere letto fuori casa.

    E mi spiego; soprattutto perché questa affermazione, in tempo di epidemia e restrizioni negli spostamenti, può sembrare provocatoria.

    Ogni capitolo di questo libro tratta di una località, o di un edificio, che furono teatro di eventi notevoli ma poco o pochissimo noti, o in cui agirono personaggi curiosi, inquietanti. Elemento comune ai capitoli è che l’edificio di cui tratto è esistente; ho cercato palazzi, vie, chiese e case (e anche un vulcano) che fossero quanto più possibile immutati rispetto al tempo in cui accaddero le storie che racconto.

    Due edifici, purtroppo, non esistono più: l’osteria della Grotta a Ravenna e il palazzo Bandi a Cesena; tuttavia le storie che vi si svolsero sono così straordinarie che non potevo non raccontarvele; credo che quando leggerete i relativi capitoli mi darete ragione.

    Ma a parte questi casi, potrete leggere tutte le altre storie proprio davanti, o dentro, all’edificio di cui furono scenario. Dunque, questo è un libro da leggere all’esterno, on the road, alzando gli occhi dalla pagina per osservare il luogo e immaginarsi ciò che vi accadde. Provate. Andate, ad esempio, davanti alla facciata dello squisito palazzo Diedi in Ravenna. Ora si trova in una via quieta del centro storico, e ispira un senso, veramente rinascimentale, di serena armonia. Ma, approfittando del poco traffico nella strada, leggete lì davanti della strage, atroce e assurda, che vi accadde e che racconto nell’ottavo capitolo; osservate l’elegante portoncino che è il medesimo che venne varcato dagli assassini; immaginate la fuga delle vittime dal balcone e dalle finestre che stanno davanti a voi…

    Oppure, ripercorrete, con questo libro in mano, il percorso fatto dal banchiere Manzoni, a Forlì, nel suo inconsapevole appuntamento con la morte, la sera del 26 maggio 1817: strade e case non sono cambiate.

    O ancora, osservate la torre campanaria della chiesa cesenate di San Zenone, i cui mattoni, nel 1377, furono arrossati dal sangue sparso in una delle più feroci, e dimenticate, stragi della storia di Romagna.

    Ma questi esempi non vi devono trarre in inganno: in questo libro non ci sono solo fatti violenti. Conoscerete chiese straordinarie; uno scrittore che per vent’anni fu idolatrato e oggi è quasi sconosciuto; una bambina che ebbe per sua sfortuna un padre geniale e narcisista; un mago massone che fondò una religione ed ebbe la sfrontatezza di propagandarla a Roma; un corsaro che divenne santo; una misteriosa fitta rete di sale scavate sotto una città; una contessa, nonna di un papa, che prese fuoco all’improvviso, e altro ancora…

    Fatti curiosi, intriganti, talvolta misteriosi, che conservano ancora un legame col nostro presente: i luoghi in cui avvennero e che sono rimasti come li videro i loro protagonisti. Ho cercato, insomma, di costruire una macchina del tempo di carta, uno strumento che permettesse di viaggiare nel passato e di visitarlo per il tempo della lettura.

    Sebbene sia dedicato a illustrare luoghi e edifici, questo libro non è una guida turistica. È, piuttosto, una formula nuova di saggistica, poiché ogni cosa che vi leggerete è documentata; non ho romanzato nulla e la bibliografia vi fornisce tutte le indicazioni per verificare quanto ho scritto e per approfondire, se volete, gli argomenti. E dunque, i lettori sedentari non si sentano scoraggiati: questo libro può essere comodamente letto in poltrona, lasciando che siano gli occhi della mente a visitare i luoghi e immaginare personaggi e azioni. Per chi, invece, vorrà vedere di persona ci sono tutte le indicazioni necessarie.

    E allora perché il titolo Luoghi segreti da visitare in Romagna? Perché le storie che racconto – e, ripeto, i monumenti relativi – sono poco conosciuti. Per diversi motivi, su di esse è scesa una cappa d’oblio. E se alcune vicende sono state semplicemente dimenticate (chi ricorda l’infelice tentativo di sfruttare il metano del monte Busca?), altre sono state volutamente rimosse (è il caso di Alfredo Oriani, a sua insaputa arruolato dai fascisti come antesignano e per questo vittima di una damnatio memoriae durata fino a pochi decenni fa), o politicamente imbarazzanti (il neonato Regno d’Italia non amava che si ricordassero gli omicidi commessi dai suoi sostenitori contro il vecchio regime).

    La Romagna che appare in queste pagine è segreta nel senso etimologico del termine: il latino secretum che è il participio passato di secernere: messo da parte, appartato. Sono vicende non comprese nel flusso della grande Storia; sono figure e luoghi che probabilmente non troverete nelle enciclopedie o nei manuali, ma che forse proprio per questo restituiscono una Romagna più autentica.

    Eccoci al termine dell’introduzione, breve come avevo assicurato all’inizio. Non mi resta che augurarvi buon viaggio, sia che mettiate questo libro nel vostro zaino e lo portiate con voi nelle gite che vi suggerisco, sia che lo teniate sul comodino, sul divano o sulla scrivania.

    Forlì, Cesena e la loro provincia

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    I. l’omicidio reso celebre dal grande Canova (1817)

    Palazzo Manzoni, Forlì

    Quando, alle ventuno di lunedì 26 maggio 1817, Domenico Manzoni uscì di casa era di ottimo umore e nulla al mondo gli avrebbe potuto far immaginare che, mezz’ora dopo, sarebbe stato accoltellato a morte.

    Gli affari, e ne aveva tanti, andavano bene; aveva risolto certi vecchi contrasti con possidenti della zona e il suo irrequieto passato politico ormai era un ricordo non più imbarazzante: ora, Domenico Manzoni era rispettato, influente, riverito. Era ricco, dunque aveva ragione.

    Dopo cena, Domenico Manzoni, accompagnato dal suo amico Antonio Lej, lasciò il bel palazzo in cui abitava, nella strada principale di Forlì, per recarsi a teatro, dove lo aspettava la moglie, Geltrude Versari.

    Il percorso che Manzoni seguì nel suo inconsapevole incontro con la morte può essere fatto ancora oggi: strade e edifici sono rimasti immutati. Egli, dunque, uscì dal portone del suo palazzo quattrocentesco all’attuale numero 120 di corso Garibaldi. Superò piazza del Duomo e proseguì fino a entrare in via Santa Croce, che ha ancora questo nome. Svoltò poi la prima strada a destra; al tempo si chiamava via del Teatro, oggi è via Francesco Canestri.

    Al termine della strada, piuttosto stretta, si trova (nel 1817 come oggi) un voltone detto un tempo di casa Teodoli, dal nome dei proprietari. Tutto, ripeto, è ancora come appariva oltre due secoli fa.

    Manzoni e Lej, parlando tranquillamente, erano giunti sotto l’arco. Sebbene la luna fosse oltre il primo quarto, il posto era nella semioscurità, non illuminato dai lampioni accanto all’ingresso del teatro, che distava un centinaio di metri.

    Lej, unico testimone oculare, racconterà che quando lui e l’amico arrivarono sotto l’arco, c’era un uomo che sembrava chinato ad allacciarsi una scarpa. Lo sconosciuto era avvolto da un lungo mantello che ne faceva una indistinta figura nera. Quando Manzoni gli fu a un passo, l’uomo balzò in piedi e gli dette una violentissima coltellata, ancora più terribile perché data con forza dal basso verso l’alto.

    Con un grido atroce, Manzoni crollò a terra. L’aggressore scappò via subito; Lej, terrorizzato, non tentò neppure di inseguirlo; aiutato da chi era uscito in strada alle sue invocazioni d’aiuto, portò Manzoni in una casa vicina. Fu chiamato uno dei medici più famosi della città, Giovanni Geremé Santarelli, che comprese subito le condizioni gravissime del ferito e accondiscese alla sua richiesta di essere portato a casa in lettiga.

    Manzoni chiese al medico se sarebbe sopravvissuto, ma questi gli disse che non c’era speranza. Il poveretto, fra gli spasimi, fece testamento. Agonizzò tutta la notte e alle tre e mezza del giorno successivo, 27 maggio, morì.

    Ma chi era Domenico Manzoni? Ce lo raccontano due cronisti locali del tempo, autori di dettagliatissime narrazioni degli eventi di cui furono testimoni diretti.

    «Era questi oriundo Faentino», scrisse Giuseppe Calletti (1779-1862) nella sua Storia di Forlì, manoscritto ancora inedito, «ma da molti anni domiciliato in Forlì. D’ingegno speculativo, di viste sicure, intraprendente, destro, obbliando ogni studio, si era dedicato al guadagno. Aveva azzardato dei grandi interessi tanto marittimi che terrestri, e gli erano riusciti felicemente. Colla sua molta avvedutezza, insieme cogli ajuti della Fortuna, nel lasso di pochi anni aveva cumulato un Capitale, benché non puro, di due in trecento mila scudi».

    Palazzo_Manzoni.jpg

    Palazzo Manzoni a Forlì (foto di Controllore Fiscale su licenza Wikimedia Commons).

    Nelle parole di un altro cronista, Pellegrino Baccarini (1779-1854), il Manzoni appare come uno dei più ricchi latifondisti e capitalisti di Romagna: «da semplice orfano era divenuto uno de’ primi fondieri di questo Territorio indipendentemente da un rispettabilissimo giro bancario in Europa». E tuttavia questo suo successo negli affari sembrava avere avuto conseguenze (o cause?) spiacevoli: Baccarini ne ricorda «la durezza del di lui carattere» che gli aveva procurato «possenti inimicizie». E Filippo Savorani, avvocato con l’hobby della storiografia, annotava: «Manzoni si rende sempre più potente e tiranno, e molti nobili gli rendono omaggio vilmente».

    Insomma, pare che Manzoni non fosse proprio simpatico, o almeno era antipatico a molti.

    Nato a Faenza nel 1775, Domenico Manzoni era stato un entusiasta sostenitore della nuova ideologia rivoluzionaria francese che portò all’occupazione della Romagna da parte delle truppe dell’Armata d’Italia di Napoleone (1796).

    Il 9 ottobre 1800 era stato condannato contumace alla galera per giacobinismo e proposizioni ereticali. Aveva trovato rifugio nella vicina Forlì, in cui, al ritorno dei francesi nel 1801, veniva eletto Segretario della Municipalità, membro del Consiglio Generale del Dipartimento del Rubicone e ricevitore dipartimentale.

    Questo incarico fu l’origine della fortuna economica di Manzoni. Egli infatti poté conoscere prima e meglio di chiunque altro i programmi di confisca e commercio dei beni ecclesiastici decretati dal nuovo governo filofrancese.

    Come molti altri borghesi, nobili o perfino prelati, Manzoni poté acquistare a un prezzo assolutamente di favore edifici religiosi che il nuovo governo aveva requisito e messo in vendita per fare cassa.

    Se poi si avevano le conoscenze giuste, e Manzoni le aveva, si potevano fare affari d’oro. Come, ad esempio, l’acquisto che Domenico fece, nel 1805, del monastero di Santa Maria di Urano, ai piedi del colle di Bertinoro, da cui erano stati sfrattati i monaci camaldolesi, che egli trasformò in una villa di campagna così grandiosa e signorile da ospitare il letterato Pietro Giordani (1774-1848) e il grande scultore Antonio Canova (1757-1822), che ritroveremo più avanti in questa storia.

    Ancora in quel memorabile 1805, Domenico Manzoni comprò il grande palazzo quattrocentesco che era stato della nobile casata Morattini e che il nuovo ricco fece affrescare da uno dei massimi esponenti dell’arte neoclassica, quel Felice Giani (1758-1823) la cui fama arrivò fino a Caterina ii di Russia.

    Con la Restaurazione, con il ristabilimento del governo pontificio in Romagna, non solo Manzoni non ebbe alcun fastidio, ma nel 1817, quando fu ammazzato, egli era consigliere municipale: prova che, per chi è molto ricco, fra le cose che può permettersi senza rendere conto a nessuno ci sono le opinioni e le attività politiche, passate presenti e future.

    Chi voleva morto Domenico Manzoni? E perché?

    Il delitto suscitò in città uno scalpore eccezionale. La vittima era notissima, l’omicidio particolarmente brutale (il povero Manzoni fu quasi sbudellato) e, come scrisse il cardinal Spina, legato di Romagna, nella sua notificazione del 9 giugno 1817, «inorriti (sic) da sì atroce misfatto ci facessimo (sic) un dovere di attivare sull’istante le più diligenti ricerche per iscoprire l’Assassino».

    Furono promessi 500 scudi romani a chiunque desse informazioni utili all’arresto dell’omicida. Nessuno si presentò, anche se era garantita «la piena impunità, semprechè però ei non sia il reo principale».

    La vedova del banchiere, Geltrude Versari, «perfetta signora di virtù e di sapere», era assolutamente certa, e continuò a sostenerlo fra gli intimi, che suo marito fosse stato ucciso per ordine del ravennate Alessandro Guiccioli (1761-1840), conte di Monteleone e cavaliere dell’Ordine di Santo Stefano.

    È triste dirlo, ma costui è passato alla storia soprattutto come marito dell’amante di Lord Byron, Teresa Gamba Ghiselli (1798-1873), la quale sposò a vent’anni il nobile che ne aveva trentasette più di lei.

    Guiccioli aveva rapidamente abbracciato gli ideali della rivoluzione dell’Ottantanove, ma lo aveva fatto per interesse. Aveva capito, prima di altri, che apparivano sull’orizzonte italiano nuovi padroni, più forti e determinati dei vecchi, e dunque era meglio essere dalla loro parte. Guiccioli fu dunque un patriota della prima ora, e anche per questo Napoleone lo nominò presidente dell’Amministrazione centrale dell’Emilia nel 1797. Con questa altissima carica politica, Guiccioli diresse la vendita dei beni ecclesiastici sequestrati, curando i propri interessi prima e meglio di quelli della Repubblica Cisalpina, acquistando terreni e edifici a un prezzo che era la metà, un terzo del loro reale valore. Con questa pratica truffaldina, il cittadino Guiccioli non solo ricostruì il patrimonio familiare dissestato, ma lo ingigantì. Le terre che il conte possedeva andavano da Rimini a Venezia, ed erano belle terre grasse e produttive, erano boschi, risaie, poderi su cui esistevano quattrocento case coloniche, tutte abitate da contadini che lavoravano per arricchire lui, il quale pareva non stancarsi mai di nuovi acquisti; quasi che imitasse il suo idolo, Napoleone, nella smania di ingrandire la vastità delle terre che dominava.

    Proprio per un ennesimo acquisto di terreni, Guiccioli si era rivolto a Domenico Manzoni per un grosso prestito. Quando non arrivò puntuale la restituzione con gli interessi, il banchiere forlivese non ci pensò due volte e denunciò Guiccioli, che per questo si fece alcuni mesi di galera, a Castel Sant’Angelo, nel 1816.

    L’eco della controversia giunse fino a Forlì, registrata dallo storico Savorani che, nel settembre di quell’anno, così scriveva: «Manzoni per via d’oro e di protezioni ha vinto la causa contro Guiccioli».

    La stessa Teresa scrisse che Manzoni, per ingraziarsi il tribunale pontificio nella causa contro suo marito, aveva mandato a Roma reliquie di santi.

    È facile capire che al conte ravennate, che Byron definì «un uomo potente e privo di scrupoli», si pensò come il probabile mandante dell’assassinio di colui che gli aveva fatto subire la vergogna della prigione. Il sospetto, che tuttavia non fu mai provato, era molto diffuso e narrativamente non faceva una piega: il parvenu aveva disonorato il nobile d’antica casata perché aveva preteso la puntuale restituzione del prestito: una volgarità segno dei nuovi tempi.

    Anche Byron, che pur da un punto di vista particolarissimo era amico del conte, non rifiutava l’ipotesi dell’omicidio su commissione, e così scriveva in una lettera a Hobhouse:

    Il cavaliere conte Guiccioli è fortemente sospettato di avere già eliminato due persone: un certo Manzoni, che era stato la causa della reclusione del conte in Castel Sant’Angelo a seguito di una controversia o qualcosa del genere (questo Manzoni mentre si recava a teatro è morto sul colpo, pugnalato poco dopo l’uscita del Guiccioli dal carcere, ma nessuno sa da chi), e un commissario che con lui si era scontrato.

    La vedova del banchiere, Geltrude Versari, pregò lo scrittore Pietro Giordani di scrivere il necrologio del marito assassinato. Non sappiamo quando e come iniziò l’amicizia del letterato piacentino con i Manzoni di Forlì. La prima testimonianza certa di questa relazione è una lettera di Giordani al banchiere del dicembre 1808. Nel settembre dell’anno successivo, il Giordani era per la prima volta ospite di Manzoni a Forlì. Lo scrittore, che aveva grande stima e affetto per la Tudina, così chiamava Geltrude, promise ma poi non terminò l’elogio, che non andò mai oltre l’abbozzo.

    In esso, la morte violenta di Manzoni è riferita a questioni di soldi e di invidia e di avidità. Sono solo brevi appunti, ma veramente eloquenti: «Uso buono che si poteva fare de’ beni nazionali: invece abbandonati alla cupida ingordigia di pochi». E ancora: «Onde gli arricchiti hanno inimici naturali tutti quelli che prima li conobbero. Si aggiungan quelli ai quali han fatto espressa ingiuria e danno nella roba». (E qui pare evidente che alluda a Guiccioli).

    E ancora: «In Romagna sono frequenti le meditate vendette, altrove assai più rare».

    Manzoni, nel 1816, quando mandava in galera Guiccioli, era un fedele suddito del papa re; aveva fatto dimenticare la sua vecchia condanna per giacobinismo; anzi, era tanto devoto all’autorità ecclesiastica che quando l’odiato monsignor Nembrini lasciò Forlì (era stato provvisoriamente governatore di Romagna), si nascose in casa di Domenico Manzoni di cui usò la carrozza per uscire in segreto dalla città, il 14 novembre 1816.

    Teniamo a mente queste date, che convergono tutte verso la tragica sera del 26 maggio 1817: pochi mesi prima di venire accoltellato, Manzoni si era fatto un nemico potente e violento (il Guiccioli) e s’era fatto detestare dai vecchi compagni rivoluzionari, carbonari e massoni.

    Molti di quelli che erano stati incarcerati, o mandati in esilio, non perdonavano a Manzoni questo suo tradimento: per far soldi, aveva rinnegato gli ideali e i giuramenti di lotta all’oppressione. Nel 1816, Manzoni era a Roma, probabilmente per seguire la causa contro il conte ravennate. Si sparse la voce a Forlì che, in quell’occasione, il banchiere avesse fatto rivelazioni sulla carboneria romagnola per ottenere in cambio appalti vantaggiosi, e magari anche un titolo nobiliare. Erano solo voci, certo, ma che rivelano come Manzoni fosse considerato dai suoi concittadini. Insomma, se non era veramente un pescecane che s’arricchiva sulla carestia, i forlivesi lo credevano capacissimo di esserlo.

    E infatti entra ora in scena un’altra protagonista di questo giallo storico: la fame.

    Nel 1816-1817, tutta l’Europa fu flagellata dalla carestia; fu l’anno senza sole, causato dalla gigantesca eruzione del vulcano Tambora, in Indonesia, che coprì la terra con uno strato di ceneri le quali impedirono il normale passaggio dei raggi solari. In Romagna, il grano costava 6 scudi lo staro (misura di capacità per cereali, pari a litri 72,16); prima d’allora, anche nei momenti più critici, non aveva mai superato i 5 scudi. L’aumento del prezzo fu registrato tra aprile e maggio 1817: Manzoni, ricordiamolo, fu ucciso il 26 di quest’ultimo mese.

    La popolazione, stremata dalla fame e dal tifo petecchiale, vedeva in Manzoni un accaparratore che, per speculare sulla carestia, con la collusione di amministratori pontifici corrotti, comprava il grano fuori regione per poi rivenderlo a prezzi altissimi in Romagna. L’uccisione del banchiere fu creduta

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