Corri a scuola durante il terrorismo: il giallo del sequestro Moro
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Corri a scuola durante il terrorismo - Liana Maccari
Corri a scuola durante il terrorismo
Il giallo del sequestro Moro
Liana Maccari
romanzo
Corri a scuola durante il terrorismo
EDIZIONI SIMPLE
Via Trento, 14
62100 Macerata
info@edizionisimple.it / www.edizionisimple.it
ISBN edizione digitale: 978-88-6924-397-4
Stampato da: WWW.STAMPALIBRI.IT - Book on Demand
Via Trento, 14 - 62100 Macerata
Tutti i diritti sui testi presentati sono e restano dell’autore.
Ogni riproduzione anche parziale non preventivamente autorizzata costituisce violazione del diritto d’autore.
Prima edizione cartacea: luglio 2016
Prima edizione digitale: maggio 2018
Copyright © Liana Maccari
Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo, riservati per tutti i paesi.
A mio padre
Agli Americani. Noi Italiani siamo in debito con loro perché ci hanno liberato dal fascismo. E’ ora che ripaghiamo il debito con la stessa moneta, liberandoli dal fascismo. Il fascismo è mondiale, ma non vi è dubbio che abbia le sue radici in Italia. Lavorandoci molto, è qui che si può sconficcare.
Nel giugno 2007 agli Esami di Stato per la maturità, fu dato un compito sulle Brigate Rosse e sul sequestro di Aldo Moro, che è ancora per gli Italiani il più vivo trauma storico. Sono argomenti dei programmi ministeriali di Storia. Come era prevedibile nessuno lo svolse.
INDICE
Parte prima
Compito in classe sulle Brigate Rosse
I - Dov’è lo Stato?
II - Si vede l’isola di Ponza
III - Modello Montezuma
IV - La finzione del gruppo autonomo
V - Un altro Simon Bolivar
VI - Presto incontrerai l’uomo della tua vita
VII - Robespierre
VIII - L’onorevole Aldo Moro
IX - La copia del
delitto Matteotti"
X - Ladra!
XI - Salvo il metronotte
XII - Il telefono del generale
XIII - San Paolo, un compito più facile!
XIV - Chapeau, Madame!
Parte seconda
XV - Perché il 1978
XVI - L’allarme bomba
XVII - Un giorno di scuola felice
XVIII - La destra e la sinistra nel cortile del liceo
XIX - Il porto delle nebbie
XX - L’isola del tesoro
XXI - L’influenza
XXII - La matematica
XXIII - Chi c’era e chi non c’era
XXIV - Marzo 1978
XXV - Non abbiamo il telefono
XXVI - Quattro in latino
XXVII - Il sequestro di Aldo Moro
XXVIII - La denuncia contro mio padre
Parte terza
XXIX - La settimana santa
XXX - Aprile 1978
XXXI - Quinto potere
XXXII - Ventinove chili
XXXIII - La geografia e la filosofia
XXXIV - L’Italia è la patria del teatro
XXXV - Il punto di vista del Dollaro
XXXVI - Non dovete scrivere contro la violenza
XXXVII - L’amicizia
XXXVIII - Le gare sportive
XXXIX - La Primavera
XL - Il compito di francese rimandato
XLI - Ti bocciano
XLII - Il no dell’Assemblea di classe
Parte quarta
XLIII - Maggio 1978
XLIV - Sulla corriera
XLV - La festa della mamma
XLVI - L’uccisione di Aldo Moro
XLVII - Lo sciopero per Aldo Moro
XLVIII - La verità
IL - La coprofilia
L - Gli occhialetti tipo Gramsci
LI - Il sorteggio
LII - L’ultimo compito di francese
LIII - La scaramanzia del nome
Parte quinta
LIV - Paura dell’Assemblea di Riconoscimento
LV - Mìrna Guarbergo nel Liceo
LVI - Assemblea di Riconoscimento
LVII - Discorso di Mìrna Guarbergo all’assemblea
LVIII - Un Manifesto per Aldo Moro
LIX - Il ritratto della madre di Cecilia
LX - Giugno 1978
LXI - Ultimi giorni di scuola
LXII - La borsa di studio
PARTE PRIMA
Come hai potuto scrivere questo, trentasei anni dopo?
Dopo trentasei anni di studio, ho potuto scrivere questo.
Compito in classe
Il candidato trovi le Brigate Rosse e le esponga, mettendo in luce le sue conoscenze storiche, le sue competenze letterarie e le sue capacità critiche nel vaglio delle fonti. Sarà oltremodo valutata la originalità della forma espressiva sia in prosa che iconica, la varietà dei punti di vista, la novità della composizione.
Svolgimento
I Dov’è lo Stato?
16 Marzo 1978, ore 12: Aldo Moro doveva avere le mani slegate, per scrivere quei pochi appunti con disegno, chiamati memoriale
anni dopo, e poi scomparsi per sempre. Dov’è lo Stato?
Scrisse. Erano stati assaliti da ogni parte, una imboscata, poco prima di entrare nel cortile di Palazzo Chigi. Gli spostamenti della sua auto presidenziale, con gli uomini di scorta e dell’altra auto di scorta, erano seguiti dai Carabinieri. E in divisa da carabinieri erano anche gli altri, che lo avevano trascinato giù, via dall’auto e fatto salire su un’altra macchina, e poi giù, mitra nelle costole, pistola alla schiena, e poi l’elicottero, quel pilota piccoletto, che sembrava lui stesso una libellula. Un elicottero, Santo Dio! Col suo motore rombante, sul cielo di Roma! Dov’è lo Stato? Non lo sta cercando? Non vede il cielo? Non vede niente? Che succede? E’ un colpo di stato! Un golpe. Uno parla spagnolo, deve essere dell’America Latina, dove ci sono gli esperti di golpe.
Sono di là, al telefono, o al televisore. Hanno un televisore e gli stanno tutti attorno. Guardano da ore la televisione? Parlano di due ragazze, ragazzine, una deve essere di campagna. Scommettono sulle due! Chi la vince! E’ brutta, ha il naso lungo, hanno le foto. Vedono da ore le foto di due ragazze in un televisore. Una tivù locale? La chiamano computer. Vogliono mandare i soldi a quella carina. Prostitute!
Ma che bestie sono questi? Una delle due ha fatto la denuncia. Sono troppo interessati alla denuncia tra due prostitute? Vuole disegnarli. I Carabinieri faranno irruzione da un momento all’altro. Sente già il loro elicottero. Gli sembra che nell’aria scoppi un allarme dopo l’altro. Li disegnerà su un foglio di carta: dunque sono quattro. Metterà un’asta graduata, per indicare l’altezza. Sono tutti di piccola statura, il più piccolo è il pilota dell’elicottero, sarà neanche un metro e mezzo, la donna e il giovane saranno un metro e sessanta, il golpista sudamericano sarà un metro e settanta. Ha un giubbotto. Portano pantaloni blu e maglione blu, senza la giacca della divisa, sembra che stiano in casa loro. Non riesce a capire se sono gli stessi che sparavano.
Intanto il sudamericano digita il numero 540243 sulla tastiera e fa vedere agli altri come si fa a telefonare. E’ come su un’astronave. Semplice.
Ci vuole il prefisso
dice Mìrna.
Non ci vole niente
dice Hugo.
Tuttavia il tentativo non riesce. Possible che ci vole il prefisso, dall’astronave? E chi sa quale è il prefisso?
0733 è il prefisso
dice Mìrna.
Così, fatto il numero per intero, Hugo telefona alla figlia di Mìrna, che è tornata a casa da scuola. Bueno, l’allarme in tutta Italia è stato dato dalle scuole e dai figli che tornano a casa. Sullo sfondo un bambino che gioca a pallone. Bueno, anche le scuole elementari li hanno mandati a casa prima. La notizia del rapimento del primo ministro è stata un botto! Una esplosione.
Poi Mìrna, rapidissima, ha usato lei il telefono, per parlare con sua figlia, ma come se telefonasse da casa di un parente anziano, malato, che stava di là, in camera. Gli altri zitti, anzi, erano usciti. Così ha saputo della denuncia. Sua figlia ha denunciato un comunista, per aver ucciso Aldo Moro. Si è stupita. Cosa hai fatto? Una denuncia? Sei matta, vuoi finire sui giornali?
D’altra parte sa di avere il controllo dei giornali. Chi è questo? Ah, il padre della tua compagna di classe. Quella ragazzina coi capelli neri, a caschetto, col naso lungo... perché è più brava di te? Sì, sì, ho capito chi è. Non fare altri colpi di testa, ora vedrò quello che posso fare. Ho delle conoscenze nei carabinieri
. Sa di avere il controllo dei carabinieri. Bloccare la denuncia, firmata da sua figlia Cecilia Corzi? Farla sparire? E intanto far sparire anche quella consegnata al comunista, un contadino, prima che sporga la controdenuncia.
Ha fatto il numero 51127 e poi si è ricordata che occorre fare il prefisso: 0733-51127 e ha telefonato a suo cugino, Guarbergo, come lei, Lavoro Guarbergo, e gli ha chiesto il numero di telefono di suo figlio, l’architetto, Franco, che si è sposato da poco, e che abita lì a due passi, proprio di fronte alla ragazzina, sì, il figlio di suo cugino abita proprio di fronte al comunista denunciato, anzi, il giorno del matrimonio si ricorda di essersi affacciata alla terrazza dell’architetto sposo e di aver visto la casa dei contadini proprio lì sotto, con le loro finestre sempre aperte, da cui si vedeva tutto l’interno e, sull’altro lato del corridoio, le altre finestre aperte, da cui si vedeva il campo coltivato, con il trattore, le persone curve a zappare, le galline a razzolare...
Ah, Frà, mi serve un favore...
e le è andata bene, quando gli ha chiesto di rubare la denuncia: mentre parlava al telefono, il figlio di suo cugino la vedeva, nella casa di fronte, una carta bianca, poggiata sul comò, quello vicino alla finestra aperta. Gli ha chiesto di rubarla, facendogli balenare la paura del nome su tutti i giornali, una paura immensa. Le è bastato raccontargli cosa c’era scritto, cosa ci aveva scritto sua figlia, Cecilia, quella di quindici anni. Quel giorno. E Franco, prima paralizzato dal terrore, (Perché Cecilia ha fatto questo?
Non lo so, un colpo di testa, uno sbaglio, perché quell’altra ragazzina è più brava, perché è più puttana, per motivi così, eppoi sono comunisti!
), dopo era andato a rubare, dopo aver visto che il contadino e la sua famiglia stavano nella casa vecchia, in una cucinetta a piano terra, a mangiare. No, la ragazzina non era tornata dalla scuola, con la corriera di mezzogiorno, poteva tornare solo all’una e dieci, ormai. Quindi l’architetto poteva farlo senza essere visto da nessuno. E Mìrna riuscì a farglielo fare. Ora non restava che fermare i carabinieri, e avrebbe usato i servizi segreti e la voce del capo. Rientrati i tre uomini, di questo parla con loro.
E’ incredibile. I tre uomini seguono tutti i particolari della denuncia fatta da una ragazzetta e i Carabinieri non trovano il primo ministro. Dov’è lo Stato?
Questi terroristi non li pensano proprio, ai Carabinieri che li cercano. Anzi, gli vogliono far fare delle cose, riguardo la denuncia della ragazzetta. Danno loro ordini ai Carabinieri!
Non ci si può credere.
Non credono minimamente che qualcuno li stia cercando!
II Si vede l’isola di Ponza
Il pensiero del parente anziano e malato di là, portò Mìrna a entrare nella camera grande, dove trovò l’ostaggio che si guardava intorno. Le lenzuola, le pareti e il soffitto erano schizzati di sangue. Fuori dalla finestra l’ostaggio vedeva un’isola che forse aveva riconosciuto, ma soprattutto il grande stupore di vedere entrare una donna. E’ l’isola di Ponza - le disse Aldo Moro - siamo sul Circeo. Questa è la casa del delitto di tre anni fa! Cosa ci fai tu qui, una donna?
Sembrava avvisarla di un pericolo che lei non avesse visto, ma lei, incredibile, non se ne fregava proprio. Propose agli altri di imbavagliarlo, perché in caso di intercettazioni, cosa diceva quello? L’ostaggio allora promise di tacere, e chiese da scrivere. Semmai aveva qualcosa da dire, lo avrebbe scritto.
Mìrna rimase a bocca aperta. Scrivere?
Come non gliene fregasse niente di essere sequestrato, ahò gli avevano sparato da tutte le parti, lo avevano ... booouuuum! Voleva scrivere! E dagli da scrivere, almeno sta zitto.
Dopo leggiamo tutto, noi
.
La preistoria - spiegava una professoressa, dal congegno tecnologico, fatto come un televisore - finì quando l’uomo cominciò a scrivere. E’ con la scrittura che iniziò la storia. Lo stesso accadde alla barbarie del medioevo: essa, che pure era stata piena di dispute, di voci, di urla, di violenza, finì via via che si riportavano alla luce gli scritti e si ricominciava con le lettere: la scrittura fu di nuovo l’inizio della storia.
Ascoltavano qualcosa ... come... lezioni di liceo, da una specie di televisore, che chiamavano computer.
Uno rientrò e andò a farsi una doccia, come fosse il padrone di casa. Moro lo scrisse e nascose il foglio. Le sue deduzioni erano di trovarsi sul promontorio del Circeo, di fronte all’isola di Ponza, e che la casa potesse essere la villetta del delitto di tre anni prima. Quindi si trovavano a San Felice Circeo. Non scrisse le sue deduzioni, ma cominciava ad avere un’idea di chi erano gli esecutori, uno dei quali si muoveva come fosse in casa propria.
III Modello Montezuma
Vuole scrivere - disse Mìrna ad Andrea Mori - e meno male, se voleva mangiare?
Non ci pensi tu, che sei una donna?
rispose nervosamente Andrea.
Io? Tu non hai capito niente! Qui tu dovevi organizzare, è casa tua!
gli tenne testa Mìrna.
Lasciami perdere, - disse Andrea - io quello che dovevo organizzare l’ho organizzato, ci sono delle scatolette là. Adesso stiamo sopra ai servizi segreti, cioè a mio padre. Se pensi che sopra ai servizi segreti ci dovrebbe stare lui ( e indicò l’ostaggio), capisci qual è il punto: gli stiamo sopra noi, o li lasciamo al vice, lì, a Andreotti?
Mìrna sapeva già questo: I vostri servizi segreti adesso hanno sopra Andreotti e noi stiamo sopra a Andreotti. Ci deve essere il capo supremo, per noi, così gli stiamo sopra. E’ semplice. Modello Montezuma
La strategia vincente, quella strategia, il modello Montezuma, le si addiceva come fosse stato inventato per lei. Chiunque comandava, lei gli stava sopra. Perciò in casa del generale Mori, comandava il figlio, Andrea Mori, e lei gli stava sopra.
Voi?
chiese Andrea, come se volesse che lei si presentasse. "Chi siete voi?"
Mìrna si inalberò, no, lei non era dei servizi segreti, non era agli ordini di Mario Mori, né del figlio. Gimmy Carter aveva scelto lei, perché era esterna, semmai lei era i servizi segreti quelli di prima, quelli del fascismo, quelli puri e duri. E Gimmy aveva scelto loro. Perciò comandava lei.
Hugo Chiavez la ascoltava con attenzione.
Io soy rojo. Gimmy mi ha scelto personalmente
.
Secondo Mìrna, Gimmy aveva scelto lei, l’ autentica nazista, per comandare, mentre il figlio di Mario Mori lo aveva scelto, come la casa, per ricattare il generale e, con lui, tutti i servizi segreti e, sotto di loro, tutti i Carabinieri. Bisognava vedere tutto in forma di piramide, per vedere la capra in cima, il faraone. E se aveva scelto un rosso, allora doveva essere Hugo a dar da mangiare all’ostaggio, così, se un domani lo riconosceva, tutto doveva portare contro i rossi.
Hugo Chiavez non era d’accordo. Più facile per lui alzarsi e andarsene che stare a discutere. Ma, appena fu in piedi, prese la parola il piccoletto e disse: Ma quando mai un domani lo riconosce! Quello là è un cadavere! Voi dovete vederlo per quello che è già, un cadavere. Non abbiamo nessun motivo per temerlo, o per manipolare la situazione, SIGNORA!
Tutti furono alleggeriti da quella certezza.
Ma non abbiamo un contratto
disse il latinoamericano, Io posso andarmene quando voglio
.
Eccolo!
Disse il piccoletto e tirò fuori un contratto, scritto in bella grafia, a mano, come un atto notarile. Lo esibì, lo fece roteare, lo svolazzò sotto i loro nasi e poi glielo lasciò leggere, recitandolo anche, a memoria: La Cia si impegna a pagare un miliardo a chiunque uccida Enrico Mattei
e proseguì con un cifrario decrescente che comprendeva lo sterminio dei parenti, degli amici, dei collaboratori, dei dipendenti, fino ai compaesani del paese di nascita, Matelica. Con quel contratto disse, aveva lavorato sedici anni prima e si era trovato bene, e sì che ci aveva lavorato per anni e anni. Si inchinò: Sono anch’io figlio di Generale, madame. Roberto Savi, figlio di Ercole Savi, il noto eroe dell’aeronautica militare, ora Generale alla Caserma della sua città, Macerata
.
Mìrna si stupì moltissimo: Tu sei di Macerata?
Roberto, il piccoletto, fece il gesto di volare via. Io sto qua, io sto là, non cerchi di sapere dove sto io, non pensi di saperlo. Lì c’è mio padre. Un giorno vado, gli tolgo la divisa, lo narcotizzo, lo porto al manicomio che sta proprio lì di fronte, dall’altra parte della strada, e lo ricovero lì per sempre. Faccio il generale dell’aeronautica. Un altro giorno, no! Posso prendere qualunque identità: io mangio la pelle.
Sembri matto
gli disse Mìrna, scocciata che Gimmy lo avesse scelto così vicino a casa sua.
Qui solo mostri, non so se lo ha capito, MADAME!
Roberto parlava rapido, ma con alcuni gesti di ostentazione, in genere quando usava parole francesi.
Perciò poi finirono per chiamarlo Robespierre.
Si vede che lassù piacciono solo i mostri!
commentò Mìrna. Lassù sostituiva il nome, Gimmy Carter, e in seguito venne sostituito dal gesto o da uno sguardo verso il cielo. Sì, Gimmy li aveva scelti tutti mostri.
Vuole farci fare la gara a chi è più mostro!
spiegò il piccoletto. Ne lascerà in vita uno solo!
Fece la voce macabra dei cartoni animati dell’orrore.
Mìrna non rispose, aveva occhi freddi in quel momento. Certamente era così, maledetto Carter, e ognuno di loro, proprio perché era mostro, pensò subito di far fuori Gimmy Carter, a tutti i costi, come priorità. Prima regola, il silenzio.
Si erano capiti al volo.
IV La finzione del gruppo autonomo
Ah - disse Mìrna - l’ostaggio... quello là, lo chiamerò Aldo, come mio marito, caso mai ci intercettano, ha riconosciuto il posto. Dice che è la casa di un delitto... vuole che gli cambi le lenzuola
rise.
Le lenzuola sono insanguinate?
chiese il piccoletto. Stava fissando la moquette. Come questa moquette?
Sembrava veramente impressionato. Guardava tutto da vicino, con un’aria investigativa.
Fagli portare il cibo da lui, così vede il mostro
disse.
"No - disse Andrea - mi riconoscerebbe con sicurezza. Sa che la casa è di mio padre. Non era noto a nessuno, ma lui, come Presidente, è diventato il capo democratico dei servizi segreti e ha avuto accesso a tutte le informazioni riservate e la prima cosa di cui si è interessato è stato proprio questa cosa di mio padre. E’ meglio se non mi vede. Non lo potrà affermare di sicuro. Voi sapete che lo dobbiamo uccidere?"
Nessuno degli altri sapeva questo con certezza. Si comportavano come un gruppo autonomo, che non avesse nessuno sopra, si dovevano comportare così, e ogni giorno era stato ben programmato. Sì, il contratto della Cia, esibito da Roberto Savi parlava di uccidere, ma era quello di Enrico Mattei, intanto tutto era stato organizzato per il sequestro, questa volta. E intanto che il tempo passava, o Gimmy faceva fuori loro, o loro cercavano di scalare la piramide.
Andrea uscì di nuovo.
Vai tu di là, per il mangiare
disse Mìrna al piccoletto.
No, grazie, non ho fame - rispose Robespierre - è anche troppo magro per me, e non abbastanza frollato.
Sembrava che scherzasse a far finta di essere quel mostro che invece era.
V Un altro Simon Bolivar
Mentre mangiavano carne in scatola, Mìrna chiese a Hugo Chiavez: Tu, che mostro sei?
Hugo parlava italiano, con cadenza latina, e rispose con grande formalità: No, io non sono un mostro!
Chiarito questo le descrisse come era stato scelto da Gimmy Carter, e mandato all’Ambasciata Americana, dove gli avevano prelevato il sangue, e anche lo sperma, e così non poteva più tradire la operazione molto speciale, perché le prove comunque sarebbero rimaste lì.
Mìrna era molto fredda con lui. Era un comunista, e Mìrna riteneva che ci doveva restare, o secco, o essere colto alla fine con le mani nel sacco. Non gli dava confidenza, e invece lo faceva parlare. Perché sei qui?
gli chiese. Hugo disse che doveva aiutare il suo Paese, il Venezuela. Il suo modello era Bolivar, Simon Bolivar. Era stato un agente segreto dell’Inghilterra, che lo aveva mandato in Europa, dove Bolivar certo aveva fatto il killer, organizzato colpi di stato, fatto scoppiare grandi guerre, usato nomi falsi e travestimenti. Quando era tornato nel suo Paese, in America Latina, aveva potuto fare del bene, e governare e aiutare il suo paese. Ha creato delle nazioni, e una di esse ha preso anche il suo nome, la Bolivia, ma un’altra è il Venezuela. Ma voi in Italia, capite meglio se si prende il padre di tutti questi combattenti, il padre dei rivoluzionari del mondo intero, che hanno poi creato la loro patria, l’eroe dei due mondi, Garibaldi, l’eroe con la