I quesiti di novizio Calabrone
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Info su questo ebook
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… Un uomo che cede al lusinghiero canto delle sirene di una comunità esoterica, diventandone poi un fervente oppositore.
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Un mondo su misura, generato da una fervida immaginazione, che non solo non si fa problemi a manomettere i processi della mitopoiesi, modificando il senso etico dei vecchi miti, ma addirittura ad aggiungerne di nuovi pur di creare consenso intorno a sé, facendo così correre il rischio al prossimo, e anche a se stessa, di perdersi entro quel limbo, spesso intangibile, che separa labilmente il vero dal falso.
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Se va bene si può scapolare, come accade al protagonista, che suo malgrado si trova a recitare una parte sicuramente non cercata, ma ideale per il proscenio di un rinnovato tragicomico racconto, tipico della commedia e della farsa all’italiana.
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Un romanzo esoterico ironico e dissacrante che ti farà sorridere e divertire dalla prima all’ultima pagina.
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Anteprima del libro
I quesiti di novizio Calabrone - Luigi Randaccio
143
I
Molto tempo fa Danilo fece un sogno meraviglioso.
Galleggiando nell’aria, ma consapevole di non essere percepito, si trovò nel corso di un rito mai visto. Era vicinissimo a uomini e donne in veste bianca che cantavano in una lingua strana. Avevano movimenti plastici e regali e, nello smuovere con solennità le foglie di palmizi che tenevano con le mani, procedevano in sincronia con le proprie voci in coro.
In quel sogno provò una sorta di estasi e beatitudine, anche se era cosciente che presto la bellezza sarebbe terminata: probabilmente si stava risvegliando.
Danilo era un uomo sulla quarantina, grande e grosso, con capelli bruno-rossicci lunghi fino al mento e con barbone folto, sembrava un incrocio tra un orco e il Lider Maximo della rivoluzione cubana. Nonostante l’aspetto, era un discreto infermiere che lavorò nell’ospedale di Torino, ma anche in altri luoghi e contesti. Durante il servizio in corsia prima o dopo le prestazioni ai ricoverati, sbirciava sempre cosa costoro avevano da leggere sul comodino, pur senza distrarsi troppo. Faceva questo per carpire le loro preferenze e parte del loro essere, in modo tale da non trovarsi impreparato in un rapporto con perfetti sconosciuti e mettersi in sintonia con loro per rendere il più possibile empatica e simmetrica la relazione d’aiuto.
S’imbatté veramente in tutto e, anche quando gli capitò pure di lavorare nel centro clinico delle carceri, ebbe da interloquire (poco e sotto sorveglianza) con un capo camorrista detenuto e ricoverato. Alla sua domanda su cosa leggesse di bello, questi gli passò manate di giornali porno e lui, dopo averli guardati frettolosamente perché imbarazzato, li passò agli agenti; erano tutti giovani. Altra musica invece con il cassiere di una nota cosca mafiosa che trovò al reparto detenuti di un nosocomio; questi era sempre in silenzio e garbato nei modi e da quel punto di vista aveva ben poco da far trapelare, anche perché consultava solo la cronaca, il Sole 24 ore e altri giornali di economia.
Diversi anni dopo, in un reparto normale d’ospedale, Danilo s’imbatté in una ragazza lì ricoverata che sul comodino aveva un libro strano di esoterismo, scritto o comunque fornito da uno che si faceva chiamare Minotauro. La casa editrice faceva riferimento a una divinità egizia, Edizioni Gempaaton (Aton è stato trovato), nella cui collana campeggiavano titoli strani di testi assurdamente interessanti per coloro che, come lui, anelavano a risposte non certamente facili, ma almeno in parte esaustive.
Di libro in libro, procurati e letti con avidità, apprese dell’esistenza di una comunità esoterica dallo stile New Age, che all’epoca era molto di moda. I suoi adepti portavano pure un nome di animale o di spirito della natura, o addirittura di esseri mitologici come appunto quel Minotauro, ma anche veri e propri personaggi partoriti dalla fantasia di tutte le civiltà conosciute; molti possedevano anche un secondo nome di vegetale, così da apparire all’orecchio profano come una sorta di nome e cognome. Comunità New Age dunque, non proprio ma quasi. Anzi, di più. Attraverso la casa editrice di sua proprietà, quella comunità sapeva raccontarsi benissimo così da apparire una Shangri-La non tra le alte montagne del Tibet, ma ben più vicino. Ossia tra le alture del Piemonte, in provincia di Torino. Entusiasta, Danilo lesse quasi tutti i suoi testi che, pur numerosi, si reiteravano nello stesso racconto di un modello sociale alternativo, basato su cooperazione e solidarietà. Così pure un modello di agricoltura, artigianato e commercio eco sostenibile basato sul prodotto locale, arte à gogo di gente comune
con la ricerca costante di nuovi canoni, e poi la parte esoterica che parlava della reincarnazione, del karma, del riscatto della divinità uomo, ancora svantaggiata nell’eterna lotta tra il bene e il male. Troppo allettante per passare inosservata.
Danilo non perse tempo e ne contattò un centro di Torino, il cui indirizzo era riportato sui libri. Vi andò su appuntamento trovandovi un’impiegata dal nome Cerbiatta, che aveva veramente uno sguardo di cerbiatto. Come si fa a non rimanere affascinati da una roba del genere? Si buttò con tutto l’entusiasmo in un profluvio di parole che elogiavano quella nuova realtà e chiese lumi sui vari corsi che mettevano a disposizione del pubblico. Cerbiatta, vista la sua elevata predisposizione a saperne di più, lo iscrisse al corso di Tecnica Ascetica.
Circa una settimana dopo lo chiamò al telefono un tale Crono, che lo convocò di fatto all’appuntamento a un determinato giorno e a una determinata ora. Completò pure il suo incarico raccomandando a Danilo di non lasciarsi sfuggire l’opportunità che gli si era presentata, perché quel corso di Tecnica Ascetica sarebbe iniziato, per opportunità del destino, solo per lui e pochi altri presso la comunità di Luxor, sita non molto distante e a nord dal capoluogo subalpino. Non essendo certo uno studioso di egittologia, Danilo ebbe tutto il tempo di documentarsi e scoprire che la vera Luxor fosse però una città dell’Egitto attuale, sita sulla sponda est del Nilo e sorgente sulle antiche rovine di Tebe. Il suo territorio ingloba due grandiosi complessi templari dell’epoca dei faraoni: uno quello omonimo e l’altro quello di Karnak, entrambi costruiti nel periodo forse più interessante della storia antica dell’Egitto. Di quell’epopea non passa inosservata la figura di Amenofi IV, perché stravolse le tradizioni facendo nascere una nuova religione sostanzialmente monoteista, anche se riservò per sé il ruolo di socio di minoranza
con la divinità. Volle una nuova capitale, Akhetaton, più a nord di Tebe. Mutò il proprio nome in Akhenaton e cercò pure di creare una società diversa, riuscendo così a rendersi più immortale degli altri faraoni rimanendo tutt’oggi fonte di analogie e ispirazione per molti.
Finito il proprio turno di lavoro, Danilo quel giorno si recò all’appuntamento, trovandosi così finalmente alla Luxor piemontese. Nell’attesa di essere chiamato insieme ad un’altra ventina di persone circa, la visitò, più emozionato che incuriosito sapendo in parte com’era per via dei suoi libri letti e visti in precedenza. Un conto però sono le immagini in fotografia, un altro è visitarla: rimase quasi paralizzato nel vedere quelle imponenti colonne che si stagliano liberamente protese verso l’alto, dando l’idea di antenne alla ricerca perenne di un contatto rivelatore, quasi telescopi che scrutano l’universo. Statue, menhir, gente con disegni strani sul volto, anche le bancarelle con gli incensi e pure i loro prodotti artigianali che spaziano dal vestiario, gli alimentari e l’oreficeria con gioielli mai visti prima ma anche le Bleff: strani circuiti per lo più in rame, filo da pesca o da cucito ma anche d’oro dalle incredibili (nel senso di non convincenti) virtù taumaturgiche. Alcuni punti della città erano preclusi ai semplici visitatori, quasi si trattassero di luoghi pericolosi o da lavori in corso, forse lo erano ma aumentavano ancora di più la curiosità di Danilo e non era l’unico. Sebbene gli autoctoni la considerassero un difetto tipico del mondo caduco e fallace, in realtà l’alimentavano appositamente per sedurre nuovi possibili estimatori, un po’ come il colore vivace dei fiori per attrarre gli insetti. Tutto sommato la preclusione ai profani si limitava a uffici vari e poche altre cose quali un piccolo parco cintato, nel quale si intravedevano tra le piante cose strane, tipo una baracca in legno ampia quanto una grande tenda da campeggio, massi disposti in modo non casuale e statue di ceramica. Particolarmente strano era un locale sotterraneo, precluso ai visitatori e riservato solo ai cittadini, un luogo molto trafficato, da cui questi scendevano e salivano frettolosamente in continuazione per un’ampia scala, un po’ come l’ingresso di una metropolitana, richiamando così a un modello frenetico ma di simil operosità ed efficienza tutta meneghina, tipica all’epoca della famosa Milano da bere con tangentopoli agli albori. A implementare la scenografia stupefacente vi era un sistema interfonico che mandava in onda splendide musiche autoctone, corredate pure da canti in lingua sacra eseguiti in prevalenza da voci femminili, le quali sembrava appartenessero alle strafighe locali che andavano in giro mostrando (anche) il proprio volto bellamente dipinto con ideogrammi in questa lingua. Si udiva poi un’altra incantevole voce femminile che, prevalendo sulla filodiffusione come nei supermercati anni Settanta, invece di reclamizzare i prodotti chiamava a voce alta i vari adepti, tipo: Cornacchia si metta in contatto con Camoscio
, Cervicapra è attesa in segreteria
, Pecari al telefono
. All’epoca non c’erano i telefonini e ben qualche anno dopo ne possedettero i primi modelli preistorici solo il grande capo e il veterinario, di nome Capra, che in un posto così non poteva certo mancare.
A LX (Luxor) dopo un po’ di tempo, gli adepti scelgono un nome di animale o di spirito di natura oppure di creatura mitologica. Teoricamente la scelta che riguarda il nome di animale è motivata dal desiderio di salvarne
la specie, ammesso che sia in via di estinzione. In realtà si sceglie il nome di animale le cui fattezze, indole o fama riprendono alcuni tratti fisici e non della persona. Ad esempio, Scoiattolo è un tipo con i dentoni sporgenti e le gote pienotte, Vitello invece persona mite dagli occhi pacati e dolci, Iena un vero cesso a tavola, Gamberone un giovane prorompente, forte, rude e rosso di capelli. Nutria è una signora un po’ in carne, intelligente e pure lei con denti di tutto rispetto. Oppure c’era chi, prendendo il nome di animale, aspirava ad acquisirne le qualità che gli mancavano. Cito ad esempio Greyhound, ragazza non esattamente in sintonia con l’italiano ma nemmeno con i propri glutei, o Hermes, che aveva la velocità del bradipo quando non era del tutto statico da sembrare un impalato. Mai qualcuno che si fosse però fatto chiamare Verme, Ratto, Maiale oppure Blatta, Pollo, eccetera. Arpia però c’era e chissà se si identificava più con la meravigliosa aquila della foresta pluviale o l’orrenda creatura mitologica.
Il fondatore Dellacerchia, Modesto, si attribuì invece molto sommessamente il nome di Grifone, non però il pennuto bonaccione, rapace solo per la catalogazione scientifica, bensì, guarda caso, dava umilmente a intendere di richiamarsi a quella creatura mitologica metà aquila e metà leone, quindi dalla doppia natura, in parte terrestre e in parte divina, peculiarità che in passato ispirò fantasie di personaggi altrettanto umili. Pare che quel nome se lo diede né più né meno con la stessa facilità di come Napoleone si incoronò da sé. Poco prima di quando Danilo venne a conoscenza di quella realtà, però, pare che a causa di presunti errori di operazioni magiche sbagliate da parte degli adepti, lui stesso si auto sospese il nome. Il Maestro decideva se concedere il nome di animale o altro a chi glie lo chiedeva. Lui stesso o chi per lui, altrettanto li toglieva, come nel caso di apostasia... beh, in certe realtà teocratiche c’è la pena di morte, cosa vuoi che sia la perdita di un soprannome, di animale vero o mitico poi? Eppure, per la comunità era come una messa al bando, uno stigma greve e lui, da persona furba che era, facendo leva sui sensi di colpa dei suoi sottoposti, e con il pretesto di un suo insindacabile giudizio si tolse il nome in realtà per aggiungere ulteriore autorevolezza a quella che già aveva. Infatti, poi con la solita modestia se lo riprese; la cosa funziona ugualmente come per gli scioperi della fame o i digiuni gandhiani da parte di certi personaggi famosi del mondo fallace esterno a Luxor, che così hanno rafforzato ancora di più le loro posizioni verticistiche.
Ai cittadini con più anzianità, su richiesta loro come anche in base ai meriti, veniva concesso pure il nome vegetale che, ripeto, suona un po’ come un cognome e anche in quel caso nessuno si scelse finocchio, fico d’India o cicuta ma neppure belladonna o aglio per via dell’alito sgradevole che lascia, anche solo nel nominarlo. Una cosa è certa: individualmente ci si abitua in fretta, Danilo stesso in seguito si sarebbe poi scelto il nome di Calabrone che gli venne accordato dal capo dopo una riuscitissima recita teatrale. Ad attribuire nomi c’era anche lo Sguardo della svista, incomprensibile terzo corpo di Luxor, i cui ruoli erano altrettanto confusi. Di certo appioppava nomi poco nobili per quell’umorismo definito divino dal Sommo, ma solo quando riguardava gli altri. Più umoristicamente però ci pensavano i cittadini a scherzare tra loro sui nomi, e così per esempio Silfide diventava sifilide, Torpedine diventava torpedone in quanto fuori taglia, e pure Danilo fu simpaticamente ribattezzato grosso calabrese vista la sua corpulenza. C’erano anche i vari nomi abbreviati che si davano a vicenda le fanciulle appena adulte o le donne comunque giovani ed erano ad esempio Panty per pantera oppure Cavy per Cavalletta. L a stessa moglie di Danilo in comunità prese il nome di Donnola, in quanto ghiotta d ella carne di coniglio. Invece la sua prima figlia, allora bambina, quello di Cincillà, in quanto semplicemente animale dai tratti gentili anche da adulto e quindi grazioso. Si evince che portò con sé la sua famiglia; lì vi erano tante famiglie arrivate, altre invece nate sul posto. La comunità era molto grande in fatto di persone, anche se c’era un balletto continuo di cifre mai definitive, ma quello che saltava poco dopo all’occhio era la facilità di come le coppie si separavano per formarne altre, con partner diversi. Del resto, la coabitazione costante, oltre che la condivisione di tante attività, da quelle lavorative per il sostentamento individuale ad altre di cui si tratterà più avanti, porta ad avere continui confronti con l’altro sesso e lì gli stimoli non mancavano di sicuro. La stessa sua figlia, anche se bambina, capendo velocemente l’antifona, chiedeva costantemente rassicurazioni a lui e sua madre circa la