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Piano concerto Schumann
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E-book166 pagine1 ora

Piano concerto Schumann

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Info su questo ebook

Il Piano Concerto Schumann e il dono di una spinetta precipitano la pianista Fiamma Fogliani in una spirale di emozioni e intrighi. La quête prenderà corpo dentro e fuori di sé, inducendola a riscoprire nell’amore per la musica la sua ragione di vita e la sola possibilità di affrontare la violenza e il male.
Docente di Lettere, cura presentazioni di libri ed eventi letterari nella sua città. Ha pubblicato quattro sillogi poetiche, ottenendo premi e riconoscimenti.
Al 2013 risale la pubblicazione del suo primo romanzo, Ed era colma di felicità.
LinguaItaliano
Data di uscita3 mar 2019
ISBN9788835374305
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    Anteprima del libro

    Piano concerto Schumann - Paola Maria Liotta

    vita.

    PARTE PRIMA

    Allegro affettuoso

    Non si può suonare se non si vive,

    anche se si può vivere senza suonare.

    MARTHA ARGERICH

    I

    Nell’udire al telefono la voce di Fiamma, la signora Fogliani si rianimò. Bastava un niente per scuoterla. La sua voce ritrovò vigore: all’altro capo c’era sua figlia, la sua giovinezza, il suo meraviglioso talento.

    «Maman», proruppe Fiamma, tutta una vibrazione – sin dal tempo dei suoi studi parigini la chiamava così – «come stai?» e, senza attendere risposta, esclamò: «Piano Concerto Schumann!».

    Con tale concisione, ogni volta, le annunciava quali nuove imprese pianistiche la attendessero.

    La signora, che adorava Schumann, fu tutta un tripudio.

    Omise, però, Fiamma, il nome di Albert, che anni addietro l’aveva diretta nel celebre concerto. Intanto sua madre andava ripensando proprio al Piano Concerto ascoltato, dieci anni prima, a Parigi.

    «C’era un bravo direttore d’orchestra…», sussurrò, in attesa che Fiamma parlasse.

    «Marni, Albert Marni», rispose la giovane, in un impeto di rossore, che Donatella non poté vedere ma che, nel sussulto con cui la figlia pronunciò il nome di Marni, le fu evidente.

    Fiamma si rammentava, come fosse ieri, dell’ultimo incontro con lui, avvenuto lo scorso dicembre.

    Si erano rivisti a casa di Hamilton Formby, e solo per lei il maestro aveva avuto occhi e orecchi.

    Tutti i presenti se ne erano accorti, percependo quale forte consonanza legasse quelle due anime eccezionali.

    Non rammentava del tutto cosa si fossero detti, però risentiva con vivezza le emozioni che aveva provato in quei frangenti.

    Erano già trascorsi due lustri dal seminario che li aveva fatti conoscere, a Parigi, quando era ancora allieva di monsieur Rosen.

    Se non che, all’improvviso, il maestro aveva dovuto lasciare il ricevimento, richiamato dal suo addetto stampa. L’indomani, infatti, sarebbe dovuto ripartire per Tokio, per l’ennesima tournée.

    Quindi, con gran dispiacere del padrone di casa, sir Hamilton, Marni si era congedato da lui e dagli invitati, Fiamma in testa.

    II

    Della madre, Donatella Fogliani, nata Lupi, prima che la malattia infierisse su di lei, Fiamma serbava ricordi indelebili.

    Con i figli più grandi, la donna era stata di un rigore teutonico, invece alla piccola Fiamma aveva veramente dato il cuore, anche se i maschietti le strappavano lo stesso, con vezzi e capricci, parecchie concessioni. Era un assenso speciale, il suo, per cui, dopo i primi dinieghi, colpita dalle ragioni dei figli, finiva con il farsi estorcere proprio quanto avrebbe voluto loro negare: dai dolci fuori pasto alla possibilità di starsene sotto le coperte, nelle brutte giornate d’inverno, anziché andare a scuola.

    Adolfo Fogliani, d’altronde, a causa dei frequenti spostamenti per motivi di lavoro, era spesso lontano da casa, così la moglie si era ingegnata nel far quadrare come meglio poteva il ménage familiare. La scoperta della malattia, poco dopo i sessant’anni, era stata un fulmine a ciel sereno. Per fortuna il marito la ricopriva di ogni premura per alleviare gli effetti della malattia degenerativa da cui era stata colpita. Le sue condizioni di salute, inoltre, erano monitorate dai figli, entrambi medici affermati.

    Con i fratelli, cui era stata tanto legata, Fiamma ormai si frequentava di rado; Raimondo e Mariano Fogliani, infatti, erano assorbiti dai loro impegni professionali, lei, dai concerti e dalle tournée. Un tempo erano stati dei formidabili compagni di giochi, che l’avevano coccolata o bistrattata da veri fratelli maggiori, coinvolgendola in molte delle loro scampagnate e nei loro giochi. Per il resto, la routine dei giovani Fogliani era stata scandita dagli studi e dallo sport, soprattutto il nuoto. Però nella vita di Fiamma, sin dall’infanzia, un nuovo, meraviglioso amico si era manifestato, sottraendola a ogni altro passatempo.

    Il fascino della tastiera le si era palesato in una pianola rossa, che le era stata regalata a tre anni dagli zii. Essa era divenuta all’istante uno dei suoi svaghi prediletti, cui dedicarsi per interi pomeriggi, traendone scale e armonie inaudite. Il passaggio al pianoforte a mezza coda della mamma aveva rappresentato una necessità quando la pianola, circa un anno dopo, si era rivelata limitante per le sue manine sottili, bisognose di spaziare verso sempre nuovi percorsi musicali.

    La madre, notando la propensione della piccola Fiamma per lo strumento musicale, ne aveva parlato con una sua compagna di studi, Concert Master in un’orchestra londinese.

    La musicista l’aveva subito messa in contatto con uno dei più quotati docenti del suo Conservatorio, un famoso interprete di Beethoven, nonché esperto di pianismo romantico.

    Fu il piglio della bambina a convincerlo, più che l’esecuzione in sé. Le chiese: «Perché ti piace suonare?».

    Lei gli rispose con vocina assennata: «Perché sento cose bellissime, la musica mi prende tutta».

    «Oui», rispose il grande pianista, guardando con aria ineffabile prima la bambina, poi la donna che l’accompagnava, che si sciolse in un bel sorriso.

    I termini finanziari del contratto sarebbero stati chiariti a tempo debito, infatti il maestro, Jean-Paul Rosen, si era subito manifestato poco interessato al guadagno. Il talento della Fogliani era innegabile; suo sarebbe stato il compito di farlo sbocciare e consegnarlo all’umanità.

    Quanto a Donatella Lupi, l’ultimo pensiero era quello dei soldi. L’educazione dei figli toccava a lei; a loro avrebbe dato tutte le possibilità che lo stipendio del marito avesse consentito. Che poi i figli, in futuro, decidessero liberamente su obiettivi e mete, le era apparso consequenziale alla loro realizzazione come persone, che era il vero scopo di ogni suo intento.

    Nel momento in cui si era resa conto di come Fiamma avesse ormai eletto il piano a compagno prediletto di svaghi e di sogni, aveva compreso che, per il suo bene, doveva essere assecondata in quella inclinazione. Forse un giorno non sarebbe divenuta una pianista di fama, ciononostante sarebbe stata una cittadina del mondo, gioiosa e libera di esprimersi nei modi a lei più congeniali.

    III

    Per consentire a Fiamma di approfondire i suoi studi, Donatella si era trasferita con i figli a Parigi, dove, di tanto in tanto, il marito li raggiungeva.

    I due ragazzi frequentavano la Scuola Internazionale, e questo era sembrato ai coniugi Lupi-Fogliani un vero colpo di fortuna perché li avrebbe consapevolizzati nello studio e nell’uso delle lingue.

    Fiamma, invece, veniva seguita da un’istitutrice privata in attesa del rientro in Italia, di lì a qualche anno, e del suo reinserimento in una scuola italiana, da frequentare in parallelo con i corsi di pianoforte in una delle celebri istituzioni musicali della Penisola.

    In Conservatorio, le giornate di Fiamma si svolgevano tutte nello stesso modo: ore e ore di applicazione estenuante, da cui lei riemergeva felice, una gran curiosità per tutto ciò che, di nuovo, la attorniasse e un forte desiderio di tornare al più presto al suo piano.

    L’interludio in terra transalpina era gradito a tutti, tranne che ai nonni, costretti a privarsi degli amati nipotini, nonostante Donatella avesse cercato di far loro comprendere le opportunità sottese al trasferimento a Parigi.

    Era una donna giovane e vitale. Qualunque novità la rinvigoriva, aveva sempre amato viaggiare e poi aveva un debole per Parigi. In quel-la città aveva conosciuto il suo grande amore, Adolfo Fogliani, lasciando per lui una promettente carriera di concertista. Questa vocazione musicale della figlia le parve un dono del destino, che le restituiva in una creatura più giovane le possibilità che lei aveva sacrificato per amore.

    Godeva, Donatella, nel notare come gli occhietti color zaffiro di Fiamma si animassero di vibrazioni segrete quando la bimba sentiva scorrere i tasti sotto le proprie dita. Quel flusso emozionale di Fiamma la riportava ai suoi anni di gioventù, a quel tempo beato in cui il pianoforte era stato l’amico, il confidente dei suoi sogni e dei suoi pensieri più intimi.

    Le lezioni di monsieur Rosen erano per Fiamma una fonte inesauribile di interesse. Per lui, niente andava lasciato al caso né all’improvvisazione. La sua tecnica pianistica si era perfezionata alla scuola di Manuel Solinas, che era stato allievo del grande Scaramuzza, sotto la cui guida si erano formati pianisti di caratura internazionale.

    Di suo, all’impostazione del geniale didatta calabrese, definito El Virtuoso del pian, Rosen associava una sensibilità e un gusto fuori del comune. Quanto a rigore e mutevolezza del carattere, era in genere molto pacato, benché i suoi scatti d’ira fossero rari e, proprio per questo, memorabili.

    Con lui, ogni gesto andava ripetuto e levigato finché la battuta non assecondasse in automatico lo spartito, riuscendo naturale sia al tocco che all’udito. E, su una, due, tre battute poteva impostarsi persino l’intera lezione.

    Fiamma apprese da Rosen quei segreti che l’avrebbero aiutata a destreggiarsi nell’uso delle mani e delle braccia, così pure di tutta la muscolatura interessata, curando il rilassamento e la stessa emissione del fiato. Secondo il suo mentore, il pianoforte e la pianista sarebbero dovuti diventare un’unica voce. In quel fiume di note, la stessa armonia della vita e l’Eternità si sarebbero rivelate in essenza, concatenati in un fluire indistinto.

    La passeggiata del ritorno verso casa ritemprava la piccola Fogliani delle ore al piano. A seguire, la lezione pomeridiana con mademoiselle Florence Dubois, che curava i suoi studi in lingua francese, e le narrazioni fiabesche di sua madre. Spesso la bambina e i suoi fratelli finivano con l’occupare il letto matrimoniale; la voce melodiosa di Donatella li cullava tutti e tre, traghettandoli verso i sogni della notte.

    A riportarla a quei tempi andati, a Fiamma bastò la foto in copertina di Albert, il suo sguardo risoluto, la promessa di un nuovo Piano Concerto Schumann assieme. E fu come se il tempo non fosse mai trascorso.

    IV

    Donatella aveva constatato sbalordita i progressi quotidiani della figlia alla tastiera.

    Non avrebbe voluto che Fiamma vivesse di un attaccamento esclusivo al pianoforte e al suo docente, ogni cui verbo era, per lei, più sacro dei testi biblici, ma presto aveva compreso che la figlia viveva in maniera totale il rapporto con la musica.

    Aveva seguito con ansia e soddisfazione la sua prima esibizione in

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