Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Impronta parziale
Impronta parziale
Impronta parziale
E-book241 pagine3 ore

Impronta parziale

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Lucia Salomè è chiamata a indagare sulla morte di Daniel Usque, un vecchio ebreo, commerciante di preziosi in pensione. L’anziano viene trovato con la gola tagliata nell’ingresso del suo appartamento. Apre l’inchiesta la testimonianza dell’unico amico della vittima, Gabriele Sulpizio politico in pensione, che ha salvato l’ebreo dalla deportazione. Lucia Salomè arranca fin dalle prime battute, la vittima sembra coperta da un alone d’omertà. Un biglietto minatorio trovato nella cassetta della posta tende fin dall’inizio i filamenti nervosi di Salomè. La pista si intreccia con un movimento ultranazionalista: Aurora Italica, finanziato da Romualdo Bosio, un banchiere locale. È subito evidente l’empatia di Salomè per la vittima, ma subisce un brutto colpo. Daniel Usque è implicato nella gestione di una finanziaria collusa con la banca di Bosio. Finalmente uno squarcio di luce sembra tagliare la coltre nera della storia. Il braccio destro di Bosio sembra essere il candidato perfetto per le patrie galere. Non manca niente, indizi, movente, ecc. Dopo una rattenuta euforia, tutto precipita al punto di partenza. Salomè sguinzaglia Raffaella Nardò, viceispettore specializzata in crimini informatici. Nardò ha un solo indizio, fornito inconsapevolmente a Salomè dalla donna che ha trovato la vittima. È solo una data 1983, ma è sufficiente a dare nuovo slancio all’indagine. Daniel Usque si rivela un assassino. Ha ucciso, in quella data, il delatore, Romolo Interlenghi, ovvero l’uomo che nel 1943 aveva denunciato la sua famiglia ai nazisti. Un thriller mozzafiato che vi incollerà sin dalla prima pagina.
LinguaItaliano
Data di uscita5 dic 2018
ISBN9788899333768
Impronta parziale

Correlato a Impronta parziale

Ebook correlati

Thriller per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Impronta parziale

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Impronta parziale - Maurizio Petrucci

    parziale.

    Ferrara

    Venerdì

    A casa di Gabriele Sulpizio l’atmosfera era sempre leggera e accogliente. Quella sera era addirittura gioiosa. Una ridda di bambini aveva trasformato l’ampia sala da pranzo in una colorata ludoteca. Si festeggiava il compleanno di uno dei nipoti, con la famiglia al completo.

    Daniel Usque, ignaro della fine imminente, tornava da quella serata di festa ripensando alla cena, rigorosamente kasher, e allo scompiglio dei bambini, con la loro allegria gli avevano scaldato il cuore. Un lampo di nostalgia, doloroso, lo riportò alla sua famiglia in America. Era partito poco dopo il compleanno del più piccolo dei nipoti, promettendo il suo ritorno dopo una stagione, ma non era più tornato.

    Rallentò il passo fino a fermarsi per annusare l’aria della notte, in quel momento aveva l’odore del fumo della pipa. La memoria iniziò a volare sull’oceano, senza ordine di tempo.

    Scampato agli orrori della guerra, ancora bambino, un parente di suo padre lo accolse con amore e dedizione. L’uomo, commerciante di pietre preziose, gli aveva trasmesso, senza alcuna fatica, la passione per quel lavoro. Ma lui attratto dal fascino della materia grezza, aveva scoperto fin dal primo contatto la vocazione.

    Incoraggiato da quel secondo padre, si era impegnato, aveva concentrato tenacia e passione per dimostrare il suo talento. Agli albori dei trent’anni era una celebrità tra i tagliatori di preziosi. L’anziano ebreo lo aveva introdotto in quel mondo fantastico, ma non riuscì a cambiare il segno del destino, uscì dalla scena con un colpo secco. Una dipartita troppo rapida per trovare un sostituto. Così Daniel fu chiamato a occupare il suo posto. Accettò con apparente leggerezza, e un sorriso morbido sul viso. Quella scelta, sofferta, nasceva dal fondo della coscienza.

    Voleva ripagare la memoria di quell’ uomo, pieno di dedizione per lui, forse più di un padre. Era un’attività complessa, e lui era l’unico ad avere i requisiti per sostituirlo. Certo rimase nell’ambiente ma il commercio non era la stessa cosa. Così iniziarono i viaggi in giro per il mondo.

    Ferrara era il posto dell’anima. Approdo finale nel covo dei suoi pensieri. I primi dieci anni di vita erano rimasti in via Contrari ad aspettarlo.

    Dopo la morte di Sara si era rotta la macchina perfetta della sua esistenza. Anche lei era scampata allo sterminio ma era stata più fortunata. Nelle grandi fasi della vita aveva avuto la guida amorevole della famiglia.

    Sara si era salvata, pensava nella memoria lontana.

    Fragile e remissiva, solo in apparenza, aveva trovato la combinazione giusta per sciogliere i nodi del suo carattere ruvido, e introverso. Era stato amore a prima vista, un sentimento ancora vivo e struggente. Con lei si erano diradati gli incubi, ricorrenti da quando era sbarcato nel nuovo continente. I suoi figli erano cresciuti in un mondo libero, questo lo aveva rassicurato, e aiutato a vivere. Anche se poi l’avevano deluso. Giunti alla maggiore età si erano vergognati di quel cognome strano, fino a definirlo brutto, e impronunciabile. Così avevano cambiato Usque con Smith. Per lui così orgoglioso della sua nobile discendenza fu un brutto colpo, ma non disse nulla, incolpò il nuovo mondo troppo moderno, e lui un reietto. Sara era stata il volo della colomba. A volte aveva tentato di immaginare le loro vite se non fossero nati ebrei, comunque la loro unione era stata un lungo intermezzo di felicità.

    Era nato a Ferrara in via Contrari.

    Lì aveva emesso il primo vagito, conosciuto la gioia e la leggerezza dell’infanzia. Aveva condiviso con sua sorella, di poco più grande, i primi giochi, conosciuto le amorevoli attenzioni della mamma. Suo padre aveva raccontato la storia della loro famiglia, antica con antenati illustri. Di lui rimaneva il ricordo di una sbiadita severità, un precetto dell’epoca, e non carattere del genitore. Poi nel sussulto luminoso di una mattina, il suo mondo era finito in cenere tra i fumi acri di Dachau.

    Sette anni prima era tornato a Ferrara per restarvi, e chiudere il cerchio. Aveva battagliato alacremente contro la coscienza, e l’affetto per i nipoti, alla fine era giunto a un compromesso. Aveva ancora qualcosa da fare. Poi avrebbe lasciato volentieri il corpo in pasto ai vermi. Nessuno avrebbe pianto la sua morte. Forse i due nipoti, ma il tempo avrebbe cancellato il ricordo lieve di quel nonno attento, e silenzioso. Dopo Piazza Castello passò sotto la via coperta cogliendo con lo sguardo la statua del Savonarola, il Muretto della strage del 15 dicembre 1943 e la Torre dell’Orologio.

    Era un giro canonico, tutte le sere in compagnia di Abram Usque: stampatore in Ferrara sotto Ercole III. Tra quelle vie silenziose, nel cuore della nebbia, Abram raccontava della cacciata degli ebrei dal Portogallo fino all’unica meta sicura, Ferrara. Di quella corte illuminata, pronta ad accogliere il meglio dell’arte, una Firenze in minore, non meno importante. E della sua fortuna di stampatore, la cui opera ha cavalcato i secoli, e conosciuta come La Bibbia di Ferrara. A lui restava l’orgoglio intimo di portare quel nome, Usque.

    La bruma rimbalzava sul selciato, la città emetteva languidi rumori misteriosi, prigionieri della galaverna. La pipa si spense per la caligine ma continuò a tenerla tra i denti con orgoglio, fin sotto casa.

    L’illuminazione delle scale era fioca. Ci risiamo, pensò con stizza, di nuovo la lampadina del pianerottolo. Il suo piano rimaneva nella semioscurità. Era la terza volta in un mese. Domani si sarebbe fatto sentire con l’amministratore.

    Mentre stava per infilare la chiave nella toppa, il mazzo scivolò dalle mani. Lo raccolse tra uno sbuffo e un’imprecazione a bassa voce. Finalmente entrò, c’era l’odore familiare di cera da pavimenti e tabacco da pipa ad attenderlo. Non riuscì a compiere il secondo passo. Una forza irresistibile lo tirò facendogli piegare la testa all’indietro, tentò inutilmente una difesa agitando le braccia, cercando qualcosa cui aggrapparsi.

    Trovò un appiglio di salvezza nel ricciolo robusto dell’appendiabito inchiodato al muro. Mentre stava per liberarsi dall’artiglio guantato, ecco si era liberato dalla presa, immaginò compiendo mezzo giro su sé stesso ma un dolore lancinante lo colpì sotto l’orecchio sinistro. Sentì la forza mancare e uno zampillo di sangue nero disegnò un arco sottile sul muro. Stava già soffocando con la gola tagliata in un colpo solo, preciso e definitivo.

    Tentò un grido ma uscì solo un gorgoglìo afono. Mentre il cuore batteva gli ultimi colpi, rivide Sara in una mattina di primavera.

    Sabato

    La pioggia svegliò Salomè scrosciando contro la finestra. Non chiudeva mai completamente i battenti, aveva bisogno del chiarore della luce stradale per addormentarsi.

    Era ancora buio, dopo aver tentato invano di riprendere sonno, si sedette sul letto e iniziò a leggere. Da fuori arrivavano i primi segnali di risveglio, nell’intervallo della pioggia il portone si chiuse seguito da passi frettolosi scanditi dall’eco nella strada deserta. Salomè pensò al suo vicino, ha una cartoleria e inizia a lavorare prima dell’apertura delle scuole.

    La luce incerta di un sabato autunnale schiariva con lentezza le strade silenziose. Quel momento di grazia tra notte e giorno le piaceva tanto, ma era durato poco.

    Dopo una doccia bollente, sedeva in cucina davanti a una tazza di tè bianco. Amy era ancora nel mondo dei sogni e non voleva svegliarla. La cronaca delle ultime settimane aveva costretto Salomè e la sua squadra a massacranti turni di lavoro. La crisi economica dilagava producendo effetti da cataclisma, la speranza si era dissolta in cinismo e rassegnazione. Le statistiche riportavano la crescita rapida di furti negli appartamenti, i taccheggi nei supermercati avevano raggiunto cifre da saccheggio. Ma erano gli atti vandalici contro istituti religiosi e circoli culturali a far tremare la prefettura.

    Il popolo dei disoccupati si aggregava ormai di frequente in manifestazioni spontanee, mettendo in agitazione diversi punti della città. Perfino Confindustria aveva lanciato un monito lapidario al Governo, dove si parlava apertamente di punto critico per la tenuta sociale.

    Mentre la stampa sguazzava come maiali nel fango, lanciando strali contro l’immobilismo della politica, uno di questi eventi aveva coinvolto Salomè all’inizio della settimana. I primi manifestanti erano arrivati verso le otto, due ore dopo il corteo puntava verso il municipio, mentre gli agenti in assetto antisommossa sbarravano l’avanzata. Il mormorio si era trasformato in un crescendo di slogan minacciosi, le fazioni si fronteggiavano sempre più vicine ormai prossime all’inevitabile. I diseredati contro l’ordine costituito, sotto un cielo cupo carico di granaglie di ghiaccio. Dietro il primo cordone di agenti bardati come soldati di ventura, Salomè era l’unico poliziotto senza alcuna protezione.

    Il corteo avanzava con inesorabile lentezza, lo spazio tra i due gruppi era poco più la distanza di uno sputo. Aveva tentato, usando il megafono, di fermare quella massa umana composta di donne, e uomini di tutte l’età. Facce gonfie di rabbia ridotte a immagini grottesche. Le due masse erano così vicine da sentirne l’alito rovente. A un tratto qualcosa cambiò.

    Una nota diversa ruppe dal basso il ritmo degli slogan. Flebili segnali scanditi dalle voci grevi e arrochite dei più anziani. Una forza dal profondo stava cambiando le parole ma non la fisiognomica: gridavano alla milizia di passare dalla loro parte. Gli agenti, colti di sorpresa, avevano cominciato a guardarsi l’un l’altro. Il dubbio, e lo sconcerto si erano incagliati tra le menti dei poliziotti, troppe volte chiamati a quel compito miserabile.

    Salomè, intuì i loro pensieri, e sfruttò quel momento per spezzare l’energia pronta a esplodere. Ordinò ai due agenti più vicini di abbassare lo scudo, e togliersi il casco. In un tempo brevissimo si spense il clangore, sostituito da un brusio surreale strisciante nella piazza. Qualcuno iniziò a battere le mani, e l’ira si dissolse come uno spettro al chiarore dell’alba.

    Disorientamento e leggerezza inebriarono gli uomini in divisa. Salomè ordinò di rompere la formazione. I tamburi di guerra zittirono, la fiumana compatta iniziò a sgranare per le vie della città. Una TV locale aveva filmato l’intera manifestazione. Era accaduto l’impensabile, e l’operatore aveva ripreso tutto in un lungo piano-sequenza. Il tempo del montaggio, e il servizio era online. Nelle prime ore del pomeriggio, come da copione, Salomè fu colpita da una mitragliata di telefonate istituzionali.

    La risposta fu immediata e laconica: invierò un rapporto dettagliato. Stilò il documento di getto, senza cura particolare per il destinatario. Con una nota di apertura alienava i suoi uomini da ogni responsabilità: avevano eseguito un suo ordine. Ma il chiacchiericcio da beghine innescato in prefettura non si sarebbe acquetato facilmente.

    «Mamma, la pioggia ha svegliato anche te?». La voce di Amy impastata di sonno la riscosse da quei pensieri: «Sì, l’acqua è ancora calda, ti preparo il tè o torni a letto?».

    La ragazza seduta di fronte la scrutò con gli occhi socchiusi: «Resta pure ci penso io».

    Mentre l’acqua prendeva un colore ambrato, sbirciò la faccia della madre, arricciando il naso con disappunto. I due sguardi s’incrociarono di sfuggita, l’intesa era totale, rimasero in silenzio.

    Salomè aveva dormito poco e non era dell’umore giusto per coinvolgere Amy nelle sue preoccupazioni. Tra poco sarebbe arrivato Matteo. Ormai era una consuetudine. Lui accompagnava Amy a fare la spesa all’ipermercato ogni fine settimana. Da quando si erano conosciuti, non saltavano un sabato. All’inizio si era chiesta quale arcano celasse quell’abitudine del sabato mattina. Dopo un’indagine fatta con poca convinzione, aveva rinunciato a capire.

    Comunque quell’abitudine era ben gradita, giacché Salomè odiava i centri commerciali. Allo squillo del citofono Amy era pronta a uscire.

    Il tempo era incerto.

    Barbagli di sole brillavano sui tetti delle case, un attimo dopo un groviglio di nubi nere minacciava una tempesta d’acqua. L’emicrania leggera pesava già sulla testa di Salomè, le ore di sonno perso presentavano il conto. Un colpo di vento improvviso fece vibrare i vetri delle vecchie finestre, attirando il suo sguardo allarmato. Doveva trovare il coraggio di cambiare gli infissi, l’ultimo preventivo l’aveva quasi tramortita.

    Finalmente aveva trovato la posizione giusta, avvolta tra i cuscini del divano con le gambe sotto il pile. Giusto il tempo di riaprire il libro, e lo squillo del telefono s’incastrò molesto tra lei, e il settimo capitolo.

    «Buon giorno, sono Testa. C’è stato un omicidio in via Contrari. Mi trovo sul posto insieme alla donna che ha trovato il cadavere meno di un’ora fa».

    «Va bene, arrivo». L’emicrania era ormai esplosa.

    Ferma nella stanza da letto si guardò allo specchio, il corpo era ancora snello e abbastanza tonico. Con un trascorso da maratoneta, adesso si limitava a qualche sgambatina nei ritagli di tempo, tanto per concedersi rari peccati di gola. Indugiò ancora un po’, nonostante la telefonata. Vista frontale di fianco, quando lo sguardo sfiorò l’addome, lo ritrasse istintivamente storcendo un po’ la bocca. Anche se il suo ventre avrebbe fatto invidia a molte trentenni. I capelli biondi cinerini nascondevano ancora le striature di grigio, in aumento al ritmo delle stagioni.

    Doveva sbrigarsi. Voleva arrivare prima dell’orda silenziosa di specialisti, in poche ore avrebbe affollato la scena del crimine. Calzò scarpe basse e inforcò la vecchia tracolla di cuoio, chiuse il piumino nero, dopo un ultimo sguardo allo specchio uscì.

    Mentre scendeva la rampa di scale, prima di raggiungere il piccolo androne, notò qualcosa nella cassetta della posta. Non poteva essere pubblicità, le altre erano vuote, per il postino era presto. Prima di aprire cercò di sbirciare attraverso le piccole feritoie. Era una busta bianca, dentro c’era un foglio A 4 piegato in due con una frase in caratteri gotici.

    Se indagherai sulla morte dell’ebreo, farai la stessa fine

    Infilò la busta nella borsa e sputò un’imprecazione. Anche se le lettere minatorie non erano una novità per lei, impiegò alcuni secondi per capire il messaggio, e raggelare all’istante. L’estate scorsa aveva risolto un caso piuttosto controverso, un giovane ebreo trovato morto per overdose nel Parco Massari. Il P.M. aveva archiviato l’istruttoria, bollandola come suicidio. La vittima, omosessuale, non era un tossico, era astemio ed estraneo a ogni tipo di stupefacente. Salomè aveva espresso i suoi dubbi in una breve intervista, innescato molte polemiche e incoraggiato i famigliari della vittima a riaprire l’istruttoria.

    La sua determinazione, e il rigore professionale del dott. Angelo Barbieri medico legale, avevano avuto ragione sulla sua, teoria dell’omicidio. Era bastato approfondire il profilo della vittima per annullare l’ipotesi del suicidio. Si trattava di omicidio a sfondo sessuale, in meno di due settimane, arrestarono il colpevole.

    La stampa locale fu clemente col P.M. di turno, elogiando il lavoro del commissario Salomè e dell’Istituto di medicina legale. Da quel momento divenne oggetto di lusinghe, e minacce, senza contare gli opinionisti del momento con molto fiato e niente da dire.

    Una platea divisa in parti uguali, uno schieramento sosteneva Lucia Salomè girando il pollice in basso contro la magistratura, l’altro, anonimo ma non meno numeroso, lanciava invettive contro la mollezza delle leggi, e chi le faceva rispettare.

    2

    Mentre il fragore annunciava un temporale da giudizio universale, l’ammasso di nuvole nere rabbuiava le strade del quartiere ebraico. L’ispettore Testa aveva transennato con paratie di fortuna e nastro bianco e rosso la porta dell’appartamento del morto. Sul piccolo ballatoio, ancora avvolto nella semioscurità, gli inquilini del vecchio palazzo si erano ammassati alla spicciolata.

    Il brusio di sgomento cresceva con solenne curiosità, in assenza di domande. Il portoncino d’entrata era aperto e la temperatura calò velocemente. Qualcuno in ciabatte si strinse la vestaglia intorno al collo ma non si mosse per non perdere il punto d’osservazione, e soddisfare la macabra curiosità. La piccola comunità stipata nella misera superficie ricordava una veglia funebre d’altri tempi.

    Clementina, aveva trovato il cadavere, era afflosciata su una sedia offerta da uno dei presenti. I capelli argentati e un aspetto curato la facevano sembrare più giovane. Era sotto shock, la faccia più bianca del morto, lo sguardo perso in un punto indefinito del pavimento.

    Scolpita a sangue nella sua retina, era rimasta la scena della chiave nella serratura, gira e apre la porta, strano la luce è accesa, poi l’orrore, il cuore sobbalza mozza il fiato. L'adrenalina, risorsa estrema per quelle parole soffocate nel suo cellulare. Il vuoto e intorno a lei immagini sfocate.

    Qualcosa la avvolse morbidamente.

    È stato un incubo? pensò.

    No, era seduta e aveva una coperta sulle spalle, sentì delle voci ma la vista era opaca, il battito scompensato spezzava le parole. Un tremore innaturale ancora la squassava. Una giovane donna la raggiunse di lato, pronunciando il suo nome con pacatezza, e un garbo speciale nei movimenti. Capelli castani sparsi su un maglione blu e pantaloni arancioni, era un medico del 118. Le prese delicatamente la mano e cercò il polso. Il battito era irregolare la portarono via. Il sangue una cornice di cristallo nero intorno alla sagoma. Il ghigno di terrore e gli occhi sbarrati gridavano i fotogrammi dell’ultimo momento. Un rivolo nero emetteva un brillio sulla destra del labbro inferiore, esaltando il biancore del viso. Davanti a un corpo

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1