Almanacco musicale e drammatico per l'anno 2023
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Anteprima del libro
Almanacco musicale e drammatico per l'anno 2023 - Luca Giovanni Logi
Anniversari 2023
Il 2023 è un anno relativamente tranquillo per quanto riguarda gli anniversari musicali. I più rilevanti:
Eduard Lalo (27.1.1823 – 22.4.1892)
Compositore e violinista francese. I suoi lavori più noti sono la Symphonie Espagnole, che in realtà è un vero e proprio concerto per violino e orchestra dedicato a Pablo de Sarasate, e l’opera Le roi d’Ys; ma entrambi sono di esecuzione sempre più rara.
Giuseppe Gallignani (9.2.1851 – 14.12.1923)
Organista, critico e compositore italiano. Fu nominato direttore del conservatorio di Parma per raccomandazione di Verdi che lo stimava grandemente, e successivamente passò alla direzione del conservatorio di Milano, che, sotto suo suggerimento, fu intitolato a Verdi stesso². Gallignani fece parte, dopo la prima guerra mondiale, di una commissione di riforma degli studi musicali; ma all’avvento del primo governo fascista si rifiutò di iscriversi al partito ed entrò in collisione con il ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile. Ricevendo il telegramma che gli revocava l’incarico in Conservatorio, Gallignani fu colto da una crisi di sconforto e si suicidò gettandosi dal tetto del Duomo di Milano. Al suo funerale furono recapitati, come niente fosse stato, una corona di fiori ed un discorso commemorativo da parte di Gentile. Cesari, il bibliotecario del conservatorio, gettò la corona di fiori nella spazzatura, mentre Toscanini strappava e calpestava il foglio del discorso. Ancora molti anni dopo, il personale del Cimitero Monumentale ricordava il funerale di Gallignani come il più animato a memoria d’uomo.
Alicia de Larrocha (23.5.1923 – 25.11.2009)
Pianista spagnola. Nonostante un fisico minuto e due piccole mani che prendevano a malapena l’ottava, sprigionava una potenza di suono impressionante unita ad una articolazione di incredibile chiarezza. Per quanto sia ineguagliata nel repertorio pianistico spagnolo, sarebbe un errore considerarla come specialista solo di quello; la sua tecnica maturata sulle gravissime difficoltà dei lavori di Granados e Albeniz l’ha portata a letture del tutto personali di Chopin, Mozart e in generale del repertorio classico³.
Gÿorgy Ligeti (28.5.1923 – 12.6.2006)
Compositore ungherese naturalizzato austriaco. Per le sue tendenze progressiste fu malvisto dal regime comunista ungherese e nel 1956 abbandonò il paese. Rimase sostanzialmente ai margini del mondo musicale fino al 1968, quando Stanley Kubrick inserì quattro dei suoi brani nella colonna sonora di 2001, Odissea nello spazio: Atmospheres, Lux aeterna, Requiem, Aventures; anche se l’utilizzo non era stato autorizzato da Ligeti, la colonna sonora del film lo portò alla fama immediata. Fra i suoi lavori più tardi l’opera dell’assurdo Le grand macabre e gli Ètudes per pianoforte⁴.
Jacques-Nicolas Lemmens (3.6.1823 – 30.1.1881)
Organista e compositore belga. Studiò al conservatorio di Parigi e a soli 26 anni era già titolare della cattedra di organo al conservatorio di Bruxelles; fra i suoi allievi più celebri, Alexandre Guilmant e Charles-Marie Widor. L’importanza della didattica di Lemmens sta nell’attenzione che dedicò alla tecnica esecutiva in un periodo in cui l’esecuzione dei classici organistici era trascurata in favore dell’improvvisazione. Alla morte di César Franck la cattedra di Parigi passò a Widor, che seguì le orme del suo maestro riportando lo studio attento e completo di Bach come prerequisito del corso di organo. Sotto questo aspetto Lemmens è il precursore della formidabile scuola organistica francese.
Wolfgang Sawallisch (26.8.1923 – 22.2.2013) Direttore, pianista e manager teatrale tedesco. A Sawallisch, il Kapellmeister per eccellenza, mancava quel tocco di cialtroneria che sembra essere il distintivo della direzione d’orchestra; per questo quella parte del pubblico che dalla cialtroneria si lascia sedurre lo considerava un direttore di mestiere. In realtà aveva una preparazione ineccepibile, esperienza infinita, se la cavava molto bene al pianoforte e in definitiva aveva solo la colpa di essere una persona molto seria in un mondo dove non sempre la serietà paga.
Maria Callas (2.12.1923 – 16.9.1977)
Soprano greco. Ad onta di una voce di colore non sempre impeccabile e di una carriera tutto sommato breve, è forse l’artista lirica che più ha lasciato la sua impronta nel Ventesimo secolo. Il suo vero valore sta nello studio dell’espressione musicale e della ricerca della verità drammatica portati ad un grado di finezza incredibile. Innumerevoli cantanti sono state battezzate come la nuova Callas, la verità è che passeranno molti anni prima di sentire un’altra come lei.
Carl Friedrich Abel (22.12.1723 – 20.6.1787) Compositore e solista di viola da gamba tedesco, naturalizzato inglese. Figlio di uno degli orchestrali di J.S. Bach, lo ebbe come insegnante alla Thomasschule di Lipsia. Fu amico di Johann Christian Bach e collaborò con lui a Londra. La sua maggiore gloria è che una delle sue 6 Sinfonie op.7 fu copiata a mano dal giovanissimo Mozart nel 1764; ritrovata la copia, fu per errore attribuita a Mozart sotto il numero di catalogo KV 18 per molti anni.
Alexandre Schanne (22.12.1823 – 13.5.1887)
Pittore e musicista francese. Non ebbe grande successo in nessuna delle due arti e alla morte del padre ne rilevò la fabbrica di giocattoli. Ma Schanne vive in eterno come ispiratore della figura di Schaunard, il musicista delle Scènes de la vie de bohème di Henry Murger e dell’omonima opera di Puccini (che, essendo del 1896, non ebbe modo di vedere). Il romanzo di Murger è autobiografico e i suoi personaggi si ispirano a persone realmente esistite; Schanne pubblicò un libro, Souvenirs de Schaunard (1886), dove fornisce le chiavi per identificarli.
___________________
² Verdi però non era d’accordo – ancora dopo molti anni bruciava la bocciatura all’esame di ammissione al Conservatorio di Milano nel 1831.
³ In un mondo dove ho visto un noto pianista farsi mandare quattro pianoforti a coda in un furgone per poter scegliere sulla scena il più adatto, ricordo con nostalgia un magnifico concerto della ultraottantenne Larrocha su un pianoforte che aveva più del residuato bellico che dello strumento musicale. La musica la fanno i musicisti prima ancora dei loro strumenti.
⁴ La musica di Ligeti può essere estremamente complessa graficamente, tanto da risultare ai limiti della leggibilità. Alcuni anni fa mi fu chiesto di procurare una persona che voltasse le pagine al solista del Concerto per pianoforte e orchestra, ma due persone rifiutarono dopo aver visto lo spartito, e alla fine fui costretto a prendere io l’incarico. Il pianista mi fece i complimenti perché era la prima volta che arrivava alla fine senza errori nel voltare le pagine; gli risposi che non avevo seguito la musica ma semplicemente avevo osservato le sue pupille contando il numero di volte che saltavano di riga.
A ventitré ore
Un grande spettacolo a ventitré ore
nello spartito canto/piano di Pagliacci
Un grande spettacolo a ventitré ore, annuncia nel primo atto Canio, il protagonista dei Pagliacci di Leoncavallo. Qualcuno potrebbe pensare ad un’ora singolarmente tarda ed incomoda per una serata teatrale, ma non è così. Le ventitré ore non sono nel pieno della notte, perché è verosimile che Leoncavallo e il suo personaggio abbiano in mente l’antico sistema italiano di misurare il tempo.
Nel tempo tradizionale italiano il tramonto – cioè il momento in cui il sole passa l’orizzonte – si faceva per convenzione corrispondere alle ventitré e trenta; mezz’ora dopo il buio era completo e alle ventiquattro si suonava l’Ave Maria. Quindi la giornata iniziava ufficialmente all’ora zero ossia alle ventiquattro, nel momento in cui veniva il buio. Soprattutto nelle località rurali il tempo era principale incombenza del parroco che doveva far regolare l’orologio sul campanile; le regolazioni erano frequenti, perché il sistema italiano ha il difetto di basarsi su un evento mobile nel tempo: il tramonto. Infatti la distanza temporale fra un tramonto ed il successivo va a ridursi progressivamente in autunno quando le ore di sole sono sempre di meno, e ad aumentare in primavera quando il sole tramonta sempre più tardi. Per cui ogni tanto bisognava o anticipare o ritardare l’orologio, anche se in pratica lo si faceva solo quando la differenza fra l’ora segnata e il tramonto superava il quarto d’ora. Esistevano anche i cosiddetti orologi ad equazione
che tenevano conto dell’anticipare e ritardare delle ore ventiquattro, però erano complicati e non molto diffusi. Anche se esistevano le tavole numeriche delle correzioni annuali, il tramonto è un fenomeno così evidente che la correzione poteva essere fatta ad occhio.
Se la nuova giornata cominciava al calare della notte, le ventitré ore di Canio sono semplicemente mezz’ora prima del tramonto e un’ora prima del buio della notte, una collocazione ragionevole per uno spettacolo per le famiglie. Il sistema sembra macchinoso e invece aveva una sua praticità: in una economia agricola può fare comodo sapere quante ore di lavoro restano prima del tramonto. Se l’orologio del campanile indica le diciotto vuol dire che sono rimaste sei ore prima che faccia buio, e questo vale sia in estate che in inverno perché è l’ora dell’orologio che si adatta al sole e lo segue con il cambiare delle stagioni. Fra l’altro quando si dice portare il cappello sulle ventitré
ci si riferisce all’ora italiana: alle ventitré il sole era basso e per non farsi abbagliare bisognava inclinare la tesa sugli occhi.
Il sistema orario che usiamo adesso viceversa deriva dall’ora francese, che in Italia si chiamava ora ultramontana; in Francia il tempo si misurava prendendo come riferimento il mezzogiorno astronomico, cioè il momento in cui il sole è più alto in cielo, si consideravano a seguire 12 ore pomeridiane e 12 ore antimeridiane, e la giornata iniziava dalla mezzanotte considerata 12 ore dopo il mezzogiorno: grosso modo come si fa adesso⁵. Nel sistema francese l’ora del tramonto è variabile ed è il mezzogiorno ad essere fisso, né si richiedono aggiustamenti periodici. Il sistema italiano era così particolare che destava sempre la curiosità degli stranieri; ma gli italiani vi erano molto affezionati e quando si dovette cambiare sistema, il che avvenne poco per volta, vi furono sempre grandi momenti di confusione. L’ora francese fu introdotta in Toscana nel 1749 con forti proteste, e nel 1755 a Parma. Casanova che si trovò a passare da lì ricorda nelle sue memorie la confusione più totale dovuta al cambio di sistema:
- […] Siamo ridotti ad una confusione incredibile, e dopo tre mesi, non c’è più una persona a Parma che sappia che ore siano.
- Hanno forse distrutti gli orologi?
– No, ma da che Dio ha fatto il mondo, il sole è sempre calato a ventitre ore e mezzo, e a ventiquattro ore si è suonato l’Angelus: tutte le persone oneste sapevano che a quell’ora si accendeva la candela. Ora è inconcepibile: il sole è diventato pazzo, perché cala ogni sera ad un’ora differente. I nostri contadini non sanno più a che ora devono venire al mercato. Questa la chiamano una riforma, ma sapete perché? Perché al presente tutti sanno che si mangia alle dodici. Una bella riforma, ma folle! Ai tempi dei Farnese si mangiava quando si aveva appetito, ed era molto meglio⁶.
A Milano l’ora francese fu introdotta nel 1786, nello stato della Chiesa dalle truppe napoleoniche nel 1796. In alcuni luoghi come per esempio a S. Pietro e a Trinità dei Monti furono messi due orologi gemelli, uno con il tempo italiano ed uno con il tempo ultramontano. Il mezzogiorno francese capitava fra le quindici e le diciannove italiane, secondo la posizione sul meridiano e le stagioni. Anche se la maggior parte degli stati italiani adottarono l’ora francese entro i primi anni dell’Ottocento, nelle comunità rurali più isolate il sistema italiano antico arrivò anche a metà secolo. L’arrivo di ferrovie e telegrafi richiese la standardizzazione del tempo, per cui anziché i tempi locali si incominciarono ad usare le ore medie calcolate sul mezzogiorno delle capitali, e poi il sistema dei fusi orari, legale in Italia dal 1893.
Una ulteriore complicazione italiana era l’ora romana, che corrispondeva all’ora italiana, ma i cui orologi avevano solo sei ore; quindi ora zero al tramonto, e quattro cicli di sei ore. Questo spiega perché gli orologi storici possano essere a ventiquattro o dodici o sei ore.
Un caso letterario: Manzoni