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Fragmenta. Note di viaggio
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E-book168 pagine2 ore

Fragmenta. Note di viaggio

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Info su questo ebook

«Vorrei riparlare con il Libraio dei miei vecchi tempi, c’erano suo nonno e il suo babbo, all’epoca; raccontargli come delle vecchie e un po’ sbertucciate edizioni economiche dei volumi dei miei autori, i Cassola, i Pratolini, i Remarque fossero giunti ad arricchirmi: la sera in quell’andito di mezzanino dove avevo il letto, la luce stava accesa fino a tardi. Mentre babbo e mamma dormivano, io vivevo circondato da personaggi che mi parlavano, mi istruivano.
E mi prende una specie di esaltazione al pensiero delle migliaia di Lettori che, anche in questa Libreria, hanno trovato qualcosa che ha permesso loro di vivere “oltre” la normalità consuetudinaria».
Un libro che ricostruisce - attraverso frammenti di memoria - storie contemporanee di un Novecento oltre cortina, ferroviario, militare, storico. “Fragmenta” è un vocabolario di pezzi ricuciti seguendo il tracciato di un vecchio “maestro” e l’arte di una antica pantalonaia.


 
LinguaItaliano
Data di uscita5 mar 2020
ISBN9788832281149
Fragmenta. Note di viaggio

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    Anteprima del libro

    Fragmenta. Note di viaggio - Bruno Giannoni

    www.tralerighelibri.it

    Premessa

    Lavorare sulla Memoria. Che poi la memoria personale diventa anche esperienza per il collettivo, quantomeno un’esperienza proposta, messa a disposizione, per interpretare il Tempo, i Tempi, l'Oggi come conseguenza. I Sentimenti e i Sogni. Può essere? La foto in copertina è rappresentazione dell'evidenza, strumenti di ferro antichi atti a misurare e stringere, a misurare e trattenere: strumenti della Memoria trattengono i ricordi facendone fatti attualizzati. Osiamo!

    Avevo appena inviato il breve racconto che segue all’Editore, per l’eventuale pubblicazione in un’antologia di un Concorso Letterario – Prospektiva n°59 - quando mi venne a mente il vero inizio del Viaggio, di un Diario, inteso come memoria personale che potesse costituire un’esperienza importante negli anni seguiti. Sognavo a occhi aperti davanti allo schermo del computer e mi rivedevo in anni indietro ormai ricoverati in ambiti oscuratamente lontani del cervello affaticato dal tempo. Un treno era sempre in arrivo o in partenza. Non potevo cambiare il mio vissuto, tutto sarebbe stato segnato dalle immagini parallele di volti e di treni e dei loro rispettivi ambienti, mai disgiungibili.

    Quel treno nel racconto," che stava arrivando, l’ultimo, era partito, con me alla guida, tanto tempo prima e giungeva quindi a ritrovarmi e a ricongiungere una linea di tempo che si era dipanata senza neppure io riuscissi a capire l’artifizio per cui quella linea pareva vivere indipendentemente da me, dai miei desideri.

    Non potevo seguire un filo conduttore continuo in queste storie: occorreva mi limitassi a interpretare, a narrarmi ciò che si può vedere nei quadri di scena mentre scorrono, quasi nel teatro si trovasse una coppia di enormi cilindri il cui ruotare fa scorrere le scene e per ogni scena abbiamo brevi attimi utili a fissarla e a costruire un pezzo di trama che deve necessariamente esser parte di una sequenza temporalmente in ordine.

    I miei primi passi

    Febbraio 2016

    La mia Libreria fiorentina.

    Mentre il treno affrontava gli ultimi ostacoli dei segnali ferroviari d’ingresso alla Stazione di Santa Maria Novella, mi sentivo come trascinare in una dimensione di pensieri e sentimenti che non ricordavo da decenni. Livia avrebbe senz’altro insistito per poter passare parte della giornata alle bancarelle del Mercato di San Lorenzo. Non m’interessavano granché: ognuna di esse era omologata a mille altre, un po’ in tutta la Città; ognuna di esse era stata unica nei decenni passati, quando ancora, a buon diritto, non ero solo ospite della mia Città. Io cercavo altre strade da percorrere, in cui potessi, come a ogni mio ritorno, ritrovare i nomi e luoghi a me cari, come cari erano stati a chi ne aveva scritto, mescolandoli a vite reali e drammi, ad avventure destinate a segnare le generazioni, tra quelle facciate di palazzi o di semplici case che orlavano, da secoli, vicoli e strade.

    I miei marciapiedi di pietra volevano correre sotto i miei passi verso Santa Croce, verso le strade antiche e disordinate poste tra i confini delle piazze prestigiose del Centro di Firenze, di Via Calzaioli, da un lato, e il nuovo Palazzo delle Poste dall’altro e sui due fianchi, Via de’ Neri e Piazza Santa Croce a sud e Via del Corso verso nord.

    Lì io ero vissuto.

    Lì erano vissuti i miei personaggi amici, della mia letteratura più vera da cui avevo assorbito i migliori e i peggiori sentimenti necessari a vivere.

    Tutto, in quel limitato incrociarsi di storie e strade della mia Città, era mio: mi apparteneva in ogni spazio di cielo che sovrastava i cavedii degli antichi casamenti, in ogni pezzo d’intonaco scalcinato che ornava davanzali di mezzanini, in ogni portone di legno scheggiato che faceva barriera a buie scale di pietra, verso gli abbaini sui tetti di Firenze, verso la vista dell’immensità pittorica, policroma, delle Colline, còlte mentre si traslavano, non viste, sulle tele di un riflessivo Rosai, loro e nostro grande Cantore.

    "Firenze

    Istanti eterni di storia, scolpiti nel sasso, che riflettono il mistero della memoria, lineamenti di pietra, respiro che manca, stringersi di labbra, oasi chiusa al deserto cui si oppone; battiti di ciglia, che fanno degli attimi sempre un tempo diverso, mutevole come il rincorrersi delle stagioni, che si fissa su volti di pietra. In ogni vicolo mercanti sapienti s’incontrano per scambiarsi racconti e vicende, per vendersi storie, vere, eppure che cambiano sempre. Il ricordo, il senso del ricordo che si respira ovunque, a Firenze, rarefatto e sottile, affascinante e smarrito, davanti alla vita che comunque corre, e si muove lo stesso, mentre il ricordo, come me, resta immobile e testimonia la mia abitudine a essere pietra, sasso, oasi, respiro che manca, tempo che lascia senza respiro, battito di ciglia.

    (Brano di Andrea Checchi, Nobiluomo d'altri tempi, Poeta Fiorentino dei nostri tempi).

    Riccardo e Loretta erano venuti a prenderci al treno provenendo dal lato Arrivi da Arezzo.

    Con Riccardo e altri Compagni ci eravamo ritrovati dopo quarantacinque anni dal termine di una comunità di studio e passioni giovanili che per cinque anni ci aveva tenuti assieme alla Scuola Superiore.

    Poi avevamo varcato, tutti, un confine: quello che separava la vita in due tronconi netti, facendoci lasciare alle spalle l’irrazionalità e i sogni e ponendoci davanti eoni di tempo, da portare, nel miglior modo, a termine. Era, quello, un traguardo comune a tutti.

    Lui era esiliato ad Arezzo, come io lo ero a Lucca, e le mogli avevano avuto altri ricordi da portare avanti dalle loro giovinezze, che non potevano essere nostri. I nostri ricordi percorrevano ancora le pietre erose di Via de’ Neri, Borgo de’ Greci, Via de’ Leoni, Via delle Seggiole, San Pierino, Via Matteo Palmieri…

    Diocristo, come mi stringe dentro, qualcosa, che preme, perché non sono quelli i soli nomi prorompenti alla mente, ma sono anche altri, quelli di ragazzini, ragazzine, cartelle e grembiulini neri, piazzette assolate, profumi e odori sporchi, botteghe, i muri cui passavi rasente per evitare l’acquerugiola fine novembrina.

    Non credo che le nostre attuali ragazze possano comprendere la pretesa di evitare le omologazioni elargite ai turisti. Con Riccardo si riesce a portarle via da quel ginepraio di genti multilingua scalmanate, greggi in marcia in una transumanza che vorrebbero immaginarsi culturale, ma che mi pare, oggi, sia un pascolo povero fatto di plastica e colori falsati.

    Scantoniamo lungo il Duomo, per via dello Studio, Via de’ Cerchi; dietro Palazzo Vecchio comincia la mia proprietà: ci vivono ancora, Pratolini e Rosai; ci vive Marinetti, ci vivono quegli scrittori stranieri – ossia di fuori Firenze – che qui venivano a partecipare alla fondazione di Riviste Letterarie, che a pugni e bestemmie facevano nascere Movimenti Letterari e Artistici. A casa di un’amica vive Rosai.

    In Via Vinegia.

    Basta poco per incontrarlo, in quel quadretto al muro del salottino, è uno stradello, forse verso il Piazzale Michelangelo, con muretti a secco e cipressi. Quando la vado a trovare, lo saluto di malavoglia: volendo, avrebbe potuto dipingere quelle finestre di quel mezzanino, una sera d’estate, aperte e soffocate di poca luce dei lampioni!

    Ma era amico del suo babbo.

    In queste mie straducole, ancora, a volte, maleodoranti, sgorate di piscio di cavallo o cane o cristiano, mi pare intravedere la figura di Vasco Pratolini.

    Lui ancora le percorre spesso: non può staccare il suo animo, la sua Arte da queste pietre e intonaci consunti, dallo spirito e dalle passioni del suo Popolo, nelle sue vie.

    Davanti ai miei occhi si svolge la vita dei protagonisti di Cronache di poveri amanti o de Lo Scialo. Io sono uno di loro, la sola mia casa in cui ho appreso a vivere la vita del popolo è poco lontana, due traverse più oltre, verso Piazza Santa Croce. Poco lontano mi si riaprono alla mente le pagine di Cronaca Familiare.

    Borgo dei Greci: eccoci all’inizio di un’epoca, mia anch’essa, ma anche di Riccardo: Livia e Loretta stronfiano, si fermano alle botteghe dei cuoiai cinesi che vendono borse fiorentine fatte da qualche parte nel mondo. Il vinaio, il calzolaio, il lattaio, il bar delle puttane, proprio a due portoni di distanza da casa mia. Non riesco a vedere dove sono finiti, tutti. Prendo Livia per la mano e me la tiro dietro, urlo a Riccardo:

    «Ci si ritrova dal Salimbeni!».

    «Va bene, vai pure, aspettami là!».

    Eccomi. Ripercorro la mia strada personale della cultura. O, almeno, un suo inizio, i primi passi.

    Un paio di volte sgattaiolai di casa con dei libri sotto il cappotto, giravo per Via de’ Bentaccordi, Isola delle Stinche e, oltre Via Verdi, ecco il mio centro di tanti sogni.

    In Via Matteo Palmieri, il Salimbeni, una Libreria, una due, tre stanzucole, quella centrale, d’ingresso, colma all’inverosimile di tutto lo scibile che io potessi solo immaginare, allora: mi è restata impressa solo quella, anche se il Libraio spariva ogni tanto per anditi nascosti tra gli scaffali di legno, verso stanze chissà quanto mai lontane, e tornava con il libro richiesto dal cliente. Mentre aspettavo, timoroso di intromettermi, non c’era mai silenzio: titoli, nomi di autori, argomenti, critiche, spiegazioni, in sottotono, a rispettare le voci nascoste in tutti quegli scaffali di legno carichi di pensiero, emozioni, vite in tutte le età e gli avvenimenti possibili.

    Mentre cammino con Livia ripenso ai primi libri, era Fantascienza, Urania, del babbo abusivamente scambiati con un libro serio, di Hemingway, e fu un caso che me lo trovai un po’ sporgente da un ripiano e, solo per quello, lo scelsi. Che anno era? Poco

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