Fermate i socialisti: Il massacro del 14 ottobre 1920 a San Giovanni Rotondo
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Un saggio storico con cui la Fondazione Nenni intende ricordare il centenario dell'Eccidio del 14 ottobre 1920 a San Giovanni Rotondo: la strage più violenta del biennio rosso in Italia, in cui morirono tredici socialisti e un carabiniere.
Una vicenda drammatica che colpì pesantemente un piccolo comune del Mezzogiorno e che diede forza allo squadrismo in Puglia e in tutto il Paese.
Le dimensioni di quella strage sono impressionanti (più vittime dei fatti di Palazzo d’Accursio a Bologna) e nella ricerca di Antonio Tedesco emerge chiarissima la responsabilità della borghesia della Capitanata e della forza pubblica che si mosse con l’intento di reprimere il movimento socialista nelle aree in cui era maggiormente radicato.
Una vicenda emblematica che merita di essere ricordata, per conoscere a fondo le radici del fascismo, e mantenere vivo il ricordo di quei pionieri della democrazia massacrati da un potere arrogante e autoritario.
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Anteprima del libro
Fermate i socialisti - Antonio Tedesco
Biblioteca della Fondazione Pietro Nenni
© Arcadia edizioni
I edizione, ottobre 2020
Isbn 978 88 3210 4325
È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale, del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta dell’editore e con citazione esplicita della fonte.
Tutti i diritti riservati
Nota dell’autore:
alcuni errori linguistici nelle note sono dovuti alla scelta di pubblicare fedelmente i documenti.
Abbreviazioni utilizzate
ACS: Archivio Centrale dello Stato
ACSGR: Archivio comunale di San Giovanni Rotondo
Anc: Associazione nazionale combattenti
ASF: Archivio di Stato di Foggia
ASFPN: Archivio storico Fondazione Pietro Nenni
ASL: Archivio di Stato di Lucera
CPC: Casellario politico centrale
DGPS: Direzione generale di Pubblica Sicurezza
P.S.: Pubblica Sicurezza
M.I.: Ministero degli Interni
Pnf: Partito nazionale fascista
Ppi: Partito popolare italiano
Psi: Partito socialista italiano
A Luigi Tamburrano
Quella voce fucilata nella piazza
quella voce dell’umile vittoria
è rimasta nelle strade contadine della tua terra
come germe incorruttibile dell’ansia antica di ogni terra.
Nel silenzio lungo del divieto
quella voce l’hai coltivata in cuore l’hai ripetuta ai giovani,
l’hai trasmessa col sangue generoso ai tuoi figli
al tuo Giuseppe che rivive la bella fede nella libertà.
E noi del Sud che non abbiamo storia
o abbiamo la storia di ogni storia
incidiamo nella memoria il tuo nome col vento della fratellanza,
moduliamo quella voce quel tuo messaggio d’amore
nell’inno del riscatto e della pace.
Giovanni Scarale
28 maggio 1988
In occasione dell’intitolazione
a Luigi Tamburrano
di una strada di Roma,
avvenuta il 30 maggio 1988.
Introduzione
Con il presente saggio storico la Fondazione Nenni intende ricordare il centenario dell’Eccidio del 14 ottobre 1920 a San Giovanni Rotondo: la strage più violenta del biennio rosso in Italia, in cui morirono tredici socialisti e un carabiniere.
Una vicenda drammatica che colpì pesantemente un piccolo comune del disperato Mezzogiorno e che diede forza allo squadrismo in Puglia e in tutto il Paese.
Le dimensioni di quella strage sono impressionanti (più vittime dei fatti di Palazzo d’Accursio a Bologna) e nella ricerca di Antonio Tedesco emerge chiarissima la responsabilità della borghesia della Capitanata e della forza pubblica che si mosse con l’intento di reprimere il movimento socialista nelle aree in cui era maggiormente radicato. Il Psi rappresentava in quegli anni convulsi della storia del nostro Paese una speranza di emancipazione per milioni di contadini ed operai che, soprattutto nel Mezzogiorno, pagavano pesantemente l’egemonia dei notabili che detenevano il potere e i mezzi di produzione. Un’esistenza difficile, dominata dalla povertà e dai soprusi.
Pietro Nenni, scrisse in un libro edito nel 1926 (Storia di Quattro anni), subito censurato dal fascismo, che proprio in quel 1919-1920 si possono collocare tutti i germi della successiva svolta fascista. Nel 1919 il Psi è il primo partito nel Paese, una grande e potente organizzazione di massa, con centinaia di migliaia di iscritti ma, come sostenuto da Nenni, «si propose di allargare ogni giorno il fronte dei suoi nemici, senza perseguire né obiettivi concreti di conquista del potere né fini precisi di associazione alla difesa, o alla riforma, del sistema». Ci furono errori nella tattica ma le rivendicazioni erano legittime, però le intense mobilitazioni e i proclami socialisti nel Paese contribuirono a spaventare la borghesia e le consentirono di ritrovare, in soluzioni conservatrici o in scorciatoie reazionarie, quell’unità che la tragedia della guerra aveva spezzato.
I socialisti sangiovannesi, tra cui spiccava Luigi Tamburrano che poi diventerà senatore nel secondo dopoguerra e figura di spicco del partito, pagarono duramente la legittima vittoria alle elezioni del 1920, come ha ben ricostruito l’autore. L’azione simbolica di issare la bandiera rossa sul balcone del Municipio, pratica diffusa nei comuni dove avevano vinto i socialisti, diede ai reazionari locali e alle forze dell’ordine il pretesto per impedire il legittimo insediamento dell’amministrazione Tamburrano. I socialisti pagarono con il sangue la difesa della libertà e la lotta contro le disuguaglianze economiche e sociali. La vicenda di San Giovanni Rotondo merita di essere conosciuta perché è emblematica per conoscere a fondo le radici del fascismo.
Noi oggi abbiamo il dovere di mantenere vivo il ricordo di questi pionieri della democrazia massacrati dal potere arrogante e autoritario che sfociò nel fascismo.
Romano Bellissima
Presidente Fondazione Pietro Nenni
Prefazione
Con questo saggio la verità sull’eccidio del 14 ottobre 1920 di San Giovanni Rotondo è finalmente raggiunta. L’Autore l’ha cercata e l’ha trovata consultando tutta la documentazione disponibile e dando credito all’ispettore di polizia Trani che, in quei tempi in cui già si faceva pesante e condizionante la pressione della reazione, svolse un’inchiesta scrupolosa ed obbiettiva.
Quella strage fu in parte un agguato e in parte una provocazione. La destra antisocialista – dominata dagli agrari – aveva deciso che in nessun caso i socialisti, che avevano vinto le elezioni, avrebbero esposto la loro bandiera sul balcone del Comune. I suoi esponenti, tra i quali il vice commissario di Pubblica Sicurezza Romano, noto per il suo carattere violento, erano in piazza per provocare la folla socialista inerme e festosa. E quando il corteo socialista, convinto dai suoi dirigenti a rinunciare all’esposizione della bandiera, stava per abbandonare la piazza i fomentatori passarono alla provocazione: svillaneggiarono, insultarono i socialisti che saggiamente ripiegavano; ma la saggezza diventò rabbia in qualcuno dei manifestanti che voleva tornare indietro mentre la folla si stava diradando. E i fucili puntati dei carabinieri spararono tutti insieme uccidendo e ferendo alle spalle povera gente che cercava di mettersi in salvo.
Questo sangue proletario ha scritto una delle prime pagine dell’avvento del fascismo. È una delle stragi più gravi e rivela in modo chiaro e brutale la natura originaria del fascismo: la reazione agraria (l’A. lo mette bene in luce). La cosa strana è che l’eccidio è ricordato poco nei libri di storia: forse perché, anche su questo argomento, il Sud è discriminato
ed ha scarsa voce in capitolo.
Potrei aggiungere alla narrazione di Tedesco dettagli raccontatimi da mio padre, ma non muterei il quadro del lavoro che è preciso e contiene un giudizio inequivocabile sulle responsabilità.
Due parole sul sindaco Tamburrano, che era un rivoluzionario
mite, alieno dalla violenza. Un autentico galantuomo come erano i socialisti allora. In un documento della Direzione della P.S., l’A. ha trovato un’annotazione su mio padre che è erronea (e l’A. la cita del resto solo per dovere di studioso). Vi si dice che «Tamburrano pur essendo anarchico astensionista, aveva ceduto a prendere parte alla lotta con la promessa della carica di sindaco». Le cose stavano diversamente. Mio padre diventò socialista durante gli anni del liceo a Chieti. Vi è una lettera, a mio giudizio molto bella perché rivela con quale animo giovani intellettuali si convertivano al socialismo e sposavano la causa dei contadini sfruttati. Ivanoe Bonomi ha raccontato di questi giovani nel suo Leonida Bissolati e il movimento socialista in Italia (Sestante, 1945): «Ed ecco, ad ogni giornata domenicale, uscire dalla città giovani studenti e giovani professionisti per propagandare il nuovo verbo nelle campagne. E spesso l’area del comizio era il sagrato davanti alla chiesa o l’aia del piccolo campo [...] Le folle contadine udivano stupefatte il figliuolo del loro padrone dimostrare sulla piazza l’iniquità della loro soggezione al padrone». L’esempio più fulgido è quello di Giacomo Matteotti: attraente, giovane, figlio di ricchi agrari, con una sicura carriera forense e universitaria, tradisce
la sua classe (che gliela farà pagare!) e sceglie di stare con l’altra parte perché «solo con loro – i contadini – mi sento libero». E l’elenco è infinito, da Turati a De Amicis. E mio padre (e Luigi Di Maggio, Merla, ecc.) fu uno di questi giovani