Assalto al paradiso (fiscale): e altre brevi storie
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Nel suo animo sorge l’idea di recuperare questi denari per contribuire alla diminuzione del deficit statale e dimostrare che la sua parte politica, in quel momento minoritaria, è l’unica in grado di salvare la Nazione dal caos prodotto dalla politica.
Raggruppa quindi un piccolo battaglione di reduci, pensionati di lungo corso, per dare l’assalto a quello che reputa essere un ideale e significativo obiettivo, la filiale della Cayman Bank di Firenze. Coinvolge nell’impresa, oltre al gruppo di ottuagenari, il nipote dodicenne che fungerà da hacker informatico.
La vicenda si svolge su un piano narrativo umoristico, con riferimenti però ad elementi puntuali (Tax Haven Countries) con i quali si intreccia una vicenda di cronaca, è il caso di dirlo, nera, che in parte ispira tutta la storia (il golpe Borghese del 1970), e vuole concedere al lettore un momento di leggerezza senza banalità.
Vorrebbe essere anche una rappresentazione di una figura discutibile dal punto di vista politico (il generale in pensione), ma umanamente ammirevole, per sottolineare come le differenze di schieramento spesso portano a trascurare i valori umani, cioè quelli fondanti, rispetto a quelli, nocivi, dell’ideologia.
Gli altri quattro brevi racconti seguono il filo di un umorismo che da leggero può divenire surreale, così come spesso sono le vicende umane.
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Anteprima del libro
Assalto al paradiso (fiscale) - Maurizio Nolesini
Zen
ASSALTO AL PARADISO (FISCALE)
1 - IL CONCEPIMENTO
Fu solo dopo aver visto l’ennesimo programma televisivo, nel quale un compunto Matteo Renzi, Presidente del Consiglio in carica, dileggiava garbatamente uno dei leader dell’opposizione, che il Generale di Brigata a riposo Carlo Aurelio Barbèri, per gli amici intimi Furio, già Primo Sorvegliante della Rispettabile Loggia Massonica numero 1453, Hantarex, all’Oriente di Firenze, proruppe in un sonoro: «Comunista del cazzo!» accompagnando l’esclamazione con un gran pugno sul tavolino da fumo alla sua destra.
La moglie Franca si affacciò sulla porta del salotto, dove il Generale aveva l’abitudine di sonnecchiare nel dopo pranzo e, sinceratasi con una rapida occhiata che si trattava solo di una delle occasionali esternazioni verbali del marito, in là con gli anni, e un po’ giù di salute, tornò a finire le sue faccende domestiche, scuotendo leggermente la testa.
Nonostante gli infiniti anni passati insieme, e il carattere a volte scostante del Generale, la moglie Franca ancora conservava dentro di sé quella scintilla che a suo tempo li aveva fatti partire insieme in quel lungo viaggio di convivenza.
Il Generale di Brigata a Riposo Carlo Aurelio Barbèri era un uomo imponente, ben al di sopra dell’altezza media della sua generazione, rasentava infatti i due metri e aveva mani enormi, seppure ben proporzionate, quasi eleganti. Non la pensavano certo così gli stuoli di reclute capitate nei decenni sotto la sua verve educativa militare, poiché egli, in barba ad ogni regolamento ufficiale, utilizzava con regolarità lo scapaccione terapeutico per mettere in riga i suoi soldati. Tuttavia, sarebbe stato ingiusto definirlo violento, o inutilmente prepotente; diciamo che, in una sua discutibile ottica educativa, distribuiva con equità i propri insegnamenti, in una forma non troppo appropriata rispetto all’attuale diffusione del concetto di politically correct.
Diversi erano stati, negli anni, gli episodi in cui aveva preso le difese di un proprio sottoposto di fronte ad organi superiori, anche subendone conseguenze negative in termini di carriera; queste circostanze erano note nell’ambiente militare, e il Generale di Brigata a Riposo Carlo Aurelio Barbèri aveva una sua reputazione di ufficiale duro, ma giusto.
Le campagne militari alle sue spalle testimoniavano del resto che per il Generale di Brigata a Riposo Carlo Aurelio Barbèri il senso del dovere non era un optional; una larga cicatrice sul volto e diverse altre in parti meno visibili attestavano la sua non spiccata attitudine alla fuga di fronte al nemico.
Era un uomo che difficilmente si tratteneva dall’esprimere la propria opinione, e la sua voce grave di basso non aiutava per niente chi non avrebbe dovuto udire a fingere di non avere udito.
Era noto l’episodio in cui nel gelido silenzio conseguente a un evanescente e poco appropriato discorso di un Sottosegretario alla Difesa chiese al vicino di sedia, nel bel mezzo del Salone dei Duecento, e tutti udirono distintamente: «Che cavolo dice, questo bischero?».
Quella volta la sua pratica di avanzamento di carriera subì un ritardo maggiore del solito.
Quella sera, dopo aver ascoltato con un certo disgusto il dibattito televisivo, nel quale l’argomento dell’evasione fiscale era stato posto al centro delle promesse elettorali di tutti i partiti, prese coscienza del fatto che i grandi evasori fiscali accumulavano i soldi sottratti al Fisco in paesi e nazioni, detti Paradisi Fiscali, che favorivano l’afflusso di questi capitali sporchi; questi paesi e nazioni erano tuttavia ben noti, tanto che esisteva perfino una lista nella quale erano elencati, chiamata Black List.
«Ma come - si disse - c’è pure