Le donne che fecero l’Impresa – Veneto: Nessun pensiero è mai troppo grande
Di AA.VV.
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Anteprima del libro
Le donne che fecero l’Impresa – Veneto - AA.VV.
Le donne che fecero l’Impresa – Veneto
Nessun pensiero è mai troppo grande
A cura di Emanuela Zilio
Prima Edizione Ebook 2020 © Edizioni del Loggione, Modena-Bologna
ISBN: 9788893471251
Foto copertina: Antonia Verocai Zardini nel suo Atelier fotografico a Cortina d'Ampezzo, attivo dal 1904
foto da lastra © Archivio Storico foto Zardini - Cortina
Edizioni del Loggione srl
Via Piave,60 – Modena
http://www.loggione.it – loggione@loggione.it
Il nostro catalogo completo lo trovi su
www.librisumisura.it
Autrici Varie
Le donne che fecero l’Impresa
VENETO
Nessun pensiero è mai troppo grande
A cura di Emanuela Zilio
Racconti
INDICE
OSTINATE, BRILLANTI E UN PO’ RIBELLI: ECCO LE DONNE DEL MIO SOGNO
STEFANIA LUCCHETTA. IL GIOIELLO? FEMMINILE SINGOLARE
Stefania Lucchetta
IL CUORE OLTRE L’OSTACOLO
Antonella Candiotto
MARILISA ALLEGRINI, LA RAGAZZA RIBELLE CHE VOLEVA FARE IL MEDICO
Marilisa Allegrini
IL BRUTTO ANATROCCOLO
Ida Poletto
EDY, LA DONNA DELLA MECCANICA
Edy Dalla Vecchia
LE RAGAZZE DELLA MODA
Le imprenditrici del Centro Moda Polesano
UN CUORE CHE MODELLA LA TERRA
Francesca Marucco
RENATA BONFANTI: ARTE E MESTIERE
Renata Bonfanti
PROFUMO DI GRAPPA, PROFUMO DI DONNA
Teresa Parma Poli
Barbara Poli
Cristina Tessari Poli
DIVINE E LEGGERE COGLIENDO LA VIE EN ROSE
Silvia Bisconti
GIULIA MANCINI: DELL’UMILTÀ, CORAGGIO E DETERMINAZIONE
Giulia Mancini
COME LE ROSE
Michela Signori
TIC TOC
Sabrina Carraro
VITA DAI MILLE ORIZZONTI
Maria Antonietta Avanzo
ELISABETTA, UNA FORZA NELLA NATURA
Elisabetta Canale
432
Albina Podda
E LA STELLA POLARE INIZIA A BRILLARE IN CIELO COME UN DIAMANTE
Valentina Garonzi
UNA CIPOLLA PER AMICA
Elena Zuin
CHIARA E IL SUO BIANCOMONDO
Chiara Rossetto
LA REGINA DEL BUSSOLÀ
Carmelina Palmisano
UNA VITA SUL PALCOSCENICO
Maria Teresa De Antoni
Katia Pizzocaro
Cinzia Pizzocaro
VENTINOVE AGOSTO
Sarah Dei Tos
STEREOSCOPIA
Antonia Verocai Zardini
DONNE SI FA STORIA
NUOVI SGUARDI, NUOVE IMPRESE. QUESTO VOLUME HA UN VALORE EXTRA.
LE AUTRICI
Catalogo Edizioni del Loggione
La storia dipende anche da noi.
La Storia Si Fa.
OSTINATE, BRILLANTI E UN PO’ RIBELLI: ECCO LE DONNE DEL MIO SOGNO
di Antonia Arslan
Le loro storie si leggono una dopo l’altra, con divertimento e passione. Sono tutte donne, ma che donne! I caratteri, le imprese, i luoghi che le vedono affermarsi sono diversissimi fra loro; l’età e le situazioni personali anche, ma tutte sono accomunate dalla freschezza di una scelta di vita inedita che hanno abbracciato con un entusiasmo e una volontà di riuscire che non sono mai venuti meno.
Sono le donne a capo di un’impresa, e io le sento come sorelle. Sia che si tratti di biscotti, di gioielli o di macchinari, di alberghi o di campeggi, di trenini o di distillerie, o di tutte le altre invenzioni d’azienda che illustrano questo libro, esse hanno portato nel lavoro che si sono scelte (o, qualche volta, che la vita ha scelto per loro) la stessa volontà spavalda che riconosco a me stessa. Mi sono rispecchiata in loro: per me la scrittura non è una gradevole distrazione ma una quotidiana fatica, un combattimento con le parole e il loro muoversi nella pagina, che però è divenuta una felice ossessione di cui non potrei fare a meno, qualcosa che è innervato nella mia vita e la rende degna di essere vissuta.
Ho anche riconosciuto in questi racconti di vita
le tracce dello sforzo di affermarsi in ambiti tradizionalmente maschili, superando quel fastidio di non essere prese sul serio che molto spesso genera frustrazione e avvilimento, ma che invece queste pioniere
hanno saputo trasformare in potente stimolo ad andare avanti, cocciutamente, comunque e dovunque.
E ho ritrovato alcune care amiche, e il ricordo della lucida intelligenza della cara Mara Borriero e dei bei progetti che realizzammo insieme: perché cultura, oggi, è saper fare, con impeto e professionalità, nel campo che ci compete; ma è anche saper tessere le reti di vasti e armoniosi confronti.
STEFANIA LUCCHETTA. IL GIOIELLO? FEMMINILE SINGOLARE
di Monica Andolfatto
Le mani. E gli occhi. Guizzi veloci, fulminei capace di catturare i movimenti della realtà e di cristallizzarli in una forma che li esalta, li mostra e al contempo li nasconde e li libera ingabbiandoli.
Le mani. E gli occhi. Che forgiano gioielli innovativi e attrattivi, su cui si posano sguardi stupiti e sconcertati da soluzioni insolite al sentire comune.
Anelli, orecchini, spille, collane realizzati in materiali inconsueti per l’utilizzo finale, come il titanio e la stellite, alcuni dei quali, delle collezioni Crystal Diamond e Digital, sono stati acquistati dal Museo di arte e design di New York, il MAD, che li ha inseriti nella sua collezione permanente.
Le mani. E gli occhi. Di Stefania Lucchetta. Una donna del proprio tempo che lo vuole vivere e lo vuole consumare, mai sprecare, con ampia prospettiva sul mondo e presa tattile sulle cose nella quotidianità di una sperimentazione che non ha inizio né termine.
Nulla di più prezioso se non l’esserci in ciò che si fa e in ciò che si è, trasmettendo l’intrinseca necessità di testimoniare il segno trasmutato in sogno di un’identità condivisa.
Le mani. E gli occhi. Agili e curiose le prime nel maneggiare i materiali e nell’approcciare il lavoro. Indagatori e severi i secondi nel cogliere l’ispirazione e prevederne il percorso, a volte lineare, a volte tortuoso, verso quale traguardo finale.
Le mani. E gli occhi. Strumenti essi stessi del processo artistico, istruiti da apprendimento e ricerca, spesso da autodidatta, che ne hanno esaltato – mai mutilato – potenzialità e abilità nella sfida di piegare la tecnologia più avanzata alla realizzazione di creazioni uniche.
Studi umanistici nel curriculum di Stefania: il liceo classico poi la Facoltà di Lettere e la laurea in Storia dell’Arte. E una strada segnata: lavorare nell’azienda orafa di famiglia, fondata dal nonno che ha passato il testimone al padre.
"Dovevo far parte della terza generazione dei Lucchetta, garanzia di futuro per la ditta dove sono entrata nel 1999. Ci ho provato, eccome, a non deludere le aspettative, ad assecondare la volontà dei miei. Ma – racconta – fin da subito mi sono sentita stretta nel solco di prodotti, certo di qualità, ma fatti in serie, anonimi, sempre uguali a se stessi. Io aspiravo ad altro. A dispetto della mia formazione, io sono più portata per le materie scientifiche e per la sperimentazione che le accompagna. Forse anche per questo mi sono innamorata delle macchine a controllo numerico e dei nuovi software di progettazione 2D e 3D, che ho imparato a utilizzare da autodidatta, ritrovandomi pioniera nel loro impiego in ambito orafo".
Stefania, ancora non lo sapeva, ma aveva intrapreso la sua personalissima contesa: "Papà, proprio a seguito del mio inserimento nel management aziendale, aveva introdotto il primo macchinario per satinare l’oro con il laser, puntando a velocizzare il processo, sostituendo la velocità della macchina alla lentezza della satinatura e dell’incisione manuale. Ero molto affascinata dall’idea della macchina, degli automatismi, del progresso tecnologico ma non tanto per replicare all’infinito l’abilità delle mani artigiane, bensì per le infinite possibilità che queste fornivano per realizzare effetti non riproducibili manualmente, creando così un linguaggio nuovo nel gioiello".
Stefania firma la sua prima collezione, la chiama Optical, ma è solo l’embrione delle collezioni che interpreteranno dal profondo il suo genio creativo: "Appena esposta nelle fiere di settore la copiarono in Cina. Questo per me significava sia che era piaciuta molto – ammette sorridendo – sia che non era troppo difficile da copiare. Era la conferma che quel design industriale finalizzato a un buon prodotto, ma realizzato senza costi eccessivi e che puntava alla quantità e all’omologazione, non era vincente e, per me, nemmeno molto attraente".
Il divorzio dall’azienda paterna, ora gestita dal fratello, fu inevitabile. E nemmeno agevole. Il suo bisogno di misurarsi più con l’arte che con la produzione seriale non fu molto apprezzato dai genitori, né incoraggiato. Si trovò a ricominciare da zero, contando unicamente sulle proprie forze e sull’appoggio del marito.
Dopo aver iniziato con una semplice partita iva, nel 2007 fonda la Stefania Lucchetta srl, nome che rispecchia non tanto l’imprenditrice, ma un’impostazione precisa nel concepire il gioiello, manifesto dello Zeitgeist di chi lo indossa, mai accessorio o complemento di un look effimero, bensì espressione di una personalità decisa che non scende a compromessi.
"Chi indossa le mie creazioni è, nel mio immaginario, una persona decisa, estrosa, ottimista, disinteressata al riconoscimento che deriva dall’esibire la griffe famosa come sinonimo di successo e di affermazione sociale. Si tratta di una donna che è ella stessa testimonial di sé, che non teme di scontrarsi con il gusto imperante e che con orgoglio e coraggio rivendica la sua soggettività, come libera professionista, artista, imprenditrice, docente, artigiana e pure come casalinga. Sono donne che hanno scelto, in autonomia e con determinazione, il loro destino qualunque esso sia".
Nel suo atelier laboratorio, Stefania è a casa propria. Uno spazio immerso nel verde del giardino della villa in cui abita, con il marito, a Bassano del Grappa - città dove ha sempre vissuto, centro di gravità mobile nei trasferimenti all’estero, specie per quelli oltreoceano.
Uno spazio inondato di luce grazie alla vetrata che trasporta la presenza rilassante del maestoso faggio, dei silenziosi lecci, dell’antico corbezzolo e del verde del prato.
Uno spazio essenziale, contemporaneo, disseminato di bozzetti, schizzi più o meno complessi dove campeggiano oggetti mai nati, che Stefania ha fissato su piccole tele battezzandoli Forme di vita primordiali
: "Si tratta di preziose testimonianze dello sforzo di fare uscire dal nulla cose davvero nuove e dei fallimenti che accompagnano questi tentativi perché la tecnologia necessaria a oggettivarle era agli albori e tutto era sperimentazione e incertezza".
Le mani. E gli occhi. C’è tanta esperienza. C’è tanto rigore. C’è tanta fatica. E soddisfazione. Che Stefania racconta con semplicità e sincerità, al riparo da comode ipocrisie o da pose artefatte.
"Facile? La vita non ti regala niente. Ed è giusto così, in fondo. L’improvvisazione o la fortuna hanno una scadenza breve, brevissima. Puoi sfruttarle sul momento, ma per superare la prova devi impegnarti, devi applicarti, devi sudare, consapevole del fatto che il mestiere è un work in progress che non dà tregua, che ti sfinisce e che per sbalordire gli altri deve prima sbalordire te stesso".
Gli estimatori arrivano uno dopo l’altro, in anni di pervicace applicazione nell’affinare capacità e talento. Un mercato di nicchia, da collezionisti. E porta i suoi gioielli al di fuori dell’Italia, al di là dell’oceano, guadagnando rispetto e ammirazione. Alle fiere di settore preferisce le mostre personali. Le più recenti in Australia e a Venezia, mentre il Museo del gioiello di Vicenza nel 2018 ha acquisito due spille in titanio delle collezioni Vibrations e Paesaggi interiori.
Gioielli oppure opere d’arte?
"Io credo entrambi. Fortissimamente gioielli ideati e concretizzati allo scopo di venire indossati, esibiti, vissuti. Ma anche piccole sculture, o, se traslate in grande scala, visionarie architetture. Oggetti che sono specifici del nostro tempo, che hanno fogge inedite, che appartengono al presente, all’oggi anche perché resi possibili da tecniche di elaborazione e produzione contemporanee. Di qui l’utilizzo di tecnologie di ultima generazione, sia nella progettazione, sia nei processi di lavorazione. Disegno tridimensionale con diversi sistemi CAD, stereolitografia, sinterizzazione, fusione selettiva al laser (per nominarne alcuni) sono diventati per me strumenti per superare i confini di ciò che era possibile prima, i limiti imposti dalle tecniche tradizionali: strumenti che liberano la mia creatività da vincoli ormai obsoleti permettendomi di creare effetti nuovi e non riproducibili manualmente. È in questo modo che la tecnologia può rivelarsi anche fonte di ispirazione".
Ricerca e sperimentazione in perenne evoluzione, sulla scia di un progresso scientifico che rincorre e supera se stesso e che nelle creazioni di Stefania Lucchetta duetta con l’arte, non senza litigarci, in un confronto serrato e avvincente.
"Proprio così. Fin dall’inizio sono stata convinta che scienza e tecnologia mi avrebbero aiutato a sostanziare la mia idea di arte applicata al gioiello. Non mi sbagliavo. Negli anni in cui cercavo di trovare la mia dimensione creativa, sono nate nuove leghe metalliche e nuovi composti sintetici che accompagnavano l’evoluzione e il progresso delle tecnologie additive e che venivano utilizzati soprattutto nel campo biomedicale e aerospaziale. Eccomi quindi proiettata in un ambito diverso da quello tipico del gioiello, in un terreno inesplorato e fecondo per l’immaginazione, dove però, per far realizzare i miei primi anelli, dovevo prima convincere i tecnici, abituati a costruire protesi per l’anca o motori per aerei, che sì, con le loro macchine era possibile fare anche quei piccoli e misteriosi oggetti pieni di vuoto
che - a loro e non solo a loro - non sembravano nemmeno gioielli".
Stefania si mette a sperimentare. Crea i suoi oggetti prima con l’argento, materiale tradizionale e malleabile, per poi provare le resine epossidiche e in seguito quelle biocompatibili, per passare infine al titanio e alla stellite: "Ed è stato in questo stadio – spiega - che l’affinamento delle tecnologie mi ha permesso una piena libertà espressiva e una complessità quasi virtuosistica nella struttura del gioiello".
Forme plastiche, geometrie variabili, linee sinuose in cui a colpire è l’assenza materica, nel rincorrere ciò che nel mancare afferma la sua presenza.
A imporsi è il metallo. La sola pietra preziosa che Stefania utilizza è il diamante, considerato per la sua purezza, per la sua neutralità, per la sua eleganza.
E il colore? "Lo recupero e lo esalto stimolando il riflesso della luce sulle superfici di metallo, che scaturisce dal gioiello che si muove. Lo ribadisco, fatti per essere indossati, i miei gioielli si muovono insieme al corpo e a ogni piccolo spostamento, grazie al mutare dell’angolo di incidenza della luce, modificano il loro aspetto, la loro lucentezza e il loro colore, mettendo in evidenza di volta in volta particolari diversi o rivelando nuove sfumature".
Un approccio in cui appare tutt’altro che casuale il recente incremento dell’uso dell’anodizzazione del titanio, processo che, facendo ossidare la superficie del metallo, permette di ottenere un’intrigante scala cromatica.
"Con la ricerca di effetti luminosi e con l’aggiunta del colore alle mie strutture, prima prevalentemente lasciate al grigio dei metalli – spiega la designer - mi sono avvicinata a un codice che lascia più spazio alle emozioni, pur non abbandonando geometria e razionalità. E’ come se nel mio esprit géométrique si fosse infilato un certo esprit de finesse, come forse si può intuire nella serie di spille che ho chiamato Paesaggi Interiori. Paesaggi perché si distendono come vedute dall’alto, come una serie di campi vicini, confinanti. Interiori perché sono sedimentazioni di ricordi e di stati d’animo, non panorami veri e propri, ma figurazioni astratte che mi richiamano alla memoria luoghi, esperienze, sensazioni e pensieri.»
Le mani. E gli occhi. La pazienza e la sofferenza. Quando l’azienda è sulle tue spalle non puoi permetterti il lusso di mollare, di distrarti, di assentarti. È successo, non per volontà, nel 2014. Stefania ne parla come di un infortunio. La parola malattia la evita. Preferisce considerarla una pausa non richiesta, una sosta forzata che ha assecondato per combattere e vincere la battaglia per la sopravvivenza.
"Ero troppo stanca per lavorare. Mi sentivo sfinita, esausta, anche solo per pensare o disegnare. Ogni chemio era un colpo al fisico ma non allo spirito. Andavo con la mente alle mie creazioni lasciate incompiute e pensavo che dovevo farcela, perché sentivo di aver ancora qualcosa da dire e da fare".
La rinascita nel 2016. Dopo una mostra personale a Melbourne, Stefania è stata invitata l’anno scorso (2018) negli Usa, nella Grande Mela, per una performance con artisti provenienti da tutto il mondo al Museum of Arts and Design. In estate sarà in Germania per partecipare a un seminario di design d’avanguardia.
«Nina, Nina cosa stai combinando! Vieni subito qui.» Allarga le braccia e si accovaccia per accogliere la barboncina nera che ormai fa parte a pieno titolo della famiglia: "Mi fa ammattire, se non sto attenta si mangia i fili elettrici rischiando di rimanere fulminata". Guardandola le si illuminano gli occhi, mentre le mani frugano felici nel pelo lucido.
Ride. "Il gioiello cui sono più affezionata? È un anello Digital in stellite con diamante. Ho creato una serie da sei fra il 2009 e il 2010. Me ne sono rimasti due. Ho lavorato tanto per riuscire a farlo come volevo: il bozzetto, poi il disegno al computer, il passaggio alla macchina per la fusione e poi la pulitura e la lucidatura tutta a mano".
Non c’è nulla di snob nell’inseguire il pezzo unico. Al contrario. Vi è l’affermazione che ogni donna vale per ciò che è, a patto, ammonisce, di interiorizzare il motto che recita "la moda dice: anche io, lo stile dice: solo io. E con un velo di rammarico ammette:
Le italiane in questo senso sono meno mature delle americane, delle svedesi, delle norvegesi o delle australiane. La maggior parte preferisce identificarsi nelle grandi firme. Forse è una questione di reale emancipazione che stenta a radicarsi. Ma io non sono nessuno per giudicare e non ho la pretesa di farlo. Registro un dato di fatto. E propongo i miei gioielli coniugati al femminile singolare".
Stefania Lucchetta
Stefania Lucchetta è nata e vive a Bassano del Grappa (Vicenza). Ha conseguito la laurea all’Università Ca’ Foscari di Venezia (1999, Laurea con lode in Lettere e Filosofia) e il master alla Scuola Italiana Design di Padova (2004, Master in Disegno Industriale). Grazie alla sua ricerca innovativa, è stata invitata a tenere lezioni al Politecnico di Milano e le sue opere sono state esposte in importanti istituzioni di tutto il mondo, tra cui il Kunstgewerbemuseum di Berlino, la Triennale di Milano, il Museo d’arte moderna di Arnhem (Paesi Bassi), lo Yorkshire Sculpture Park di Wakefield (Regno Unito), il Museum of Arts and Design di New York (USA), il Museo del Gioiello di Vicenza (Italia).
Nel novembre 2010 la rivista internazionale di design Wallpaper* ha inserito il suo lavoro nella lista dei 20 migliori motivi per visitare l’Italia. Nel 2016 ha ottenuto il terzo premio al concorso International Design Awards (IDA) nella categoria Jewelry. Nel 2017 il Museum of Arts and Design di New York ha acquisito tre dei