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A colloquio con...
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E-book171 pagine1 ora

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Info su questo ebook

Dalle vive emozioni di grandi artisti e poeti contemporanei, e attraverso le loro parole, riusciamo a cogliere le caratteristiche dell'arte e della poesia di oggi, i cambiamenti, i tempi, le novità. Renato Minore, Melo Freni, Ennio Calabria, Enrico Benaglia, Andrea Mariotti, Nina Maroccolo, Plinio Perilli, Leonardo Caimi, Alessandra Gaggioli, Serena Maffia, Dalia Pelaggi, Giuseppe Calcerano, Iole Chessa Olivares, Manuel Olivares, ci aiutano ad entrare nelle luci e nelle ombre di aspetti del reale vissuti attraverso l'arte, ognuno con il proprio mezzo che sia la pittura o la poesia.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2020
ISBN9788831668040
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    Anteprima del libro

    A colloquio con... - Fausta Genziana Le Piane

    af­fet­to…

    TE­STA­MEN­TO

    Par­to.

    Qui la­scio

    un avan­zo di vi­ta

    la fo­to col non­no

    lo spec­chio in mi­nia­tu­ra

    l’oro­lo­gio im­pre­ci­so

    i li­bri in di­sor­di­ne

    i col­la­ges im­prov­vi­sa­ti

    gli al­to­par­lan­ti ru­mo­ro­si

    la stam­pan­te di­fet­to­sa

    la ten­da al­ta­le­nan­te

    i ri­trat­ti ip­no­tiz­zan­ti

    i so­gni a qua­dret­ti

    i di­zio­na­ri di Ba­be­le

    Ro­tel­la che strap­pa la pub­bli­ci­tà.

    Io che la­ce­ro la vi­ta.

    Fau­sta Gen­zia­na Le Pia­ne

    Enrico Benaglia: giocare col mondo

    Pit­to­re, di­se­gna­to­re, in­ci­so­re, li­to­gra­fo, sce­no­gra­fo, scul­to­re, En­ri­co Be­na­glia è na­to nel 1938 a Ro­ma, do­ve vi­ve e la­vo­ra. An­co­ra ado­le­scen­te fre­quen­ta Vil­la Me­di­ci, l’Ac­ca­de­mia di Fran­cia a Ro­ma e gli stu­di di al­cu­ni dei pro­ta­go­ni­sti dell’Ar­te del No­ve­cen­to co­me Faz­zi­ni, Omic­cio­li, Gen­ti­li­ni, Mon­ta­na­ri­ni, Giuf­fré, Po­mi­cio, Uli­vi, de Ca­ni­no, Sou­pault. Gra­zie all’au­ten­ti­ci­tà del­la sua pit­tu­ra, Be­na­glia en­tra in con­tat­to con un mon­do cul­tu­ra­le di poe­ti, scrit­to­ri e at­to­ri, che con­tri­bui­sco­no al­lo svi­lup­po e al­la de­fi­ni­zio­ne del suo mon­do poe­ti­co. Con que­sto cam­mi­na pa­ral­le­la una pri­ma in­ten­sa espo­si­ti­va, dal pre­mio Vil­la San Gio­vanni, del 1972, al­la mo­stra giap­po­ne­se ad Osa­ka, del 1973. Lun­go tut­ti gli an­ni  ot­tan­ta Be­na­gli si col­lo­ca de­fi­ni­ti­va­men­te nel pano­ra­ma ar­ti­sti­co na­zio­na­le gra­zie all’in­di­vi­dua­zio­ne di un’ico­no­gra­fia ori­gi­na­le e sim­bo­li­ca, le­ga­ta al mon­do fa­vo­li­sti­co e mi­to­lo­gi­co. Nel mar­zo 2002, in col­la­bo­ra­zio­ne con Ali­ta­lia e con Adar­com Eu­ro­pa, è al Vit­to­ria­no di Ro­ma col ci­clo Il giar­di­no se­gre­to, cu­ra­to da Ali­da Ma­ria Ses­sa che lo pre­sen­ta in ca­ta­lo­go con Duc­cio Tro­ba­do­ri. Espo­ne in mo­stre per­so­na­li in nu­me­ro­se cit­tà ita­lia­ne,a New York, Tal­lin, Ma­drid, Vien­na, Stra­sbur­go e Bru­xel­les.

    In­con­tro En­ri­co Be­na­glia nel suo stu­dio di Via Be­na­co, un po’ all’avan­guar­dia, un po’ se­con­do lo sti­le del quar­tie­re di No­thing Hill a Lon­dra. Scen­do al­cu­ni gra­di­ni, una gran­de ve­tra­ta in­tro­du­ce ne­gli am­pi spa­zi dell’ate­lier del Mae­stro. Sug­ge­stio­ne: En­ri­co mi ac­co­glie in pul­lo­ver, scar­pe da gin­na­sti­ca e jeans. Am­ma­lia­ta dal sor­ri­so-bam­bi­no, se­guo il pif­fe­ra­io ma­gi­co e, inol­tran­do­mi nel suo mon­do fan­ta­sti­co, di­men­ti­co la real­tà e di vi­ve­re a Ro­ma.

    -Spes­so i tuoi qua­dri si ispi­ra­no al te­ma del gio­co: che co­sa rap­pre­sen­ta que­sto ele­men­to per te?

    È il mo­do mi­glio­re per af­fron­ta­re la vi­ta. Sen­za gio­co non c’è crea­ti­vi­tà. Di­ce Carl Gu­stav Jung: "Il prin­ci­pio di­na­mi­co è il gio­co, che è pro­prio an­che nel bam­bi­no e co­me ta­le sem­bra in­com­pa­ti­bi­le con il prin­ci­pio del la­vo­ro se­rio. Ma sen­za que­sto gio­ca­re con la fan­ta­sia non è mai na­ta ope­ra d’ar­te. Il de­bi­to che ab­bia­mo con il gio­co dell’ar­te è in­cal­co­la­bi­le.

    -Tre qua­dri in­ti­to­la­ti me­ri­ta­no at­ten­zio­ne: Man­gia­to­ri di gio­cat­to­li, Bar­ba­blù e Ali­ce. In Bar­ba­blù e Ali­ce, ol­tre ad es­se­re pro­ta­go­ni­ste due don­ne, te­sti­mo­nia­no il tuo in­te­res­se per il mon­do del­le fa­vo­le.

    Due don­ne, due sen­ti­men­ti, va­ni­tà e de­lu­sio­ne. In Bar­ba­blù, la don­na che fug­ge ha di­se­gna­te nel fon­do del­le pie­ghe del ve­sti­to al­cu­ne piu­me di pa­vo­ne, sim­bo­lo del­la va­nit° fem­mi­ni­le e in Ali­ce la bam­bi­na guar­da scon­so­la­ta il ca­stel­lo di car­ta, gran­de quan­to lei, in equi­li­brio pre­ca­rio. In Man­gia­to­ri di gio­cat­to­li, l’at­to di man­gia­re è as­si­mi­la­bi­le a quel­lo sim­bo­li­co di nu­trir­si e ap­pro­priar­si del de­sti­na­ta­rio o del­le sue qua­li­tà.

    Mi guar­do in­tor­no: non ci so­no bi­ci­clet­te che En­ri­co ama mol­to ma, sot­to la men­so­la in tra­ver­ti­no che cor­re lun­go le pa­re­ti; su­gli scaf­fa­li, in per­fet­to or­di­ne, ca­ta­lo­ghi, ar­ti­co­li, sag­gi e fo­to­gra­fie.

    -Ti de­fi­ni­re­sti un pit­to­re mi­ni­ma­li­sta?

    Po­chi san­no che ho co­min­cia­to os­ser­van­do il mon­do di Paul Klee, un gran­de in­tel­let­tua­le an­te lit­te­ram, di mo­da ne­gli an­ni set­tan­ta, che si ispi­ra al se­gno istin­ti­vo dei bam­bi­ni. E ho ri­sco­per­to que­sta di­men­sio­ne guar­dan­do i mar­cia­pie­di di Ro­ma, so­prat­tut­to nei quar­tie­ri po­po­la­ri, espo­si­zio­ne dell’ar­te in stra­da, ai qua­li si è ispi­ra­to an­che Ba­squiat.

    -Qua­le è il rit­mo del­la tua gior­na­ta di la­vo­ro?

    In un cer­to sen­so, ho sem­pre fir­ma­to il car­tel­li­no, so­no sem­pre sta­to un me­to­di­co. La mat­ti­na, quan­do pos­so ed è bel tem­po, esco, me ne va­do in tu­ta a Vil­la Ada o a Vil­la Bor­ghe­se a cor­re­re, cam­mi­na­re, pen­sa­re. La­vo­ro la mat­ti­na e il po­me­rig­gio, mai di not­te. L’Ar­ti­sta è co­me un ar­ti­gia­no, ini­zia e fi­ni­sce ciò che fa, una se­dia, per esem­pio, l’ar­ti­sta non è mai sod­di­sfat­to, tor­na e ri­tor­na sul pro­prio la­vo­ro, per fer­ma­re al­cu­ni ef­fet­ti o emo­zio­ni o pen­sie­ri. Amo mol­to la ma­nua­li­tà e, co­me i bam­bi­ni, so­no af­fa­sci­na­to dai ne­go­zi di co­lo­ri, li com­pre­rei tut­ti.

    -Qua­li so­no i tuoi rap­por­ti con i cri­ti­ci?

    Ini­zial­men­te mol­to ti­mi­di, non mi so­no mai fat­to in­fluen­za­re, pe­rò ho fa­ti­ca­to. Ho avu­to la for­tu­na di co­no­sce­re gros­si in­tel­let­tua­li, per­so­nag­gi uf­fi­cial­men­te ri­co­no­sciu­ti che mi han­no in­co­rag­gia­to, in­di­can­do­mi an­che si­gni­fi­ca­ti­ve let­tu­re. Ma so­prat­tut­to mi è ser­vi­to mol­to vi­si­ta­re i mu­sei: l’ar­ti­sta de­ve co­no­sce­re la sto­ria dell’ar­te at­tra­ver­so la rea­liz­za­zio­ne rea­le del­le ope­re de­gli al­tri.

    In­ter­vi­sta pub­bli­ca­ta sul pe­rio­di­co IL­LA, 2/2009

    Leonardo Caimi: voce della Calabria nel mondo

    Quan­ti gio­iel­li ce­sel­la la Ca­la­bria, quan­ti fi­gli na­sco­no in que­sta ter­ra dal­la sto­ria mil­le­na­ria e por­ta­no il lo­ro ta­len­to in gi­ro per il mon­do ren­den­do gran­de il no­me del no­stro Pae­se. Leo­nar­do Cai­mi è uno di que­sti. Na­to a La­me­zia Ter­me, ha stu­dia­to al Con­ser­va­to­rio «F. Tor­re­fran­ca» di Vi­bo Va­len­tia, con­se­guen­do il di­plo­ma in cla­ri­net­to e, suc­ces­si­va­men­te, al Con­ser­va­to­rio «A. Co­rel­li» di Mes­si­na do­ve si è di­plo­ma­to in can­to li­ri­co. Nel frat­tem­po ha con­se­gui­to la lau­rea in Fi­lo­so­fia pres­so l’Uni­ver­si­tà de­gli Stu­di di Mes­si­na, con il mas­si­mo dei vo­ti e la lo­de. Vin­ci­to­re o fi­na­li­sta in mol­ti con­cor­si an­che in­ter­na­zio­na­li, si è esi­bi­to nei più im­por­tan­ti tea­tri ita­lia­ni e all’este­ro in Giap­po­ne, Un­ghe­ria, Sa­li­sbur­go - per il Fe­sti­val. In­ten­sa è la sua at­ti­vi­tà con­cer­ti­sti­ca con l’or­che­stra dei Po­me­rig­gi Mu­si­ca­li al Tea­tro Dal Ver­me di Mi­la­no e, in col­la­bo­ra­zio­ne con l’ As­so­cia­zio­ne Ami­ci di Jo­sè Car­re­ras per la lot­ta con­tro la leu­ce­mia, al Tea­tro Re­gio di To­ri­no. La sua ver­sa­ti­li­tà tea­tra­le e vo­ca­le gli per­met­te di af­fron­ta­re con di­sin­vol­tu­ra an­che il re­per­to­rio ope­ret­ti­sti­co.

    -Dal cla­ri­net­to all’ope­ra: co­sa pre­di­li­gi, suo­na­re o can­ta­re? Con­ti­nui a suo­na­re?

    So­no sta­to cla­ri­net­ti­sta per un po’ di an­ni, 10 cir­ca. Il pas­sag­gio al can­to è av­ve­nu­to per ne­ces­si­tà, o di­rei ad­di­rit­tu­ra per ri­pie­go. Un se­rio pro­ble­ma al­la ma­no si­ni­stra mi ha mes­so di fron­te all’im­pos­si­bi­li­tà di po­ter con­ti­nua­re la car­rie­ra di stru­men­ti­sta. Lo stu­dio del­la Fi­lo­so­fia all’uni­ver­si­tà da­va i suoi frut­ti, tut­ta­via vo­le­vo for­te­men­te de­di­ca­re la mia vi­ta al­la mu­si­ca. Oc­cor­re­va pe­rò tro­va­re uno stru­men­to per il qua­le non ser­vis­se la ma­no si­ni­stra e, in un pri­mo mo­men­to, ho in­tra­pre­so gli stu­di per di­ven­ta­re di­ret­to­re d’or­che­stra. Ave­vo sco­per­to il do­no del­la vo­ce li­ri­ca al­cu­ni an­ni pri­ma, ma non ave­vo mai pen­sa­to di po­ter­ne fa­re una pro­fes­sio­ne, an­che per­ché per na­tu­ra so­no sta­to, e in fon­do lo so­no an­co­ra, ti­mi­do e in­tro­ver­so. Al­la fi­ne tut­ta­via la vo­ce ha avu­to il so­prav­ven­to. Il cla­ri­net­to pe­rò lo por­to sem­pre con me, an­che se or­mai non suo­no più.

    -C’è una tra­di­zio­ne fa­mi­glia­re per quan­to ri­guar­da la mu­si­ca?

    Pos­so di­re che in­dub­bia­men­te pro­ven­go da una fa­mi­glia che ama mol­to la mu­si­ca. E que­sto si­cu­ra­men­te ha si­gni­fi­ca­to mol­to per me. Per quan­to ri­guar­da pro­prio l’im­prin­ting del can­to li­ri­co, mol­to lo de­vo al­la mia non­na ma­ter­na che era un so­pra­no.

    -Com’è ac­col­ta all’este­ro l’ope­ra ita­lia­na? In Giap­po­ne? In Un­ghe­ria?

    All’este­ro l’ope­ra è mol­to ama­ta e la com­pe­ten­za, ali­men­ta­ta dal­la for­ma­zio­ne sco­la­sti­co- mu­si­ca­le dei gio­va­ni, ap­pas­sio­na una gran­de quan­ti­tà di pub­bli­co. Que­sto pur­trop­po man­ca in Ita­lia. Da noi lo stu­dio del­la mu­si­ca, in­fat­ti, vie­ne af­fi­da­to oc­ca­sio­nal­men­te a quei po­chi che lo ri­chie­do­no e non rap­pre­sen­ta una ve­ra edu­ca­zio­ne e for­ma­zio­ne cul­tu­ra­le di tut­ti.

    -Qua­le ruo­lo pre­fe­ri­sci in­ter­pre­ta­re?

    Ka­f­ka di­ce­va che il Tea­tro è ne­ces­sa­rio per­ché ci da la pos­si­bi­li­tà di vi­ve­re quel­la plu­ra­li­tà di vi­te di cui ab­bia­mo bi­so­gno. Io ho uno sfre­na­to de­si­de­rio di vi­ta e quin­di o bi­so­gno del­la re­ci­ta­zio­ne! Ho avu­to la for­tu­na di po­ter in­ter­pre­ta­re già mol­ti per­so­nag­gi con di­ver­se sfac­cet­ta­tu­re, pur tut­ta­via, per le mie ca­rat­te­ri­sti­che vo­ca­li e fi­si­che so­no pro­ba­bil­men­te più adat­to ai ruo­li amo­ro­si; co­me Ro­dol­fo del­la Bo­hè­me ad esem­pio.

    -In che co­sa è dif­fe­ren­te il can­to dell’ope­ret­ta?

    L’ope­ret­ta è un mon­do par­ti­co­la­re. Per­so­nal­men­te la tro­vo mol­to in­te­res­san­te ma so­lo se fat­ta ad un cer­to li­vel­lo. La scrit­tu­ra vo­ca­le e or­che­stra­le per la pre­ci­sio­ne è tutt’al­tro che fa­ci­le. Inol­tre, i con­ti­nui pas­sag­gi dal can­to al par­la­to del­la re­ci­ta­zio­ne pu­ra­men­te at­to­ria­le, ri­chie­sta dal ge­ne­re, crea­no non po­che dif­fi­col­tà agli in­ter­pre­ti.

    -Og­gi, in Ita­lia, i gio­va­ni si de­di­ca­no al can­to?

    Ho co­min­cia­to la mia car­rie­ra can­tan­do pro­prio di fron­te al pub­bli­co del­le scuo­le e ai gio­va­ni. E de­vo di­re che ho sem­pre ri­scon­tra­to un gran­de in­te­res­se da par­te lo­ro. Pur­trop­po pe­rò fi­no­ra non c’è sta­ta una po­li­ti­ca cul­tu­ra­le ade­gua­ta. Nel sen­so che chiun­que vo­glia af­fron­ta­re lo stu­dio del can­to, de­ve af­fi­dar­si so­prat­tut­to a de­gli sfor­zi per­so­na­li, man­can­do nel­la real­tà dei no­stri con­ser­va­to­ri (sal­vo ra­ri ca­si) un cor­po in­se­gnan­te ca­pa­ce di edu­ca­re ade­gua­ta­men­te un gio­va­ne e con­dur­lo con com­pe­ten­za fi­no al­le ta­vo­le del pal­co­sce­ni­co.

    -Che espe­rien­za è sta­ta can­ta­re al­la Sca­la?

    Can­ta­re al tea­tro Al­la Sca­la ? …Era il 7 ot­to­bre del 2006, chi può di­men­ti­car­lo?! La mia pri­ma vol­ta!: Pe­ti­te mes­se so­lem­nel­le di Ros­si­ni. Quan­do so­no sa­li­to su quel pal­co e su­bi­to do­po quan­do è ar­ri­va­to il mo­men­to di at­tac­ca­re, cioè di co­min­cia­re a can­ta­re, la mia aria so­li­sti­ca, cre­do mi sia pas­sa­ta da­van­ti in un so­lo mo­men­to tut­ta la mia vi­ta di stu­den­te di mu­si­ca. È sta­ta un’emo­zio­ne in­de­scri­vi­bi­le. Non ci so­no pa­ro­le an­co­ra og­gi!

    -Il pub­bli­co aman­te del­la mu­si­ca è lo stes­so in tut­to il mon­do?

    Cam­bia la cul­tu­ra dei po­po­li, la lo­ro pre­pa­ra­zio­ne al­la frui­zio­ne del mes­sag­gio ar­ti­sti­co, ma la lu­ce de­gli oc­chi di chi si com­muo­ve di fron­te all’ope­ra…no. Quel­la non cam­bia, è ugua­le in tut­to il mon­do.

    -Hai can­ta­to sot­to la di­re­zio­ne di Lo­rin Maa­zel e Ric­car­do Mu­ti: qua­le è il rap­por­to tra il te­no­re ed il di­ret­to­re d’or­che­stra?

    Il rap­por­to tra il can­tan­te e il di­ret­to­re d’or­che­stra è un rap­por­to di gran­de col­la­bo­ra­zio­ne, po­trei di­re di bi­so­gno re­ci­pro­co. Spes­so non man­ca­no gli scon­tri, ma ciò è do­vu­to ov­via­men­te ai gran­di mo­men­ti di ten­sio­ne che non man­ca­no mai du­ran­te una pro­du­zio­ne. Lo­rin Maa­zel e Ric­car­do Mu­ti so­no in­dub­bia­men­te i mi­glio­ri di­ret­to­ri d’or­che­stra con i qua­li io ab­bia avu­to la for­tu­na di la­vo­ra­re. Due gran­di per­so­na­li­tà co­sì di­ver­se tra lo­ro, ma en­tram­bi mos­se da una ra­ra de­di­zio­ne

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