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Il mondo di Atlan. Parte seconda
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E-book844 pagine13 ore

Il mondo di Atlan. Parte seconda

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Info su questo ebook

Mentre sulla Terra i Guardiani contano i giorni che li separano dall'offensiva finale dei Custodi, su Atlan Elli cerca disperatamente un modo per fermare la guerra che sta dilaniando quel mondo. L'Ultima Rivelatrice è convinta che solo i Messaggeri, gli Angeli di cui le ha parlato la Veggente Amàril, possano darle le risposte di cui ha bisogno, ed è pronta a correre qualunque rischio pur di raggiungerli nell'Aldilà. Ma la verità che ha cercato per anni potrebbe essere molto più sconvolgente di quanto abbia mai pensato...
Due mondi sull'orlo di un baratro, e una sola persona che può salvarli... o condurli alla rovina.
Per Elli è giunto il momento di scegliere come agire e in cosa credere.
Il capitolo finale della Saga dell'Averon, che in un crescendo di rivelazioni e colpi di scena ci conduce alla conclusione di una storia epica.
LinguaItaliano
Data di uscita27 mar 2020
ISBN9788895974507
Il mondo di Atlan. Parte seconda

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    Anteprima del libro

    Il mondo di Atlan. Parte seconda - Loredana La Puma

    Ringraziamenti

    PROLOGO

    Il Supremo Reggente dell’Ordine dei Guardiani era immobile in cima alla scalinata del suo Palazzo. Guardava la Città costruita dai suoi antenati, silenziosa e inerte come la pietra di cui era fatta. Non sapeva che ora fosse di preciso. Probabilmente all’esterno i primi raggi del sole cominciavano già a illuminare il mondo. Ma non lì. Non nella loro prigione dorata.

    In breve la sua attenzione si concentrò sull’unico palpito di vita percepibile: un uomo si avvicinava lungo la strada principale, per poi prendere a salire a passo rapido la gradinata che portava alla reggia.

    «Vostra Eccellenza» lo salutò quest’ultimo quando l’ebbe raggiunto, in tono deferente e senza nemmeno un po’ di fiatone.

    «Bando alle formalità, Lutho» lo pregò Nico. «Dimmi soltanto ciò che devi.»

    L’altro si fregò il mento ricoperto da un paio di giorni di barba. «Beh, vecchio mio» si pronunciò infine, «per dirla con un’espressione elegante, siamo nella merda.»

    «Quando?» si informò il Supremo Reggente, senza tuttavia provare nulla. Non un’ombra di angoscia, né di paura.

    «Se decidono di prendersela comoda, direi una settimana, o poco più.»

    «Ben prima di quanto pensassimo» si limitò a osservare Nico.

    «Direi di sì. Non che abbia molta importanza, in realtà. Settimana più, settimana meno… ormai cambia poco.» Poi, di colpo, l’uomo parve rendersi conto di ciò che aveva implicitamente detto e un’insolita espressione angosciata gli si dipinse sui lineamenti rudi. «Oddio, Nico» mormorò, «non volevo certo dire che…»

    «Non preoccuparti, amico mio» lo prevenne però lui. «Ormai credo di essermi rassegnato. Quando il dolore diventa talmente forte, sai, non lo si sente quasi più. L’idea che presto raggiungerò lei e Alice in realtà è una liberazione.»

    «Ma non è affatto detto che Elli sia…» iniziò Lutho, per poi fermarsi e scuotere la testa. «Le avevamo dato due mesi di tempo» gli rammentò, quasi a volerlo invitare alla ragionevolezza. «Ne è trascorso poco più di uno. È ancora possibile che lei e gli altri due stiano bene e perfino che riescano a tornare in tempo.»

    «Nessuno ci crede più, ormai. Nemmeno tu.» Nico gli rivolse un sorriso amaro. «La verità è che non avremmo mai pensato che sarebbero stati via tanto a lungo, non sul serio. Anche ammesso che siano usciti vivi da quel passaggio, chissà cosa avranno trovato ad attenderli dall’altra parte.»

    Lutho sembrò sul punto di ribattere qualcosa, ma rinunciò. «Che facciamo adesso?» gli chiese invece dopo alcuni istanti di silenzio.

    Nico alzò sull’altro uno sguardo vagamente incuriosito. Davvero credeva che avesse qualche soluzione? «Il piano di difesa studiato a suo tempo si basava su… premesse diverse» rammentò all’amico. «Al momento attuale non possiamo più contare nemmeno sulla barriera difensiva dell’Averon. Se proprio non vorranno restarsene con le mani in mano ad attendere la fine, le Guardie sanno già come agire e i Comandanti hanno i loro ordini. Non mi sembra ci sia altro da aggiungere.»

    Lutho non replicò, si limitò a inspirare rumorosamente dal naso, poi puntò lo sguardo su qualcosa alle spalle di Nico. Una persona, evidentemente, visto che le rivolse un cenno di saluto.

    Quando anche Nico si voltò in quella direzione, si trovò di fronte Rita che lo fissava con un’espressione torva. Si chiese distrattamente da dove fosse saltata fuori.

    «Bene, allora… sarà meglio che mi riunisca con i Comandanti» annunciò Lutho, che d’improvviso sembrava nutrire un discreto desiderio di battere in ritirata. «Devo aggiornarli sugli ultimi sviluppi.» Si congedò da entrambi con un nuovo cenno del capo e in pochi secondi si dileguò all’interno del Palazzo.

    «E così ci arrendiamo?» esordì Rita una volta rimasta sola con Nico, senza togliergli quello sguardo severo di dosso. «Ci arrendiamo e… basta?»

    «Come mai fuori così presto?» si informò lui, mettendo le mani dietro la schiena e tornando a osservare la Città. La tenacia e la cocciutaggine di quella ragazza non avrebbero mai smesso di sorprenderlo.

    «Sono stata alle Cascate. Nessun cambiamento» aggiunse subito, notando probabilmente il sussulto con cui lui aveva reagito alle sue parole.

    Nico fu costretto a serrare un attimo gli occhi per superare l’improvvisa ondata di dolore. Adesso basta si disse però con fermezza. Basta con le speranze e le illusioni. Facevano soltanto male, un male atroce, e lui non era in grado di sopportare altro dalla vita.

    «Rita, so che non vuoi arrenderti all’idea che Elli non ci sia più» le disse allora. «Pensi forse che non ti conosca, o che non comprenda il legame che vi ha unito in tutti questi anni?» Gli occhi della ragazza si fecero in un attimo rossi e lucidi, tanto che si affrettò a voltare il viso da un lato. «Ho tenuto d’occhio Elli fin da quando i Giordano la adottarono, questo lo sai, ma forse non hai considerato che, osservando crescere lei, ho visto crescere anche te. Ho visto la vostra amicizia nascere e rinsaldarsi nel tempo, e ti ho vista trasformarti dal maschiaccio ribelle che eri nella donna forte e determinata che ho davanti a me in questo momento. Ti conosco molto meglio di quanto pensi, e so – credimi, lo s o – quello che Elli rappresenta per te, e quanto ti costerebbe dover ammettere che probabilmente non la rivedrai più.» Nico fu costretto a fermarsi, pensando che da un momento all’altro il cuore gli avrebbe ceduto. Poi, senza neppure sapere come, trovò la forza per proseguire: «Ma a volte, purtroppo, le persone che amiamo ci lasciano. Ci lasciano e basta. Io ho perso mia moglie tanti anni fa, e ho dovuto accettarlo. Tu hai perso Luca. Entrambi, credo, siamo andati avanti unicamente per il bene dei nostri figli. Ma adesso c’è una grande differenza tra noi due: tu hai ancora Gariel, hai ancora un motivo per lottare, mentre io non ne ho più nessuno. Non posso più continuare, Rita. Non voglio più continuare.»

    «Tu sei il capo dell’Ordine» dichiarò lei senza mezzi termini. «Non puoi lavartene le mani.»

    Nico provò l’assurdo impulso di ridere, ma si trattenne. «Rita, quello che fra pochi giorni ci piomberà addosso è un esercito imbattibile» le rammentò. «Non possiamo ucciderli, non possiamo fermarli. Utilizzando la tecnica che hai messo a punto, bene che vada riusciremo a stordirne alcuni per un tempo limitato. Ma per ogni Custode che riusciremo a rallentare, ce ne saranno altri dieci, venti, cento che continueranno ad avanzare verso la Città. E qualche giorno fa, con quella sua pioggia di sangue, temo che Atreo ci abbia dato appena un assaggio del suo potere. Ora, dimmi: perché mai dovremmo combattere una battaglia che non possiamo vincere? A che scopo?»

    «Ci sarà chi vorrà resistere fino all’ultimo.»

    «E io di certo non glielo impedirò.» Nico le voltò le spalle e fece per tornare nel Palazzo. Era stanco di parlare, stanco di tutto. Aveva cercato di essere un leader, aveva fatto del suo meglio. Adesso voleva soltanto restare solo.

    Ma l’altra non sembrava disposta a concedergli questo lusso, e le successive parole che pronunciò lo inchiodarono sulla soglia del portale: «Quindi ti barricherai nella Sala del Trono ad attendere che sia finita, mentre qui fuori tutti gli altri combatteranno e moriranno per la propria vita e per quella delle persone che amano.»

    «Se agissi diversamente, cosa cambierebbe?» L’uomo si voltò appena indietro. «Io non sono Elli, non ho alcun potere. Non posso salvarvi dai Custodi.»

    «Cambierebbe che almeno, per un’unica volta nella vita, non ti saresti comportato da vigliacco» lo apostrofò la migliore amica di sua figlia. «Perché è questo che fai sempre, no? Non appena la situazione diventa troppo difficile o complicata, tu tagli la corda.»

    Nico tornò a voltarsi verso la ragazza, che sostenne il suo sguardo senza alcun tentennamento o imbarazzo.

    «Una volta ho lasciato l’Ordine, questo è vero. Ma l’ho fatto unicamente per donare a mia figlia quella libertà a cui ogni bambino di questo mondo ha pieno diritto. Non provo vergogna per questo, né mai lo farò.»

    «E di Milo Accardi che mi dici?» ribatté lei con aria di sfida. «Che mi dici di tutti gli altri bambini dell’Ordine? Non avevano diritto anche loro a un’infanzia migliore di quella che hanno avuto?»

    Nico annuì un paio di volte, cominciando forse a capire. «Hai parlato con Dario Accardi» affermò con una certa tristezza.

    «Sì. Ieri notte sono andata a trovarlo nella sua cella. Avevo bisogno di capire da cosa fosse alimentato tutto quell’odio.»

    «Dal mio tradimento, naturalmente» ammise Nico. A quelle parole qualcosa di sgradevole si mosse dentro di lui, e un’immagine che negli ultimi mesi aveva cercato di non mettere a fuoco gli si ripresentò alla mente con sconcertante nitidezza: gli occhi di un ragazzino che lo fissavano pieni di rabbia e dolore, ma anche di fiducia.

    «Tu lo sapevi» lo accusò Rita in tono incredulo. «Ricordavi benissimo la promessa che avevi fatto a Dario quando era bambino, non è così?»

    Nico sospirò, quasi spazientito. «Sì, me ne ricordavo. E allora?»

    «E allora… non l’hai detto a nessuno! Se avessimo saputo che aveva un motivo di risentimento così grande nei tuoi confronti, sarebbe finito subito in cima alla lista dei sospettati!»

    «È sempre stato in cima a quella lista. Fin dall’inizio l’ho fatto seguire, interrogare e sorvegliare nella ferma convinzione che fosse lui il capo dei Dissidenti, e questo non ve l’ho certo nascosto.»

    «Sì, ma non ci hai nemmeno rivelato da cosa nascesse realmente questa tua certezza.» Rita scosse il capo con aria sempre più disgustata. «Cos’è? Non volevi fare brutta figura con tua figlia? Temevi di mostrarle che tipo di persona fossi in realtà?»

    «Ho sempre agito solo e soltanto per il suo bene, e non permetterò a te o a chiunque altro di criticarmi per questo.»

    «Caspita, Elli deve aver preso proprio da sua madre!»

    Nonostante la gravità di quelle parole, Nico non poté fare a meno di curvare le labbra in un accenno di sorriso: non si poteva certo dire che quella ragazza avesse peli sulla lingua!

    «Di sicuro» le concesse, rifiutando di prendersela. «Mai sostenuto di essere l’uomo migliore del mondo. Di certo non sono un eroe, mi dispiace.»

    Provò ancora ad andarsene, ma di nuovo l’altra lo incalzò: «Hai già tradito questa gente una volta» gli rammentò, con una voce calma e gelida decisamente inusuale per lei. «Non farlo ancora. Se davvero… se davvero credi che tua figlia sia morta, allora dimostrati degno di lei e del suo sacrificio. Elli non si sarebbe mai tirata indietro, né avrebbe mai abbandonato al loro destino delle persone che confidavano in lei. Cavoli, è proprio per questo che si è infilata in quel dannato passaggio!» La ragazza aveva pronunciato le ultime parole con voce rotta ma perentoria. «Quando sarà l’ora, dovresti restare al fianco di chi ti considera un punto di riferimento, o queste persone moriranno pensando di essere state abbandonate perfino dalla loro guida, e che tutto quello per cui hanno combattuto non abbia mai avuto alcun significato.»

    Con uno sforzo non indifferente, Nico riuscì a rivolgerle un’ultima occhiata, e la vide lì, in piedi sul bordo del terrazzo con la Città di Pietra alle sue spalle, dritta come una lancia e con un’espressione dura su quel volto ormai completamente adulto. Le sembrò minuta come non mai, eppure al tempo stesso ebbe l’impressione che l’intera Città, anzi, che l’intero Ordine dei Guardiani fosse rappresentato da quella ragazza disperata e coraggiosa, pronta a sfidare a testa alta il proprio destino.

    Il Supremo Reggente distolse lo sguardo, si voltò e tornò a rifugiarsi nel Palazzo, dove lentamente attraversò un corridoio dopo l’altro fino a tornare nella Sala del Trono.

    Vi rimase per molte e molte ore, in apparenza solo, ma in realtà con tutti i fantasmi del suo passato.

    CAPITOLO 01: Il Varco di Zhàar

    Sebbene appartenesse alla famiglia reale, Iolek non aveva una tenda, proprio come la maggior parte dei Vintarin. Dormiva per terra sopra una pelle d’animale, a poca distanza da un falò quasi spento.

    Molti suoi simili erano distesi tutto intorno con le armi a portata di mano, com’era d’uso per dei guerrieri di Antàrion in territorio nemico. Anche lui aveva un’ascia a manico corto pronta all’uso, sebbene avesse il fondato sospetto che non l’avrebbe utilizzata; non in quella campagna almeno: sua cugina Xantèa sembrava fermamente intenzionata a non lasciarlo partecipare in alcun modo agli scontri.

    L’alba era alle porte. Erano passate ormai diverse Clessidre dall’incontro nella tenda grande, a cui il ragazzo era riuscito ad assistere solo grazie al suo ruolo di Aiutante di Campo, un titolo altisonante che celava il semplice incarico di organizzare i rifornimenti di cibo e bevande per tutti i presenti, dignitari da Antàrion e Scribi, Signori e ufficiali da Crineide.

    Erano volate parole grosse durante quell’ultimo Consiglio di Guerra, e secondo lui era un prodigio che non si fosse arrivati a uno scontro. Re Hasradi aveva criticato duramente Xantèa per aver consegnato la potente e misteriosa Strega a Orl XVI, ed era arrivato addirittura ad accusare la Principessa di Antàrion di una segreta alleanza con l’Impero. Stranamente sua cugina non aveva quasi reagito alle accuse e aveva anzi intimato ai suoi di mantenere la calma e di non rispondere in alcun modo alle provocazioni del sovrano piode. Si era limitata a ribadire l’infallibilità del Duello degli Dèi e a rammentare di come la straniera l’avesse sconfitta lealmente, obbligandola così a liberarla. Aveva quindi dichiarato che non avrebbe mandato i propri guerrieri allo sbaraglio contro le forze potenti e misteriose che sembravano essersi intromesse in quella guerra, senza prima aver decifrato il messaggio che le Supreme Potenze intendevano inviare loro con quei segni. A quel punto tutti i Piodi, dietro ordine di Hasradi, avevano abbandonato l’assemblea.

    «Strega o non Strega» erano state le ultime parole del Re, «troveremo il modo di abbattere l’ultimo baluardo dell’Impero. Se la decisione di Antàrion sarà quella di restare a guardare, rimane sottinteso che tutto ciò che Crineide avrà conquistato a Crineide apparterrà di diritto.»

    «Nessun problema» aveva risposto Xantèa. «E che i vostri Dèi vi proteggano. Ho la sensazione che ne avrete bisogno.»

    Quell’ultima frase aveva pietrificato il sorriso beffardo sulle labbra di quasi tutti i Piodi, ma anche molti Vintarin erano sembrati a disagio per l’atteggiamento della propria sovrana.

    Girato su un fianco, col riverbero delle fiamme negli occhi, Iolek si ritrovò a serrare i pugni per la rabbia: Xantèa aveva condotto i Vintarin dove mai sarebbe stato immaginabile, a un passo dalla conquista di Lenoria, e adesso il suo popolo dubitava di lei. Lui aveva fiducia in sua cugina. Stava solo cercando di fare la cosa più giusta, ne era certo.

    Ma i suoi guerrieri l’avrebbero ascoltata? La presenza della straniera dai grandi poteri sarebbe bastata a farli desistere dall’attacco? Oppure avrebbero osato disobbedire alla loro legittima sovrana per combattere al fianco dei Piodi? Iolek non ne aveva idea. Non riusciva a immaginare come sarebbe finita quella storia. Sapeva soltanto che nella città che si stendeva davanti a loro c’era Enide, quella folle ragazzina lenoriana. La stessa che per venire a trovarlo era sgattaiolata di notte nelle prigioni corrompendo le guardie; che gli aveva portato del cibo tutte le volte che le era stato possibile; che aveva lenito la disperazione dei suoi giorni di prigionia.

    Lenoria stava per andare incontro al suo destino, e lei era lì.

    Senza aver capito del tutto come fosse accaduto, Iolek si ritrovò seduto sui talloni, intento ad assicurarsi l’ascia alla cintura.

    Le prime avvisaglie dell’alba lo sorpresero nascosto dietro una macchina da lancio, sul limitare dell’accampamento alleato. Approfittando della nebbia era riuscito a sfuggire alle sentinelle di ronda e adesso osservava il profilo lontano e appena distinguibile della capitale di Orl.

    Era una follia. Non ci sarebbe mai riuscito. E se anche ce l’avesse fatta? Quale destino lo avrebbe atteso a quel punto?

    «Vai da qualche parte?»

    Nell’udire quella voce fu come se per un attimo il suo cuore si fosse fermato. Per diverso tempo si ritrovò nell’incapacità di muovere anche un solo muscolo, alla vana ricerca di qualunque giustificazione credibile. Infine, cercando di riprendere a respirare normalmente, si voltò, pronto ad affrontare le conseguenze del suo gesto. Lui era un Vintarin dopotutto, e i Vintarin non si tiravano mai indietro.

    Nella penombra dell’alba scorse di fronte a sé la cugina, forte e maestosa come sempre. Avrebbe dato un braccio per essere valoroso la metà di lei, e adesso si preparava a sfidarla.

    «Sì, Maestà, vado via» riuscì a rispondere, con una voce assai meno ferma di quanto avrebbe desiderato.

    «Vedo» constatò Xantèa, lanciando un’occhiata alla bisaccia dove Iolek aveva riposto il poco che aveva portato da casa e qualche provvista rubata. «E dove saresti diretto, se posso chiederlo?»

    «C’è… c’è una persona in quella città a cui devo molto, e non la lascerò laggiù a morire. La porterò via da lì, prima che sia troppo tardi.»

    «È una scelta che spetta a te.»

    Iolek spalancò gli occhi, allibito. Quello che stava compiendo era alto tradimento, avrebbe meritato la morte per il suo gesto. Invece… sembrava quasi che Xantèa intendesse lasciarlo andare!

    «Voglio porti solo una domanda» proseguì la sovrana. «Ci hai riflettuto a fondo? Ammesso che tu riesca a entrare a Lenoria, cosa ti fa pensare che la persona di cui parli abbandonerebbe il suo popolo e la sua città? E se anche lo facesse, dove mai potreste andare? Dove trovereste rifugio in questo mondo?» Il tono di Xantèa non era suonato arrabbiato o sarcastico, bensì triste. Così triste che Iolek si sentì chiudere la gola da un nodo.

    «Io… non lo so» fu costretto ad ammettere. «Ma se lei non vorrà lasciare Lenoria, allora resterò lì e la proteggerò.»

    «In quel caso ti ritroveresti a combattere contro la tua stessa gente» gli fece notare la Principessa. «Volteresti davvero e per sempre le spalle al tuo popolo, e non avresti più il diritto di aspettarti aiuto o comprensione da nessuno di noi.»

    «Voglio solo agire nel modo che più mi sembra giusto» dichiarò Iolek, riuscendo finalmente a non balbettare. «I debiti di gratitudine sono sacri per noi Vintarin, no? E io sento di averne uno molto grande da onorare.»

    Incredibilmente, Xantèa accennò un sorriso. «Se le cose stanno così, allora non mi resta che dirti addio, cugino. Non ti chiederò come pensi di introdurti a Lenoria, né ti chiederò, una volta lì, di favorire l’ingresso dei Piodi in alcun modo. Ma ho bisogno comunque che tu mi faccia un favore.»

    «Quale?» domandò il ragazzo, di nuovo leggermente in ansia.

    Xantèa allungò una mano e gli porse un cilindro di bronzo, di quelli utilizzati per custodire le lettere durante il trasporto.

    «È una missiva per Elli, e dovrai consegnarla solo e soltanto nelle sue mani» gli spiegò lei. «Se questo non ti fosse possibile, affidala a uno dei suoi compagni, gli stessi che hai visto a Ismareth durante la tua liberazione. Non lasciare che qualcun altro se ne impossessi, anche a costo di distruggerla. Non mi fido di nessun altro in quella città.»

    «Di che si tratta?» non poté fare a meno di chiedere Iolek.

    «Di informazioni. Spero che per Elli siano di qualche utilità.»

    «Hai deciso di aiutarla, dunque» comprese il ragazzo, fissando l’oggetto con un misto di apprensione e meraviglia.

    «Per quello che posso. Ti chiedo in ogni caso di non leggerla, non è destinata ai tuoi occhi.»

    Iolek annuì e ripose la lettera nella bisaccia. Sebbene la curiosità lo stesse già divorando, aveva deciso che si sarebbe attenuto alla richiesta di Xantèa. Glielo doveva, dopotutto.

    «Buona fortuna, Iolek di Antàrion» lo salutò la cugina, portandosi il pugno al petto. «Pregherò gli Dèi affinché tu non debba mai pentirti della decisione presa.» Quindi si voltò e si allontanò verso il centro del campo.

    Iolek cercò qualcosa da dire, ma non vi riuscì. L’ultimo particolare che aveva colto prima che la cugina gli voltasse le spalle e sparisse fra la nebbia gli aveva troncato ogni possibile frase in gola: la Principessa Senz’Anima stava piangendo!

    Il vento del mattino alzava nuvole di polvere, offuscando l’aria solitamente limpida di Lenoria.

    Sul pianeta Atlan, lontana anni luce dal mondo in cui era nata, l’Ultima Rivelatrice camminava da sola nei pressi delle mura sud della città, avanzando a fatica fra voragini e detriti, col mantello sempre più sporco di fango. I suoi occhi vagavano sul disastro provocato la sera prima dal breve attacco degli alleati, che pure era riuscita a stroncare quasi sul nascere.

    Le macerie erano costituite soprattutto da pezzi delle mura, ma anche da macchine da lancio distrutte e, nella zona più vicina al centro abitato, da edifici rasi al suolo. Il Torrione Sud-Ovest si reggeva ancora in piedi ma, a circa metà della sua altezza, era come se il versante esterno fosse stato strappato via da un morso. Le pietre del lastricato, fino al giorno prima immacolate, presentavano adesso numerose striature rossastre: il sangue ormai asciutto dei morti e dei feriti. Quella desolazione le rammentò Thìar Shanan’. Le trasmetteva lo stesso senso di vuoto, perdita e inutile spreco.

    Nella lontana Piazza dell’Imperatore, al centro esatto della città, le pire funerarie emettevano ancora alte colonne di fumo. Nell’osservarle, la mente di Elli tornò alle parole che Fabio aveva pronunciato poche ore prima, durante i funerali dei caduti: Se davvero il nostro compito consiste nel mettere fine a questa carneficina, allora ci serve un piano.

    Alla fine del loro lungo viaggio avevano infatti compreso che la loro missione era proprio quella: porre fine alla guerra che stava devastando quel mondo fino a pochi mesi prima sconosciuto, e che per lei aveva finito per diventare così importante.

    Finalmente, seppure a tentoni e con molta fatica, stava iniziando a impadronirsi del potere dei suoi antenati averoniani: il dominio sugli elementi della natura. Ma non era affatto convinta che questo l’avrebbe aiutata a portare la pace in quelle terre. Non era con la paura o con la forza che si poteva interrompere il flusso dell’odio, lo stesso che probabilmente stava accrescendo il potere del loro vero nemico. Perché dietro tutto questo, ormai lo sapeva, c’era Neryon, il Demone che risiedeva nella luna di quel pianeta, colui che aveva dato origine alla stirpe dei Custodi.

    Le serviva aiuto. E gli unici a cui poterlo chiedere, per quanto ne sapeva, erano le creature che Amàril chiamava Messaggeri, e che sulla Terra erano conosciute col nome di Angeli. Per raggiungerle, tuttavia, sembrava esistere un unico modo: rischiare la vita attraversando il Varco di Zhàar, il portale in grado di condurre nell’Aldilà a prescindere dalla morte. Nonostante Amàril l’avesse messa in guardia contro la pericolosità dell’impresa, Elli non aveva pensato neppure per un istante di desistere, anche perché aveva un ulteriore motivo, molto più personale, per volerli incontrare: impedire che la terribile premonizione in cui aveva visto la morte di Fabio si avverasse. Nessuno infatti, né su Atlan né sulla Terra, avrebbe mai potuto rivelarle la catena di circostanze che avrebbe condotto a quell’evento. Quindi l’unico modo per sapere come spezzarla era appellarsi a una conoscenza superiore.

    La ragazza si fermò e alzò il viso. Gettò un’occhiata pensierosa ai soldati di guardia sugli spalti, quindi prese a salire una delle tante scalinate che conducevano fino in cima. Quando finalmente raggiunse la sommità delle mura, sul camminamento semidistrutto trovò Fabio, il Comandante lenoriano Olsene e Airon, il ritrovato fratello di Ural, tutti e tre col viso rivolto verso la piana.

    «Qualche novità?» chiese loro dopo essersi avvicinata a ciò che restava delle merlature. Ma, come poté constatare da sola, non era cambiato proprio nulla: la maggior parte dell’esercito invasore si era ritirata nel proprio campo, lasciando però un cospicuo numero di elementi nei pressi delle torri mobili e delle macchine da lancio, ancora nella stessa posizione avanzata della sera prima.

    C’era una strana atmosfera di attesa nell’aria: assediati e assedianti sembravano scrutarsi a vicenda, come trattenendo il respiro. Nessuno osava azzardare la mossa successiva. I Lenoriani avrebbero potuto adesso mirare con le catapulte alle macchine dei nemici, ma si trattenevano per paura di provocarne la reazione. Dal canto loro, Elli ne era sicura, gli invasori erano restii a tentare un nuovo assalto perché spaventati dai suoi poteri, e soprattutto dal timore che questa volta potesse usarli direttamente contro di loro. Lo spettacolo della sera prima aveva avuto dunque una sua efficacia, ma aveva altresì condotto a una situazione di stallo.

    «Cosa accadrà adesso?» chiese a Olsene, che fissava le torri mobili come se avesse voluto disintegrarle con lo sguardo.

    Il Lenoriano le rispose senza voltarsi: «Ora che non sono più così certi di una facile vittoria, potrebbero arrivare a chiedere un accordo. O almeno questa è la speranza dell’Imperatore.»

    La mascella rigida dell’ufficiale era un chiaro indice di quanto poco avrebbe gradito una simile soluzione. Sembrava davvero che a quel punto Olsene non desiderasse altro che uno scontro a viso aperto, pur consapevole che questo – data la netta inferiorità numerica – avrebbe significato la fine dell’Impero. Chi aveva lavorato per mettere quei popoli l’uno contro l’altro aveva fatto davvero un ottimo lavoro, non c’era che dire.

    «Sarebbe la soluzione migliore» azzardò quindi lei, seppur con la vaga impressione che l’altro non l’avrebbe presa bene. «Si eviterebbero altre morti.»

    Il Lenoriano finalmente si girò a guardarla. «I vostri poteri vanno al di là di qualunque immaginazione» osservò, in tono di leggero rimprovero. «Davvero sembrate uscita dalle leggende che si raccontano sui nostri predecessori in questo mondo. Potreste spazzare via quell’esercito con un gesto della mano, se davvero lo voleste; distruggerlo così come ieri notte avete distrutto quei proiettili infuocati. Perché mai non lo fate, allora? Perché non salvate davvero e per sempre la gente di questa città, annientando coloro che la minacciano? Suggelliamo un accordo con loro e sono certo che fra meno di un Ciclo li ritroveremo di nuovo davanti alle nostre mura! E ho la netta sensazione che per allora voi sarete sparita, proprio come gli esseri sovrannaturali delle storie che ascoltavo da bambino. Mi sbaglio, forse?»

    Di fronte a quell’accusa fin troppo vera, Elli preferì tornare a puntare lo sguardo sulla piana. La leggera brezza che aveva preso a spirare sulle mura conduceva con sé l’odore salmastro del mare. «È vero: presto dovrò lasciare Lenoria» ammise. «Ma l’Imperatore lo sa e l’ha sempre saputo. Per quanto riguarda la vostra prima domanda, sappiate che non intendo usare i miei poteri per uccidere.» Esitò un attimo, poi aggiunse: «Non è per questo che sono giunta fin qui.»

    «E perché lo avete fatto, allora?» fu l’inevitabile domanda di Olsene.

    Pur non avendoli nel proprio campo visivo, Elli era certa che Airon e Fabio non stessero perdendo una parola di quella conversazione.

    Per un momento pensò di uscirsene con qualche frase sibillina alla Francesco Corelli. Era consapevole, infatti, di quanto la vera risposta rischiasse di suonare ridicola. Inoltre era probabile che Fabio avrebbe trovato imprudente o addirittura pericolosa una simile dose di sincerità. Ma alla fine preferì optare per la franchezza, persuasa che niente potesse rivelarsi altrettanto efficace: «Sono venuta a far cessare questo conflitto. Per sempre, se possibile.»

    Olsene di certo non scoppiò a ridere. Si limitò a tacere per un po’ e poi a chiederle: «Farlo cessare… a favore di chi?»

    «Di tutti, se ci riuscirò» rispose lei, con la sensazione di camminare su un filo sospeso a dieci metri d’altezza.

    «Perché?»

    «È la mia missione.»

    «Affidatavi da chi?» Adesso sembrava quasi un interrogatorio. La voce del Comandante, oltre che vagamente sarcastica, era suonata perfino sospettosa.

    A quel punto Elli si voltò e lo fissò negli occhi.

    La ragazza non ebbe bisogno di vedere la paura spandersi sul volto del Lenoriano per comprendere cosa stesse accadendo: quella forza micidiale si stava nuovamente risvegliando in lei, come altre volte in passato; un potere fino a quel momento addormentato e che in qualche modo doveva trasparire dai suoi occhi. Non ci aveva mai fatto caso – non avrebbe mai potuto, prima di venire su Atlan – ma adesso comprese che si trattava della stessa sensazione che provava subito prima di usare i suoi poteri averoniani: calore in tutto il corpo, rivoli di energia che le scorrevano nelle vene insieme al sangue.

    La sua voce parlò, prima ancora che fosse stata lei a volerlo, e suonò incredibilmente sicura di sé: «Da un potere tanto incomprensibile, e talmente più grande di tutti noi, che non tenterò neppure di spiegarvene la natura.»

    Olsene riuscì a sostenere il suo sguardo per una manciata di secondi, poi fu costretto a distogliere il proprio. Con sua grande sorpresa, Elli si rese conto che la fronte del Comandante, una persona che doveva aver guardato la morte in faccia chissà quante volte, era madida di sudore. Aveva paura. Di lei.

    «Perdonate se vi ho offesa» farfugliò a quel punto il Lenoriano. «Non intendevo insinuare nulla. Voi mi avete salvato la vita durante la Battaglia di Neylon, e ieri l’avete salvata a tutti noi. Ma i Piodi e soprattutto i Vintarin… dopo ciò che hanno fatto pensavo solo che… meritassero una punizione.»

    «Quanti Vintarin vennero uccisi, al tempo in cui i Lenoriani invasero la Piana di Neylon?» gli chiese allora Elli. «Quelli erano i loro territori e voi li scacciaste, se ho ben capito la storia.»

    «Sono eventi remoti» si difese Olsene, sempre però a viso basso.

    «Ma provano che i Lenoriani possono comportarsi da invasori esattamente quanto i Vintarin.»

    «Gli Dèi sono forse scontenti di noi?» Il Comandante respirava adesso con un leggero affanno.

    Di nuovo le parole affiorarono spontanee alle labbra di Elli, quasi non fosse lei a pronunciarle: «Gli abitanti di Atlan hanno dimenticato troppo. Dovranno ricordare se non vogliono soccombere ai loro veri nemici.»

    Solo a quel punto il Comandante osò rivolgerle di nuovo lo sguardo, e l’espressione che assunse fu di assoluto terrore. Elli si domandò cosa mai l’ufficiale stesse scorgendo nei suoi occhi, ma disgraziatamente non poteva chiederglielo: per lottare contro pregiudizi tanto radicati era necessario che gli Atlanidi vedessero in lei una sorta di guida, un essere superiore magari. Pertanto doveva mostrarsi sicura di sé. Non poteva lasciar trasparire la verità, e cioè che quasi non sapeva cosa stesse facendo.

    «V-vogliate perdonarmi, mia Signora» balbettò Olsene in fretta, «ma devo andare. Il Comandante della Prima Legione, com’è d’uso, è stato elevato al rango di Generale, e vuole vedere tutti gli ufficiali nel Torrione Nord-Est il prima possibile.» Le fece quindi un secco inchino e si allontanò, quasi travolgendo una vedetta, tant’era la sua fretta di tagliare la corda.

    «Non avevo mai visto un Comandante Imperiale tanto agitato» dichiarò Airon dopo essersi avvicinato insieme a Fabio. Il giovane Merlan appariva tranquillo, quasi divertito. «Anche i miei fratelli siberni vi temono, sapete? Lo Stregone al nostro seguito sta ancora cercando di decidere se siete o meno uno Spirito Maligno.»

    Dopo la Strega anche lo Spirito Maligno! considerò Elli con un certo fastidio; si stava facendo davvero una bella reputazione! Quanto ad Airon, la sensazione era che, benché allevato da un popolo altamente superstizioso, fosse impermeabile a qualsiasi considerazione di carattere spirituale. Quasi sorrise, perché questo le ricordò molto il vecchio Uruk.

    Fabio, al contrario del Lothar, appariva tutto fuorché divertito. «Non avresti dovuto parlargli in quel modo» dichiarò con aria preoccupata. «Non vorrai mica che la gente inizi ad avere paura di te, vero?»

    «Tu che ne pensi?» replicò lei. «Ma lo hai sentito, no? Se fosse per lui mi farebbe sterminare quindicimila persone in una volta sola! Questa guerra non finirà mai se i popoli di Atlan non smetteranno di odiarsi fra loro.»

    «E il tuo piano per portare la pace prevede di spaventarli a morte?»

    Elli si sentì avvampare, ma questa volta non riuscì a trovare una risposta adeguata. «Torno alle Mura-Palazzo» annunciò allora, giusto per cavarsi d’impaccio. «Non voglio lasciare Laura laggiù da sola troppo a lungo.»

    «Vengo con te» annunciò Fabio dopo essersi dato uno sguardo intorno. «La situazione qui sembra stabile.»

    Stabile è un eufemismo pensò Elli: la scena che in quel momento si parava davanti a loro era talmente congelata che la città e la piana avrebbero potuto far parte di un modellino, con i soldati fuori e dentro le mura simili a tante statuette di piombo. I numerosi stendardi che si agitavano al vento erano l’unica nota di movimento in quella scena immobile.

    «Vi seguo anch’io» annunciò Airon sistemandosi l’arco a tracolla. «Voglio accertarmi che mia sorella stia bene.» Il suo sguardo, tuttavia, indugiò piuttosto su Uruk, che li aspettava poco lontano dalle mura con Kyra. I due Merlan non si erano quasi più rivolti parola dopo la loro accesa discussione nel Torrione Est, ed Elli aveva la sensazione che il ragazzo stesse cercando l’occasione giusta per chiarirsi col suo antico maestro.

    Il gruppetto imboccò la scalinata di pietra che scendeva fino al suolo, larga appena per due persone alla volta. Quasi subito Fabio si affiancò a Elli e le chiese a voce bassa: «Che ti è preso prima?»

    «Quando?» fece lei, cercando di assumere un tono disinvolto.

    «Durante il tuo amichevole scambio di battute con Olsene» precisò Fabio, visibilmente turbato. «Ti ho già vista altre volte usare quella specie di forza che sembri nascondere in te, ma questa volta è stato diverso. Non ti ho riconosciuta in quelle parole, né in quell’atteggiamento. Era quasi come se fossi… un’altra persona.»

    Se poco prima era stato Olsene a non reggere il suo sguardo, questa volta fu il turno di Elli di distogliere il proprio, con la scusa di badare a dove metteva i piedi. «Non so che dirti. Non ho idea di cosa mi abbia spinto a parlargli in quel modo.» A quel punto fu costretta a fermarsi e a poggiare una mano contro il muro. D’improvviso non si sentiva in grado di fare un passo di più.

    Fabio si fermò a sua volta, uno scalino più sotto, e per un po’ la fissò dal basso. «Ogni volta che hai usato i tuoi poteri, durante il viaggio verso Lenoria, hai detto di aver sentito una voce nella testa, che ti guidava e ti spiegava cosa fare» le rammentò rompendo il silenzio.

    «Ma non ieri sera» gli puntualizzò lei. «Quando ho fermato l’attacco non ho sentito alcuna voce. C’ero soltanto io.»

    «Sì, ma in passato quella voce c’è stata» ribadì Fabio con la massima serietà. «Elli, non pensi… secondo te non c’è la possibilità che… insomma, sappiamo che dentro di te esiste. Lo sappiamo.» Il ragazzo tacque, a disagio.

    «Amàril l’ha escluso» si affrettò a ricordargli lei. «Ha detto che finché non compirò un omicidio rituale con un Veneficus l’anima da Custode rimarrà addormentata in me. Quindi non c’entra nulla con la voce che ho sentito in passato, e nemmeno con quanto ho detto poco fa, ne sono certa.»

    Davvero? non poté fare a meno però di domandarsi. Era mai possibile che quell’anima corrotta fosse risuscita in qualche modo a risalire dalle profondità del suo io e a introdursi nei suoi pensieri, fino ad assumere il controllo stesso delle sue parole?

    «Elli, non possiamo far finta di niente o negarlo» insistette Fabio in un tono a metà fra la supplica e il rimprovero. «Qualcuno, o qualcosa, agisce attraverso di te, cerca di manovrarti, e forse ci sta già riuscendo. Che si tratti della tua anima da Custode o meno, dobbiamo andare in fondo a questa faccenda, prima che sia tardi.»

    «Non sto cercando di ignorare il problema. So benissimo che c’è qualcosa di strano in quello che mi è successo poco fa. Vuoi che non me ne renda conto? È solo che a questo punto potrei fare una lista di tutto quello che c’è di assurdo in me. Non sono normale né come Rivelatrice, né come Veggente… né come qualunque maledetta altra cosa io sia!» Le ultime parole erano uscite quasi in un singhiozzo. «Cosa dovrei fare? Agitarmi ogni volta che mi accade qualcosa di inspiegabile? Ormai ho imparato a credere che prima o poi, in qualche modo, riuscirò a venirne a capo.»

    «E questa idea quanto ti spaventa?»

    «Poche cose mi terrorizzano di più» ammise lei, e per una volta non si preoccupò di apparire vigliacca ai suoi occhi. «Sento che mancano pochi tasselli, Fabio. Più ci penso e più sono sicura che presto saprò tutto quello che c’è da sapere su di me, e a quel punto non potrò più tornare indietro.» La verità di quelle parole penetrò in lei come una lancia acuminata: qualunque fosse il segreto alla base della sua esistenza, lo avvertiva palpitare appena sotto la superficie della realtà, come una creatura intrappolata sotto una lastra di ghiaccio. Ma adesso quella lastra sembrava essersi incrinata, e la risposta le appariva quasi visibile, benché ancora offuscata e informe. Davvero voleva conoscerla? Perché là sotto avrebbe potuto celarsi qualunque cosa, qualcosa che Amàril poteva benissimo essersi rifiutata di dirle solo perché davvero, come aveva sempre sostenuto, le era mancato il coraggio di farlo.

    «A volte vorrei soltanto riavere indietro la mia vecchia vita» fu tutto ciò che riuscì a esternare di tutti quei pensieri e timori. «Una vita incredibilmente semplice. Come ho fatto a non accorgermene quando l’avevo?» si domandò poi, quasi stordita.

    «Raramente si dà il giusto valore a ciò che si ritiene scontato» commentò Fabio, in tono adesso più gentile e comprensivo, per quanto sempre intriso di preoccupazione. «È nella natura umana, non ci si può fare nulla. Spesso ci rendiamo conto del valore di una cosa soltanto dopo averla persa.»

    «Mi resterai vicino fino alla fine, qualunque cosa accada?» gli chiese lei, avvertendo un terribile reflusso di paura.

    L’altro le rivolse un sorriso venato di inquietudine e allungò una mano a stringere la sua. «Sai che non hai bisogno di chiederlo.»

    Il Sommo Lèano, Capo del Consiglio Imperiale, era in piedi al centro della Sala delle Udienze, in cui il sovrano era solito ascoltare le istanze dei sudditi. Lo sguardo incupito del Lenoriano era fisso sull’enorme stendardo appeso dietro il sedile in marmo bianco: la torre grigia in campo blu, simbolo della Casata di Orl.

    La figura incappucciata del falso Principe Lisandro gli si avvicinò con l’andatura tranquilla di chi è passato di lì per caso e avanzò fino a fermarsi accanto a lui, fingendo di ammirare a sua volta lo stemma.

    «In teoria saremmo pronti a procedere.» Nella vastità della sala deserta, il bisbiglio secco di Lèano era risultato particolarmente sonoro, tanto che lui stesso ne parve infastidito. «Tutto è stato predisposto secondo i vostri desideri. Attendono solo un mio ordine.»

    «Il Palazzo è praticamente deserto, o lo sarà fra poco» lo rassicurò Ares, protetto dalla maschera di cuoio che nascondeva la sua vera identità. «Non correremo alcun rischio.»

    «Non mi piace, Altezza» dichiarò l’altro. «Il piano che avete elaborato non ha alcun senso. Perché mai coinvolgere così tanti elementi? E che motivo abbiamo di trascinare la Principessa nei sotterranei, prima di… procedere?»

    «C’era un accordo fra noi» gli rammentò l’impostore. «Avresti eseguito l’incarico secondo le mie specifiche indicazioni, e senza fare domande.»

    «Lo so» ammise Lèano. «Ma lo trovo… crudele. Prolungare senza motivo l’agonia di quella povera ragazza, quando potremmo semplicemente…»

    Ares però non gli permise di terminare: «Siete solo un ipocrita» lo interruppe, in un tono fra il divertito e lo sprezzante. «La povera ragazza – la mia unica nipote, vorrei ricordarvi – fra poco morirà, e per ordine vostro. Per cui non state lì a fingere di essere in pena per lei e per le sue sofferenze. La verità è che temete di essere scoperto qualora il tutto non venga portato a termine abbastanza in fretta e con la dovuta discrezione. Ma non avete di che preoccuparvi: il piano è stato studiato nei minimi particolari, basandomi su informazioni che solo io posseggo. Fate come vi dico, e prima che questa guerra sia finita sarete voi il sovrano di Orl.»

    Per un momento Lèano mantenne le labbra serrate, poi sembrò non riuscire più a trattenere le parole: «Proprio in quanto futuro Imperatore, nulla dovrebbe essermi nascosto.»

    «Avete detto bene, amico mio: futuro Imperatore. In questo momento, per vostra disgrazia, non siete ancora un regnante, ma solo un potenziale traditore della corona, e senza alcuna protezione dal gesto che state per compiere. Se non volete rischiare di ritrovarvi su una forca invece che su un trono, farete bene a fidarvi di me. E adesso, se ancora siete deciso ad andare fino in fondo, il tempo a nostra disposizione sta per esaurirsi, e non chiedetemi come faccio a saperlo. Date quell’ordine, se ne avete il coraggio. Altrimenti tornate a essere ciò che siete sempre stato.»

    Lèano sembrò sul punto di replicare nuovamente, invece si limitò a scostare il mantello color porpora e ad allontanarsi.

    Rimasto solo, Ares scosse la testa, sospeso fra il diletto e lo sdegno. Com’era semplice leggere nel cuore, nelle paure e nelle ambizioni di quegli esseri meschini! Era fin troppo palese: non appena fosse stato incoronato Imperatore, Lèano avrebbe provveduto a eliminare anche colui che lo aveva messo sul trono: ormai lo temeva troppo. Ma per allora il Principe Lisandro sarebbe misteriosamente scomparso, fuori dalla portata del nuovo sovrano e di qualunque altro Atlanide.

    " È una persona subdola e assetata di potere, è vero. Ma sei tu, con le tue macchinazioni, che lo stai rendendo un assassino. È questo è qualcosa da cui non si torna indietro." La voce ben nota aveva parlato a sorpresa nella sua testa, sempre debole e lontana, ma stranamente calma e sicura di sé.

    Puoi anche risparmiarmi il sermone lo apostrofò il Custode, sentendo una strana emozione muoversi dentro di lui, quasi un sussulto di stizza. Nessuno lo sta costringendo a fare nulla. È una sua scelta.

    " Ti piace pensarla così, evidentemente."

    La voce del Reietto questa volta era suonata piena di condiscendenza e, in parte, di compatimento. Ares si accorse di trovarlo intollerabile.

    Quando Elli e Fabio giunsero ai piedi delle mura, trovano Airon e Uruk già in sella a Kyra, il primo nel posto di solito occupato dal vecchio, nell’incavo del collo della Vertax. I due Merlan non si guardavano e sembravano non aver scambiato neppure una parola.

    «Finita la gita di piacere in questo squallore?» domandò sarcastico Uruk mentre i ragazzi si arrampicavano sulla scaletta di corda.

    «Vi siete offerto voi di accompagnarci» gli rammentò Elli, rilevando nel frattempo quanto ormai le venisse facile montare sulla sella. Volare non era certo in cima alla lista delle sua attività preferite, ma almeno non era più l’esperienza terribile dei primi tempi.

    Il Merlan si limitò a emettere uno dei suoi soliti borbottii, poi diede il segnale di partenza con un colpo di caviglie. Si alzarono in volo senza salire troppo di quota e con lo stemma dell’Imperatore legato alla coda dell’animale; in caso contrario, avrebbero rischiato di essere abbattuti per sbaglio dai Palatrieri.

    Elli si era aspettata che le strade di Lenoria fossero deserte e invece, sorvolando la città, si accorse che si stavano gradualmente rianimando. C’era parecchia gente per strada e alcune botteghe sembravano aperte. A quanto pareva l’attacco del giorno prima non era stato sufficiente a fiaccare lo spirito dei Lenoriani.

    «È solo che ne ho abbastanza, ragazza» grugnì Uruk quando infine atterrarono davanti al portone del Palazzo, rispondendo con parecchio ritardo all’osservazione di Elli. «Degli Atlanidi e della loro stupidità. Ne ho già vista a sufficienza quando vivevo al Palazzo Reale di Taurine, nonostante Re Amohadi fosse un sovrano pacifico: intrighi, uccisioni, guerre intestine che devastavano le Signorie di Crineide come questa invasione ha devastato l’Impero. Ovunque vi sono solo violenza, morte e sopraffazione: questo mondo è follia.»

    Elli era certa che quelle parole fossero destinate soprattutto alle orecchie di Airon, che con le sue scorrerie non aveva certo provveduto ad abbassare il tasso di brutalità di Atlan. Il ragazzo però non replicò, come se non le avesse udite o non avesse colto il rimprovero che vi era contenuto.

    «Vi assicuro che il mondo da cui veniamo noi non è meno folle di questo» gli garantì Fabio. «Non lo è mai stato» ammise poi con una certa riluttanza.

    Una volta smontati, consegnarono Kyra a un volenteroso stalliere, un ragazzetto Merlan che si era precipitato verso di loro offrendo i propri servigi e chiedendo il permesso di potersi occupare dell’animale. Uruk diede il suo assenso con un brusco cenno del capo, e nel frattempo rivolse ad Airon uno sguardo significativo che l’altro ancora una volta ignorò.

    Esattamente come previsto dal vecchio, l’editto con cui l’Imperatore aveva abolito la schiavitù non aveva cambiato di una virgola la condizione dei Merlan di Lenoria. Molti di loro non avevano neppure capito di essere stati liberati e di non essere più costretti a obbedire ai loro padroni, i quali dal canto loro dovevano essersi ben guardati dal chiarire agli ex schiavi il loro nuovo status. Nei fatti, quasi tutti i Merlan erano rimasti ai propri posti e continuavano a servire come avevano sempre fatto.

    Il giovane stalliere si allontanò con Kyra verso il Serraglio Imperiale, situato nel Torrione Nord-Ovest, ma prima di andarsene rivolse a Elli un’occhiata di fervida ammirazione, e altrettanto fecero poco dopo i due soldati di guardia al portale d’ingresso.

    Un’altra volta considerò lei con un certo disagio. Proprio come a suo tempo era accaduto fra i Guardiani, anche lì a Lenoria aveva finito per diventare un punto di riferimento. Sembrava che fosse il suo destino, ovunque andasse. Piuttosto ironico, per una che in un tempo ormai lontanissimo avrebbe voluto passare inosservata al mondo intero.

    Quando si ritrovarono nell’atrio costeggiato da colonne, Elli si fermò stupita ad ascoltare il silenzio irreale che vi regnava. L’ambiente era ombroso per via dell’assenza di finestre, illuminato solo da due serie di torce infisse a intervalli lungo il colonnato, ed era… vuoto. Tese l’orecchio: non un rumore di passi, né l’eco di una voce. Fino alla notte prima il Palazzo brulicava di cittadini impauriti, l’atrio stesso si era trasformato in una specie di accampamento. Dov’era finita adesso tutta quella gente?

    «Credo che siano tornati alle proprie case» dichiarò Uruk, rispondendo alla sua muta domanda. «Per come la vedo io, si sono convinti che con te a proteggere la città gli invasori non oseranno più attaccare.»

    A quell’idea Elli si sentì scuotere dentro: il peggio non era affatto passato. Come aveva osservato il Comandante Olsene la notte prima, gli eserciti congiunti di Antàrion e di Crineide non avevano certo fatto tutta quella fatica per poi tornarsene a casa al primo ostacolo.

    Fu solo mentre avanzavano lungo il colonnato che finalmente udirono un rumore di passi, che aumentò sempre di più fino a quando Ural e Laura non sbucarono da uno dei corridoi laterali.

    «Oh, finalmente. Pensavamo quasi di esserci rimaste solo noi, qui!» esclamò la Merlan nel vederli.

    «Il Palazzo è davvero deserto?» domandò Elli sconcertata.

    «I soldati sono tutti sulle mura o al Cammino Azzurro» li informò Laura. «E l’Imperatore, con la sua guardia personale e mezza Corte, ha lasciato il Palazzo circa mezz’ora fa.»

    «Si sarà recato a quella riunione militare del Torrione Est» ipotizzò Fabio. «Ora che ci penso, forse faremmo meglio a farci un salto anche noi» aggiunse con un filo di sarcasmo. «Tanto scommetto che fra poco ci farà chiamare.»

    Ma Elli non lo ascoltava più. Una considerazione improvvisa le aveva mandato il cuore al galoppo: il Palazzo era semideserto; la situazione tranquilla come forse non lo sarebbe più stata. Poteva essere l’occasione buona, forse l’unica che avrebbe avuto.

    «Ural» si affrettò quindi a chiederle, prima che la paura o la voce della ragione potessero farla desistere, «tu sai come raggiungere un luogo chiamato il Varco di Zhàar? Dovrebbe trovarsi da qualche parte nei sotterranei.»

    «Oh, sì, certo» rispose prontamente la Merlan. «Quel vecchio portale che nessuno riesce ad aprire. Un vero mistero. Perfino la Divina Amàril mi ha detto che…»

    «Vorrei dargli un’occhiata» la interruppe subito Elli. «Non è che potresti accompagnarmi fin lì?»

    «Come? Adesso?» chiese l’altra perplessa.

    «Scusate l’intromissione» intervenne Fabio, «ma potrei sapere di che si tratta? Perché mi sembra di non sapere nulla di questo… portale.»

    Mentre il ragazzo le rivolgeva uno sguardo fra il severo e il divertito, Elli se ne disse da sola di tutti i colori. Conquistata da quell’idea subitanea aveva dato fiato alla bocca senza riflettere, quasi dimenticandosi della presenza di Fabio. Ma in fondo, decise, non è che volesse davvero attraversare il Varco quel giorno. Amàril era stata molto chiara a riguardo: tentare senza prima aver acquisito il pieno controllo dei propri poteri sarebbe stato un mezzo suicidio. Voleva solo approfittare del momento di quiete per dargli un’occhiata e memorizzare il percorso per raggiungerlo. Al limite avrebbe verificato se poteva essere aperto. Tutto qui.

    «Me ne ha parlato Amàril» spiegò quindi all’altro provando a simulare la tranquillità più totale. «È un… potente centro di forza spirituale, realizzato dagli Averoniani prima della caduta della città. Vorrei solo vederlo ed esaminarlo con calma, finché mi è ancora possibile. Credo che in qualche modo possa esserci d’aiuto. Ricordi, ti avevo accennato qualcosa ieri, durante i funerali.» Era tutto vero, in fondo, anche se aveva omesso alcuni particolari di una certa rilevanza. Ma in quel momento non c’era tempo per le spiegazioni, né per controbattere a tutte le obiezioni che Fabio avrebbe sicuramente mosso al suo piccolo progetto.

    «Ci vorrà molto per raggiungerlo, Ural?» chiese quest’ultimo, dopo avere omaggiato Elli di un sorriso il cui significato inequivocabile era: guarda-che-non-me-la-bevo-mica.

    «Non moltissimo» rispose la Merlan. «Si trova in una zona abbandonata dei sotterranei, al di là del quartiere degli schiavi. Possiamo prendere una scorciatoia da quel corridoio laggiù» e si sporse a indicare un passaggio sulla sinistra.

    «Bene» decretò il ragazzo. «Andiamo allora.»

    « Andiamo?» rilevò Elli con una certa apprensione.

    «Oh, sì, puoi giurarci» le ribadì l’altro. «D’ora in avanti preferirei non perdere di vista né te né Laura. Siamo nel bel mezzo di un assedio e non sappiamo cosa potrebbe accadere da un momento all’altro. Pertanto non ci separeremo più, a meno che non sia strettamente necessario. C’è forse qualche motivo per cui non dovremmo accompagnarti?»

    «No, certo che no» gli assicurò lei d’impulso, e per quanto la riguardava era vero: col Varco chiuso non ci sarebbero stati rischi per nessuno.

    «Mi aggrego anch’io, sembra interessante» si intromise Uruk. «Sempre meglio che star qui ad aspettare che ricomincino a lanciarci addosso un mucchio di palle infuocate!»

    «Avete incuriosito anche me, vi seguo» proclamò Airon sbirciando il vecchio, che non ebbe nulla da obiettare, ma si voltò dall’altro lato con una smorfia.

    Fabio si girò di nuovo verso Elli e la fissò in attesa.

    Per un attimo lei rimase inchiodata sul posto, presa in contropiede dall’imprevista evoluzione degli eventi. Non si era certo aspettata di dover visitare il Varco di Zhàar in comitiva, ma di questo poteva ringraziare soltanto la propria idiozia.

    «Andiamo» non le rimase che accettare, avviandosi per prima verso il corridoio.

    I passaggi sotto le Mura-Palazzo erano bui e apparentemente infiniti. Ovunque si avvertiva odore di muffa e sulle pareti si scorgevano ampie zone invase da un muschio nerastro.

    Nonostante avessero portato con loro ben tre torce, molti degli spazi che li circondavano erano talmente vasti da non poter essere illuminati per intero. Per la maggior parte si trattava di ambienti informi scavati nella pietra, ma ogni tanto nella penombra si distinguevano resti di strutture più complesse: archi, colonne, bassorilievi dal disegno ormai indistinguibile, in una successione continua di camere e corridoi.

    Elli era certa che quei sotterranei esistessero da millenni, probabilmente le più antiche strutture averoniane rimaste su Atlan. Inutile dire che Uruk era al settimo cielo, anche se continuava a maledirsi per aver aspettato tanto prima di farsi condurre laggiù.

    «Ural, sei proprio sicura di conoscere la strada?» le domandò Fabio dopo parecchi minuti di silenzioso cammino.

    «Umani di nessuna fede!» sbottò la Merlan. «Non mi sono persa nella Landa di Inarios, pretendete forse che lo faccia a casa mia? Siamo quasi arrivati, è in quel corridoio» annunciò, accennando col capo a un arco di fronte a loro, cinque o sei metri più avanti.

    Elli accolse la notizia con un leggero brivido. Possibile che la risposta al più grande mistero dell’universo fosse davvero tanto vicina? Avvertì qualcosa di molto simile a una scossa di paura, come se una vocina sbeffeggiante le avesse sussurrato: torna indietro, sciocca, finché ancora puoi.

    Superato l’arco si ritrovarono in un nuovo ambiente, un tunnel largo almeno venti metri, che si allungava in entrambe le direzioni fino a perdersi nel buio. Impossibile stabilire quanto fosse lungo; molto, a giudicare dall’eco.

    Ural girò subito a destra e li condusse in avanti per circa duecento metri, sempre costeggiando la parete. «Eccolo qui» annunciò in tono vivace quando infine si arrestò.

    Elli si avvicinò al portale. Mentre con lo sguardo lo percorreva dal basso in l’alto, si sentì mancare il fiato.

    Lei era già stata lì.

    Il portale bronzeo dal doppio battente, privo di maniglie e alto più di tre metri; i due bracieri di pietra ai lati, mute sentinelle poste a guardia del Varco e di chi chiunque avesse osato attraversarlo… tutto era uguale a come lo ricordava, tranne per il fatto che adesso i bracieri erano spenti e apparivano rovinati dal tempo e dall’incuria.

    «Elli?» la richiamò Fabio preoccupato.

    «Io ho già visto questo posto» gli svelò lei a quel punto. «In sogno, la notte in cui si è aperto il passaggio per Atlan.» D’istinto si guardò intorno, quasi aspettandosi la comparsa delle creature di luce, di cui però questa volta non v’era traccia.

    Fabio invece aveva preso a osservare il Varco con un nuovo interesse e forse con una punta di apprensione. Non era una novità: i poteri di Elli lo affascinavano e lo inquietavano al tempo stesso.

    «Non conoscevo l’esistenza di questo luogo» confessò Uruk, come stupefatto dalla propria ignoranza in materia. Strappò quasi di mano la torcia ad Airon e si avvicinò ai battenti per esaminarli. «Guardate lassù: quei bassorilievi sono perfettamente conservati! Gli edifici di Lenoria sono stati talmente alterati da risultare pressoché inutili per lo studio del Popolo Estinto, e Thìar Shanan’ ormai è ridotta a un cumulo di macerie. Questo al contrario è un reperto integro e del tutto incontaminato, forse l’unico rimasto oltre al Tempio dei Veggenti. Ma vi rendete conto?» Dava l’impressione di volersi mettere a ballare per la felicità e di trattenersi per puro spirito di ritegno.

    «Quanto chiasso per una vecchia porta!» commentò Ural alzando le spalle. «Oltretutto non si apre neppure, e se anche si potesse, sono sicura che di là non troveremmo altro che un postaccio vuoto e squallido come questo.»

    «Oppure la ricca tomba di qualche re dei tempi antichi» ipotizzò Airon, d’improvviso piuttosto interessato a tutta la faccenda.

    «Qualcuno lo ha pensato» gli spiegò la sorella con un sorriso furbo. «Ma nessuno è mai riuscito ad aprirla per controllare, e neppure a buttarla giù, a quanto dicono. È come se la porta e tutti i muri intorno fossero indistruttibili. I Lenoriani sono convinti che siano stregati.»

    «Senza contare che nessuno dei reperti rimasti indica che gli Averoniani seppellissero i propri morti insieme a montagne d’oro» puntualizzò Uruk. «Quindi non credo proprio che lì dentro ci sia qualcosa di prezioso. O almeno» aggiunse fissando con severità il suo antico pupillo, «non per un razziatore.»

    «Allora, Elli?» la chiamò in causa Fabio mentre i Merlan continuavano a punzecchiarsi. «Conti di dirmi cos’è davvero questo posto o devo tirare a indovinare?»

    Lei emise uno sbuffo tra l’amaro e l’ironico. «Tanto non mi crederesti.»

    «Mettimi alla prova» la sfidò l’altro con un mezzo sorriso. «Anche se non sono un Rivelatore, posso sempre sforzarmi di allargare i miei orizzonti.»

    «Non credo abbia molta importanza, in realtà» gli confessò lei, mentre la delusione prevaleva gradualmente su tutte le altre emozioni. «Questo luogo è come morto.»

    Lo aveva capito subito, passato il primo momento di esaltazione: non avvertiva alcuna forma di energia provenire dal portale, e vista la sua natura le sembrava impossibile. Per quanto la vicinanza della Luna di Neryon potesse ostacolare le sue capacità percettive, quando era stata a Thìar Shanan’ ne aveva avvertito la forza spirituale con estrema chiarezza. Il Varco di Zhàar, la porta attraverso cui i Veggenti visitavano l’Aldilà, a suo parere avrebbe dovuto possederne perfino di più. E invece…

    Sotto lo sguardo stupito degli altri, si accostò al portale e, dopo un attimo di esitazione, poggiò la mano destra su uno dei battenti. Era suddiviso in semplici formelle quadrate e al tatto era freddo. Provò a chiudere gli occhi e ad ascoltare, ma non avvertì alcunché: niente vibrazioni mistiche o visioni; niente che facesse pensare che il collegamento con l’Altro Mondo esistesse ancora. Forse dopo tutti quei secoli il Varco aveva smesso di funzionare. Oppure, semplicemente, non era lei la persona destinata ad attraversarlo un’ultima volta.

    «Senti qualcosa, mamma?» le chiese Laura avvicinandosi.

    Elli riaprì gli occhi e, dopo aver indugiato un ultimo istante, staccò la mano.

    «No» fu costretta ad ammettere. «Qualunque cosa fosse il Varco in passato, adesso è probabile che sia davvero una semplice porta, come ha detto Ural. Penso che dovremmo tornare indietro» dichiarò poi, cercando di contenere lo sconforto. «Fuori potrebbero aver bisogno di noi.»

    Non riusciva a pensarci. Non li avrebbe incontrati, non avrebbe potuto chiedere il loro aiuto. Non avrebbe potuto domandare loro come salvare Atlan e la Terra, né se e come poter evitare la morte di Fabio. La voragine nera che in quegli ultimi giorni aveva minacciato di inghiottirla era di nuovo lì, spalancata davanti a lei.

    " Apri la mente, Elli! Cercano di dirti qualcosa. Come puoi non sentirli?"

    Quelle parole inaspettate e perentorie, segno di una disperazione profonda quanto la sua, le esplosero nella testa facendola sobbalzare. Era lei, la Voce! La stessa che l’aveva guidata durante l’intero viaggio, la stessa che l’aveva condotta alla scoperta di poteri che altrimenti non avrebbe mai immaginato di avere. D’istinto fece come le era stato detto, senza chiedersi se fosse o meno una buona idea.

    Un lampo di luce. Una camera semibuia. Una balestra che si alzava verso il cuore di una ragazzina legata e tremante.

    Elli barcollò da un lato, attonita. Era di nuovo di fronte al Varco di Zhàar, ma per un attimo si era trovata in un altro luogo del tempo e dello spazio, un luogo che tuttavia sembrava essere molto vicino a lei, in tutti i sensi. Proprio come la sera prima sugli spalti, quando aveva salvato la vita di quel ragazzino, la premonizione era stata incredibilmente vivida, inequivocabile.

    «Ural» balbettò stordita, cercando di mettere a fuoco tutti i particolari di quella visione infinitesimale, «qui nei sotterranei c’è una camera con… con un grande dipinto scrostato su un muro? Dovrebbe rappresentare la chioma di un albero, o qualcosa del genere, con accanto un arco diroccato.»

    «Sì, ma è un po’ lontana da dove siamo adesso» rispose la Merlan incuriosita. «Perché? Vuoi visitare anche quella?»

    «Non proprio.» Pur nel panico crescente, Elli si sforzò di non perdere la testa e di agire in modo sensato. Da quello che aveva visto, era una questione di vita o di morte. «Uruk, Laura, voi… dovrete cercare aiuto» decretò infine. «Tornate indietro e dite a chiunque incontrerete che la Principessa Enide è in pericolo. Fabio, Airon, con me. Ural ci farà strada.»

    «La Principessa… in pericolo?» ripeté Ural impallidendo.

    «Non capisco. Cosa accade?» intervenne Airon confuso.

    Fabio fu il più veloce a riprendersi. «Non l’avete sentita?» disse sfoderando la lancia. «Fate come ha detto, presto!»

    «V-va bene» farfugliò Ural, cominciando ad allontanarsi in fretta lungo il corridoio. «Da questa parte, allora.»

    «Mamma…» Laura, rimasta immobile dove si trovava, le stava rivolgendo uno sguardo spaurito.

    «Vai con Uruk, Laura» la esortò Elli voltandosi un attimo indietro. «Fate in fretta, la vita di Enide potrebbe dipendere da questo!»

    Dopo un secondo di esitazione la bambina annuì, si girò a sua volta e prese a correre nella direzione opposta.

    Un colpo di martello… un colpo di pietra.

    Iolek trattenne il fiato, il sasso pronto in una mano, l’orecchio teso a cogliere il battito ritmato che gli fungeva da guida.

    Eccone un altro.

    Un istante prima che il rintocco metallico si spegnesse, Iolek abbatté di nuovo la pietra contro le sbarre arrugginite, e una di esse finalmente si spezzò. Se avesse potuto lavorare liberamente, senza attendere che quei colpi lo coprissero, di certo avrebbe finito molto più in fretta, ma non poteva rischiare di farsi scoprire. Per

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