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Il mondo di Atlan. Parte prima
Il mondo di Atlan. Parte prima
Il mondo di Atlan. Parte prima
E-book910 pagine14 ore

Il mondo di Atlan. Parte prima

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Info su questo ebook

Da lunghi mesi i Guardiani sono intrappolati nella Città di Pietra. Mentre i Custodi sono sempre più vicini, il malcontento che serpeggia fra la popolazione rischia di generare inaspettati e pericolosi nemici. Elli è sfiduciata non meno dei suoi confratelli: l'Averon non sembra più disposto ad aiutarli e il passaggio sotto il lago non si è mai aperto. L'apparizione di Elanora è stata reale, oppure solo un parto della sua immaginazione? Il mondo di cui le ha parlato la sua antenata, quello in cui potrà trovare l'unica persona in grado di salvarli, esiste veramente? All'ultima Rivelatrice e a i suoi compagni non resta che sperare in un miracolo. Dopo "Il cerchio si è chiuso" e "La Città di Pietra", Loredana La Puma torna con il terzo volume della Saga dell'Averon, la prima parte del capitolo conclusivo di un'avventura, che si arricchisce adesso di fantastici scenari e nuovi personaggi. Il Mondo di Atlan vi aspetta!
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2018
ISBN9788895974378
Il mondo di Atlan. Parte prima

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    Anteprima del libro

    Il mondo di Atlan. Parte prima - Loredana La Puma

    Loredana La Puma

    Il mondo di Atlan

    Parte Prima

    Il mondo di Atlan di Loredana La Puma ©2013 La Penna Blu associazione culturale

    Collana: Il calamaio azzurro (09)

    Prima edizione ebook: marzo 2014

    Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione anche parziale a norma di legge.

    ISBN: 9788895974378

    ISBN versione cartacea: 9788895974361

    Illustrazione di copertina: Marta C. Flocco ( www.rehlandea.it)

    Questa è una storia di fantasia. Personaggi, nomi e situazioni sono frutto dell’immaginazione dell’autore. Ogni riferimento a fatti o persone esistenti è puramente casuale.

    www.lapennablu.it

    ISBN: 9788895974378

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice

    MAPPA

    PROLOGO

    CAPITOLO 01: Una nuova vita

    CAPITOLO 02: Il flebile confine

    CAPITOLO 03: Sogni

    CAPITOLO 04: Il Cerchio e il Pentagono

    CAPITOLO 05: La Landa di Inarios

    CAPITOLO 06: Il potere indomabile

    CAPITOLO 07: La notte del Fato

    CAPITOLO 08: La Vertax Selvaggia

    CAPITOLO 09: Gli esuli di Miar

    CAPITOLO 10: Il Popolo Estinto

    CAPITOLO 11: Sacrificio

    CAPITOLO 12: Battaglia al confine

    CAPITOLO 13: La Principessa senz'anima

    CAPITOLO 14: Il Duello degli Dei

    CAPITOLO 15: La Luna di Neryon

    CAPITOLO 16: Il Tempio sulla scogliera

    CAPITOLO 17: Angeli e Demoni

    CAPITOLO 18: Il cielo di sangue

    CAPITOLO 19: Tra due mondi

    CAPITOLO 20: L'assedio

    Epilogo

    Ringraziamenti

    MAPPA

    PROLOGO

    Le fiamme dei bracieri si riflettevano sul pavimento e sulle pareti del tempio. La lunga sala – del tutto vuota, fatta eccezione per un’ara rettangolare al centro e un seggio dalle linee semplici al di là di questa – era un tripudio di candido marmo venato di grigio, levigato e lucido come uno specchio.

    La donna sullo scranno era immobile, con gli occhi chiusi e le mani poggiate sui braccioli, in una posa talmente statica da sembrare immersa nel sonno, ma quando sollevò di scatto le palpebre rivelò al contrario di essere ben sveglia. La folta capigliatura biondo scuro e la tunica nera ebbero un leggero fremito mentre si voltava alla sua sinistra, dove un arco immetteva direttamente in un altro ambiente.

    «Ural!» chiamò, in tono urgente ma gentile al tempo stesso. L’ampia fronte era percorsa da una sottile linea di tensione e gli occhi, di un dorato risplendente, sembravano insieme preoccupati e impazienti. Il mento era piccolo, affilato, e la sua pelle riluceva di una tenue luminosità argentea.

    Quasi subito una gracile sagoma avvolta in una ruvida veste nocciola si precipitò fuori dal varco e si venne a inginocchiare di fronte al seggio. Teneva il capo talmente basso che il suo volto risultava invisibile, coperto dalle lunghe ciocche di capelli verde scuro che le ricadevano in avanti fin quasi a sfiorare il pavimento.

    «Ural?» La voce della donna tradiva adesso una leggera nota di svilimento. «Da quanto tempo sei al mio servizio?»

    «Cinque Cicli, mia Signora!» rispose prontamente la creatura con un timbro acuto e femminile, tenendo sempre il capo chino.

    «Allora ormai dovresti saperlo che sei libera di rialzarti quando vuoi, senza bisogno di attendere il mio permesso.»

    «Oh, ma certo.» Ural, vagamente imbarazzata, sollevò il viso e si affrettò a rimettersi in piedi, mentre un sorriso incerto le si allargava sul volto, verde non meno dei suoi capelli ma di una tonalità più chiara. «Perdonatemi, mia Signora» le spiegò. «È la forza dell’abitudine: i miei precedenti padroni non me l’avrebbero mai consentito.»

    «Ural, non vorrei sembrarti scortese» le assicurò la donna, «ma stamattina non abbiamo davvero tempo per chiacchierare. Ho intenzione di affidarti un incarico di grande responsabilità.»

    «Ma certo, mia Signora, dite pure!» esclamò Ural con entusiasmo. «Cosa volete che faccia per voi? Ah, ci sono: volete che vada in città a fare acquisti per la dispensa. Ho notato che dall’erbario cominciano a scarseggiare diversi elementi. L’essenza di Birmadia, per dirne una, è quasi agli sgoccioli. Oppure no, fatemi pensare… ah, ecco: volete delle vesti nuove! In effetti quelle vecchie cominciano a essere piuttosto lise ai gomiti. Però questa volta permettetemi di prendervene di altri colori. Sempre quel nero… non vi dona affatto. Ci sono mille altre tonalità che di sicuro farebbero risaltare i vostri splendidi…»

    «No, Ural, non è niente di tutto ciò» la interruppe con decisione l’altra, pur senza mostrare segni d’ira o impazienza. «Si tratta di un viaggio, e anche piuttosto lungo, temo.»

    Prima che Ural, dopo un fugace attimo di stupore, potesse lanciarsi in un nuovo fiume di supposizioni, la donna si affrettò a precederla: «Erian» le comunicò. «Devi recarti al villaggio di Erian, e purtroppo dovrai andare a piedi o con mezzi di fortuna: non sono nelle condizioni economiche di poterti garantire un mezzo di trasporto, e non me la sento di affidarti a una delle carovane in partenza: non voglio che a Corte si sparga la voce del tuo viaggio e soprattutto della tua destinazione. Ho i miei buoni motivi.»

    Ural spalancò la bocca e impallidì. O meglio, la sua pelle divenne di un verde un po’ più acido. «Erian?» ripeté incredula. «Erian nel Regno di Crineide?»

    «Non mi risulta che su Atlan ci siano altri villaggi con quel nome» osservò la donna, questa volta in tono quasi divertito.

    «Mia Signora…» Ural deglutì a fatica «ma… a piedi sarà… sarà ad almeno mezzo Ciclo di viaggio da qui!»

    «Per questo è essenziale che tu parta subito.»

    «Ma… ma… mia Signora» balbettò ancora Ural, frastornata, «affinché io possa uscire da Orl, ci vorrà quantomeno…»

    «… un Lasciapassare firmato dall’Imperatore in persona» concluse la donna con un sorriso, quindi tirò fuori da una manica una pergamena arrotolata e la porse alla sua interlocutrice. «Me lo ha fatto consegnare stamattina all’alba. Certo, era piuttosto seccato quando gliel’ho chiesto, e naturalmente non ha idea di quale sia il vero motivo per cui ti sto mandando al di là dei nostri confini, ma sai bene quanto ci tenga a non farmi mai irritare… troppo.»

    Ural prese il rotolo fra le mani, lo aprì e lo osservò sbigottita. Lo teneva al contrario, segno evidente del suo analfabetismo, ma dalla reverenza con cui lo fissava non sembrava nutrire alcun dubbio sulla sua autenticità.

    «Ma mia Signora» obiettò ancora, staccando finalmente il naso dalla pergamena, «anche se questo mi permetterà di uscire dall’Impero di Orl, dovrò poi entrare nel Regno di Crineide, o forse attraversare addirittura i territori del Principato di Antàrion, e a quel punto…»

    «Non devi temere nulla a riguardo: nessuno cercherà di fermarti o di farti del male» la rassicurò la donna, «gli Ambasciatori godono della totale immunità anche all’interno dei paesi nemici. Oltrepasserai tutte le frontiere senza alcun rischio.»

    «Ambasciatrice!» esclamò Ural scioccata. «Volete far passare me, una Merlan, per un’Ambasciatrice?» Sul suo viso verde si scorgevano adesso tutti i segni dell’incredulità che si può provare per un’idea quantomeno ridicola.

    «Un po’ inusuale, certo» ammise la donna con un vago sorriso. «Ma se porterai con te il Sigillo Imperiale, i Guardiafrontiera non potranno impedirti il passaggio in alcun modo.»

    «Il… che cosa?» Ural lasciò cadere la pergamena sul pavimento immacolato della sala. «Avete chiesto all’Imperatore di consegnarvi il… il Sigillo Imperiale? Per affidarlo a me? Ma… ma… si sarà adirato!»

    «Oh, sì. Moltissimo.» A quel pensiero la donna sembrò provare una viva soddisfazione. «Non lo vedevo così fuori di testa da quando sbagliai quella profezia circa un intero Ciclo senza Cumuli. Gli avrò ripetuto mille volte che non sono certo infallibile, ma quel vecchio testardo non vuole mai ascoltarmi. In ogni caso, è proprio per questo che non ho potuto domandargli del denaro supplementare per il tuo viaggio: gli ho già chiesto troppi favori in una volta sola, e se avesse perso davvero la pazienza avrebbe potuto negarmi il permesso di lasciarti andare.»

    Ural intanto, completamente estraniatasi da quelle ultime parole, continuava a scuotere il capo incredula. «Mia Signora, ditemi, ve ne prego: qual è mai lo scopo di un simile viaggio?» chiese infine, la sua voce fino a poco prima ben squillante ridotta ormai a uno squittio.

    «Tu sei nata nel regno di Crineide» rimarcò a quel punto la donna, di nuovo perfettamente seria, quasi grave. «Quindi saprai dell’esistenza, al di là del villaggio di Erian, di un luogo desolato noto come la Landa di Inarios.» Ural annuì, il fiato mozzo per la sorpresa o, forse, per la paura. «Quello che dovrai fare, una volta arrivata laggiù, sarà attraversarla. Sì, Ural, purtroppo è necessario, me ne rincresce. Partendo dal villaggio e lasciandoti costantemente l’ovest alle spalle, dopo diversi giorni arriverai ai piedi dell’Alshari, il grande altopiano che separa la Landa dal Mare dell’Est. Ricorda, durante la traversata della Landa dovrai camminare esattamente in linea retta a partire dal villaggio, un’impresa impossibile per chiunque tranne che per un Merlan. Se ci sarai riuscita, addossato alla parete rocciosa che segna l’inizio dell’altopiano troverai un obelisco di pietra con un disegno scolpito sulla superficie.»

    «Non starete per caso parlando… vi state forse riferendo alla Porta degli Dèi?» domandò Ural esterrefatta.

    «La conosci?» La donna lanciò alla Merlan uno sguardo profondamente interessato.

    «Oh, sì, mia Signora.» Ural si torse nervosamente le mani. «Ma si tratta di un luogo proibito! Gli Scribi – i sapienti dei Piodi, avete presente – predicavano in tutto il Regno che grandi sciagure si sarebbero abbattute sul Regno di Crineide se qualcuno avesse osato violare il segreto della Porta degli Dèi. Per questo chiunque non fosse stato autorizzato dal Re di Crineide in persona, figlio vivente del Dio Samìr, avrebbe dovuto arrestarsi ad almeno tremila Arad dalla Porta. E benché siano passati molti Cicli da quando ho lasciato il mio paese, immagino che la legge non sia cambiata.»

    «In tal caso dovrai usare la massima cautela: nessuno a Erian dovrà vederti incamminare nella Landa, o sospettare quale sia la reale meta del tuo viaggio. Nessuno, tranne una persona. Una volta giunta a Erian, cerca uno Spotlock di nome Mallock. È il padrone del Serraglio e conosce tutti i segreti della Landa di Inarios; solo lui potrà fornirti le indicazioni per attraversarla. Per quanto riguarda le superstizioni, invece, non hai di che temere: la Porta degli Dèi nasconde un segreto, sì, ma niente che possa offendere le Supreme Potenze dell’Universo, fidati.»

    «Mia Signora» tentò ancora di spiegarle Ural, «di quelli che si sono addentrati nella Landa pochissimi sono tornati indietro, e si narrano storie terribili a proposito dei Garrock e di mille altri pericoli spaventosi! Mio padre non credeva certo che tutti quei racconti fossero veri, però…»

    «Sono cosciente dei grandi rischi a cui ti sto esponendo» le assicurò la donna, «e ciò mi addolora e mi inquieta, non immagini quanto. Ma sfortunatamente non conosco altre vie per raggiungere la Porta. Quando finalmente sarai arrivata ai piedi dell’obelisco, dovrai fermarti lì e aspettare.»

    «Aspettare… cosa?»

    «"Aspettare chi" è la domanda giusta» la corresse la donna. «Proprio così» aggiunse poi, in risposta al tardivo sguardo di comprensione di Ural. «Esattamente fra mezzo Ciclo, sette giorni prima del Tempo del Rinnovo, laggiù arriveranno dei visitatori molto particolari. Tu resterai lì ad attenderli e poi li condurrai qui alle porte di Lenoria. È questo il compito che ti affido.»

    «Dei visitatori?» Ural fissò la sua padrona come se d’improvviso avesse perso il lume della ragione. «Dovrò attraversare da un capo all’altro il mondo intero e rischiare di scatenare l’ira dei Piodi per… per condurre qui dei visitatori?» Il volto della Merlan era deformato dall’incredulità, che però svanì un istante dopo per essere sostituita da un’espressione di viva sorpresa. Spalancò gli occhi e si gettò di nuovo in ginocchio. «Vi prego, mia Signora, perdonatemi!» mormorò. «Farò tutto ciò che volete, è ovvio; ne sarò più che felice. Non capisco davvero cosa mi sia preso. So che non ho alcun diritto di discutere i vostri ordini.»

    La donna lasciò il seggio e le si avvicinò. «Mia giovane Merlan» le disse con dolcezza. Ural fece per alzarsi, ma la sua padrona fu più veloce di lei e le si inginocchiò di fronte, prendendole entrambe le mani fra le sue. «Vedo che questa lunga e crudele schiavitù sta cominciando a intaccare in te lo spirito vivace e indomito tipico della tua razza. Ma non devi permettere che questo ti accada, mai. Tu sei in diritto di discutere tutto ciò che vuoi, e sappi che non sei obbligata, in alcun modo, a fare quanto ti chiedo. Inoltre, per quanto tu tenda spesso a dimenticartene, ti rammento che la nostra situazione non è poi così dissimile: siamo entrambe prigioniere, entrambe trattenute qui contro la nostra volontà. Infatti in questo momento non è a una schiava che mi sto rivolgendo, ma alla sola amica fidata che abbia in questo posto. Credimi, non ti chiederei di rischiare così la tua vita se non si trattasse di una questione di estrema importanza, e se potessi andrei io stessa nel Regno di Crineide. Ma sai bene che non c’è modo per me di lasciare questo Tempio. Per questo oso domandarti questo immenso favore. Lo farai per me, Ural? Andrai fino alla Porta degli Dèi e condurrai fin qui le persone che fra mezzo Ciclo arriveranno laggiù?»

    Ural rimase un attimo in silenzio. Diverse volte, mentre la sua padrona parlava, i suoi occhioni rotondi e po’ sporgenti si erano inumiditi di lacrime. «Oh, ci potete scommettere» dichiarò infine con decisione. «Chiunque siano questi visitatori, ve li porterò qui anche a costo di trascinarli con la forza!»

    «Non credo che ci sarà bisogno di arrivare a tanto» le assicurò la donna ridendo; le ultime parole di Ural sembravano averla immensamente sollevata. Si alzò per prima e aiutò la propria serva a fare altrettanto. «Bene, allora raduna tutto ciò che pensi potrà esserti utile durante il viaggio. Poi torna qui: ho ancora molte altre istruzioni da darti.»

    La Merlan, di nuovo sorridente, fece un rapido inchino e si allontanò di corsa, sparendo oltre la stessa soglia da cui era entrata poco prima.

    Rimasta sola, la donna prese a fissare con insofferenza l’ampio portale di legno che, di fronte a lei, sbarrava l’entrata del Tempio. Poi sospirò e si volse verso la parete alle spalle del seggio. Laggiù, scolpita a rilievo sul muro, spiccava un’enorme figura geometrica, costituita da quattro lati ma priva di un quinto versante che le facesse da base.

    «Dunque ci siamo. Il momento è giunto, infine» considerò fra sé. «Ma quanto è stata lunga l’attesa, e quanto è ancora incerto il futuro.» La sua voce era un misto di rimpianto, timore e speranza.

    Girò intorno al sedile. Incisa sotto il pentagono imperfetto vi era una breve scritta. La donna vi passò sopra la mano con delicatezza.

    Infine la lesse ad alta voce: «Due mondi, un solo destino.»

    CAPITOLO 01: Una nuova vita

    «D’accordo, Elli. Vediamo un po’ come te la cavi.» «Perché non cerchi di fare meno il gradasso e ti fai sotto?» Elli puntò la lancia contro Fabio, tentando invano di nascondere il nervosismo dietro un’aria spavalda.

    «Ah, la metti così?» Il ragazzo scagliò in aria la propria arma facendola ruotare su se stessa, poi la riprese con la stessa mano. Sembrava divertito. «Forza, allora. Vieni a darmi una bella batosta, se ne sei capace.»

    I due si studiarono per alcuni secondi, girandosi intorno e misurando a larghi passi il pavimento di pietra dell’ampio stanzone sotterraneo. I riverberi rossastri delle torce danzavano sui loro volti concentrati al massimo.

    Elli scattò in avanti. Fabio si scansò di lato con noncuranza e la colpì al fondoschiena, mandandola a ruzzolare per terra. Lei si rimise in piedi quasi subito, rivolgendo all’altro uno sguardo a metà fra l’offeso e l’umiliato.

    «Tutto qui?» Il ragazzo tornò in posizione di difesa e le lanciò un’occhiata di scherno. «Te l’avrò detto e ridetto almeno mille volte: quando sai che l’avversario è più forte di te, lascia che sia lui a fare la prima mossa. Ma se proprio devi attaccare per prima, almeno fallo come si deve.»

    «Senti, è da otto mesi che mi ripeti che sono una frana» protestò lei. «Non ti è ancora entrato in quella zucca vuota che con me questo tipo di approccio non funziona?»

    Un clang metallico risuonò per il sotterraneo: Fabio aveva attaccato dal basso ed Elli era riuscita, seppur con un attimo di ritardo, a parargli il colpo in diagonale. Se non altro, rifletté lei, questa volta era riuscita a restare in piedi.

    «Ma non è mica un approccio» specificò il ragazzo, approfittando del momento in cui si fronteggiavano da vicino lancia contro lancia. «È la pura verità.»

    La reazione di Elli non si fece attendere: ricacciò bruscamente Fabio indietro e ricominciò ad attaccarlo. Provò con un diagonale basso… parato; alto… parato anche quello. Ormai Elli iniziava a spazientirsi, così provò a cogliere di sorpresa l’avversario con il Colpo della Falce: tentò di agganciargli le gambe sotto il ginocchio per falcidiarlo. Eseguito nel modo giusto, consentiva di mandare il nemico a gambe all’aria, ma prima ancora che fosse riuscita a completare il movimento Fabio si era tolto dalla traiettoria con un salto mortale all’indietro.

    Esibizionista! pensò lei. Avrebbe potuto schivare il colpo in maniera meno spettacolare, ma sembrava si divertisse un mondo a metterla in soggezione. «Cos’è? Vuoi andare a lavorare in un circo?» lo schernì allora, riassumendo velocemente la posizione di difesa.

    «Un po’ di rispetto per il tuo maestro!»

    Fabio tentò di colpirla con la stessa tecnica, probabilmente per mostrargliene la corretta esecuzione. Elli riuscì a evitarlo all’ultimo secondo gettandosi di lato, poi si rimise in piedi con una capriola poco elegante ma efficace.

    «Però! Cominci a essere appena appena più agile della statua di Pegaso» osservò a quel punto il ragazzo. «Vuol dire che finalmente posso cominciare a fare sul serio.»

    Fabio fintò un attacco al viso di Elli, poi cercò di colpirla al fianco opposto. D’istinto lei lo comprese e lo bloccò in basso con la lancia. Presa dall’entusiasmo – era la prima volta che riusciva a individuare le sue intenzioni prima che fosse troppo tardi – provò a coglierlo di sorpresa con un diagonale al volto, ma l’altro glielo parò con estrema facilità, la sospinse indietro e infine la falcidiò alle ginocchia.

    Elli si ritrovò sul pavimento ansimante, con la lancia puntata alla gola. Tanto per cambiare, pensò.

    Anche se questa volta aveva retto molto più del solito: prima di allora non era mai riuscita a resistere per più di un minuto. Forse i tanti mesi di allenamento giornaliero cominciavano a dare i loro frutti, e in fondo sarebbe stato strano il contrario. Spesso dimenticava quanto tempo fosse trascorso, magari a causa del significato del tutto relativo che quel concetto aveva ormai assunto per lei: a volte le sembrava fosse passata un’eternità dalla notte in cui avevano fatto saltare le gallerie, altre invece aveva l’impressione che quel periodo fosse fuggito via in un lampo. Una sensazione sconcertante, dovuta presumibilmente al diverso clima – ora di fermento e spasmodica attesa, ora di paura e rassegnazione – che di volta in volta aveva regnato nella Città di Pietra.

    Fabio sorrise e ritirò l’arma, mentre Elli alzava appena la testa e gli rivolgeva un’occhiata piuttosto seccata.

    «Sì, non c’è male» fu il verdetto definitivo del maestro, ma pronunciato in tono assai poco convinto.

    Elli spalancò gli occhi per la sorpresa, poi sbuffò. Per quanto Fabio potesse essere un maestro di combattimento eccezionale – e doveva esserlo per forza, per essere riuscito a insegnare qualcosa perfino a un’imbranata come lei! – sembrava deciso a non farle montare la testa: quel giorno, dopo secoli, aveva finalmente compiuto qualche progresso significativo… e lui la ripagava con un indifferente non c’è male?!

    Quella situazione fu ulteriormente rimarcata dalle successive parole del ragazzo, che con un’espressione soddisfatta si appoggiò alla lancia e dichiarò: «Certo, dovrà passarne di acqua sotto i ponti prima che tu possa non dico battermi, ma anche solo sognare di riuscirci.»

    Gli occhi di Elli mandarono un improvviso lampo furbesco. «Già» concordò con aria apparentemente distratta, «però, signor maestro, mi pare proprio che vi stiate dimenticando del vostro primo insegnamento.»

    «Cioè?» chiese l’altro aggrottando la fronte.

    «Mai… abbassare la guardia!»

    Con un gesto fulmineo Elli alzò la lancia, agganciò Fabio dietro le ginocchia e lo atterrò, e il ragazzo si ritrovò così a farle compagnia sul pavimento.

    Entrambi si tirarono sui gomiti. Per un secondo Fabio la guardò in tralice, poi scoppiò a ridere.

    «Cosa vuoi che ti dica, che sei stata brava?» le chiese.

    «Come minimo» rispose lei.

    «Ok, sei stata… discreta. Scherzavo, scherzavo» le assicurò però quando Elli gli si avventò addosso a mani nude. «Sei stata brava, bravissima, un vero portento!»

    Per qualche secondo i due ragazzi furono impegnati in una specie di bonaria lotta libera, poi, ridendo entrambi, si tirarono di nuovo a sedere.

    «Va bene, lo ammetto» le confessò infine Fabio dopo aver ripreso fiato. «Considerato il tuo livello iniziale, non avrei mai pensato che saresti migliorata tanto in un lasso di tempo così breve. Sei contenta adesso?»

    «D’accordo, ora però basta con i complimenti, o penserò di averti dato una botta in testa senza accorgermene» replicò lei, tentando con scarso successo di dissimulare il proprio compiacimento. «Anche se…» aggiunse incerta mentre Fabio si rimetteva in piedi e l’aiutava a fare altrettanto.

    «Cosa?» la esortò lui incuriosito.

    «Insomma… tu pensi davvero che tutto questo mi sarà utile? In fondo c’è già l’Averon a proteggermi.»

    «Dimentichi Atreo» osservò Fabio dirigendosi verso l’angolo della sala dove i loro mantelli giacevano ammucchiati in unico fagotto. Prese un ruvido asciugamano da una pila lì accanto e lo usò per asciugarsi il viso. «Non è detto che contro di lui l’Averon sarà sempre affidabile.»

    «No che non l’ho dimenticato. Come potrei?» gli assicurò Elli con una smorfia: al solo udire quel nome lo stomaco le si contorceva! «Anche Atreo ha la capacità di governare l’Averon… lo so bene.»

    «E probabilmente di usarlo contro di te, se mai dovesse riuscire ad acquisirne il pieno controllo» le rammentò l’altro.

    «Appunto. A cosa mi servirebbe in quel caso saper usare una lancia? Non basterebbe di certo a salvarmi.»

    «Mettila in questi termini: sei diventata più agile e veloce di quanto tu non sia mai stata, e questo è senz’altro un bene. Se per qualunque motivo non potessi usare l’Averon per difenderti, almeno avrai sempre un’alternativa. Io la penso così e dev’essere lo stesso per tuo padre, o non mi avrebbe mai assegnato l’incarico di addestrarti. Quindi non crearti altri problemi» tagliò corto il ragazzo, lanciandole un asciugamano.

    Elli sospirò, rivolgendogli poi un breve cenno di assenso. In realtà, doveva ammetterlo, era lei la prima a non voler più affidare la propria e l’altrui sicurezza esclusivamente al suo ciondolo, e non soltanto a causa di Atreo. La verità era che negli ultimi mesi aveva cominciato a provare una profonda sfiducia nei confronti dell’Averon.

    Tutto era scaturito inizialmente dalla totale impassibilità con cui il ciondolo aveva reagito alle sue richieste d’aiuto. Infinite volte aveva supplicato il monile di venire in loro soccorso, trovando o creando un nuovo passaggio verso la superficie, un’operazione che fatta manualmente avrebbe richiesto un tempo e un dispendio di energie inimmaginabile, di cui loro non disponevano nella maniera più assoluta. Ma, visti i risultati, sarebbe stato più utile rivolgersi a un muro! Non una sola volta l’Averon aveva risposto alle sue invocazioni; quasi assurdo, visto che fino a poco tempo prima aveva invece esaudito ogni sua richiesta. A causa di quelle continue delusioni, Elli aveva finito per condividere l’antica convinzione di Francesco Corelli: quel ciondolo doveva essere dotato di una volontà propria. Ma qual era, in tal caso, la natura di questa volontà? L’Averon era davvero dalla loro parte, come avevano sempre creduto? E se sì, allora perché non li aiutava a fuggire? O forse era colpa sua? Magari era lei a non possedere abbastanza forza per una simile impresa. Forse Elanora, la sua potente antenata, ce l’avrebbe fatta.

    Con una certa riluttanza, Elli recuperò la collana d’argento dalla tasca interna del mantello e se la rimise al collo. Da quasi due anni, dal giorno in cui per salvare la sua vita e quella di Fabio aveva raccolto l’Averon dalle mani di un traditore, quel monile era divenuto il suo compagno inseparabile, quasi una parte di sé. Ormai si sentiva incompleta senza averlo addosso, eppure non poteva fare a meno di averne quasi paura. Ci sarebbe stato un prezzo da pagare, per aver goduto così a lungo della sua protezione?

    «A proposito dell’Averon, come va con la barriera?» le chiese Fabio osservando il ciondolo.

    «Non benissimo. Adesso riesco a tenerla attiva per una ventina di minuti, ma non di più.» Elli abbassò il viso e per un po’ si fissò il palmo della mano destra: era solcato da lunghi segni rossastri simili a bruciature, mute testimonianze delle giornate trascorse a cercare di ampliare i poteri del ciondolo. Lo scopo era quello di creare una sorta di muro di energia che nel giorno dell’assedio potesse proteggere la Città di Pietra dai Custodi. Riusciva a farlo, anche se per poco tempo, e questo la faceva andare su tutte le furie: perché mai l’Averon non le consentiva, molto più semplicemente, di aprire una via di fuga?

    Venti miseri minuti… e dopo la Città sarebbe rimasta senza protezione, o quasi. Grazie alla tecnica inventata da Rita e Luca, infatti, le Guardie avevano imparato adesso a rispedire le onde di energia al mittente, e non soltanto a pararle come in passato. Ma era solo l’ennesimo modo per guadagnare un altro po’ di tempo, non certo una via verso la salvezza.

    «Non devi abbatterti» la esortò Fabio, indovinando il corso dei suoi pensieri. «Ricorda che abbiamo ancora un’altra possibilità.»

    L’allusione del ragazzo era fin troppo chiara, ma prima che Elli avesse potuto capire se quel pensiero l’avesse rinfrancata o meno, un rumore di passi li indusse entrambi a volgere lo sguardo al malandato ingresso della stanza sotterranea.

    «Mamma, Fabio!» si sentì gridare da una voce acuta. Un attimo dopo una bambina dai lunghi capelli biondi si fiondò nella camera, ansante e parecchio agitata.

    «Laura! Cos’è successo?» chiese subito Elli, precipitandosi verso di lei.

    «Non… non sono i Custodi, non vi preoccupate» li rassicurò la bambina fra un respiro corto e l’altro. «Ma dovete venire subito di sopra. È arrivato il momento!»

    Gli altri due si scambiarono uno sguardo stupito e allarmato.

    «Come? Adesso?» Dopo un attimo di smarrimento, Elli si precipitò a raccogliere il mantello e lo stesso fece Fabio dopo di lei. Quindi seguirono di corsa Laura lungo i sotterranei del Palazzo della Reggenza.

    «Non è un po’ in anticipo?» domandò Fabio mentre con una scivolata frenava e svoltava a sinistra. «Credevo che non sarebbe stato prima di due settimane!»

    «Infatti» gli confermò Elli, che adesso correva tanto veloce da avere già distanziato gli altri due di diversi metri. «Forza, muovetevi!»

    Arrivati alla Sala dei Banchetti l’attraversarono in un lampo, sbucarono sul loggione esterno e da lì raggiunsero l’Ala Est del Palazzo e la filiera di camere che si apriva di fronte alle finestre della galleria.

    «E… e io che faccio adesso?» chiese Fabio, piuttosto spaesato, quando furono giunti a una porta a circa metà del corridoio.

    «Tu aspetti qui, naturalmente» decretò Elli senza tanti complimenti. «Va bene, tu puoi entrare» aggiunse rivolta a Laura, che la guardava in attesa. «Ma se poi ti impressioni, ricorda che io ti avevo avvertito.»

    Elli respirò a fondo – in realtà, benché ostentasse una certa sicurezza, era lei la più agitata di tutti – e aprì la porta della camera, dirigendosi subito verso l’ampio letto sulla destra.

    Nella stanza c’era anche Valeria, ma Elli la notò soltanto in un secondo momento, visto che i suoi occhi corsero subito a Rita, distesa sotto le coperte, pallidissima e col respiro affannoso. Elli s’inginocchiò subito accanto a lei e le prese la mano: era tremante e sudata.

    «Ehi!» la salutò Rita tentando di sorriderle. «Hai visto? Sembra che questo signorino abbia fretta di venire fuori. Deve aver preso da me.»

    «Il dottore non è ancora arrivato?» chiese Elli guardandosi freneticamente intorno.

    «Lo abbiamo fatto chiamare, sarà qui a momenti» la informò Valeria.

    D’un tratto Rita strinse la mano di Elli talmente forte da farle male, ma quest’ultima badò bene a non lamentarsi.

    «Scusami» le sussurrò l’altra quando la contrazione fu passata.

    «Ma scherzi?» la prese in giro Elli. Sperò che la sua voce fosse suonata disinvolta a sufficienza, perché in realtà aveva lo stomaco sottosopra: e se qualcosa fosse andato storto? Se fosse accaduto qualcosa di brutto a Rita o al bambino?

    Pochi istanti dopo Elli fu distratta da un rumore di passi. Nella stanza erano entrate tre persone: il medico si avvicinò per primo al letto, seguito da una donna in camice, sicuramente l’ostetrica, quindi Nico, che rimase appena più distante.

    «Allora, come andiamo qui?» domandò tranquillamente il dottore. Era un signore grassottello dall’aria pacifica e bonaria, all’apparenza più adatto come compagno di briscola che come medico.

    «Una meraviglia!» disse Rita a denti stretti. Risposta del tutto ironica, visto che in realtà aveva dovuto vistosamente trattenere un urlo.

    «Andiamo, sarà una passeggiata.» L’ostetrica si era rivolta a Rita in tono sbrigativo e un po’ spazientito. «Io ho messo al mondo ben sette figli, e due di loro in una volta sola.»

    «Che brava, adesso le diamo una medaglia» sibilò Rita quando la donna si fu allontanata.

    «Lasciala perdere, cerca di stare calma» la esortò Elli poggiandole una mano sulla fronte bagnata.

    «Solo se mi prometti che dopo la farai accidentalmente cadere per le scale» sussurrò ancora Rita, lanciando occhiate malevole alla levatrice che poco più in là aveva preso a parlottare col dottore. «Elli» le confessò poi fra un respiro corto e l’altro, «me la sto facendo sotto dalla paura!»

    «Beh, è normale, no?» la rassicurò lei. «Sta’ tranquilla, pensa… pensa a dopo.»

    Forse non era un gran consiglio, ma in quel momento era l’unico che le fosse venuto in mente.

    Un ragazzino biondo, pallido e dai grandi occhi azzurri percorreva a passo svelto il corridoio. Si fermò soltanto quando vide Fabio accanto a una porta, appoggiato al muro di spalle, e Laura seduta sotto una finestra della parete di fronte.

    «Allora?» chiese con una certa impazienza.

    «Ancora niente» gli rispose Fabio alzando appena il capo.

    Erano passate più di tre ore da quando Elli era entrata nella stanza, e i rumori arrivati da dentro in quell’arco di tempo non erano stati affatto rassicuranti.

    «E tu che ci fai qui?» Andrea si era adesso rivolto a Laura. «Tua madre non aveva detto che potevi assistere?»

    «Ho vomitato sul pavimento» confessò la bambina, il viso basso per la vergogna.

    Andrea trattenne a stento una risatina, poi si lanciò in una perfetta imitazione della vocetta acuta di Laura: «Non mi fa impressione, io posso vedere tutto. Non ho paura di niente!»

    «Brutto antipatico!» Laura saltò su e provò ad acchiapparlo, ma il ragazzino si era già spostato a debita distanza, continuando a farle il verso.

    Fabio non poté fare a meno di sorridere. Era incredibile come il carattere di quel ragazzino introverso si trasformasse quando stava con Laura. In generale continuava ad avere in sé qualcosa di ruvido, di diffidente perfino, ma quando aveva a che fare con quella bambina diventava un’altra persona. A quel punto il pensiero di Fabio andò inevitabilmente a Luca: suo figlio stava per nascere… e lui non era lì. Dove si trovava in quel momento? Cosa stava facendo? Era anche lui fra i Custodi che da mesi scavavano senza sosta per raggiungerli?

    Fabio si passò una mano sugli occhi e scosse la testa.

    Proprio in quell’istante i passi di Andrea e di Laura che si rincorrevano per il corridoio cessarono di colpo. Due suoni avevano attirato la loro attenzione: un urlo più forte degli altri e subito dopo il pianto di un neonato.

    Quando misero il bambino fra le braccia di Rita la ragazza non pianse, si limitò a guardarlo e a sorridergli. Elli – i cui occhi sembravano al contrario essersi trasformati in due rubinetti aperti – non le aveva mai visto un’espressione simile: un misto di amore, di felicità, ma anche di tutta la paura che si può provare nel tenere fra le mani qualcosa di infinitamente prezioso. Il bambino cominciò a sua volta a fissare la madre, non con lo sguardo sonnacchioso tipico dei neonati, ma al contrario con gli occhietti ben aperti in quella che si sarebbe potuta definire un’espressione di educata curiosità.

    Elli cercò di imprimersi tutti i particolari di quella scena nella mente, e quando capì qual era il motivo fondamentale per cui lo stava facendo provò un involontario moto di tristezza: Luca non era lì a vederla, e chissà, forse un giorno gli avrebbe fatto piacere riviverla attraverso i suoi ricordi… se mai fosse tornato a essere quello che era.

    «Dìer ogden ptiara, yunda gariel as!» La voce allegra ed esausta del dottore riempì d’improvviso la stanza.

    Elli si asciugò in fretta le lacrime e si voltò incuriosita verso l’uomo.

    «E’ una formula augurale in Linguaggio Arcaico» le spiegò Nico mettendole una mano sulla spalla. «E’ tradizione ripeterla ogni volta che c’è una nascita. Vuol dire: ogni bambino che viene al mondo è una nuova speranza

    «La parola per speranza è gariel?» chiese Rita a voce appena udibile, lo sfinimento per le lunghe ore di travaglio impresso in ogni lineamento del volto. Nico annuì. «Suona bene, non trovate?» aggiunse guardando fisso il bambino, che adesso sbadigliava senza ritegno.

    «Intendi dire… che vuoi chiamarlo così?» Elli non riuscì a trattenere un moto di stupore di fronte a quell’idea bizzarra e inaspettata. Fino a quel momento, oltretutto, l’amica non aveva mai accennato a dei possibili nomi per il bambino in arrivo.

    «Sì» le confermò Rita con un sorriso. « È di buon augurio, no? Abbiamo tutti bisogno di un po’ di speranza, ora più che mai.»

    La perplessità di Elli si trasformò in un sorriso. Beh, dopotutto era proprio una trovata degna di Rita! E in fondo anche lei aveva l’impressione che la nascita di quel bambino avesse squarciato appena quel velo tenebroso che da tanti mesi pesava sulla Città come una cappa soffocante.

    «Che fai lì impalata?» le disse d’un tratto l’amica alzando il viso verso di lei. «Vieni qui, così faccio le presentazioni. Gariel» annunciò al bambino quando Elli si fu avvicinata al letto, «questa che sta facendo le Cascate del Niagara è la più cara amica che abbia al mondo. Mi raccomando, stai attento a come ti comporti con lei, perché da queste parti è una persona piuttosto importante.»

    «Ehi, ciao!» Elli prese a giocherellare con le manine chiuse a pugno del bimbo. Era piuttosto difficile pensare che quel cosino fosse davvero il figlio di Rita, forse perché loro due si conoscevano praticamente da sempre. Sentiva il cuore ricolmo di un’emozione mai provata prima, che raggiunse il suo culmine quando quel fagottino dalle guance rosa le afferrò un dito e glielo strinse forte.

    «Credo… che dovremmo far entrare anche Fabio e Laura, adesso» propose a quel punto in fretta, giusto per arginare nuovi fiumi di lacrime. «È da più di tre ore che aspettano qua fuori.»

    Pochi minuti dopo, nonostante le timide rimostranze di Elli, Rita aveva già dato a Laura il permesso di prendere Gariel in braccio, e adesso la bambina lo stava cullando tutta contenta – con Elli dietro di lei pronta a intervenire, spaventatissima all’idea che potesse farlo cadere per terra.

    Fabio osservava la scena appoggiato al muro, con le mani cacciate nelle tasche e un vago sorriso. Sembrava contento, ma per Elli non fu difficile capire cosa gli impedisse di essere del tutto felice. Del resto anche lei si sentiva così, divisa fra la gioia e la tristezza: nessuno aveva pronunciato il suo nome, eppure il pensiero di Luca non avrebbe potuto essere più presente nelle loro menti. Come sarebbe stato tutto diverso se fosse stato lì con loro!

    L’unico a non aver fatto neppure un passo all’interno della stanza era Andrea, ancora fermo nel vano della porta. Nessuno però se ne accorse fino a quando Laura non alzò lo sguardo e gli disse: «Ma che fai lì? Vieni!»

    A quel punto tutti si voltarono verso di lui. Il ragazzino diede un veloce sguardo alle proprie spalle, come tentato dall’idea di andarsene, poi sospirò e prese ad avanzare a piccoli passi. Si avvicinò a Laura, diede una rapida occhiata al bambino e fece un breve cenno di assenso con la testa, come per dare a intendere che sì, l’aveva visto.

    «Prendilo in braccio, dai!» lo incoraggiò Laura avvicinandogli la coperta azzurra in cui l’ostetrica aveva avvolto Gariel.

    «No… io…» balbettò Andrea tirandosi indietro. «Meglio di no.»

    «Ma quanto sei scemo. È tuo nipote!» gli rammentò Laura.

    «Puoi prenderlo, se vuoi» intervenne Rita. Il suo tono era gentile, ma Elli, che la conosceva meglio di chiunque altro, vi colse una lievissima nota di esitazione.

    «No, davvero» ribadì Andrea, sempre più agitato. «Lo farei cadere di sicuro.»

    Se il ragazzino appariva più fermo che mai nel proposito di non volere prendere suo nipote in braccio, Rita dal canto suo non sembrava poi così desiderosa di insistere, cosicché Laura, seppur perplessa e un po’ delusa, non poté far altro che riconsegnare il neonato a sua madre.

    Elli sospirò. Nonostante i tanti mesi passati, la barriera invisibile che si era creata fin da subito tra Rita e Andrea non era mai caduta. La ragazza, specie negli ultimi tempi, si era visibilmente sforzata di essere il più cordiale possibile nei suoi confronti, ma sembrava proprio che in cuor suo non riuscisse a perdonargli il fatto che la sua vita e quella del fratello avessero preso l’una la piega dell’altra. Andrea infatti, seppur cresciuto in mezzo ai loro nemici, si era rifiutato di compiere la prova di iniziazione che lo avrebbe reso un Custode a tutti gli effetti, e del tutto inaspettatamente era stato invece Luca ad andare a rinfoltire le schiere dei loro avversari. Era accaduto tutto durante la loro disperata sortita nel quartier generale nemico, quando il vecchio Maestro di Elli aveva fatto sì che Luca, senza volerlo, lo trafiggesse con un pugnale Veneficus, l’arma maledetta in grado di contaminare chiunque avesse sangue di Custode nelle vene. Era stato proprio questo avvenimento a costringere i Guardiani della Città di Pietra a intrappolarsi da soli nella loro stessa caverna; solo così erano riusciti a evitare il massiccio attacco dei loro nemici, che appresa da Luca l’ubicazione del loro rifugio segreto si erano mossi all’istante per colpirli.

    Certo era un peccato, pensò Elli osservando Andrea ritirarsi nell’angolo più buio e lontano della stanza; perché ormai fra lui e Rita esisteva un legame, un vincolo che, se solo l’avessero voluto, avrebbe potuto renderli una vera famiglia.

    «È proprio un amore.» Elli seguitava a osservare il volto rotondo e vellutato di Gariel, che dormiva tranquillamente in un’alta culla di vimini realizzata apposta per lui. Nella stanza erano rimaste soltanto lei e Rita.

    «Elli» le chiese quest’ultima tirandosi sui gomiti e sorridendole, «non è che mi aiuteresti ad alzarmi, vero?»

    Elli sorrise. «Non ce la fai proprio a restare un minuto senza vederlo, eh?», quindi si avvicinò al letto per liberare l’amica dalla pesante coperta in cui era avvolta.

    Giunte accanto alla culla, per un po’ osservarono il piccolo in silenzio.

    «Gli somiglia, non è vero?» osservò infine Rita, accarezzando appena le gote del bambino.

    Elli fu costretta ad annuire. In generale aveva sempre trovato ridicoli quei genitori che cercano di scorgere in un neonato appena venuto al mondo il mento della prozia Maria, il naso di nonno Giuseppe o gli zigomi del padre, ma nel caso di Gariel non c’era nulla da obiettare: i colori sembravano quelli di Rita, visto che la corta peluria che gli ricopriva il capo era scura, ma nei lineamenti del viso aveva senza dubbio qualcosa che ricordava Luca.

    Alzò appena lo sguardo verso Rita e le lanciò un’occhiata inquieta. In tutti quei mesi, come per un tacito accordo, avevano parlato pochissimo del ragazzo, ma lei sapeva bene che la nascita del bambino avrebbe riportato a galla sentimenti e ricordi che l’amica aveva forzatamente relegato in qualche remoto angolo del suo animo.

    «Sto bene, non preoccuparti» la rassicurò subito l’altra. «So che non posso permettermi di abbandonarmi troppo ai cattivi pensieri. Infatti io non vorrei, credimi, ma… non ci riesco.» Una lacrima scivolò sulla guancia della ragazza, che si affrettò ad asciugarla con un rapido gesto della mano. «So che non è giusto per lui.» Rita sfiorò appena i capelli radi del figlio. «La nascita di un bambino dovrebbe portare solo gioia, e invece eccomi qui che piango. Hai visto? Sono madre da tre secondi e già mi sto comportando male.»

    «È normale che tu stia pensando a Luca. Non hai alcun motivo di sentirti in colpa per questo.»

    «Notizie dalla rupe?»

    «Sono ancora lontani» rispose Elli dopo un attimo, spiazzata dal brusco cambio di argomento. «Secondo le ultime stime ne avranno forse per altri cinque mesi prima di raggiungerci.»

    Benché si fosse sforzata di parlare con tranquillità, Elli non era riuscita a impedire che la sua voce tradisse un leggero tremito. Cinque mesi. Cos’erano in fondo cinque miseri, brevissimi mesi?

    Rita tacque ancora, poi le domandò a bruciapelo: «Secondo te Luca è con il gruppo di scavo, non è vero?»

    Elli avrebbe preferito non rispondere ma, rifletté subito dopo, non è che evitando di esprimere il suo parere le sarebbe stata d’aiuto in qualche modo. «È… probabile» ammise allora, «e lo pensa anche mio padre. Di certo i Custodi staranno cercando di riportare alla luce i tunnel in cui passavano i Bullet-Shuttles, ma per arrivare fin qui a colpo sicuro avranno bisogno anche delle indicazioni di Luca. Sarebbe assurdo se lo avessero assegnato a un altro incarico.»

    «Non voglio che quello che è accaduto a suo padre accada anche a lui» dichiarò Rita fissando intensamente Gariel. «Anche in lui scorre il Loro stesso sangue, e se un giorno…»

    «Beh, se è solo per questo scorre anche in me» le rammentò Elli cercando di suonare tranquilla, perfino scherzosa, «e per quanto mi riguarda ti assicuro che non ho alcuna intenzione di diventare una Custode!»

    «Quando arriveranno, dovremo nasconderlo» affermò Rita dopo aver deglutito. «Se Luca… se il Custode che si è impossessato di lui dovesse arrivare a scoprire della sua esistenza» aggiunse quando Elli le rivolse uno sguardo interrogativo, «tenterà sicuramente di portarmelo via.»

    Elli rabbrividì di fronte a un’eventualità che fino a quel momento non aveva considerato.

    Erano quasi le sei del pomeriggio. Il combustibile delle torce si andava ormai consumando e in virtù di questo, come ogni giorno, una luce ambrata e intensa aveva preso a sprigionarsi dalle pareti della grotta, irrorando l’intera Città di Pietra di un riverbero infuocato che creava l’illusoria sensazione del tramonto.

    Rita dormiva da una ventina di minuti ed Elli, dopo aver vagato senza meta per i corridoi del Palazzo, aveva deciso di uscire a fare due passi. Aveva quindi lasciato l’edificio, poi il cortile della reggia e infine si era mossa verso l’ingresso della Città.

    Già da molti mesi un immenso portale a due battenti, realizzato fondendo qualsiasi oggetto metallico si fosse riuscito a rimediare, chiudeva l’arco d’ingresso nella muraglia di pietra. Quest’ultima era stata innalzata di diversi metri e completata con delle scale interne che permettevano di raggiungerne la sommità, là dov’era stato realizzato un camminamento ideato per collocarvi le Guardie durante l’assedio.

    Mentre percorreva a passo lento la strada principale, Elli si guardò attorno a disagio, venendo scossa suo malgrado da un brivido: le vie e le piazze della Città di Pietra, un tempo brulicanti di vita a ogni ora del giorno, erano in quel momento vuote e silenziose, tanto che poteva sentire distintamente il rumore di ogni suo passo. Capitava che dall’ombra di una porta qualcuno le lanciasse uno sguardo curioso, oppure bisbigliasse piano, ma nulla di più. Era come camminare in una città abbandonata.

    La ragazza sospirò. Negli ultimi tempi nessuno aveva più voglia di uscire di casa. Perché avrebbero dovuto, in fondo? Non c’era proprio nulla da fare in quel luogo, se non aspettare.

    L’umore della gente era peggiorato di giorno in giorno, di mese in mese, e infine era precipitato, sotto gli occhi di Nico e degli Alti Funzionari dell’Ordine, che non avevano potuto fare nulla per impedirlo. I Guardiani, animati inizialmente dai più nobili sentimenti di coraggio e dedizione alla propria causa, nelle prime settimane avevano fatto tutto il possibile per prepararsi nel migliore dei modi a respingere l’attacco dei Custodi: tutti avevano contribuito alle opere di fortificazione, e le Guardie si erano allenate notte e giorno sotto la guida di Rita per imparare a respingere le onde di energia. Esaurita però questa fase di fermento, era arrivata la parte peggiore: quella dell’attesa.

    A quel punto era stato inevitabile che i prigionieri della grotta, quasi duemila anime, cominciassero a rimuginare senza sosta sulla propria situazione, tutti asserragliati nel loro carcere dorato, sempre più impauriti, sempre più sgomenti, allarmati di continuo dalle notizie che giungevano dall’estremità della grotta, là dove Nico aveva fatto installare delle apparecchiature di controllo allo scopo di monitorare a distanza i movimenti dei Custodi. Il responso degli ultimi rilevamenti non lasciava adito a dubbi o illusioni: entro cinque mesi al massimo i loro nemici avrebbero raggiunto la caverna. Come se tutto questo non bastasse, nelle ultime settimane il Supremo Reggente era stato costretto ad aumentare il razionamento delle scorte alimentari, una decisione che aveva esasperato ulteriormente gli animi già abbattuti della cittadinanza.

    Secondo Elli, tuttavia, il senso di sconforto non avrebbe mai raggiunto livelli così alti se non fosse stato per quell’evento prodigioso atteso da tutti e mai avvenuto.

    Il miracolo del lago. Era così che tutti ormai chiamavano la portentosa apparizione di Elanora avvenuta poche ore dopo il funerale dell’Eremita. All’epoca dei fatti Elli, unica testimone dell’avvenimento, ne aveva parlato soltanto con i Consiglieri e con i suoi più intimi amici, ma evidentemente qualcuno di loro doveva essersi lasciato sfuggire qualcosa, perché nel giro di pochi giorni l’intera Città era venuta al corrente dell’accaduto: Elanora, la Prima Rivelatrice, colei che per prima era riuscita a sfruttare gli immensi poteri dell’Averon, era apparsa alla sua ultima discendente nelle acque cristalline del lago. Lì le aveva affidato un incarico: attraversare un passaggio che a tempo debito si sarebbe aperto sul fondo di quello stesso bacino d’acqua, raggiungendo così un luogo misterioso in cui avrebbe trovato l’unica persona in grado di aiutarli.

    Dopo tutti gli avvenimenti straordinari accaduti degli ultimi tempi – il ritorno di una Rivelatrice nell’Ordine, il risveglio dell’Averon, la scoperta della profezia di Elanora – nessuno si era sognato di mettere in dubbio quella storia pur così straordinaria, e non c’era voluto molto affinché tutti si convincessero che si trattava soltanto di una questione di tempo: presto il passaggio si sarebbe aperto davvero, e quella sarebbe stata la loro salvezza.

    Ma così non era stato.

    Erano passati otto lunghissimi ed estenuanti mesi, e il lago era rimasto quello di sempre. La delusione si era diffusa sui volti e nei cuori di tutti, e la speranza si era spenta come un fiore di primavera sorpreso da una gelata tardiva.

    Elli raggiunse il bordo del dirupo, là dove i due fiumi sotterranei precipitavano verso il basso formando le Cascate di Pegaso. Le poderose colonne d’acqua precipitavano in una conca rivestita per intero del minerale luminescente chiamato Edamas, il luogo della caverna che maggiormente risplendeva di luce azzurra, e lo spettacolo che ne scaturiva era di una bellezza e di un incanto da togliere il fiato. Poco più in là, una ripida scala di roccia consentiva di scendere fino al fondo della gola. La ragazza si incamminò in quella direzione.

    Alla sua comparsa, le due Guardie accovacciate sulla sponda del lago balzarono in piedi. Fin dal giorno dell’apparizione di Elanora, infatti, un alquanto scettico Nico aveva comunque dato ordine che la zona venisse piantonata notte e giorno, mentre sulla riva era stato sistemato un treppiedi che sosteneva una piccola campana d’ottone, per avvisare la cittadinanza se il passaggio sotto il lago si fosse aperto. Un apparato piuttosto scenografico, allestito – secondo Elli – al solo scopo di non scontentare chi sin dall’inizio aveva creduto fermamente alla storia del passaggio.

    Mentre procedeva verso il basso, la ragazza rivolse uno sguardo all’estremità destra della conca, dove una grande pietra ornata di fregi floreali ricordava che dietro la cascata si trovava la tomba di Francesco Corelli, colui che l’anno prima, presentandosi come l’Eremita, aveva accolto il Supremo Reggente nella Città di Pietra. Ne conosceva l’iscrizione a memoria:

    " Qui giace un paladino di saggezza e di libertà, che per duecentotrentasette anni vegliò su questi luoghi preservandoli per il ritorno dell’Ordine dei Guardiani. Benché il destino non gli avesse concesso i poteri di suo padre Giacomo, il suo consiglio e la sua guida aiutarono l’Ultima Rivelatrice a salvare il mondo dalla minaccia dell’Eversor. Per questo egli sarà ricordato e onorato nei secoli. Francesco Corelli, 1690-2003".

    Elli sorrise per l’ampollosità di quelle parole, in perfetto stile da Ordine dei Guardiani, ma le faceva piacere pensare che, fino a quando quella lapide fosse stata lì, nessuno avrebbe mai dimenticato l’Eremita delle Cascate di Pegaso e ciò che aveva fatto per tutti loro.

    Molte volte, in passato, si era ritirata laggiù nella conca per stare da sola o pensare; era il suo luogo preferito dell’intera caverna, quello che le infondeva il maggior senso di serenità e quiete. Purtroppo la costante presenza delle sentinelle l’aveva privata di questa possibilità, ma ormai ci badava poco e scendeva sempre quelle scale con un misto di timore e impazienza. Se mai il passaggio si fosse aperto, lo sapeva bene, avrebbe udito i rintocchi della campana da qualunque luogo della caverna, eppure ogni volta che si recava laggiù non poteva fare a meno di covare la tenue speranza che qualcosa fosse cambiato. Purtroppo durava poco. Giusto il tempo di vedere le Guardie mettersi sull’attenti e rivolgere loro la sua immancabile domanda: «Qualche cambiamento?» e di sentirsi rispondere, altrettanto invariabilmente: «No, mia Signora, tutto come al solito.»

    Accadde così anche quel giorno, ed Elli non riuscì a trattenere un moto di delusione. Ma l’occhiata che le venne rivolta da una delle due Guardie – un ragazzo alto e pallido dai capelli rossicci, di poco più grande di lei – le rivelò che lo sconforto e il disappunto non erano soltanto i suoi.

    La Rivelatrice fece qualche passo in avanti e andò a specchiarsi nel lago. Lo faceva ogni volta che andava lì, ormai praticamente per abitudine. Proseguì finché i suoi piedi non arrivarono quasi a lambire l’acqua rilucente di bagliori azzurri, poi si fermò e guardò in basso. La sagoma tremolante che le ricambiò lo sguardo era la sua, non vi erano dubbi. Sospirò. Una piccola parte di lei sperava sempre di veder ricomparire l’eterea immagine della sua antenata.

    «Ho sentito dire che il bambino è nato» mormorò il ragazzo dai capelli rossi in tono incerto, distogliendola dai suoi pensieri. «Il… il Capitano sta bene?»

    Elli sorrise. Nico aveva nominato Rita Capitano quando le aveva assegnato l’incarico di addestrare le altre Guardie, anche se in realtà, a causa della gravidanza, la ragazza non aveva poi potuto svolgere quell’incarico per più di qualche mese.

    «Sì, sta bene» rispose al ragazzo con gentilezza.

    «Ehm, allora… potreste dirle che la saluto? Probabilmente non si ricorderà neppure di me, ma nel caso che invece se ne ricordasse… io sono Marco. Marco Bellini, quello che faceva sempre cadere la lancia.»

    «Le riferirò il messaggio» gli assicurò Elli con un sorriso, poi fece un breve cenno di saluto all’altra Guardia, che si inchinò con deferenza, e si riavviò su per le sdrucciolevoli scale di pietra, col morale ancor più basso di prima.

    Una volta riemersa dalla gola, rivolse meccanicamente lo sguardo all’immensa pianura che si stendeva oltre le mura della Città. Laggiù in fondo, in cima alla rupe, un tempo c’era stato il passaggio che conduceva all’esterno, ormai indistinguibile dopo che loro stessi l’avevano fatto franare. Ai piedi della sporgenza rocciosa invece, a una decina di metri di distanza, si intravedevano gli enormi macchinari della Squadra di Sorveglianza, il gruppo incaricato di controllare gli spostamenti dei Custodi, supervisionato da Lutho in persona.

    Elli scosse la testa al ricordo dell’apparizione di Elanora, così vivido ma al tempo stesso così fugace da indurla a chiedersi più volte se non si fosse trattato di un’allucinazione scaturita dall’angoscia del momento. Possibile che la mente le avesse giocato un così brutto scherzo?

    Affacciato al loggione esterno, Nico scrutava con sguardo impietrito la Città, vuota e silenziosa nonostante fossero le dieci del mattino.

    «Papà?»

    Nico sobbalzò appena, poi si voltò a guardare la figlia. «Ah, sei già tornata» constatò.

    «Dovevo solo riaccompagnare Rita e il bambino a casa loro, non andare all’altro capo del mondo!» scherzò lei, ma l’espressione turbata del padre non cambiò di una virgola. «D’accordo, ovviamente c’è qualcosa che non va» aggiunse quindi, tornando seria. «Vuoi dirmi subito di cosa si tratta o la tiriamo per le lunghe?»

    Nico tentò di sorridere ma qualcosa sembrò impedirglielo, e per la ragazza quel sorriso spezzato valse più di mille parole: c’erano guai in vista, e anche piuttosto seri.

    «Beh, te l’ho già detto» le rammentò l’uomo dopo essersi inumidito le labbra. «Mi avrebbe solo fatto piacere che fossero rimasti qui a Palazzo ancora per un po’. Tutto qui.»

    «È stata lei a rifiutare» gli ricordò Elli. «C’eri anche tu quando gliel’ho chiesto. Del resto, sono passate due settimane da quando è nato Gariel, ed è comprensibile che Rita sentisse il bisogno di starsene un po’ per conto suo, no?» Soltanto allora, mentre pronunciava quelle parole, si rese conto che dietro la richiesta apparentemente innocente di suo padre doveva celarsi ben altro.

    «Sì, lo capisco» proseguì Nico, «ma… beh, d’accordo. A questo punto tanto vale che ti metta al corrente di tutto. Finora avevo evitato di farne cenno sia a te che a Rita per non allarmarvi, ma la verità è che avrei preferito che lei e Gariel restassero qui per un motivo ben preciso, e cioè che non mi piace molto l’aria che si respira giù in città ultimamente.»

    Lei gli lanciò uno sguardo perplesso e inquieto. «Ti dispiacerebbe spiegarti meglio?» gli chiese con una certa impazienza. Nico aveva l’irritante abitudine di comunicarle le notizie spiacevoli a puntate, quasi non la credesse in grado di reggerle tutte in una volta.

    «Elli, i Guardiani sono persone come tutte le altre» le fece notare allora il padre con un sospiro amaro. «Hanno le loro meschinità e debolezze, come chiunque al mondo, e questo purtroppo è un momento critico per tutti noi, soprattutto da quando abbiamo aumentato il razionamento alimentare. Sarò sincero: non so per quanto ancora riuscirò a tenere la situazione sotto controllo.»

    Elli iniziò a spaventarsi sul serio: perché mai quelle parole così cupe e disfattiste? Cos’è che Nico le aveva tenuto nascosto?

    «Mi sono giunte delle voci negli ultimi tempi» continuò l’uomo, gli occhi adesso rivolti al fiume oltre le mura. «Avvertimenti anonimi e piuttosto vaghi, ma più che sufficienti a farmi un’idea della situazione. In questa Città si è creata una spaccatura. All’interno dell’Ordine pare sia nata una fazione segreta, molto agguerrita e temo anche numerosa. I Dissidenti, si fanno chiamare così.»

    «I… Dissidenti?» ripeté Elli stordita. «Vuoi dire che…»

    «… che se in breve non accadrà qualcosa che farà cambiare la situazione, fra un po’ i nostri nemici cesseranno di essere unicamente all’esterno di questa caverna.»

    Elli per un attimo rimase immobile e in silenzio, incapace di mettere a fuoco la reale portata di quella rivelazione. «La gente è giù di morale, è vero» ammise infine incredula, «ma non è possibile che si sia arrivati a questo.»

    «Lo credi davvero?» la sfidò Nico. «Ricordi le persone che a suo tempo avevano preso di mira Luca, giusto?»

    «Sì, so che ancora un anno fa c’era chi non credeva del tutto alla sua innocenza e alla sua fedeltà all’Ordine. Ma questo cosa c’entra?»

    «Tutto. Perché, stando alle mie poche informazioni, questi cosiddetti Dissidenti sembrano pensarla proprio come loro: fanno ricadere l’intera responsabilità dell’accaduto – il fatto di essere rimasti intrappolati qui, l’imminente attacco dei nostri nemici… tutti i nostri guai, insomma – sulla decisione di accogliere fra noi il figlio di due Custodi. È su queste basi che si è formato il loro malcontento, e ciò mi porta a pensare che si tratti in parte delle stesse persone. Tenuto conto di questo, forse con un po’ di fortuna potremmo riuscire a scoprire l’identità di alcuni di loro, ma in realtà non avremo mai modo di sapere quanti all’epoca, in cuor loro, continuassero a diffidare di Luca. Questo significa che non possiamo identificarli dal primo all’ultimo. Ecco perché sono preoccupato per Rita: potrebbero decidere di rivalersi su di lei e sul bambino. E sai qual è l’aspetto più ironico?» Nico sbottò in una risatina amara. «Che in linea di principio il loro ragionamento non fa una piega: senza l’insperata fortuna di avere Luca dalla loro, probabilmente i Custodi non avrebbero mai scoperto l’esistenza di questa Città.»

    «Sì, ma…» balbettò Elli, la gola d’un tratto chiusa da un nodo «Luca… insomma, il vero Luca, quello che conoscevamo noi, era un ragazzo gentile e coraggioso, e meritava tutto il nostro affetto e la nostra fiducia. Quello che sta conducendo i Custodi fin qui non è più lui, è soltanto un… un demone che si è impossessato del suo corpo.»

    «Sai bene che non siamo in molti a pensarla così, Elli, e stiamo diventando sempre meno. Ogni singolo Guardiano di questa Città sa di essere in trappola, sa che i Custodi stanno venendo qui per massacrarlo e nel frattempo vede il cibo per i propri figli diminuire di giorno in giorno. Il minimo che possa fare è cercare qualcuno con cui prendersela, non credi? Sono questi i momenti in cui le persone si lasciano convincere a scagliarsi contro un capro espiatorio, qualunque esso sia. E c’è di più: l’ultima informazione che ho ottenuto è che chiunque guidi questa fazione sta incanalando la rabbia e la frustrazione di tutti non soltanto verso Luca, ormai irraggiungibile, ma anche verso i membri delle Alte Sfere ritenuti responsabili delle sue azioni, e in particolare verso una persona. È dunque probabile che il reale scopo del capo – o dei capi – di questo gruppo sia quello di prendere il comando dell’Ordine scalzando dai vertici la vecchia gerarchia. Una strategia davvero astuta, non credi?»

    «La persona in particolare di cui parlavi… sarei io, vero?» balbettò Elli. Si sorprese però parecchio nel vedere suo padre scuotere la testa con un sorrisetto. «Ma… ma sono stata io a impedire l’esecuzione di Luca» obiettò confusa, «e sempre io ho guidato la spedizione alla Fortezza di Ménoris. Se davvero questi Dissidenti cercano qualcuno delle Alte Sfere contro cui puntare il dito, allora chi meglio di me? In fondo la responsabilità di quanto è successo è anche mia. Se non avessi agito così come ho fatto, niente di tutto questo sarebbe mai accaduto.» Elli abbassò gli occhi: era una consapevolezza dura da accettare, ma era la verità. Non si sarebbe mai pentita di aver salvato la vita a Luca, questo no, quali che ne fossero state le conseguenze. Ciò che davvero non riusciva a perdonarsi era di averlo condotto nel covo dei Custodi, là dove tutti i suoi amici avevano rischiato la vita per aiutarla e da dove uno di essi non era tornato mai più.

    «A quanto pare non sono così stupidi» le spiegò Nico. «La gente ti adora, e oserei dire che alcuni hanno perfino paura di te. I Dissidenti non riuscirebbero mai a metterti la Città contro, non interamente almeno, e sembrano saperlo bene. È molto più semplice mettere in croce l’inetto Supremo Reggente di turno.»

    « Tu?» sbottò Elli indignata. «E di cosa mai potrebbero accusarti?»

    «Di non aver trovato un modo per tirarci fuori da questo pasticcio, immagino.»

    Elli distolse lo sguardo, sentendosi più impotente che mai. Stava andando tutto a rotoli, e lei non poteva fare nulla per impedirlo. «Cosa potrebbe accadere se queste persone riuscissero nel loro intento?» chiese infine, i pugni serrati per fermare il tremito delle mani.

    «Chi può dirlo?» rispose Nico cupo. «È

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