L'ombra del cortile
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Info su questo ebook
Il cammino dei due protagonisti, con apparentemente in comune solo una vita difficile, svelerà il profondo sodalizio che li unisce.
Grandi slanci e rovinose cadute sono gli accadimenti principali di questo romanzo breve. Il tempo è il vero protagonista. Il risveglio da una grigia esistenza si realizzerà solo in parte.
Con un tenace e doloroso lavoro di introspezione, Giacomo arriverà a intravedere una sua via per la serenità.
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Anteprima del libro
L'ombra del cortile - Tiziana Clementi
MAGNOLIA
Narrativa
Tiziana Clementi
L’OMBRA DEL CORTILE
L’ombra del cortile
Tiziana Clementi
© 2018 – Il Seme Bianco
ISBN 978-88-358-0718-6
Senza regolare autorizzazione è vietata la riproduzione anche parziale o a uso interno didattico, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia.
I edizione giugno 2018
info@ilsemebianco.it
www.ilsemebianco.it
Il Seme Bianco è un marchio distribuito da
Lit Edizioni Srl
Sede operativa: via Isonzo 34, 00198 Roma
A Simone e Sara
La letteratura crea un intimo legame tra persone slegate tra di loro, perché per un certo tempo, fino all’ultima pagina, percorreranno la stessa strada
Indice
L’ombra del cortile
Giacomo
Mutismo, silenzio, buio.
Questi gli indizi del mio carattere, le preferenze dei miei atteggiamenti, i rifugi del mio essere
.
Io ero quello che se ne stava in disparte a giudicare la superficie perché temevo gli altri facessero lo stesso, con me.
Evitavo abilmente di espormi, restavo indifferente.
Adoravo l’estate perché finiva la scuola.
I miei compagni piangevano tra lunghi e teatrali abbracci dichiarandosi sincero affetto. Io fingevo commozione per salvare le apparenze, non volevo certo mi etichettassero come mostro
.
Forse è esagerato mostro
, ma certamente ero distante da tutto e da tutti. La mia costante inquietudine mi faceva sentire terribilmente a disagio in classe. E non solo.
Le verifiche
non erano solo le prove per la mia preparazione erano altro. Era tutto quello che vivevo, da quando entravo in classe. Ampia luminosa, troppo ampia, troppo luminosa, le pareti verde acqua, troppo verde acqua, i banchi disposti su tre file, troppo vicine, le file, la cattedra, la lavagna…
Mi sentivo continuamente osservato e dovevo interpretare una parte, fingere di essere qualcun altro, non importava chi, purché non fossi io, ero costretto a farlo per sfuggire alle decine di occhi indiscreti che tentavano di insinuarsi nella mia vita. Tutto finiva quando rincasavo.
Accadeva a volte che qualcuno si accorgesse di me o che un insegnante si rivolgesse a me ed io rispondevo tentando di apparire tranquillo nonostante il mio cuore battesse impazzito e il mio cervello non desiderasse altro che fermarsi.
Nel mio banco c’era posto solo per me poiché nessuno si era mai avvicinato con l’intento di sedersi accanto a me, mai nessuno aveva voluto condividere la ricreazione con me o la complicità di un: «Scusa, puoi prestarmi il quaderno» o «Ehi, mi fai copiare?».
Le sole ore di tranquillità erano date dai week end, pochi e fugaci.
Ho sempre avuto un forte intuito per comprendere l’intelligenza e le aspettative degli altri.
Il mio unico grande bisogno era dare e ricevere amore.
Il problema era però il timore degli altri, il confronto.
Perché gli altri, o l’ambiente esterno sono lo specchio in cui riflettiamo noi stessi e attraverso gli altri ci relazioniamo con la parte più intima e segreta di noi: quella che nemmeno noi conosciamo e che delle volte vorremmo evitare.
Spesso mi sembra una gran fatica, e del tutto inutile, riconciliarsi con la vita. Siamo sempre in perenne equilibrio tra riconoscerne i demeriti, legati al dolore, e i meriti per tutta la bellezza che ci offre.
Quando si smette di crederci, quando si svilisce la forza della determinazione, o si distrugge la speranza, quando tutto sembra una lotta impari, lì, si comincia davvero a perdere.
Il legame con gli altri si crea immediatamente. Spesso la prima impressione è quella che resta, soprattutto per chi non ha il coraggio di approfondire. L’impressione che i miei compagni ebbero di me all’inizio, fu la stessa che conservarono nei tre anni di scuola. Ma la colpa fu mia, poiché non mi sforzai mai di lasciarmi scoprire, conoscere. La mia ottusa chiusura mi condannò alla solitudine in quegli anni che generalmente sono i più spensierati, i più formativi. Per me un lento cammino in un luogo disabitato.
Non avevo alcuna idea di come avrei trascorso le vacanze, ma l’importante era chiudere qualcosa di terribilmente sgradevole.
Iniziava per me il momento più bello dell’anno.
Mi sentivo finalmente libero: libero dal terribile fardello della socializzazione scolastica che mi aveva oppresso tutto l’anno.
Ma l’idea di liberazione durò poco: fu un fugace bagliore.
Quando andai, con mia madre, a ritirare la pagella lei si infuriò per i voti, rimproverandomi di non avere lavorato abbastanza.
Non riuscii a oppormi: aveva ragione, ma in ogni caso non avrei mai trovato il coraggio di contraddirla.
Mi impose di riprendere i libri per controllare la mia preparazione e mi comunicò che avremmo dedicato l’estate ad approfondire il programma.
Non potevo crederci!
Non vedevo nulla di buono nell’immediato. Quello che mi si prospettava mi atterriva ma allo stesso tempo, l’interesse di mia madre, per me, per i miei studi, per il mio rendimento, mi colpiva teneramente. La nostra conversazione si era limitata a pochi scambi