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La scoperta della prima infanzia - Vol. 1: Per una storia della pedagogia 0-3. - Dall’antichità a Comenio
La scoperta della prima infanzia - Vol. 1: Per una storia della pedagogia 0-3. - Dall’antichità a Comenio
La scoperta della prima infanzia - Vol. 1: Per una storia della pedagogia 0-3. - Dall’antichità a Comenio
E-book342 pagine8 ore

La scoperta della prima infanzia - Vol. 1: Per una storia della pedagogia 0-3. - Dall’antichità a Comenio

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La prima infanzia è, sul piano educativo e pedagogico, una «scoperta» moderna o affonda le sue radici nella storia più antica? Per rispondere in maniera critica e documentata a questo interrogativo, l’autrice esplora in due volumi (vol. I Dall’antichità a Comenio, vol. II Da Locke alla contemporaneità) le concezioni pedagogiche e le pratiche educative che hanno, di fatto, accompagnato la condizione delle bambine e dei bambini nella fascia d’età compresa fra 0 e 3 anni dall’antichità fino ai giorni nostri. La ricostruzione è anche occasione per riscoprire le radici epistemologiche di una agoghé del pâis progressivamente finalizzata a gettare le basi di un’educazione capace di confrontarsi con i caratteri precipui della «natura umana». Dall’analisi della prima comparsa di un pensiero «intenzionalmente» pedagogico fra età antica ed età medievale (vol. I), si è passati (vol. II) allo studio della formulazione in età moderna e contemporanea di una pedagogia sistematica della prima infanzia, distinta (anche se mai separata) dai saperi della letteratura, della teologia, della filosofia. Il ricorso ad una pluralità di fonti storiche ha consentito di far emergere dai «silenzi dell’educazione» la figura ancora poco abbozzata dell’infans, riconosciuto però nel corso del tempo come portatore di un lógos in potenza e, in quanto tale, protagonista e destinatario di un’educazione secundum naturam.
LinguaItaliano
Data di uscita25 feb 2020
ISBN9788838249013
La scoperta della prima infanzia - Vol. 1: Per una storia della pedagogia 0-3. - Dall’antichità a Comenio

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    La scoperta della prima infanzia - Vol. 1 - Evelina Scaglia

    Evelina Scaglia

    LA SCOPERTA DELLA PRIMA INFANZIA

    Per una storia della pedagogia 0-3. Vol. 1 - Dall’antichità a Comenio

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Realizzato con il contributo del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Bergamo.

    Copyright © 2020 by Edizioni Studium - Roma

    ISSN della collana Cultura 2612-2774

    ISBN 9788838249013

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838249013

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    INTRODUZIONE

    PARTE PRIMA - Dall’antichità classica al Cristianesimo

    I. NÉPIOS E TROPHÉ NELL’ANTICA PAIDEIA GRECA

    1. Omero «educatore»: Achille ed Astianatte nella nascita dell’areté classica

    2. La paideia spartana: il népios figlio della polis

    3. La paideia ateniese: il népios fra òikos e paídeusis

    4. Dalla rivoluzione pedagogica del V secolo a Platone: per una risignificazione della trophé fra paideia e politeia

    5. Aristotele: il népios fra physis ed eudaimonia

    6. Oltre le mura della polis: dall’areté ellenistica al De liberis educandis

    II. GLI INFANTES NELL’HUMANITAS DELL’ANTICA ROMA

    1. Alle origini dell’Urbe: una storia di esposizione infantile

    2. Gli infantes fra mos maiorum e familia: dalla romanitas arcaica alla rivoluzione del II secolo

    3. L’Institutio oratoria di Quintiliano: fra primato dell’eloquenza e una nuova idea di paternità

    4. Due testimonianze di età imperiale dei cambiamenti avvenuti nel rapporto madre-neonato

    III. IL SINITE PARVULOS AL CUORE DELLA PAIDEIA CRISTIANA

    1. I testi evangelici: dal bambino Gesù ad una nuova concezione del parvulus

    2. Dalla Didaché ai primi passi della paideia cristiana

    3. Il Cristo pedagogo e il paídion cristiano di Clemente Alessandrino

    4. Giovanni Crisostomo e l’anima infantile come una città

    5. Girolamo fra psicologia infantile e metodo naturale

    6. Agostino e la prima «autobiografia dell’infanzia»

    PARTE SECONDA - Dal Medioevo al Rinascimento

    IV. LA PAIDEIA OCCIDENTALE MEDIEVALE E L’AMBIGUITÀ DELL’INFANZIA FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE

    1. Il contributo paideutico dell’oblazione monastica

    2. La paideia laica dal V al X secolo: il neonato come mal aimé?

    3. Dal XI secolo in avanti: la coesistenza di nuove sensibilità e di vecchie ambivalenze

    V. IL BAMBINO NUOVO DELLA PAIDEIA UMANISTICA FRA ANTROPOCENTRISMO ED EDUCAZIONE LIBERALE

    1. Uno sguardo inedito sul bambino e sull’educazione

    2. Leon Battista Alberti: per una nuova idea di paternitas e di familia

    3. Erasmo da Rotterdam e un nuovo modello di educazione del principe

    4. Juan Luis Vives: un esempio di precettistica morale per l’educazione di fanciulle cristiane

    5. Michel de Montaigne: dai limiti del pédantisme alla testa ben fatta del gentiluomo

    VI. FRA RIFORMA PROTESTANTE E RINNOVAMENTO CATTOLICO: LA NASCITA DELLA PEDAGOGIA

    1. Lutero e la missione educativa della famiglia

    2. Silvio Antoniano e l’educazione familiare secondo il rinnovamento cattolico

    3. Jan Amos Comenio fra educazione universale e pedagogia come sapere autonomo

    APPENDICE ICONOGRAFICA

    PARTE PRIMA: DALL’ANTICHITÀ AL CRISTIANESIMO

    PARTE SECONDA: DAL MEDIOEVO AL RINASCIMENTO

    Indice dei nomi

    Evelina Scaglia

    LA SCOPERTA DELLA PRIMA INFANZIA

    Per una storia della pedagogia 0-3

    Vol. 1 - Dall’antichità a Comenio

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    INTRODUZIONE

    Di là veleggiando nel cielo

    quando ti sporgi dalla barca

    un cinguettio di fanciulli si mescola

    allo stupore

    (K. Wojtyla, Canto del Dio nascosto, 1946)

    La seguente opera, articolata in due volumi, intende offrire un itinerario di storia della pedagogia della prima infanzia dall’antichità classica al secondo Novecento, partendo dal presupposto che le sue radici siano collocabili in quella paideia sorta e consolidatasi nel Mediterraneo antico dai tempi della Grecia arcaica fino al tardo-romano [1] . La paideia, che contiene nella sua etimologia il termine pâis (= fanciullo) , richiamò fin dalle origini la centralità dell’educazione e della formazione dei nuovi nati in quanto «emanazione diretta della viva coscienza normativa d’una comunità umana», costituita da famiglie, ceti, associazioni professionali, tribù, realtà statuali, ecc. Si trattava, cioè, di processi in cui il contenuto morale e quello utilitario andavano di pari passo [2] . Tale legame si intersecava, a sua volta, con uno dei caratteri precipui dell’uomo – l’esercizio del lógos – da intendersi nella doppia valenza di ragione e di linguaggio (orale e scritto). Le «antiche civiltà del libro» vissero da protagoniste il processo di transizione da una civiltà di guerrieri basata sull’oralità ad una civiltà di scribi basata sulla scrittura: quest’ultima, introdotta in origine come dispositivo per sovrintendere in maniera funzionale l’amministrazione dell’ òikos(= casa), divenne gradualmente una modalità inedita per tradurre in segni la sapienza fino ad allora maturata dall’uomo attraverso gli occhi, la lingua e le mani [3] .

    A partire da queste premesse, si intendono qui ricostruire le tracce di una riflessione pedagogica espressamente dedicata alle bambine e ai bambini d’età compresa fra 0 e 3 anni, consapevoli del fatto che non si tratta di un tentativo di voler applicare al passato una categoria – quella di «prima infanzia» – emersa in tempi piuttosto recenti, quanto di constatare che i principali caratteri identificati dai pediatri contemporanei quali elementi distintivi del passaggio dalla prima alla seconda infanzia – la dentizione completa, la deambulazione autonoma, lo sviluppo del linguaggio [4] – erano già presenti in nuce, fin dall’antichità, in alcuni pensatori in grado di avanzare proposte «intenzionalmente pedagogiche», attente alla promozione della crescita, dell’educazione e della formazione infantili secondo ritmi rispondenti alla loro natura. Ci si vuole richiamare, in particolare, a quella chiave di lettura che colloca nell’antichità e nel Medioevo lo sviluppo di un «agire educativo», piuttosto che di un «sapere pedagogico» codificato, ricostruibile attraverso gli ideali educativi e le consuetudini rinvenibili nella narrazione letteraria e nella trattazione filosofica, religiosa e politica [5] .

    La permanenza per secoli, se non per millenni, della tradizionale ripartizione di matrice ippocratica dei periodi della vita umana, che utilizzò il termine infantia per indicare i primi sette anni di vita, non deve indurre a pensare che i «piccolissimi» fra 0 e 3 anni non furono oggetto di una riflessione (proto)pedagogica in grado di mettere a fuoco i processi genealogici della loro istruzione, educazione e formazione. Testimone ne è il fatto che, fin dall’antichità greca (classica ed ellenistica), si attesta l’esistenza di una pluralità di vocaboli per indicare l’essere bambina/bambino: népios per bambino piccolo, infante; pâis per fanciullo, ragazzo, figlio o figlia, servo; téknon per figlio, figlia, prole. Figurano, inoltre, ulteriori specificazioni lessicali, come bréphos per indicare il bambino appena nato, néos per indicare una persona giovane, non adulta, in tenera età, e paidíon per bambinetto [6] . Tale riscontro non fa altro che dimostrare l’elevato grado di accuratezza linguistica maturata grazie ad una riflessione scaturita dall’intreccio di elementi teoretici, strumentazioni tecniche e realizzazioni pratiche.

    Eppure, ancora oggi vien facile pensare alla bambina e al bambino dell’antichità come a soggetti «appena abbozzati» che, se sopravvissuti agli alti rischi di mortalità alla nascita e nei primi anni di vita, sarebbero rimasti fino all’età di sette anni nell’ òikos, confusi fra gli adulti di una «domesticità allargata», in attesa di intraprendere il loro futuro percorso legato alla condizione socio-economica della famiglia di nascita ed alla costituzione politica del paese di appartenenza [7] . Significativa è la testimonianza rinvenibile nel secondo episodio della tragedia di Eschilo, Le Coefore, in cui la nutrice di Oreste ne rievocò la prima infanzia, paragonando il neonato ad un capretto:

    Il bimbo che non ragiona

    come un capretto bisogna allevarlo – non è così? –

    secondo i capricci. Non dice nulla il bambino in fasce,

    se ha fame, se ha sete, se vuol fare pipì;

    le tenere viscere dei piccoli hanno leggi loro.

    Tutto io prevedevo, ma spesso, lo ammetto

    rimasta ingannata, ne lavavo le fasce,

    lavandaia e nutrice ad un unico scopo.

    D’altronde di questi due uffici m’incaricò

    suo padre, consegnandomi Oreste [8] .

    In aggiunta, non va dimenticato che per lunghi millenni la storia dell’infanzia è stata un «incubo» da cui ci si è risvegliati solo di recente, perché come ricordato dalla teoria psicogenetica della storia di Lloyd DeMause più si va indietro nel tempo e più basso era il grado di attenzione riservato ai più piccoli, spesso oggetto di punizioni, abusi, violenze, addirittura uccisioni [9] . Si pensi al ricorso nella Cartagine punica, ma anche presso altre popolazioni antiche come i Celti d’Irlanda, i Galli, gli Scandinavi, gli Egiziani, i Fenici, i Moabiti, gli Ammoniti e per un certo periodo anche gli Israeliti, alla prassi dello «scambio sacrificale», che prevedeva di immolare agli dei, al Dio Re, quanto vi era di più caro ad ogni padre – la vita dei propri figli – per salvare quanto vi era di più caro ad ogni cittadino – la vita della patria. I piccini, «passati attraverso il fuoco» nelle fauci del dio Moloch, costituivano l’offerta prediletta per propiziare la salvezza della patria in uno stato di emergenza e di eccezione [10] .

    La storia dell’infanzia è anche una storia di «silenzi», per la scarsa disponibilità di fonti in grado di fornire una ricostruzione della vita dei neonati e degli infanti, nonostante nel mondo pre-industriale «i bambini fossero dappertutto», dato che costituivano una grossa fetta della popolazione [11] . Va osservato che alla «marginalizzazione» subita dalle bambine e dai bambini fra 0 e 3 anni, collocati al pari delle donne, dei disabili, dei malati psichiatrici e di tante altre esistenze umane fra i «silenzi nell’educazione» [12] , ha contribuito non solo l’insufficienza di fonti storiche, ma anche la scelta di occhiali teoretici e storiografici non sempre calibrati rispetto alle dimensioni effettive del campo visivo da ispezionare, spesso ridotto a «interstizi» (lo spazio domestico per i più fortunati; la strada o, in secoli più recenti, il brefotrofio per gli esposti). Pare utile, a riguardo, richiamare la complessità e, nel contempo, il fascino del varcare le soglie della vita privata e delle mura domestiche per ricostruire dal punto di vista storiografico quel complesso di dimensioni afferenti i sentimenti, gli affetti, le emozioni, che hanno trovato fra le mura di casa il loro «luogo elettivo» [13] e il terreno di elaborazione dell’identità femminile e, aggiungiamo noi, anche di quella infantile.

    Sulla scorta di tali consapevolezze maturate nell’ambito della più frequentata storia dell’infanzia, la lettura offerta nelle seguenti pagine intende identificare i fili conduttori di una storia della pedagogia della prima infanzia, studiando il profilarsi nel corso dei millenni di una pedagogia pensata, agita e perfezionata nel suo significato etimologico di agoghé del pâis/paidós per la fascia d’età 0-3 anni [14] . Se pâis significa «figlio, figlia» e paidós «soggetto umano in crescita, in evoluzione», agoghé deriva dal verbo greco ago, che indica il condurre, il guidare qualcuno ascendendo con lui secondo un movimento a spirale, in grado di farlo uscire da uno stato inferiore per andare verso uno stato superiore, facendogli esprimere potenzialità manifeste o inespresse e valorizzandole in modo attivo per renderlo migliore [15] .

    La riflessione sull’educazione nei primi tre anni di vita, presentata dagli autori qui ispezionati, richiama in maniera gradualmente più sistematica il movimento di danza armoniosa dell’ agoghé, per via della centralità riconosciuta alla relazionalità fra madre/padre e figlio/a, educatore ed educando, gouverneur e allievo, non riducibile esclusivamente a quegli atteggiamenti di cura, indispensabili per proteggere e far crescere con la dovuta delicatezza la fragile vita umana, per natura neotenica, riscontrabili però anche negli animali superiori [16] . Pur nella diversità delle posizioni teoriche e delle eventuali realizzazioni pratiche, emerge nei diversi autori trattati l’esistenza di una cum-scientia comune riguardo la differenza esistente fra la relazione educativa, concepita come frutto di un agire e di un pensare unici ed irripetibili, e i processi di condizionamento, addestramento, disciplinamento o cura. L’elemento di discrimine risiede nell’opzione antropologica adottata: chi considerava la piccina o il piccino come un népios o un infans, alla stregua di un piccolo animale, la/lo pensò solamente come oggetto di trophé, cioè nutrimento, allevamento; chi la/lo vide come un arbusculas, la/lo ritenne oggetto di coltivazione e di disciplinamento; chi la/lo concepì come un essere ragionevole, iniziò a scrivere di educazione.

    Ecco perché provare a ricostruire i tratti di una storia della pedagogia della prima infanzia ha condotto a fare i conti, sul piano metodologico ma anche epistemologico, con una storia del farsi del pensiero pedagogico, che – progressivamente più consapevole della genealogia e della morfologia del suo proprio fulcro, costituito dall’educazione e dalla formazione – è giunto attraverso un lungo percorso fra i secoli a riflettere anche attorno ai caratteri dell’educazione e della formazione della vita appena nata, pronta a muovere i suoi primi passi. La scelta di approfondire alcuni determinati autori della storia della pedagogia della prima infanzia ha consentito, in altre parole, di confrontarsi con la scoperta della prima infanzia nel contestuale processo di formalizzazione del sapere pedagogico, il quale si è alimentato costantemente ad almeno due forni, quello dell’esperienza educativa e quello della teoria dell’esperienza educativa, per poter render conto del particolare e dell’universale, facendosi guidare da una razionalità del per lo più e sostenendosi sulla base di un architrave teoretico-epistemologico ancorato ad una fondazione assiologica centrata sull’imperativo etico-personale del «voler bene», al riconoscimento della totalità come operatore educativo e pedagogico e all’importanza della mediazione teorica in tutti i campi dell’educativo (inteso in senso empirico e meta-empirico) [17] . È emersa, in questo modo, la conferma del quadro teorico-metodologico di una pedagogia che nel proprio nucleo fondante si fregia di collocare una morfologia dell’esperienza umana attenta a cogliere il ruolo ivi ricoperto dai sensi, dal movimento, dalle pulsioni, dalle emozioni e dai sentimenti, dall’«accorgersi» immediato, dall’imitazione, dall’intenzionalità, ma anche una genealogia dell’educazione, della formazione e dell’istruzione che ha fatto tesoro dell’avvenuta stratificazione durante i millenni del sentire, pensare ed agire umani.

    Fra le questioni affrontate, vale la pena di menzionarne almeno due: aver mostrato come l’influenza dei condizionamenti, degli istinti, dei dispositivi, alla base dello sviluppo degli «atti dell’uomo» (operazioni, comportamenti, reazioni, ecc.), non abbia, di per sé, intaccato l’imponderabilità e l’insondabilità degli «atti umani» come l’educazione, frutto originale ed irripetibile dell’esercizio personale dell’intenzionalità e del lógos; aver fatto i conti con il nervo scoperto della natura asimmetrica della relazione educativa, che coinvolge la presenza di un magis (nel significato di mastro, di magister) e di un minus (nel significato di allievo), ambedue reciprocamente implicati in un moto ascensionale senza il quale tale relazione diverrebbe espressione di abuso, sopraffazione, autoritarismo. Solo il vortice ascensionale dell’ agoghé, si è potuto appurare, è stato in grado di superare questo gap, in quanto capace di muoversi armoniosamente dall’essere (cioè dall’empirico) al dover essere (cioè al meta-empirico), grazie all’esplicita implicazione della libertà [18] .

    Una storia della pedagogia della prima infanzia che si professi tale non può, pertanto, esimersi dal confronto con queste processualità, nella consapevolezza che in diversi momenti della storia, pur a fronte di condizioni di vita che videro migliaia di piccoli vittime di infanticidio, abbandono, soprusi e incuria generalizzata, vi fu sempre qualcuno pronto a formulare una riflessione sugli esordi della vita umana con dirette implicazioni sul piano pedagogico. Ecco perché, in linea di convergenza con l’esigenza rimarcata a livello storiografico di studiare le bambine e i bambini in qualità di attori della loro stessa storia, tenuto conto delle differenze di genere, religione, ceto sociale, classe economica, cultura della nazione o del gruppo etnico [19] , si è qui deciso di far emergere la dimensione di idealtypus presente nella pedagogia, che ne connota la proiezione sul futuro, come una sorta di Angelus Novus. Consapevoli di quanto oggi la storia dell’educazione storicamente effettuata e quella del pensiero pedagogico non possano fare a meno di confrontarsi con il tema della «formazione dei formatori» [20] , ci si è dunque mossi in vista dell’obiettivo di incrementare la «maturità pedagogica» degli educatori impegnati nei servizi per la prima infanzia sul triplice piano etico-religioso, umanistico-professionale e politico-sociale [21] , in risposta anche all’avvenuta attivazione dell’indirizzo Educatori nei servizi per la prima infanzia nel corso di studi triennale in Scienze dell’educazione, cui è rivolto prioritariamente il testo.

    Un particolare ringraziamento va al prof. Giuseppe Bertagna per aver ispirato e sostenuto questo lavoro e alla prof.ssa Simonetta Polenghi per la supervisione scientifica profusa.


    [1] H.-I. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità [1948], tr. it., nuova ed. rivista e aggiornata da L. Degiovanni, Studium, Roma 2016, pp. 46-47.

    [2] W. Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco [1944], tr.it., introduzione di G. Reale, Bompiani, Milano 2003, libro I: L’età arcaica, cap. I: Aristocrazia e areté, p. 25.

    [3] Sulla cultura di scribi e la loro educazione, si veda: H.-I. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, cit., pp. 50-56.

    [4] Vanno richiamati, a tal proposito, gli studi condotti da Jean-Nöel Luc a proposito dell’«identificazione medica della seconda infanzia», a partire dall’indagine sugli scritti di un centinaio di medici che si occuparono nelle loro opere delle età della vita, dell’infanzia, della sua educazione e delle malattie (cfr. J.-N. Luc, À trois ans, l’enfant devient intéressant: la découverte médicale de la seconde enfance (1750-1900), in «Revue d’histoire moderne et contemporaine», n. 1, a. XXXVI, 1989, pp. 83-113, poi in parte ripreso dallo stesso autore ne: I primi asili infantili e l’invenzione del bambino, in Aa.Vv., Storia dell’infanzia, a cura di E. Becchi-D. Julia, vol. 2: Dal Settecento a oggi, Laterza, Bari 1996, pp. 286-291).

    [5] P. Bianchini, L’educazione delle élites nell’età moderna, in G. Chiosso (a cura di), Educazione, pedagogia e scuola dall’Umanesimo al Romanticismo, Mondadori, Milano 2012, pp. 4-5.

    [6] Nel riportare tali distinzioni lessicali, ci si è avvalsi di quanto illustrato da: E. Becchi, L’antichità, in Aa.Vv., Storia dell’infanzia, a cura di E. Becchi-D. Julia, vol. 1: Dall’antichità al Seicento, Laterza, Bari 1996, pp. 3-4.

    [7] Ibid., p. 3.

    [8] Eschilo, Le tragedie, pref. e tr.it. di C. Carena, Giulio Einaudi Editore, Torino 1966, Le Coefore, episodio II, p. 295.

    [9] L. DeMause, L’evoluzione dell’infanzia, in Id. (a cura di), Storia dell’infanzia (1974), tr.it. di una selezione di saggi dall’ediz. orig., Emme, Milano 1983, p. 9.

    [10] Si tratta di un’interpretazione confutata sulla scorta di fonti storiche ed archeologiche da: S. Franchini, Moloch e i bambini del re. Il sacrificio dei figli nella Bibbia, Studium, Roma 2016, p. 45.

    [11] P. Laslett, Il mondo che abbiamo perduto. L’Inghilterra prima dell’era industriale [1965], tr.it., Jaca Book, Milano 1979, pp. 128-129.

    [12] Si tratta di un’espressione utilizzata da: S. Ulivieri, I silenzi sociali: l’infanzia, i giovani, le donne. Una storia ai margini, in F. Cambi-S. Ulivieri (a cura di), I silenzi nell’educazione. Studi storico-pedagogici, La Nuova Italia, Firenze 1994, pp. 53-71.

    [13] C. Covato, La vita privata nella storia dell’educazione, in «Studi sulla formazione», n. 1, a. XXIV, 2014, p. 73.

    [14] Per una discussione dei principali paradigmi della storia della pedagogia, si vedano: H.A. Cavallera, Introduzione alla storia della pedagogia, La Scuola, Brescia 2016 ², pp. 11-78; C. Betti, La storia della pedagogia, in C. Betti-G. Di Bello-F. Bacchetti-G. Bandini-U. Cattabrini-P. Causarano, Percorsi storici della formazione, Apogeo, Milano 2009, pp. 1-28; R. Sani, For a history of childhood and of his education in contemporary Italy. Interpretations and perspectives of research, in «Cadernos de História da Educaçao», n. 2, a. XV, 2016, pp. 808-862.

    [15] G. Bertagna, Introduzione. La pedagogia e le «scienze dell’educazione e/o della formazione». Per un paradigma epistemologico, in Id. (a cura di), Educazione e formazione. Sinonimie, analogie, differenze, Studium, Roma 2018, p. 26.

    [16] Sul tema di una navigazione oltre il naturalismo pedagogico, si veda: G. Bertagna, Introduzione. Critica della ragion pedagogica e distinzione tra cura ed educazione, in A. Potestio-F. Togni (a cura di), Bisogno di cura, desiderio di educazione, La Scuola, Brescia 2011, pp. 12-24.

    [17] G. Bertagna, Quale identità per la pedagogia? Un itinerario e una proposta, in «Rassegna di pedagogia», nn. 1-4, a. LXVII, 2009, pp. 13-36.

    [18] L’educazione è per sua natura un’azione esclusivamente umana, sia che la si consideri nel significato del verbo latino educare (far crescere, allevare, nutrire, pasturare, modellare), secondo un movimento che dall’esterno va verso l’interno del soggetto (in termini di etero-educazione), sia che la si consideri nel significato del verbo latino educere (tirar fuori qualcuno da, condurre, guidare qualcuno da… a, sostenendolo nel suo cammino), secondo un movimento che dall’interno del soggetto va verso l’esterno (in termini di auto-educazione). Per una disquisizione attorno alla morfologia e alla genealogia dei processi educativi, si rimanda a: G. Bertagna, Dall’educazione alla pedagogia. Avvio al lessico pedagogico e alla teoria dell’educazione, La Scuola, Brescia 2010, pp. 52-94; Id., Introduzione. La pedagogia e le « scienze dell’educazione e/o della formazione». Per un paradigma epistemologico, in G. Bertagna (a cura di), Educazione e formazione. Sinonimie, analogie, differenze, cit., p. 27.

    [19] S. Polenghi, La ricerca storico-educativa sull’infanzia nel XX secolo, in M. Gecchele-S. Polenghi-P. Dal Toso (a cura di), Il Novecento: il secolo del bambino?, Junior-Spaggiari, Parma 2017, p. 31.

    [20] Nello specifico, si vedano: M. Depaepe, A professionally relevant history of education for teachers: Does it exist? Reply to Herbst’s the State of the Art Article, in «Paedagogica Historica», n. 37, a. XLI, 2001, pp. 631-640; S. Polenghi-G. Bandini, The History of education in its own lights: signs of crisis, potential for growth. La storia dell’educazione di fronte a se stessa: segnali di crisi, direzioni di crescita, in «Espacio, Tiempo y Educación», n. 3 (1), a. III, 2016, pp. 3-20.

    [21] Il concetto di «maturità pedagogica» si è qui liberamente ispirato a quello di «maturità magistrale» affermato in: M. Agosti-V. Chizzolini, Maturità magistrale, La Scuola, Brescia 1959, pp. 11-13, 22-26.

    PARTE PRIMA - Dall’antichità classica al Cristianesimo

    I. NÉPIOS E TROPHÉ NELL’ANTICA PAIDEIA GRECA

    1. Omero «educatore»: Achille ed Astianatte nella nascita dell’areté classica

    Se l’inizio di un percorso di storia della pedagogia della prima infanzia coincide idealmente con la nascita della paideia nell’antica Grecia, non si può fare a meno di confrontarsi con la figura del poeta Omero (VIII-VII secolo a.C.), considerato dallo stesso Platone l’«educatore» per eccellenza della Grecia antica, grazie alla trasmissione all’interno dei suoi poemi epici di virtù (o areté) e di modelli di azione decantati fino ad allora nella tradizione orale degli aedi (= cantori) [1] . I versi dell’ Iliade e dell’ Odissea offrono ai loro fruitori uno spaccato del contesto storico-culturale dell’epoca remota cui fanno riferimento e, nel contempo, delineano un quadro ideale dell’educazione aristocratica (da áristos= eccellente) dei nobili cavalieri, l’unica classe sociale in quel periodo storico ad essere coinvolta in percorsi educativi e formativi formalizzati, poiché l’educazione era intesa come un processo spirituale di acquisizione da parte del singolo individuo di una cultura superiore, sorta da un processo di differenziazione sociale dell’umanità [2] . Tale educazione si configurava nei termini di una formazione a 360 gradi del futuro cavaliere, che sarebbe stato impegnato al servizio del suo sovrano come guerriero in tempo di conflitto e presso la corte in tempo di pace; per questo motivo, coinvolgeva contemporaneamente l’ambito tecnico (in quanto il fanciullo era avviato all’apprendimento della téchne che sovrintendeva la funzione di

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