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La società degli automi: Studi sulla disoccupazione tecnologica e il reddito di cittadinanza
La società degli automi: Studi sulla disoccupazione tecnologica e il reddito di cittadinanza
La società degli automi: Studi sulla disoccupazione tecnologica e il reddito di cittadinanza
E-book185 pagine3 ore

La società degli automi: Studi sulla disoccupazione tecnologica e il reddito di cittadinanza

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Info su questo ebook

La disoccupazione tecnologica è un problema di cui si discute da almeno due secoli. Finora il pericolo di una disoccupazione di massa dovuta al progresso tecnologico è stata scongiurata grazie alla riduzione dell’orario di lavoro, allo sviluppo dell’istruzione pubblica e alla nascita di nuovi settori dell’economia. Gli studi raccolti in questo volume si chiedono se la comparsa di computer e robot di nuova generazione, che mostrano un comportamento sempre più simile a quello degli esseri umani, se non addirittura sovrumano, non ci stia portando verso un punto di non ritorno che ci lascerebbe poche vie d’uscita. A complicare la situazione c’è la scomparsa dell’idea stessa di politica sociale e industriale, sancita dal dominio del paradigma neoliberista. Una delle proposte in campo per ovviare al problema della disoccupazione tecnologica è il reddito di cittadinanza. È una soluzione che permetterebbe di evitare derive luddiste e allo stesso tempo di distribuire più equamente i vantaggi offerti dalla rivoluzione robotica. Ma siamo davvero pronti ad affrontare questa trasformazione radicale della società?
LinguaItaliano
EditoreD Editore
Data di uscita30 gen 2017
ISBN9788894830057
La società degli automi: Studi sulla disoccupazione tecnologica e il reddito di cittadinanza

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    Anteprima del libro

    La società degli automi - Riccardo Campa

    Note

    Introduzione

    Un problema, una soluzione. Il problema è la disoccupazione tecnologica. La soluzione è il reddito di cittadinanza. Tanto del problema quanto della soluzione si parla almeno dagli albori della rivoluzione industriale.

    Il concetto di disoccupazione tecnologica ha trovato posto nella teoria economica per merito, in particolare, di David Ricardo che ne ha parlato nella terza edizione del suo capolavoro: On the Principles of Political Economy and Taxation. Dopo aver negato per lungo tempo l’esistenza di questo fenomeno, come del resto tutti gli economisti classici che lo hanno preceduto, nel 1821 Ricardo cambia idea e ammette che la meccanizzazione delle attività produttive, in un sistema basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, può andare a detrimento della classe lavoratrice, provocando disoccupazione, precarietà, povertà.

    Il reddito di cittadinanza è una proposta politica altrettanto antica. Prende corpo, in particolare, nel clima della Rivoluzione Francese. Thomas Paine, nel saggio Agrarian Justice, scritto tra il 1795 e il 1796, afferma che la povertà è un prodotto paradossale della civiltà. I progressi nel campo della coltivazione, delle tecniche e della scienza, invece di aumentare il benessere collettivo, producono una minoranza di ricchi e una massa di diseredati. Nello stato di natura, prima che avesse inizio il processo di civilizzazione, non c’era povertà. Per comprenderlo, dice Paine, basta osservare gli Indiani d’America. Essi conducono una vita semplice, ma tra loro non vi sono persone tanto ricche da non sapere che fare del proprio patrimonio e persone tanto povere da non avere di che sfamarsi. Questo è ciò che invece si osserva nei paesi civili dell’Europa. La colpa non è del progresso civile – dello sviluppo delle tecniche – ma dell’invenzione della proprietà privata. Tale istituto ha ingiustamente privato la maggioranza dei mezzi di sostentamento. Se la terra, in linea di principio, appartiene a tutti, allora è giusto ripartire equamente le rendite, o almeno parte delle stesse, tra tutti i cittadini dello Stato. Questa la proposta:

    To create a national fund, out of which there shall be paid to every person, when arrived at the age of twenty-one years, the sum of fifteen pounds sterling, as a compensation in part, for the loss of his or her natural inheritance, by the introduction of the system of landed property: And also, the sum of ten pounds per annum, during life, to every person now living, of the age of fifty years, and to all others as they shall arrive at that age. (Paine 2000: 327)

    Ne è tutto. Oltre a proporre calcoli accurati sulla creazione del fondo, Paine insiste più volte sul fatto che non si tratta di carità, ma di un diritto. Il reddito di cittadinanza non è un’elemosina da dare ai poveri o ai disoccupati, ma un pagamento dovuto a tutti coloro che arrivano in questo mondo e trovano tutti i beni immobili già posseduti da altri. È una compensazione minima per il fatto che sono stati dispossessati di ciò che in linea di principio appartiene anche a loro. È una rendita che non deve sostituire il reddito da lavoro, ma integrarlo. L’uomo continuerà a lavorare, ma potrà sempre contare su una base minima per condurre un’esistenza dignitosa.

    Il dibattito è proseguito fino a oggi, seppur nell’indifferenza generale. In questi giorni ha ripreso quota per due ragioni. Da un lato, dopo che per decenni il paradigma neoclassico ha negato l’esistenza della disoccupazione tecnologica, alcuni intellettuali e scienziati eminenti hanno ripreso a parlarne. Dall’altro, sono iniziati i primi esperimenti sociali basati sull’istituzione del reddito di cittadinanza.

    Tra le teste pensanti che hanno gettato il sasso nello stagno c’è, per esempio, il fisico Stephen Hawking. Il primo dicembre del 2016, l’eminente scienziato ha pubblicato un articolo sul quotidiano The Guardian, in cui denuncia i pericoli della nostra epoca. L’articolo è particolarmente interessante, perché inizia con un mea culpa. Hawking dice di fare parte di quell’élite che si è da tempo chiusa nella torre d’avorio e non ha voluto vedere i disastri provocati dalla globalizzazione. Le voci negative, le proteste, le grida di dolore sono state ignorate o derise come teorie della cospirazione. Chi si lamentava era visto dall’élite finanziaria, politica e intellettuale – o da chi con l’élite si identifica pur essendo un signor nessuno – come un relitto della storia, un disadattato che non tiene il passo con le magnifiche sorti e progressive, un ignorante che non capisce quanto è bello cancellare le frontiere e promuovere la competitività.

    Poi, dice Hawking, gli inglesi hanno deciso di uscire dall’Unione Europea e gli americani hanno scelto Donald Trump come loro presidente (e, possiamo aggiungere, gli italiani hanno respinto il tentativo di Matteo Renzi di cambiare la Carta costituzionale). Sono segnali che non vanno sottovalutati. Continuare a denigrare il popolo sarebbe continuare sulla strada dell’errore. Hawking, che in precedenza non aveva fatto mancare commenti poco lusinghieri nei confronti di Nigel Farage e Donald Trump, invita a un ripensamento complessivo: «Dovremmo noi semplicemente respingere questi voti come una manifestazione di populismo, senza prendere in considerazione i fatti reali? (…) Io sostengo che questo sarebbe un errore madornale».

    Forse non sono le persone retrograde e ignoranti che non hanno capito in che paradiso vivono. Forse è l’élite che non vede l’inferno in cui è precipitata quella classe media europea e americana che fino a pochi anni fa poteva definirsi benestante, proprio perché vive in un paradiso, in un mondo a parte. Ma si tratta di andare più a fondo nella questione e prendere in considerazione non solo l’apertura delle frontiere, ma anche lo sviluppo impetuoso delle nuove tecnologie.

    Hawking afferma che «l’automatizzazione delle fabbriche ha già decimato i posti di lavoro nella manifattura tradizionale, e la crescita dell’intelligenza artificiale estenderà probabilmente la distruzione dei posti di lavoro anche al cuore della classe media, lasciando sopravvivere soltanto i ruoli più importanti di creatività e di supervisione. Questo a sua volta porterà ad un incremento della già vistosa forbice di ineguaglianza in tutto il mondo».

    Poche persone, con pochi addetti e sofisticati programmi, riescono a fare enormi profitti nell’economia globalizzata e interconnessa grazie alla rete informatica. «Questo è inevitabile, fa parte del progresso, ma è anche socialmente devastante».

    A questo si aggiunge un sistema politico corrotto che si è posto coscientemente al servizio dei poteri forti e, invece di togliere ai ricchi per dare ai poveri – che, in linea di principio, sarebbe la missione di ogni governo democratico –, toglie ai poveri per dare ai ricchi. Con la crisi economica del 2008, tutti abbiamo potuto constatare che le regole spietate del capitalismo liberista valgono soltanto per i cittadini comuni. Per i grandi capitalisti e i banchieri ci sono sempre gli aiuti di Stato, ossia della collettività. Quando fanno profitti sono individui in un mondo globale che non devono nulla a nessuno, quando gli affari iniziano ad andare male ridiventano immediatamente americani, italiani, islandesi e pretendono che i loro concittadini contribuiscano a salvare il sistema dalla catastrofe.

    Hawking lo dice senza giri di parole: «Dobbiamo mettere questo accanto al crash finanziario, che ha fatto comprendere alla gente come un numero ristretto di persone che lavorano nel settore finanziario possano accumulare enormi guadagni, mentre il resto di noi si ritrova a pagare le conseguenze, quando la loro avidità fa saltare il banco».

    L’élite deve imparare ad essere più umile. Deve guardare in faccia i fatti. Deve riconoscere che le diseguaglianze economiche stanno crescendo, che la povertà non è solo nei paesi arretrati ma anche in quelli avanzati, che i cittadini non solo vedono peggiorare il proprio tenore di vita, ma a volte non riescono nemmeno a trovare un lavoro, che le diseguaglianze sono sempre più visibili grazie a Internet, grazie ai computer e agli smartphone. Se questi sono i fatti, «non c’è quindi da stupirsi che costoro siano alla ricerca di una soluzione diversa, che credono di aver individuato nelle scelte di Trump e della Brexit».

    Quel credono ci fa capire che Hawking, al contrario dei cittadini americani e britannici, non vede in Trump e nella Brexit la soluzione dei problemi, ma ora concorda con loro sul fatto che i problemi ci sono e non vanno nascosti sotto il tappeto. Qual è la soluzione che propone il fisico di Cambridge? È la stessa che è stata proposta molte volte in passato e che è stata messa completamente da parte soltanto quando il neoliberismo è diventato paradigma dominante: unire sviluppo e redistribuzione delle ricchezze.

    Mentre scompaiono non soltanto i posti di lavoro, ma intere sezioni dell’industria, dobbiamo aiutare la gente ad adattarsi al nuovo mondo, mentre li supportiamo finanziariamente nel farlo. Se le comunità e le economie moderne non sono in grado di assorbire gli attuali livelli di immigrazione, dobbiamo fare di più per incoraggiare uno sviluppo globale, poiché questo è l'unico modo che persuaderà i milioni di emigranti odierni a cercare un futuro in casa propria. (Hawking 2016)

    Sebbene non parli di reddito di cittadinanza, ma di supporto finanziario, senza chiarirne i termini, Hawking propone comunque una soluzione che va nella direzione di quella ora adottata dalla Finlandia. Abbiamo accennato sopra al fatto che il reddito di cittadinanza non appartiene più al mondo delle utopie, come ai tempi del lungimirante Thomas Paine. In Finlandia, l’inizio dell’esperimento è stato fissato per il primo gennaio del 2017. Da questo momento in avanti, per i prossimi due anni, duemila disoccupati estratti a sorte percepiranno 560 euro al mese. Non si tratta di un sussidio di disoccupazione, istituto che esiste da tempo in tutti i paesi civili. Si tratta, proprio, di un’alternativa al sussidio di disoccupazione. La differenza è che il reddito di cittadinanza è incondizionato. I beneficiari continueranno a percepire l’assegno anche se troveranno un lavoro.

    L’obiettivo non è quello di disincentivare il lavoro, distribuendo soldi a pioggia, ma esattamente il contrario. Come ha spiegato Olli Kangas, funzionario dell’agenzia governativa finlandese che si occupa del welfare (KELA), oggi chi riceve l’assegno di disoccupazione non ha convenienza a cercare un lavoro. Soprattutto, non ha alcun interesse ad accettare un lavoro temporaneo, part time, o precario. Sennonché, anche a causa dell’automazione della produzione e dell’informatizzazione dei servizi, i lavori in circolazione sono perlopiù di questo tipo. Poiché i percettori dell’assegno non devono giustificare come lo spendono, né rischiano di perderlo se accettano un lavoro, la speranza è che l’iniziativa aiuti a rilanciare l’occupazione, rendendo appetibili anche i lavori a tempo determinato. Se l’esperimento funziona, sarà esteso gradualmente agli altri cittadini.

    Non si pensi che il reddito di cittadinanza venga concesso per carità cristiana o con l’intenzione di realizzare il socialismo. Tutt’altro. Si tratta, piuttosto, dell’ultima spiaggia per salvare un capitalismo ormai agonizzante. Un capitalismo che ha prodotto progresso tecnico e ricchezza, ma non ha mantenuto la promessa di un benessere diffuso e della piena occupazione, nemmeno della classe media. C’è ormai la consapevolezza, anche tra i conservatori più avveduti, che il capitalismo si sta avvitando su se stesso.

    Basti pensare che queste misure sono volute dal governo di centrodestra, guidato dal premier Juha Sipilä. La Finlandia è un Paese di 5,5 milioni di abitanti. Il tasso di disoccupazione è intorno all’8%. Le persone senza lavoro sono 213.000. Il reddito medio nel settore privato è di circa 3.500 euro al mese. I sussidi e benefit per i disoccupati sono piuttosto generosi. Tanto il costo del lavoro quanto la spesa pubblica sono dunque piuttosto elevati. Il 2016 si è chiuso con il Paese in recessione.

    Di fronte a questi dati, introdurre il reddito di cittadinanza non è un controsenso. Le aziende private ricorrono all’automazione e all’informatizzazione anche perché il costo del lavoro è alto. Razionalizzando la produzione di beni e servizi, riducono la necessità di lavoratori. Ma quello che è razionale a livello dell’azienda, non è razionale a livello del sistema. I lavoratori sono infatti anche i potenziali consumatori di questi beni e servizi. Rimettere in circolazione il denaro attraverso un reddito di cittadinanza significa rilanciare i consumi e, dunque, la produzione di beni e servizi.

    Inoltre, un sistema che lascia a casa senza reddito una percentuale molto alta della popolazione è un sistema in pericolo. Solo nella mente di certi economisti la gente sta a casa a morire di inedia se il mercato ne decreta l’inutilità. Nel mondo reale – ce lo insegna la storia – la gente si ribella a un sistema che ne uccide le speranze. Per evitare disordini sociali, sono stati inventati sistemi di sostegno al reddito, come il sussidio di disoccupazione, la cassa integrazione guadagni, l’indennità di mobilità. Ma, per evitare che aziende e lavoratori approfittino di questi aiuti pubblici senza averne diritto, bisogna istituire una burocrazia sempre più estesa e invasiva. Una burocrazia che grava ulteriormente sulle casse dello stato e si risolve in maggiore pressione fiscale, in un momento in cui le aziende sono in sofferenza perché non riescono a vendere i prodotti. Ma soprattutto sottrae potenziali lavoratori istruiti al settore privato, quand’anche esso ne abbia bisogno soltanto saltuariamente. Si innesca, così, un circolo vizioso senza fine.

    Il reddito di cittadinanza universale dovrebbe consentire di spezzare il circolo vizioso, snellendo la burocrazia, fornendo lavoratori al settore privato senza bisogno di attingere all’immigrazione, e rilanciando i consumi. In ogni caso, lo sapremo nel 2019 se l’esperimento funziona.

    I saggi che ho deciso di raccogliere in questo volume sono nello spirito di queste considerazioni preliminari. Li ho scritti in un arco di tempo che va dal 2004 al 2016. Per aiutare il lettore a orientarsi, fornirò qui alcune notizie su di essi, mentre i riferimenti completi potranno essere consultati in bibliografia. Il primo

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