Il Museo Vincenzo Vela a Ligornetto
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Il Museo Vincenzo Vela a Ligornetto - Marc-Joachim Wasmer
Marc-Joachim Wasmer
Il Museo Vincenzo Vela a Ligornetto
Canton Ticino
Introduzione
Vincenzo Vela (1820-91), uno scultore ticinese al servizio del Risorgimento
Lorenzo Vela (1812-97)
Spartaco Vela (1854-95)
Villa Vela. Casa d’artisti e museo
Il Museo Vincenzo Vela oggi
Apparati
Glossario
Note biografiche
Cenni biografici su Vincenzo Vela
Bibliografia scelta
Referenze fotografiche, l’autore, informazioni
Un rinnovato sguardo su un’arte trascurata
di Gianna A. Mina
Introduzione
Ligornetto è situato nell’ampia piana del Mendrisiotto, nel lembo più meridionale del canton Ticino, appartenente geograficamente già alla Lombardia. Caratterizzato da un triangolo di strade, il villaggio si trova a ovest dell’asse nord-sud (autostrada A2, uscita di Mendrisio, direzione Stabio/Varese). Nulla lo distinguerebbe dalle località circostanti se lo sguardo non fosse attratto da una villa storica adagiata su un poggio. L’edificio degli anni 1862-65 con facciata rappresentativa e tiburio centrale, immerso in un vasto parco, un tempo era lo studio-dimora signorile di Vincenzo Vela (1820-91). Oggi è la principale casa d’artista ancora conservata in Svizzera ed è sede del Museo Vincenzo Vela, amministrato dall’Ufficio federale della cultura.
Artista diviso tra la Svizzera e l’Italia ed esponente di spicco del verismo (v. glossario p. 77), Vela era uno degli scultori più celebrati del XIX secolo. Approdato alla fama negli anni dell’unificazione nazionale d’Italia, il Risorgimento, al suo rientro da Torino nel 1867 presentò a un vasto pubblico gli originali in gesso di quasi tutte le sue opere in una sala della sua casa-atelier di Ligornetto appositamente concepita. Dando seguito alle volontà del padre, nel 1892 suo figlio Spartaco Vela (1854-95) legò per testamento la proprietà alla Confederazione svizzera, a condizione che la collettività potesse fruirne come museo o come scuola. Aperto al pubblico nel 1898, da allora il museo è stato riconcepito più volte, l’ultima nel 1997-2001 secondo piani dell’architetto Mario Botta.
Di Vincenzo Vela la collezione custodisce, oltre ai modelli in gesso e ai calchi originali, disegni e bozzetti in terracotta e gesso, del fratello Lorenzo Vela (1812-97) opere plastiche e pittoriche e di Spartaco Vela dipinti, disegni e ceramiche. Una biblioteca, quadri e disegni di amici artisti lombardi e piemontesi nonché una collezione unica in Svizzera di fotografie dell’epoca completano l’opera della famiglia Vela.
Veduta da sud del Museo Vincenzo Vela, 2019.
Vincenzo Vela (1820-91), uno scultore
ticinese al servizio del Risorgimento
Il bambino prodigio
Le cifre romane in grassetto indicano il numero delle sale espositive. Per l’orientamento si rimanda alla piantina del piano terra sul controrisvolto di copertina.
Vincenzo Vela, nato il 3 maggio 1820 a Ligornetto da Giuseppe Vela, piccolo agricoltore, e Teresa Casanova, a nove anni fu avviato alla professione di scalpellino nelle cave di Besazio, mostrando fin da subito grandi abilità artigianali. Il fratello maggiore, Lorenzo, riconobbe il suo talento e nel 1832 lo volle con sé a Milano, dove presto Vincenzo affiancò al lavoro di scalpellino per la Fabbrica del Duomo lo studio all’Accademia di Brera, in particolare presso la Scuola d’Ornato. Ispirato dalla pittura di Francesco Hayez e dalla scultura del toscano Lorenzo Bartolini, sviluppò uno stile marcatamente realista, in contrapposizione al neoclassicismo dei seguaci di Canova, che andava esaurendo il proprio vigore. Studente eccezionalmente dotato, si aggiudicò numerosi concorsi, diventando rapidamente figura di riferimento per una nuova generazione di artisti. Nel 1842, dopo aver vinto una medaglia d’oro a Venezia, terminò gli studi e cominciò a lavorare in proprio.
Primi riconoscimenti a Milano
Enrico Gamba, Ritratto di Vincenzo Vela, 1857 circa, pastelli colorati su carta.
Subito dopo il primo incarico, il Monumento a Giuseppe Maria Luvini, vescovo di Pesaro (VIII) per il nuovo Municipio di Lugano, che gli valse grandi riconoscimenti all’esposizione di Brera del 1844, Vela completò i monumenti funebri per Maddalena Adami-Bozzi a Pavia e per Cecilia Rusca a Locarno (ca. 1845-46, XX). Entrambi i gruppi scultorei rappresentarono una profonda innovazione nell’arte funeraria italiana: per la prima volta le figure in lutto, solitamente rappresentate come personaggi allegorici, vennero raffigurate con toccante immediatezza con i tratti dei familiari dei defunti, vestite in abiti quotidiani.
Sebbene da questo momento in poi tale genere abbia costituito uno dei punti chiave della sua attività creativa, Vela si mise ugualmente alla prova con temi e soggetti secolari, tra cui i ritratti. Ne è un esempio La preghiera del mattino (XXI), realizzata nel 1846 per il duca Giulio Litta, una scultura di genere in cui la tematica religiosa serve solo come pretesto, considerata da molti un capolavoro per la resa realistica della giovane donna inginocchiata in camicia da notte. Tra i critici si diffuse comunque rapidamente il sospetto che lo scultore avesse utilizzato direttamente i calchi in gesso della modella e persino della stoffa – cosa peraltro che corrispondeva al vero – violando così i canoni accademici. Eppure, con il suo naturalismo ineguagliato che gioca con i valori pittorici, la raffinata resa della fisionomia e il morbido modellato – che, insieme all’elemento narrativo, evoca le figure di un museo delle cere – l’opera coniuga consolidati modelli compositivi e antiche tradizioni pittoriche con contenuti attuali. Così Vela incontrò subito il gusto di un’élite influente, composta da esponenti liberali della nobiltà lombarda e dell’alta borghesia emergente, unita nello scopo comune di opporre una strenua resistenza alla potenza occupante: l’odiata monarchia austriaca al governo dal Congresso di Vienna del 1815. La concezione artistica di Vela, che con il suo stile vigoroso si contrapponeva alle convenzioni e alle pratiche della vecchia scuola, divenne ben presto il manifesto culturale dei Milanesi. Il giovane astro della scultura fu corteggiato da letterati e mecenati, che avevano atteso a lungo il suo arrivo.
Vincenzo Vela, Monumento a Giuseppe Maria Luvini, vescovo di Pesaro, 1844, calco in gesso tratto dalla statua di Vincenzo Vela a Lugano, 1895.
Vincenzo Vela, La preghiera del mattino, 1846, gesso, modello originale, tre punti di vista.
Spartaco, eroe degli oppressi
Grazie all’incarico ricevuto dal collezionista duca Antonio Litta per la realizzazione di una scultura di grandi dimensioni, nel 1847 Vela si recò a Roma per un soggiorno di studi. Poco dopo aver iniziato a progettare il modello dello Spartaco (non conservato), decise di unirsi alla guerra del Sonderbund schierandosi con il generale Henri Dufour (ritratto nel 1849, II) e nel marzo 1848 partecipò come volontario alla guerra di indipendenza dei Lombardi contro l’Austria, conclusasi nel sangue. Repubblicano convinto, grazie alla sua militanza si guadagnò l’amicizia e la stima dei Milanesi nonché la fama di artista-patriota impegnato politicamente.
L’opera in marmo, di dimensioni colossali, scolpita nell’inverno 1849/50 (VII, v. ill. p. 8) giunse al momento opportuno e segnò il superamento definitivo dei canoni formali del classicismo. L’eroico schiavo che spezza le catene per morire da uomo libero divenne il simbolo della rivolta nazionale. Il «verismo» di Vela divenne così promotore del Risorgimento italiano ed ebbe l’effetto di incitare gli animi, come accadde per le opere di Giu seppe Verdi.
Torino, speranza d’Italia
Il rivoluzionario Vela divenne presto un personaggio scomodo per gli occupanti. Quando nel 1852 rifiutò l’offerta di una cattedra presso l’Accademia milanese, intesa ad addomesticare il seguace dell’opposizione, dovette riparare in patria, dove strinse rapporti di amicizia con numerosi rifugiati. Pochi mesi dopo emigrò a Torino, città libera e liberale. Lì, nel fulcro dell’unificazione italiana, poté contare su nuovi incarichi ed estendere la sua sfera d’influenza anche all’estero. Il successo non tardò ad arrivare: il prestigio derivò sia dai numerosi incarichi per sculture pubbliche e private sia dall’attività di professore presso l’Accademia Albertina, nomina conferitagli nel 1856 dal re Vittorio Emanuele II. Nel corso dei quattordici