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Lettere di Mattia Preti a Don Antonio Ruffo principe della Scaletta
Lettere di Mattia Preti a Don Antonio Ruffo principe della Scaletta
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E-book146 pagine1 ora

Lettere di Mattia Preti a Don Antonio Ruffo principe della Scaletta

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Lettere di Mattia Preti a Don Antonio Ru o principe della Scaletta è un testo storico artistico culturale che si inserisce all’interno della ricerca scientifica in ambito umanistico. Uno studio di catalogazione e critica che mira a fare luce su un particolare aspetto della lunga e intensa carriera artistica del Cavalier Calabrese Mattia Preti: quella documentata da una fitta corrispondenza con il collezionista messinese Antonio Ruffo primo principe della Scaletta. Si delineano così i profili di due grandi appassionati e conoscitori d’arte: l’uno pittore, ma al tempo stesso agente, sempre pronto ad adoperarsi nella ricerca di dipinti di artisti che potessero soddisfare le richieste del principe; l’altro un abile politico e uomo d’affari, ma anche un esigente e raffinato collezionista che diede vita alla galleria più importante e unica nella Messina del Seicento. Le lettere inviate dal pittore al nobile messinese sono state trascritte e accompagnate da considerazioni personali dell’autrice, che nel bisogno di chiarire il momento in cui si avviò la collaborazione tra Preti e Ruffo si è imbattuta in una preziosa testimonianza di una delle peggiori eruzioni vesuviane della modernità: la lettera di Nicolò Maria Oliva all’abate Flavio Ruffo, pubblicata a Napoli nel 1632 e presentata dall’autrice nella “Festa della Ricerca”, ciclo di incontri a Napoli nella Chiesa di Santa Luciella ai Librai nel febbraio 2020.
LinguaItaliano
Data di uscita19 mag 2023
ISBN9791255400394
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    Lettere di Mattia Preti a Don Antonio Ruffo principe della Scaletta - Dora Caccavale

    lettere-mattia-preti-fronte.jpg

    Le lettere di Mattia Preti a Don Antonio Ruffo principe della Scaletta

    di Dora Caccavale

    Direttore di Redazione: Jason R. Forbus

    ISBN 979-12-5540-039-4

    Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, Gaeta 2023©

    Saggistica – Storia e cultura

    www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com

    È severamente vietato riprodurre, in parte o nella sua interezza, il testo riportato in questo libro senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.

    Dora Caccavale

    Le lettere di Mattia Preti

    a Don Antonio Ruffo principe della Scaletta

    AliRibelli

    Ai miei genitori che hanno sempre creduto in me

    e mi hanno sempre sostenuta.

    Ai miei nonni:

    perché ovunque siano possano essere fieri di me.

    Sommario

    Introduzione

    I. Cenni biografici su Mattia Preti

    1. Gli anni romani: tra «ceneri sparse» e «armonia pittorica suprema»

    2. Il soggiorno napoletano di Preti

    3. Il legame indissolubile con Malta

    II. L’interesse della famiglia Ruffo di Bagnara verso il collezionismo

    1. Flavio Ruffo, notizie biografiche

    2. Flavio Ruffo, la collezione

    Appendice

    III. Antonio Ruffo Primo principe della Scaletta

    1. Notizie biografiche

    2. La collezione

    IV. Conisiderazioni sulla corispondenza di Mattia Preti al collezionista Antonio Ruffo

    1. Ventisette lettere di Mattia Preti

    Bibliografia

    Introduzione

    Questa tesi mira a fare luce su un particolare aspetto della lunga e intensa carriera artistica del Cavalier Calabrese Mattia Preti, ancora oggi argomento di numerosi studi da parte degli storici che cercano di ricostruirne le varie tappe; si è infatti voluto centrare l’attenzione su una fase della vita del pittore (1660-1669), quella documentata da una fitta corrispondenza con il collezionista messinese Antonio Ruffo, primo principe della Scaletta.

    Essenziale per questa ricerca è stata la pubblicazione nel 1916 da parte di Vincenzo Ruffo¹ di un imponente carteggio, allora conservato a Messina nell’archivio privato della famiglia Ruffo e appartenuto al suo antenato Don Antonio. Si tratta di centottantadue lettere autografe inviate al nobile messinese, fra il 1645 e il 1673, da diversi e noti artisti del tempo, ma anche da amici e agenti, nonché familiari;² tra queste, ben ventisette sono state scritte da Mattia Preti³ e rappresentano il fulcro di questa tesi.

    Molti sono gli studiosi che hanno utilizzato questo carteggio che, per quel che riguarda Mattia Preti, ha permesso di realizzare interessanti studi; tra questi si ricordano in particolar modo i contribuiti di Francis Haskell (Mecenati e pittori. Studio sui rapporti tra arte e società italiana nell’età barocca, 1963, 1966) e di John Spike (Mattia Preti. I documenti – The collected documents,1998; e il Catalogo ragionato dei dipinti, 1999).

    Tuttavia è sfuggita finora all’attenzione un’attenta ricostruzione del rapporto tra Mattia Preti e il principe Ruffo, che proprio attraverso questa intensa corrispondenza epistolare, durata più di dieci anni, può essere acclarato.

    Il lavoro è articolato attraverso tre capitoli introduttivi, volti a fornire una breve ricostruzione biografica delle personalità di Mattia Preti e di Antonio Ruffo, nonché di Flavio, suo fratello maggiore, il quale è stato verosimilmente il primo dei due a entrare in contatto a Roma con il Cavalier Calabrese; a questi segue poi una parte centrale nella quale le lettere inviate dal pittore al nobile messinese sono state trascritte, accompagnate da considerazioni personali.

    Ciò che emerge dalla lettura di questo corpus è che le notizie riportate, oltre a essere di fondamentale importanza per una migliore conoscenza dei fatti storico-artistici del tempo, ci forniscono anche molte informazioni sul rapporto intercorso tra i due con note di carattere squisitamente personale.

    Si delineano così i profili di due grandi appassionati e conoscitori d’arte: l’uno pittore, ma al tempo stesso agente, sempre pronto ad adoperarsi nella ricerca di dipinti di artisti contemporanei e non che potessero soddisfare le richieste del principe; l’altro un abile politico e uomo d’affari, ma anche un esigente e raffinato collezionista, interessato alla sua galleria e nel contempo pronto a promuovere lavori pubblici da commissionare al pittore calabrese per le principali chiese della sua città, Messina.

    ¹ V. Ruffo, 1916, pp. 21-64, 95-128, 165-192, 237-256, 284-320, 369-388.

    ² La pubblicazione è stata considerata da Roberto Longhi (1918, pp. 411-416) «lo studio archivistico più importante per la storia del Seicento dopo quello del Bertolotti».

    ³ V. Ruffo, 1916, pp. 234-282.

    I. Cenni biografici su Mattia Preti

    1. Gli anni romani: tra «ceneri sparse» e «armonia pittorica suprema»

    Il Cavalier Calabrese, così fu soprannominato Mattia Preti per le sue origini e per aver ricevuto il titolo di Cavaliere dell’Ordine Gerosolimitano da papa Urbano VIII, nacque a Taverna, in Calabria, il 25 febbraio 1613. Morì a La Valletta, il 3 gennaio 1699¹ a conclusione di un’attività pluridecennale.

    Proveniente da una famiglia agiata, «padre e madre honorati che mai hanno esercitato arti meccaniche»,² Mattia fu il terzo dei sei figli di Cesare e Innocenza Schipano. Ben poco si conosce circa la sua formazione e gli esordi calabresi. Oltre le notizie raccolte da Filippo Baldinucci (1728), la voce di Pellegrino Antonio Orlandi (1704) e la vita dedicatagli da Lione Pascoli (1736, 1992), per la ricostruzione della sua figura è importante la biografia – spesso arricchita di aneddoti romanzati – dedicatagli dal napoletano Bernardo De Dominici (1742-1745, 2008), figlio di Raimondo, che con i fratelli Francesco e Maria fu allievo e seguace del pittore calabrese.³

    Proprio da De Dominici sappiamo che dopo l’istruzione umanistica, sotto la guida di Marcello Anania, e un breve sguardo alla pittura rielaborata in chiave locale sul modello tardo manierista dei meridionali Giovanni Balducci, Giovanni Bernardino Azzolino e Fabrizio Santafede, Preti partì – poco meno che diciasettenne – alla volta di Roma, per raggiungere il fratello maggiore Gregorio che lì si era affermato come pittore; perciò «essendo il genio di Mattia inclinato al disegno ei volle soprattutto che il fratello lo istruisse nelle buone regole di esso, e fra poco spazio di tempo si trovò molto innanzi».

    Prima dell’arrivo a Roma – attestato dai documenti nel 1632 – per alcuni studiosi fu probabilmente a Napoli, ma nessun documento è stato trovato a conferma di ciò.

    A detta di De Dominici, in questi primi anni Mattia – accompagnato talvolta dal fratello Gregorio – fece la spola tra Roma e Napoli, ma anche numerosi viaggi a Bologna, a Cento presso il Guercino, a Venezia, a Milano, a Genova, a Parigi, ad Anversa per conoscere Rubens;⁵ di fatto solo la tappa veneziana è stata, però, finora confermata: lo si apprende dall’epigrafe apposta sulla sua lastra tombale nella Co-Cattedrale di San Giovanni Battista a La Valletta.

    Proprio grazie a questi viaggi poté entrare in contatto con la pittura di Andrea Sacchi, di Nicolas Poussin – a cui guarda per realizzare opere come Mosè sul monte Sinai (Montpellier, Musée Fabre), Trionfo di Sileno (Tours, Musée des beaux-arts), Trionfo di Amore (coll. privata) e Scena di peste (Roma, Accademia di San Luca) – e di Pietro da Cortona; e interessarsi anche alla scultura di Gian Lorenzo Bernini.

    Ma fu quando si stabilì a Roma che la pittura del giovane Preti ebbe un momento di svolta: qui infatti maturò la sua formazione guardando e facendosi fortemente influenzare dai capolavori di un artista geniale che – morto solo tre anni prima della sua nascita – con le sue idee rivoluzionarie aveva spianato la strada all’arte barocca: Caravaggio.

    Inoltre fu attratto dalla pittura di Bartolomeo Manfredi – Manfrediana methodus – e, sulla scia dei pittori del nord Europa, come Valentin de Boulogne, Nicolas Régnier, Nicolas Tournier, Simon Vouet, provò ad applicare – e successivamente a rielaborare – la lezione caravaggesca.

    È Roberto Longhi che nei suoi Scritti giovanili (1913), parlando dello stile pittorico di Preti, lo definisce: «[...] corposo e tonante, veristico e apocalittico [...] secondo solo a Caravaggio».⁶ Non a caso, Mattia si ritroverà negli stessi luoghi in cui aveva vissuto Caravaggio, quasi come se Caravaggio avesse – con la sua morte prematura – passato a Preti il testimone. Una vera e propria eredità che Mattia riceve e – che per caso, o se vogliamo per destino – porta avanti con grande maestria.

    Lo possiamo vedere nei dipinti realizzati nei primi anni romani per privati, con gruppi di musici (Concerto, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza; Concerto, Napoli, coll. privata; Concerto, San Pietroburgo, Museo Statale Hermitage; Concertino, Alba, Palazzo Comunale) e di giocatori (Gioco di dama, Oxford, Ashmolean Museum; Giocatori di carte, Venezia, venduto dalla casa d’aste Semenzato); ritratti immaginari di filosofi (Omero, Venezia, Gallerie dell’Accademia); scene di fatti evangelici (Il tributo e Sinite parvulos, Milano, Pinacoteca di Brera; Chiamata di Matteo, Vienna, Kunsthistorisches Museum).

    L’impronta del maestro milanese fu senza dubbio fondamentale per Preti: fatto tesoro dell’insegnamento caravaggesco iniziò, però, a maturare uno stile personale, capace – a un certo punto – di andare persino oltre. In particolar modo fu determinante per la svolta della pittura pretiana l’incontro con l’arte di Lanfranco, di Domenichino e ancor di più di Guercino. Infatti, a proposito di quest’ultimo, De Dominici racconta che – appena giunto a Roma dal fratello – Mattia non sentì parlare d’altro che della Santa Petronilla dipinta dal Barbieri per la basilica di San Pietro; così, sorpreso, «e talmente ingombra la sua mente di quella maniera di colorire, e senza frapporvi altro indugio partì per la volta di Cento, invaghito fuor di modo di farsi scolare di così gran maestro».⁷ Non sappiamo se – come dice De Dominici – Mattia fece scuola dal Guercino, ma sicuramente, rimasto folgorato da quel modo di dipingere, se ne lasciò profondamente influenzare.

    Senza mai rinnegare il naturalismo e le radici caravaggesche, le inserisce tuttavia in una macchina barocca molto più complessa, mescolando – in un linguaggio del tutto originale – gli effetti luministici caravaggeschi con la moderna macchia guercinesca.

    Per comprendere meglio questa svolta, non possiamo che citare, ancora una volta, Longhi e i suoi Scritti giovanili (1913): «[...] quella variazione armonica del quadrante umano, che nell’alternazione di luci e d’ombre pezzate di toni compositi ed opachi [...], di ceneri sparse, si compongono

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