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Le Belle Arti a Venezia nei manoscritti di Pietro e Giovanni Edwards
Le Belle Arti a Venezia nei manoscritti di Pietro e Giovanni Edwards
Le Belle Arti a Venezia nei manoscritti di Pietro e Giovanni Edwards
E-book961 pagine7 ore

Le Belle Arti a Venezia nei manoscritti di Pietro e Giovanni Edwards

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Le vicende delle belle arti veneziane alla luce del "Repertorio generale delle Venete Belle Arti", scritto da Giovanni Edwards nel 1833 e largamente debitore nei confronti di testi egualmente inediti del padre, Pietro Edwards.

Restauro, Collegio dei Pittori, Accademia, permanenza del sistema corporativo, tramonto e caduta della Repubblica. E ancora: progetti museali fino ad oggi ampiamente sottovalutati, tutela e conservazione del patrimonio pubblico, criteri del gusto e meccanismi del commercio delle opere d’arte nei cinquant’anni (1770-1820) che sconvolgono la vita della Serenissima, la privano dell’indipendenza e la consegnano a francesi e austriaci.
LinguaItaliano
EditoregoWare
Data di uscita20 apr 2015
ISBN9788867973255
Le Belle Arti a Venezia nei manoscritti di Pietro e Giovanni Edwards

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    Anteprima del libro

    Le Belle Arti a Venezia nei manoscritti di Pietro e Giovanni Edwards - Giovanni Mazzaferro

    sommario

    Introduzione - Le Belle Arti a Venezia nei manoscritti di Pietro e Giovanni Edwards

    Capitolo 1 Pietro Edwards

    1.1 Fino al 1797

    1.2 Dal 1797 al 1805

    1.3 Dal 1806 alla morte

    1.4 I riferimenti culturali: Corporazione e Secolo d’Oro

    1.5 Il progetto museale: la Galleria dei Pittori Veneti

    1.6 Mercato, collezionismo e ruolo di ‘Professori’ e restauratori

    Capitolo 2 Giovanni Edwards

    2.1 La vita

    2.2 Tra ambizione personale e politica della nostalgia

    2.3 Il rifiuto del neoclassico

    Criteri di trascrizione del manoscritto

    Repertorio Generale delle Venete Belle Arti di Giovanni Edwards O’Kelles

    Indice delle materie contenute nelle Tre Parti del presente Repertorio Generale

    Storia della Organizzazione Civile delle Arti Belle in Venezia Dall’Anno 1100, sino al 1808…

    Provvedimenti Governativi intorno alla Revisione, Ristaurazione, e Preservazione delle Pitture di Sovrana Appartenenza…

    Prospetto di Regolazione Per la R. Veneta Accademia delle Arti Belle…

    Appendici

    Appendice I - Lettera ad Antonio Diedo (10 aprile 1836)

    Appendice II - Risposta di Antonio Diedo sul Repertorio Generale (12 giugno 1836)

    Appendice III - Pietro Edwards. Antichità dell’Unione Dei Pittori in Vinezia; Origine del loro Colleggio; prerogative costituzionali, ed onorifiche di questo corpo; istituzione dell’Attual Accademia del disegno con alcuni riflessi sopra l’interno andamento d’essa.

    Indice dei nomi

    Introduzione

    Le Belle Arti a Venezia nei manoscritti di Pietro e Giovanni Edwards

    In data 10 aprile 1836 il Dipartimento della Pubblica Istruzione dell’Imperial Regio Governo austriaco trasmette ad Antonio Diedo (all’epoca Segretario e facente funzione di Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Venezia) un lungo manoscritto, opera di Giovanni Edwards O’Kelles. Quest’ultimo era l’unico figlio di Pietro Edwards, vero e proprio deus ex machina degli ambienti artistici veneziani negli anni fra il 1770 ed il 1820 circa. Il testo di Giovanni è accompagnato da una lettera,¹ che riporta il titolo dell’opera:

    "Giovanni Eduardo O’Kelles² di questa Città ha presentato un suo Libro manoscritto avente per titolo Repertorio Generale delle Venete Belle Arti".

    Il manoscritto consta di tre parti: una prima dedicata alla storia della pittura della Serenissima, o, per meglio dire, alla storia delle forme associative fra artisti veneziani³; una seconda si occupa della ‘Custodia delle Pubbliche Pitture’, in cui si riconoscono tre distinti momenti: ‘revisione’, ‘restauro’ e ‘preservazione’⁴; l’ultima parte contiene una bozza di riforma regolamentare dell’Accademia, accompagnata da misure per il contenimento delle spese di gestione della medesima⁵.

    Il manoscritto è datato 12 aprile 1833, ma, come visto, viene trasmesso a Diedo il 10 aprile 1836, ovvero tre anni dopo. Non è noto cosa sia successo in quei tre anni: se cioè sia stato consegnato immediatamente da Giovanni o solo in tempi successivi. C’è però una certezza: da evidenze interne non risultano aggiunte successive alla data dell’aprile 1833. La risposta di Diedo⁶ viene inviata il 12 giugno 1836. Assieme ad essa, Diedo restituisce l’originale (di cui ad oggi non si ha traccia), non senza aver prima provveduto a far redigere una copia del manoscritto stesso. È questa copia, che consiste di 263 carte fronte-retro, ad essere conservata negli archivi dell’Accademia. La trascrizione non riporta il titolo completo dell’opera, che però possiamo dedurre dalla lettera di accompagnamento citata all’inizio⁷.

    Il Repertorio Generale è sostanzialmente inedito. Ne pubblica trenta carte (precisamente dalla fine della 107v. al fondo della 137v.) Mary Philadelphia Merrifield nei suoi Original Treatises on the Arts of Painting⁸, straordinaria antologia di manoscritti dedicati alle tecniche artistiche degli Old Masters italiani. È proprio seguendo alla lettera le indicazioni della Merrifield (una fonte del tutto attendibile in questo genere di informazioni) che è stato possibile rintracciare lo scritto di Giovanni Edwards⁹.

    Il vero protagonista delle prime due parti del manoscritto è Pietro Edwards. Lo è esplicitamente, quando Giovanni fornisce indicazioni e cita testualmente scritti del padre, riportando informazioni ad oggi ignote e preziose¹⁰. Ma lo è soprattutto perché la prima e seconda parte del Repertorio Generale sono, di fatto, un’antologia degli scritti di Pietro¹¹. Un’antologia di cui Giovanni (il figlio) occulta volutamente l’autore, attribuendosene la paternità: le uniche variazioni sono quelle volte a rimuovere ogni riferimento al vero estensore del testo e ad operare modifiche di ordine stilistico, ritenute probabilmente necessarie per svecchiare il lessico di scritti risalenti a quarant’anni prima. Naturalmente un’affermazione di questo tipo non può prescindere dal confronto e dall’esame accurato di tutti i manoscritti di Edwards padre ad oggi conservati negli archivi veneziani. È solo tramite questo spoglio sistematico che è stato possibile segnalare nelle note al Repertorio Generale non solo quali brani sono stati tratti da documenti di Pietro oggi disponibili (e a volte tuttora inediti); ma anche individuare con ragionevole certezza i contenuti di manoscritti che sappiamo essere stati scritti dal padre e ad oggi smarriti. In un caso, addirittura, il lettore avrà modo di operare direttamente il confronto: si è ritenuto infatti di proporre in Appendice III il testo trascritto di uno dei manoscritti di Pietro, l’Antichità dell’Unione dei Pittori in Vinezia¹². Nella sostanza, Giovanni Edwards appare essere in possesso, nel 1833, di tutta la documentazione Edwards conservata oggi presso la Biblioteca del Seminario Patriarcale e di molti altri testi di Pietro di cui si ignora la sorte. La sola parte del Repertorio di cui Giovanni sembra essere il vero autore è la terza (ovvero il piano di riforma dei regolamenti accademici).

    Al lettore si chiede uno sforzo particolare. Non tanto nel cercare di comprendere questo o quel passaggio, ma nel contestualizzare il Repertorio Generale in due epoche diverse. Inizialmente, prendendo in considerazione le sole parti prima e seconda, cercheremo di dimostrare che la parabola di Pietro Edwards ha il suo culmine negli anni della Repubblica Veneta, e non dopo la sua caduta. Edwards è un uomo che, grazie alle sue indiscutibili capacità tecniche, al dinamismo, alle doti organizzative e alla sua visione politica copre tutte le cariche più importanti della morente Repubblica, fino a ricevere carta bianca (1792) per la completa revisione del sistema delle Belle Arti. È strettamente e sinceramente legato alla tradizione della Serenissima, il cui tracollo rimette peraltro in discussione tutta la struttura amministrativa veneziana, e con essa anche il ruolo di Edwards, che cerca inutilmente di tornare a riassumere la leadership di cui ha goduto negli ultimi vent’anni del Settecento. Cercheremo di dimostrare che, oltre all’attività di restauro e all’attenzione per l’organizzazione del mondo delle arti liberali, Edwards padre coltiva per trent’anni il progetto ambizioso di creare una Galleria dei Pittori Veneti, organizzata cronologicamente per serie complete. È questo progetto che lo induce a divenire Delegato ai Beni della Corona nel corso della dominazione francese (1806): considerato da molti come l’artefice materiale della dispersione del patrimonio pubblico veneto in Francia, in Austria e a Milano, Edwards contrasta in realtà tale fenomeno e opera per conservare i quadri pubblici in un museo che rappresenti un omaggio (postumo) alla Repubblica di Venezia. Purtroppo per lui, non se ne farà nulla.

    Poi chiederemo al lettore di fare un salto in avanti di trent’anni. Di spostarsi idealmente al 1833, anno in cui il figlio Giovanni scrive il Repertorio Generale. Di comprendere che, a quella data, la prima e la seconda parte del manoscritto sono diventate solamente propedeutiche alla terza; e che la terza, oltre a lasciar emergere mire di carattere personale, costituisce un tentativo (inutile, anacronistico, ma di cui tener conto) di ricondurre l’Accademia, nel frattempo apertasi all’insegnamento di forestieri, nell’alveo della tradizione squisitamente veneziana. Non si può trascurare, infatti, che una delle proposte avanzate da Giovanni è la sostituzione dei maestri di Pittura, Scultura ed Architettura con esponenti del mondo artistico locale.

    Nei prossimi due capitoli ci occuperemo prima di Pietro e poi di Giovanni.

    Capitolo 1

    Pietro Edwards

    1.1 Fino al 1797

    Nel 1688 si compie in Inghilterra la cosiddetta ‘gloriosa rivoluzione’: Guglielmo III d’Orange destituisce Giacomo II Stuart, re cattolico. A seguito di quei fatti la famiglia Edwards, anch’essa cattolica, decide di trasferirsi in Italia.¹³ Pietro nasce a Loreto (1744), ma gli Edwards si insediano presto a Venezia. Della sua vita personale sappiamo pochissimo. Edwards frequenta l’Accademia (istituita nel 1750); fra il 1763 ed il 1766 compare fra i vincitori del concorso per il disegno del nudo.¹⁴ L’attività di pittore è testimoniata da un catalogo estremamente limitato, e relativo agli anni giovanili¹⁵. In maniera precoce Pietro scopre la sua strada: sarà restauratore di dipinti; una professionalità relativamente nuova all’epoca, o per meglio dire, un ruolo a cui proprio Edwards conferisce piena importanza ed autonomia.¹⁶ Il giovane artista diventa presto il restauratore più ricercato su piazza. Ma non è possibile ridurre la sua figura a quella di un tecnico di chiara fama: di pari passo con le sue fortune professionali, Edwards ha la capacità di elaborare e determinare orientamenti e strategie in merito alle questioni più rilevanti in ambito di politica dell’arte. Allievo di Gaspare Diziani, gli succede nel 1776 alla Presidenza del Collegio dei Pittori,¹⁷ istituto che vanta la diretta discendenza dalla medievale corporazione (o fraglia) dei pittori¹⁸; abbandona la Presidenza due anni dopo, in ossequio allo statuto. Prima, però, lo fa modificare, deliberando la nascita di una nuova figura, quella di Segretario del Collegio, che andrà a ricoprire.¹⁹ Sempre del 1776 è la nomina a membro dell’Accademia di Belle Arti. Si tratta di un episodio da non sottovalutare: non possiamo dimenticare che, in quegli anni, Collegio dei Pittori e Accademia, pur trovandosi fisicamente nello stesso luogo (nel Fondaco della Farina a S. Marco o Fonteghetto) sono divisi da fiera rivalità. Pietro, che pure non farà mai mistero delle sue simpatie per il Collegio, fa parte di entrambe.

    Il vero trionfo di Edwards è la partenza (nel 1778) del Ristauro generale di tutte le Pitture di Pubblica Ragione. La necessità e l’urgenza di restaurare gran parte dei teleri e dei quadri presenti a Palazzo Ducale e nelle Magistrature di Rialto erano esigenze ben note a tutti. Fino al 1778, al di là della loro efficacia, gli interventi sono sempre estemporanei. Già nel 1771 il Senato ha assegnato alla Magistratura competente (i Riformatori dello Studio di Padova) il compito di pianificare un intervento sistematico. All’organizzazione di quell’intervento Edwards lavora alacremente, probabilmente da prima di essere nominato Presidente del Collegio dei Pittori.

    "L’Edwards passa ad articolare un piano di sistematico riassetto delle pubbliche pitture: in primo luogo propone che le commissioni di restauro vengano affidate sempre e soltanto a quei pochi «professori» che abbiano dato prova della loro valentia come della loro onestà; in secondo luogo chiede che sia fissata una misura unica di retribuzione sul tipo di quella da lui stesso proposta «onde così i professori destinati non siano dalla privativa incoraggiti a delle pretese stravaganti»; inoltre, suggerisce che si infligga una congrua penale, oltre a sanzioni di diverso tipo (fra cui il licenziamento immediato), a quei restauratori che per loro colpa od incuria rovinassero irrimediabilmente un’opera a loro affidata; e che, per questo scopo, venga proposto un soprintendente agli esecutori il quale sia giudice del lavoro compiuto. Passando poi a concrete indicazioni di persone egli fa i nomi di Giuseppe Bertani come «maestro di tutt’i restauratori», di Nicolò Baldassini e Giuseppe Diziani, designati come «suoi due compagni solitti a travagliare con esso lui sui medesimi principi». A questo staff doveva ancora aggiungersi un assistente per ciascun professore. La carica di ispettore, inoltre, egli la riserva per sé, cedendo ogni commissione di lavoro attribuitagli in precedenza."²⁰

    I tre professori e il soprintendente lavorano in esclusiva: a nessun altro potrà essere affidato il restauro²¹, né i medesimi potranno accollarsi restauri di altre opere (provenienti ad esempio da collezioni private). Quasi contemporaneamente al piano proposto da Pietro giunge al Senato la risposta riservata dei Riformatori dello Studio di Padova. È talmente aderente al progetto di Edwards da far supporre che proprio Edwards l’abbia estesa materialmente.

    Le richieste di Edwards vengono accettate in toto. Pietro viene nominato Ispettore Generale del Restauro (settembre 1778). Presso uno dei refettori dei SS. Giovanni e Paolo viene aperto il laboratorio di pubblico restauro. Sono anni di lavoro intensissimo. Fra il 1778 e il 1785 vengono restaurati 405 quadri, come risulta dal Catalogo degli autori a quali appartengono le pitture di pubblica ragione ristaurate dal settembre 1778 fino a giugno 1785.²²

    L’impresa del laboratorio pubblico diventa famosissima, ed il modello veneziano viene considerato come esempio da tutti coloro che, negli anni successivi, si porranno il problema di organizzare il restauro delle opere d’arte. Edwards è ormai un nome da citare nelle fonti e nella letteratura artistica. Inevitabilmente diviene sinonimo di innovazione e modernità. Tuttora Pietro Edwards è considerato una figura cardine nel processo di professionalizzazione del restauro e qualsiasi storia della disciplina non può prescindere dall’esperienza del laboratorio dei SS. Giovanni e Paolo.²³

    Il procedere dei pubblici restauri non blocca l’attività politica di Edwards. Stando a quanto raccontato dal figlio (Repertorio Generale, cc. 142r.-144v.) fin dal 1780 il Senato della Repubblica aveva deciso che si fondasse una Galleria Pubblica:

    …il gusto generale che nell’Epoca di allora qui si trovava poco meno che all’ultimo sfinimento, la perdita di sublimi esemplari consunti dalle ingiurie di un clima più che altrove pernicioso per essi; i disastri ai quali avevano, alquanto prima del 1724, incominciato e continuato appresso a soggiacere le gallerie private de’ nobili, divenute suppellettili fastose nelle case degli stranieri, erano argomenti assai forti in favore dell’immaginato Istituto.²⁴

    Ad essere precisi, la delibera del Senato sull’argomento è del dicembre 1779²⁵ e prevede che, a questo scopo, si prendano lumi da Edwards. Il progetto rimase tuttavia in una fase embrionale, una volta che si capì che i criteri da seguire per selezionare i quadri sarebbero stati fortemente restrittivi. Giovanni parla della compilazione di un elenco da cui risultava l’individuazione di soli 138 esemplari classici ed originali giusta note che si conservano; appare logico pensare che a realizzare quell’elenco sia stato il padre.

    Gli ultimi anni della Repubblica sono anche quelli in cui Pietro raggiunge il massimo dell’influenza nell’ambito della politica artistica veneziana. Questo periodo (compreso fra il 1791 e il 1796) sembra in qualche modo passare in secondo piano quando si operi una valutazione complessiva della biografia di Edwards. Il Repertorio Generale ci aiuta a capire meglio: Pietro (che, lo ricordiamo, è Segretario perpetuo del Collegio dei Pittori e membro dell’Accademia) si rende conto che la rivalità fra le due istituzioni è in realtà nociva alla credibilità dei pittori stessi; progetta di trovare una soluzione che, reincorporando l’Accademia nel Collegio, permetta di tornare a una gestione univoca e centralizzata nell’esercizio dell’Arte. Nel 1792, Pietro viene nominato Ispettore Generale delle Belle Arti di Venezia, con compiti di proposta e di sovrintendenza sulle istituzioni artistiche della città.²⁶ Non è certo un caso se il 25 agosto 1793 è eletto anche Presidente dell’Accademia (resterà in carica fino all’agosto del 1796). Il suo compito è quello di riformare il sistema ed eliminare le occasioni di attrito fra le varie fazioni, operando per la rinascita delle Belle Arti della Repubblica.

    Sembra però – stando a quanto riferisce Giovanni²⁷ - che, ad un certo punto, a Pietro venga a mancare l’appoggio politico; e che non sia quindi in grado di dar pratico sbocco alla riforma che avrebbe progettato. I francesi, peraltro, sono ormai alle porte.

    1.2 Dal 1797 al 1805

    Nei primi 53 anni della sua vita Pietro Edwards ha vissuto sotto la Repubblica veneziana. Fra il 1797 e il 1805 sperimenta altri due regimi. La Repubblica cade il 12 maggio 1797. La presenza francese a Venezia, tuttavia, dura solo qualche mese. Il 17 ottobre 1797 viene firmato fra austriaci e francesi il trattato di Campoformio. Nell’ambito di accordi più ampi, gli ex-territori della Repubblica veneta passano sotto il controllo austriaco. Nel gennaio dell’anno successivo le truppe di Francesco II entrano in città. La presenza austriaca a Venezia dura sette anni. Nel dicembre del 1805, col trattato di Presburgo, Venezia torna sotto il controllo di Napoleone ed entra a far parte del Regno d’Italia.

    A parte la vicenda dei quadri consegnati ai francesi, questo periodo, nella biografia di Edwards, sembra quasi un buco nero. Attingendo da molte fonti inedite, ci sembra di essere riusciti a ricostruire un quadro meno frammentario di quegli anni, che sono assai più importanti di quanto si pensi: in particolare, a nostro giudizio, è stato sottovalutato l’aspetto di maggior rilievo. Fra 1797 e 1805, infatti, Edwards rivede (o è costretto a rivedere) la scala delle sue priorità. Vi arriva come Ispettore Generale, col serio intendimento di riformare il sistema delle Belle Arti a Venezia; ne esce avendo abbandonato questo progetto, ma con in testa un’idea molto più strutturata in merito alla creazione di una Galleria dei Pittori Veneti. È quest’ultimo il vero obiettivo che Edwards perseguirà negli anni successivi.

    Da un punto di vista degli avvenimenti storici, il 1797 è senza dubbio l’anno più difficile: la presenza dei francesi dura pochi mesi, ma sufficienti per spogliare Venezia di alcune delle sue opere più famose. Napoleone ha inaugurato con la Campagna d’Italia la politica delle requisizioni. In termini giuridici non opera un tradizionale saccheggio. Il passaggio di proprietà dagli sconfitti ai vincitori fa esplicitamente parte degli accordi di pace, ed è quindi a tutti gli effetti riconosciuto dal diritto internazionale. Si stabilisce che venti capolavori veneziani diventino proprietà francese e vengano spediti a Parigi²⁸. Ad aiutare i commissari transalpini nella scelta delle opere è proprio Pietro Edwards, come incaricato del governo provvisorio veneziano. Di quell’anno del tutto particolare ci resta, per fortuna, un manoscritto stilato dall’Ispettore e conservato nell’Archivio Storico dell’Accademia. Si tratta di un Sommario dell’occorso a’ Studj Belle Arti del Disegno, in Democrazia.²⁹ Anche se scritto in terza persona, il manoscritto ha natura di promemoria personale. Lo spazio dedicato alle requisizioni francesi è estremamente ridotto in rapporto a tutto il resto del documento³⁰: l’11 agosto Edwards viene incaricato dal Comitato di Salute Pubblica di "trattare coi Commissarj della Repubblica Francese intorno alla consegna dei 20 quadri convenuti col trattato di Pace. Detta Commissione importò circa 45 giorni di fastidiosissime occupazioni"³¹. Tutto qui³².

    Non vi è dubbio che maggior risalto sia dato alle vicissitudini legate al laboratorio di restauro dei SS. Giovanni e Paolo. Il 22 maggio (sono passati dieci giorni dalla caduta della Repubblica) Edwards è confermato al suo posto, assieme al suo gruppo di lavoro, ma gli vien detto di interrompere i lavori in attesa di decisioni successive. Il 29 giugno gli si ordina di sgomberare il laboratorio perché servirà alle truppe francesi come ospedale militare. Edwards visita una serie di locali che gli vengono indicati come disponibili e sceglie il refettorio del convento di Santo Stefano, ma i francesi negano il permesso al trasloco. Il 9 agosto, però, giunge l’ordine perentorio di sgomberare sul momento tutto ciò che si trova a SS. Giovanni e Paolo. Edwards, dopo una trattativa quasi istantanea, si vede costretto a trasferire tutti i materiali, quadri compresi, in una sala del Palazzo Grimani a S. Luca.

    Può non essere inutile segnalare che il manoscritto si apre, il 22 maggio, con un incontro fra Pietro e il Comitato di Pubblica Istruzione, che lo loda, gli attesta la fiducia che si nutre in lui e gli manifesta "eccitamento a produr i suoi pensieri per la formazione di una pubblica Galleria", a dimostrazione che già a quella data esisteva un progetto museale da parte dell’Ispettore alle Belle Arti.

    Ma su un piano personale, gli anni veramente difficili per Edwards sono quelli fra il 1798 e il 1802. Anche qui troviamo fortunatamente l’appoggio di un manoscritto conservato alla Biblioteca del Seminario Patriarcale, scritto dopo il maggio 1800³³, in cui Pietro rivendica il suo operato nel 1798 e nel 1799, innanzi tutto per chiarire che, prima della caduta della Repubblica, il suo ruolo di Ispettore Generale delle Belle Arti era assolutamente apicale; e poi per dimostrare di averne svolto uno analogo nel primo biennio della dominazione austriaca. Pietro – ormai lo si sarà capito – è un uomo a cui non piace che qualcuno gli faccia ombra; ama comandare; appartiene alla categoria di coloro che si ritengono indispensabili³⁴. E il succedersi frenetico di varie amministrazioni nell’ambito della dominazione austriaca mette in pericolo la sua autorità. Fra 1798 e maggio del 1799 Edwards opera "nel ruolo dei Regi Ministri col titolo di Ispettore sopra le Belle Arti³⁵. Pietro risponde gerarchicamente prima a una Deputazione di Belle Arti provvisoria, poi al Regio Commissario Giuseppe Pellegrini, ma, in realtà, non esiste un atto scritto che ne formalizzi le competenze. Proprio per vedersele riconosciute ufficialmente, Edwards presenta a Pellegrini in due diverse occasioni un Capitolare per il Regio Ispettore delle Belle Arti che si conserva in duplice copia presso l’Archivio dell’Accademia.³⁶ Pellegrini rimanda l’esame del capitolare³⁷, e poi, improvvisamente, a maggio del 1799, lascia Venezia. Il problema è che la nuova amministrazione non ha tracce degli impieghi sostenuti da Edwards, che si attiva appunto con una prima supplica del giugno 1799³⁸ e, non avendo riscontri, stila il secondo documento dopo il maggio del 1800. La richiesta muove da esigenze di natura economica (Edwards non viene pagato da un anno), ma chiarisce alcuni punti importanti su associazioni artistiche e sulla Galleria dei Pittori veneti.

    Il Collegio dei Pittori esiste ancora, ma solo formalmente. L’ultima riunione di cui si abbia notizia è del 1798. Nel marzo del 1799 giunge una supplica pressante: il Collegio non riceve da due anni i 130 ducati per la sorveglianza dei quadri pubblici e non è più in grado di garantire il servizio.³⁹Anche l’Accademia reclama soldi senza i quali si dice non in grado di garantire gli studi per gli allievi. Ma ancora una volta qualcosa, fra Edwards e vertici dell’Accademia dev’essere successo, perché al momento di stilare il manoscritto Pietro sente la necessità di dire: Si avverte che attualmente l’Accademia ricusa di riconoscere l’Ispettore sopra le Belle Arti [n.d.r. ovvero Edwards stesso] per la ragione che non le fu mai formalmente notiziato né l’uffizio, né chi lo copre. È la dimostrazione di una micro-litigiosità che si alimenta nelle difficoltà finanziarie e nell’assenza di rappresentatività e potere reale⁴⁰, e che durerà anni. In una lettera ad Antonio Canova del 23 giugno 1804 Pietro comincia così una frase: Siccome da sei anni io non voglio avere alcuna comunicazione con la nostr’Accademia e non bazzico in quelle stanze…⁴¹ È convinzione di chi scrive che le carte 65r-68v del Repertorio, in cui compare una feroce critica dell’Ultima Veneta Accademia dal 1797 al 1808 (ma molto probabilmente si sta parlando della situazione tra il 1798 e il 1800) siano in realtà frutto della penna di Pietro e del suo disgusto nei confronti della gestione accademica.

    Molto più frequenti, invece, le indicazioni relative alla Galleria pubblica. Edwards, ad esempio, è incaricato di formare un catalogo delle pitture nel Palazzo Ducale e in Rialto per la creazione di un museo nazionale. In tale occasione fornisce una nuova copia degli Studi sopra la istituzione di una pubblica Galleria.⁴² In un primo momento Pellegrini ritiene di trovare una collocazione nella Sala delle Armi di Palazzo Ducale, soluzione che Edwards scarta, perché non vi è abbastanza vantaggio di lume, e di altezze;⁴³ ma dedica diversi giorni agli esami locali in collaborazione con Alvise Querini.

    In qualche modo i problemi legati al mancato riconoscimento dell’operato di Edwards fra 1798 e 1799 sembrano essere stati risolti, quando, nel dicembre del 1802, viene creata una Commissione per la creazione di un Museo Imperiale. Ne fanno parte il Consigliere di Governo Pietro Bellati, Giuseppe Carpani, in qualità di Ispettore e appunto Edwards come vice-Ispettore.⁴⁴ Pietro naturalmente si lamenta per la umiliante degradazione dopo diciannov’anni passati in principalità di Uffizio,⁴⁵ ma le cose, valutate da un occhio esterno, sembrano chiare. Gli Austriaci insediano nei posti chiave della macchina amministrativa figure di provata fedeltà, meglio ancora se provenienti da fuori Venezia. È il caso di Pietro Bellati, che ha lasciato la Lombardia in mano a Napoleone per seguire la causa austriaca; nella stessa situazione il comasco Giuseppe Carpani, fiero oppositore della rivoluzione francese, nominato censore e direttore dei teatri di Venezia. Nessuno dei due ha reali competenze artistiche, e quindi pare logico pensare che a seguire il progetto, da un punto di vista tecnico, sia stato appunto l’Edwards. Nel 1803 (lo scrive Giovanni nel suo Repertorio Generale), si decide di compilare il Catalogo Generale dei Capi d’Opera di Pittura e di Scultura esistenti nelle fabbriche erariali, e nelle Chiese delle Austro-Venete Provincie e la commissione decide di spostare nella Sala dello Scrutinio del Palazzo Reale (ex-Ducale), le tele delle Magistrature soppresse e quelle provenienti dal laboratorio dei SS. Giovanni e Paolo, temporaneamente ammassate in Palazzo Grimani; la scelta è quella, comunque, di istituire il Museo in Palazzo Ducale.⁴⁶ Si tratta di un progetto già maturo: lo conferma il passo del Repertorio in cui si mette in evidenza che il Catalogo Generale di cui si è parlato poco fa era destinato ad essere completato da un secondo catalogo, in cui le opere fossero classificate in ordine cronologico, con precise indicazioni su autori e collocazioni. Il tutto perché dal confronto dei due elenchi risultassero le lacune delle singole serie e ci si potesse orientare nella scelta delle opere d’arte.⁴⁷

    1.3 Dal 1806 alla morte

    Col ritorno dei Francesi (dicembre 1805) Venezia entra a far parte del Regno Italico. Due sono i fatti nuovi, che influenzano direttamente la vita di Edwards negli anni a seguire: la rinascita dell’Accademia da un lato, la soppressione di molti ordini religiosi e l’ingresso dei loro beni in proprietà del Demanio (avocazione) dall’altro. L’Accademia viene rifondata, e soprattutto finanziata, con decreto 12 febbraio 1807, in cui si stabilisce che l’ente adotti il medesimo statuto delle due accademie già esistenti nel Regno (Milano e Bologna), risalente al 1803. Il 21 febbraio 1807 Edwards viene nominato Conservatore della Galleria dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia e della Galleria Farsetti.⁴⁸ Si stabilisce cioè che la nuova Accademia sia dotata di una sua propria pinacoteca, a fini essenzialmente didattici, in cui andranno a confluire i (pochi) quadri della vecchia Accademia e quelli che saranno attribuiti alla rinnovata istituzione dal Governo del Regno. Dal 6 maggio dello stesso anno Edwards è anche Economo dell’Istituto. Il nuovo Presidente dell’Accademia è Almorò Pisani; una presenza poco significativa, per sua sventura. Pisani muore infatti un anno dopo, nel febbraio del 1808. Passano due mesi e gli subentra Leopoldo Cicognara. Fra le cariche di responsabilità del nuovo Istituto spicca quella di Segretario, affidata sin dal 1807 ad un giovane architetto, Antonio Diedo, che la conserverà fino alla morte nel 1847. Edwards, stranamente, si tiene in disparte. Sembra quasi che Pietro non sia eccessivamente interessato. L’unico atto di una qualche visibilità operato in quel lasso di tempo è un Elogio di Antonio Canova letto in Accademia attorno al settembre del 1807.⁴⁹ La risposta che ci siamo dati è che in realtà, in quel momento, Pietro è preso da cose più importanti, in particolare dal suo ruolo di Delegato alla scelta delle opere d’arte per la Corona, che gli è stato attribuito nel 1806 in seguito alle avocazioni dei beni ecclesiastici.

    Fra il 18 e il 28 luglio 1806 il nuovo governo del Regno Italico decreta l’accorpamento e la soppressione di decine e decine di istituti religiosi⁵⁰. I beni degli enti soppressi entrano in mano del Pubblico Demanio. Come è facile immaginare è un momento di confusione indescrivibile. Manca un qualsiasi protocollo per il trasferimento di tali beni all’autorità pubblica. Spesso peraltro chi abbandona le chiese o i conventi non desidera affatto che tali ricchezze passino nelle mani dei rappresentanti del nuovo governo. Se precedenti soppressioni operate dal governo veneto nel 1768 avevano creato una situazione difficile, qui siamo di fronte a un’onda di piena che sconvolge la geografia degli enti e delle chiese che conservavano i capolavori dell’arte veneta. Il rischio che le opere siano distrutte o siano disperse all’estero attraverso canali più o meno clandestini è tangibile. In questo quadro di confusione generale Edwards viene nominato prima consegnatario di tutte le opere che sono conservate in Palazzo Ducale nella Sala dello Scrutinio (aprile) e subito dopo (entro il 16 settembre) Delegato per la Corona nella scelta degli oggetti d’arte passati al Demanio in seguito alle soppressioni. Tutte le opere che giungono dalle Venezie devono essere sottoposte all’attenzione di Edwards, che dovrà poi operare una cernita e decidere quali trattenere. Per farne che? Qui ci sembra che sia il vero nodo del problema. La vulgata vuole che Edwards debba scegliere i quadri che dovranno finire a Milano, alla Pinacoteca di Brera, e quelli che invece saranno conservati nella Galleria dell’Accademia. Non è così⁵¹. Sfogliando la corrispondenza di Pietro, ma soprattutto seguendo le indicazioni fornite nel Repertorio Generale, è chiaro che le opzioni sono tre, e non due: alcune opere saranno inviate a Brera (e non sarà Edwards a sceglierle, ma gli ispettori del Regno); tutte le altre concorreranno a formare due Pinacoteche, con profili completamente diversi. La prima sarà una Galleria Reale, che dovrà raccogliere una rassegna storicamente completa ed organizzata cronologicamente della pittura veneziana ("ancorché fossero le misere tavolette di Mastro Teofane, il primo che dopo il 1100 aprisse scuola di pittura in Venezia"⁵²). In Accademia, poi, dovranno andare solo pochi esemplari del periodo classico, a scopi meramente didattici. Si tratta della continuazione del progetto già cominciato sotto gli Austriaci. È chiaro che Edwards sa benissimo di dover pagare uno scotto; ed il prezzo che deve versare per portare a compimento il suo obiettivo è l’invio a Brera di una serie di quadri. In una lettera del maggio del 1806 sembra addirittura sperare di cavarsela spedendo a Milano le opere d’arte conservate in laguna e non appartenenti alla scuola veneta.⁵³ Né mai si sarebbe aspettato la cessione forzosa di centinaia di quadri (210 entro il 1811). Ad ogni modo, tutta l’attività di Edwards in questi anni, tutti gli sforzi profusi per reclamare quadri testimoniati dalle fonti e smarriti perché occultati o rubati o distrutti, tutti i consigli avanzati per vincere il muro d’omertà che spesso gli emissari governativi si trovano a dover abbattere specie nei piccoli centri della provincia, dove le immagini devozionali sono più care alle tradizioni culturali della popolazione⁵⁴, si devono spiegare esclusivamente con l’intenzione di creare una Regia Galleria della Pittura Veneta.

    Il 29 settembre 1807 Edwards si vede assegnati i locali della ex-Commenda di Malta a S. Antonin per conservarvi i quadri scelti per la Corona e quelli fino ad allora ospitati nella Sala dello Scrutinio⁵⁵. Il trasloco è di fine anno. Il lavoro è frenetico. Il frutto più immediato dell’attività di Pietro è il Catalogo Generale delle Opere scelte per la Corona, datato 10 gennaio 1808. Anche questo Catalogo, come quello del 1803, sembra purtroppo smarrito.⁵⁶ Al Catalogo del 1808 Edwards farà continuamente riferimento in tutta la sua corrispondenza diretta all’Intendenza ai Beni della Corona a Milano. Si tratta di una base di lavoro a cui, di volta in volta, vengono aggiunti quadri che entrano nella sua disponibilità e sono defalcati quelli che finiscono a Milano, Strà e Modena⁵⁷. Nel gennaio 1810 Edwards trasferisce la sua abitazione nei locali della ex-Commenda, per sorvegliare meglio i dipinti. L’8 gennaio dello stesso mese invia una lettera in cui rifiuta sdegnosamente l’idea di istituire la Regia Galleria nei locali in cui ha appena traslocato, totalmente inadatti. A fine anno ne invia un’altra in cui propone di creare la Pinacoteca "nel Regio Palazzo delle Procuratie dal lato della gran piazza, nel piano superiore, dove resterebbe esente dalla percussione del sole.⁵⁸ La lettera del 6 marzo 1811 al Senatore Mengotti, Intendente Generale dei Beni della Corona, è piena di amarezza: sono passati per l’ennesima volta alcuni inviati del governo milanese (fra cui il pittore Andrea Appiani) e hanno scelto 30 nuovi quadri da spedire nella capitale. Edwards fa presente che si è arrivati a 210 e tutto ciò è incompatibile con la possibilità di creare una Galleria Reale che rappresenti la storia della pittura veneziana in maniera completa. La risposta del 12 marzo, pur confermando piena fiducia nell’operato di Pietro, lo invita a non far storie e ad eseguire gli ordini senza discutere.⁵⁹ Il 3 settembre dello stesso anno giunge da Milano una lettera a Cicognara in cui si ordina a disporre frattanto ad uso dell’Accademia stessa i quadri della Corona esistenti presso il signor Edwards."⁶⁰ È la fine del sogno della Galleria Reale, ed un ridimensionamento oggettivo del ruolo di Pietro. La musealizzazione delle opere veneziane si concentra ora solo sull’Accademia. È un compito che Edwards svolge comunque con impegno, applicando all’Istituto presieduto da Cicognara alcuni degli aspetti che lo avevano guidato nella scelta delle opere per la Galleria Reale; è il caso, ad esempio, della presenza di quadri risalenti ai primitivi veneziani. Tuttavia – fa presente Pietro nella prefazione al Catalogo delle Gallerie dell’Accademia (1813) – "fu lasciato addietro un considerabil numero di tele, che quanto sarebbero state necessarie al compimento di quel progetto [n.d.r. la Galleria Reale], altrettanto riuscirebbero improprie per l’Accademica Raccolta."⁶¹ Quello recante la data del 16 giugno 1813 è di fatto il primo catalogo della Galleria accademica ed è appunto firmato da Pietro.

    Quando tornano gli Austriaci (1814) Edwards ha settant’anni ed è un uomo ormai vecchio. Mantiene il suo titolo di Conservatore della Galleria dell’Accademia (e di Economo della medesima), continua ad occuparsi di restauro, ma il suo è ormai un ruolo di secondo piano. Sulla scena della politica artistica si è imposto da anni Cicognara, che ha saldato l’Accademia al circuito internazionale del mondo neoclassico in nome dell’esaltazione di Canova, e, dopo il Trattato sul bello (1808) ha iniziato a pubblicare il suo capolavoro, la Storia della Scultura.⁶²

    C’è un episodio, negli anni della restaurazione, che ci corre l’obbligo di riportare, non per esprimere giudizi morali, ma perché avrà conseguenze importanti nella vita di Pietro, ed anche in quella di Giovanni. Siamo agli inizi del 1817. Cicognara scopre che nella Cassa Economale, di cui Edwards è responsabile, mancano 7000 franchi. Decide di insabbiare tutto, per il buon nome suo e dell’Accademia. Ma è chiaro che qualcosa si è rotto. La vicenda viene raccontata da Cicognara stesso in una lettera ad Antonio Canova del 3 febbraio 1817. Vediamone uno stralcio:

    Il nostro economo Eduards [sic] dell’Accademia cui ho fatto l’incontro di cassa per l’anno scaduto è difettoso di 7000 franchi dei quali si è servito, lasciando conti in sospeso. Si pretende che il presidente sia responsabile: ma io che non sono pagato intendo non dover esserlo. La cosa è complicata, poiché dovendo presentare un consuntivo alla Ragionateria si fa una pubblicità se non vengono prima saldate le partite. Se io aspetto che Eduards sia in misura, forse Dio sa quando potrà farlo: se lo faccio io, corro io il rischio di andare colla testa rotta: e se si pubblica la cosa si azzarda nel petegolezzo che fa poco onore allo stabilimento: in somma è gravissimo imbroglio.⁶³

    Cinque giorni dopo Cicognara scrive nuovamente a Canova, dicendo che spera di aver accomodato le cose. Non sappiamo come. Quasi contemporaneamente, Pietro viene colto da quello che, stando a una lettera di Giovanni del 1833 scritta a Diedo e che abbiamo rinvenuto in Accademia, sembra essere un grave ictus cerebrale:

    [Giovanni Edwards]…esaminato poi il suo Portafoglio particolare, e riveduti i dettagli del disastro paterno nell’Anno 1817 suddetto, trova in luogo della suddetta Istanza la seguente particola, tra le altre: Missione dell’Agrimensore di Tessera Sig. Canzano, al Cicognara perché lo renda avvertito: 1° Dell’apprensione del Dr. Biasioli medico sulla minaccia di stasi cerebrale; e d’istantaneo pericolo in cui trovavasi la vita del Padre. 2° Della inscienza totale in cui il figlio versava intorno alle faccende domestiche 3° Della perenne lontananza in cui si trovava dalla Casa del Padre; la quale in caso di morte, restava in potere di un unico servo. 4° Della necessità che gli sembrava essere di provvida e cauta misura, per trasportare in luogo di sicurezza la Cassa Accademica.⁶⁴

    La malattia di Pietro dura svariati mesi. Da quella data, tutte le volte che si parla di Edwards se ne mettono in evidenza le precarie condizioni di salute. Una cosa è certa: Cicognara insabbia la vicenda (e nomina un nuovo Economo; Pietro diventa Vice-Economo, mentre rimane Conservatore), ma da quel momento la voce di Edwards non sembra aver più peso. Dei mesi successivi sono gli scambi con privati eseguiti dall’Accademia, a cui l’anziano Conservatore sarebbe stato contrario,⁶⁵ e la sostituzione nella direzione del restauro per i quadri della pinacoteca accademica.⁶⁶ Sembra invece che Cicognara sostenga il progetto di Pietro per l’istituzione di una scuola di restauro. Secondo Giovanni tale progetto risalirebbe in origine al 1816⁶⁷. I contorni della vicenda sono ben conosciuti.⁶⁸ Forse è meno noto che Cicognara fece sua la proposta col governo di Vienna, ma propose a capo della Scuola Giuseppe Baldassini e non Edwards.⁶⁹

    Pietro Edwards muore in povertà, il 17 marzo 1821.

    1.4 I riferimenti culturali: Corporazione e Secolo d’Oro

    Abbiamo visto come, parlando di Edwards restauratore, venga naturale e istintivo considerare un’idea di ‘modernità’ nel suo operato. Pietro codifica in appositi protocolli⁷⁰ i comportamenti che un operatore deve seguire nel momento di accingersi al restauro di un quadro, a partire dal dovere di segnalare se il quadro stesso debba e possa essere restaurato. Questi protocolli vengono studiati e richiamati anche oggi, in una prospettiva storica⁷¹. Eppure qualche dubbio sulla reale modernità di Edwards in materia di tutela, conservazione e restauro con gli anni è stato posto, e fa riferimento soprattutto agli interventi successivi alla caduta della Repubblica; in quegli anni caotici Edwards dà il suo placet allo smembramento di polittici, separa opere che in origine facevano parte di un solo ciclo pittorico, avalla operazioni assai discutibili. In tutta onestà – e col massimo rispetto nei confronti di chiunque – non sembra a chi scrive che questo sia il problema principale. La vera sfida è riuscire a conciliare politiche di restauro che hanno lasciato il segno per secoli con affermazioni come quelle riportate da Giovanni in merito all’attività del padre come incaricato della scelta delle opere da trattenere per le Regie Gallerie (siamo nel 1806):

    "Intorno poi allo smaltimento delle pitture cattive e triviali, con franchezza leale ebbe a scrivere che

    Il torrente di tante vituperevoli cose disepellite dalla oscurità e poste in circolazione, sta in aperto contrasto con le nobili cure che si prende il Governo pel risorgimento delle arti; e questa peste finirà di ammorbare il gusto generale del popolo.

    E perché a mezzo delle aste Demaniali non andassero in circolazione, il Delegato anzidetto in suo Rapporto diretto al R. Demanio di Venezia inculcava che si dessero al fuoco."⁷²

    Un uomo con una doppia personalità? L’artefice del Restauro Generale che si adopera per la distruzione dei quadri? Cosa dobbiamo

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